martedì 19 ottobre 2021

A volte non osiamo entrare in quello che è il nostro destino. Proust e Kafka

“A volte, proprio nel momento in cui tutto ci sembra perduto, giunge il messaggio che ci può salvare: abbiamo bussato a porte che davano tutte sul nulla, e nella sola per cui si può entrare, e che avremmo cercato invano cento anni, urtiamo inavvertitamente ed essa si apre” (Il tempo ritrovato, 196).  
L’urto risolutivo questa volta avviene con un ciottolo. Era entrato nel cortile del palazzo Guermantes e per scansare un’automobile che stava per investirlo, “indietreggiai tanto da inciampare mio malgrado contro i ciottoli mal livellati” (p. 196)  Allora “tutto il mio scoraggiamento svanì di fronte alla medesima felicità che, in momenti diversi della mia vita, mi avevano procurato la veduta di alberi (…) la vista dei campanili di Martinville, il sapore di una madeleine inzuppata in un infuso” 196
Per la veduta di alberi cfr. L’idiota di Dostoevskij: “io non so come sia possibile passare accanto a un albero e non sentirsi felice di vederlo” (p. 700)
 
Nel Processo  (edito 1924 scritto 1914-1915)
  di Kafka[1] c’è una parabola con un paraklausivquron , il bussare a una porta chiusa della poesia amorosa greca, anomalo, quasi rovesciato: si tratta  infatti di un'attesa ansiosa e querula davanti a una porta aperta, quella della legge, aperta proprio per colui che attende ma non ha  il coraggio di entrare.
 E' la parabola che il cappellano delle carceri  racconta a K. nel Duomo :"Davanti alla legge c'è un guardiano. A lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L'uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. "Può darsi" risponde il guardiano, "ma per ora no". Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l'uomo si china per dare un'occhiata, dalla porta, nell'interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere:"Se ne hai tanta voglia, prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l'infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io". L'uomo di campagna non aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che non lo può far entrare. L'uomo, che per il viaggio si è provveduto di molte cose, dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva:"Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa". Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l'unico ostacolo all'ingresso nella legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e, siccome studiando per anni il guardiano, conosce ormai anche le pulci nel suo  bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell'oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo. Prima di morire, tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può più ergere il corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell'uomo di campagna. "Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "sei insaziabile". L'uomo risponde:"Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?". Il guardiano si rende conto che l'uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida:"Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo"[2].
Identico è il racconto di Kafka Davanti alla Legge.
 
Bologna 20 ottobre 2021 ore 8, 26
 
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] 1883-1924.

[2]F. Kafka, Il processo  (1914-1915) , IX capitolo,  pp. 220-221.

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