Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica
Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica
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sabato 9 ottobre 2021
Aristofane introduzione. Con un’aggiunta metodologica sull’educazione.
Aristofane nacque ad Atene intorno al 445 a. C. e morì probabilmente nella sua città poco dopo il 385.
Ricaviamo dalle sue commedie le notizie sulla vita. Ne scrisse una quarantina conseguendo cinque vittorie: a noi sono arrivati undici drammi: gli Acarnesi (425) , i Cavalieri (424) le Nuvole (423), le Vespe (422), la Pace (421), gli Uccelli (414), la Lisistrata (411) le Tesmoforiazùse (410), le Rane (405), le Ecclesiazùse (392), il Pluto (388).
Dalla prima commedia (Acarnesi, vv. 653-654)) sappiamo che il poeta aveva una proprietà nell'isola di Egina: è probabile che questa sua condizione di benestante abbia influito sulle idee conservatrici e favorevoli alle forze della tradizione.
Gli Acarnesi è il più antico lavoro di Aristofane a noi pervenuto: con queso vinse alle Lenèe (festa di fine gennaio durante la quale dal 440 a. C. si rappresentavano commedie) del 425, precedendo i drammi di Cratino ed Eupoli, ma non costituì il debutto del giovane autore che era avvenuto nel 427 con i Banchettanti i quali trattavano il tema dell'educazione: un padre fa educare due figli in maniera diversa: uno alla scuola antica, l'altro dai nuovi maestri di retorica: una storia ricorrente nella commedia: basta pensare agli Adelphoe di Terenzio.
La paideia è un tema ricorrente nella commedie di Aristofane.
Nei Banchettanti e nelle Nuvole l’educazione è limitata alle persone, nelle Rane è estesa alla città.
Breve excursus sulla didattica
Aristofane parteggia per l’educazione antica e tradizionale, contro le novità che non sono sempre buone.
Vediamo che cosa è successo nella scuola italiana.
Per quanto riguarda gli ultimi 70 anni, dalla mia scuola elementare in poi, il metodo didattico è cambiato, e difatti andava cambiato.
Non in peggio però. La scuola da me frequentata dal 1950 al 1969 era modesta: lo studio richiesto era soprattutto manualistico e non si insegnavano le lingue moderne.
La parte principale del lavoro, detta istituzionale, dovevamo farlo in casa, senza una guida nemmeno sul metodo.
Nessuno mi ha mai dato una visione d’insieme non dico di una civiltà, ma nemmeno di un autore.
Però la mole di questo lavoro casalingo era grande-tantae molis erat-. E questo era bene.
Per fare un esempio: il primo esame di greco verteva sulla traduzione ad apertura di libro di qualche verso dell’Odissea che dunque doveva essere conosciuta tutta quanta (circa 12000 versi)
A Greco II, il secondo esame biennale, si dovevano portare sette tragedie di Euripide (almeno altri 10 mila versi, non li ho contati). Ho ancora in tanti quaderni tutte quelle traduzioni con note grammaticali e paradigmi copiati dal vocabolario per impararli. Fu un grosso lavoro durato molti mesi. Per fortuna a Bologna c’erano due collegi- Irnerio e Morgagni- che davano ottima ospitalità e possibilità di studiare. Anche questo era un bene.
Quando dal 2000 al 2010 lavorai nella SSIS, per insegnare a insegnare ai giovani laureati, constatai che pochi di loro avevano sufficiente contezza degli autori greci e della loro lingua. Diversi di loro erano già trentenni e più, ancora senza lavoro. Questo era un male.
Quelli della mia generazione usciti dall’Università ai miei tempi, dopo il liceo selettivo e lo studio pur pevalentemente mnemonico, avevano comunque e subito l’incarico a tempo indeterminato. Questo era un bene.
Dalla metà degli anni Ottanta era entrato un poco alla volta nell’uso didattico un certo comparativismo che un decennio prima, iniziai a praticare, inaugurandolo nei licei di Bologna dove trovai opposizione in parecchi colleghi e grande entusiasno negli alunni. Sicché me ne avvalsi sempre di più e lo feci sempre meglio. Quindi me la sono cavata bene contro gli attacchi dei detrattori che indussero il preside a chiamare due ispettori contro di me. Questi mi approvarono e mi incoraggiarono a proseguire sbugiardando il preside
Incoraggiato, produssi diversi libri, quindi vinsi il concorso per entrare nella SSIS conservando comunque delle ore nel liceo Galvani. A questo punto il preside sbugiardato era andato in pensione e i colleghi malevoli cambiarono atteggiamento. Allora li ho perdonati. Oramai sono in pensione, come me d’altra parte. Io però continuo a insegnare tenendo conferenze. Ora il metodo comparativo è diventato di moda ma non si può improvvisare: sono necessari decenni di studio per farlo bene. Ci vuole uno studio conciliabile con pochissime altre attività per il tempo e la passione che richiede.
Dunque non c’è mai stato il bene né il male assoluto, però il fatto che ora nelle scuole pubbliche gli autori non si leggono più o si leggono poco, comunque meno di allora è un male.
Nel 426 Aristofane sferrò il primo grande attacco a Cleone con i Babilonesi che denunziava l'imperialismo ateniese e l’assoggettamento talora brutale imposto alle città alleate: nel 427 Mitilene, che aveva cercato di uscire dalla lega delio-attica, era stata fatta rientrare con estrema durezza che Cleone avrebbe voluto inasprire ancora di più dando a tutti i potenziali ribelli l'esempio di un vero e proprio genocidio.
Per fortuna, come leggiamo in Tucidide che definisce Cleone "il più violento (biaiovtato") dei cittadini e il più capace di persuadere (piqanwvtato") il popolo (III, 36) la sua proposta criminale non passò; vennero comunque uccisi un migliaio di Mitilenesi.
In seguito alla coraggiosa denuncia dei Babilonesi , rappresentato alle Dionisie, festa cui partecipavano i rappresentanti delle città alleate, Cleone accusò Aristofane di avere diffamato il popolo davanti agli stranieri. Lo ricorda l'autore negli Acarnesi (vv. 377 e sgg.) non senza compiacimento per essersela cavata, anche lui.
Nella parabasi dei Cavalieri (anno 424) del resto si giustifica del fatto di non avere curato la regia dei drammi precedenti diretti da Callistrato:
" non per stoltezza gli è capitato di indugiare ma poiché riteneva che mettere sulla scena una commedia è l'impresa più difficile di tutte", ajlla; nomivzwn/kwmw/didaskalivan ei\nai calepwvtaton e[rgon aJpavntwn"(vv. 515-516).
Aristofane fu un genio precoce e coraggioso: poco più che ventenne aveva già trovato il suo stile e l'ardire di fare una satira politica, non generica e blanda ma acuminata per gli attacchi personali contro personaggi potenti e noti nell'Atene di quegli anni funestati oltretutto dalla grande guerra del Peloponneso.
Passiamo quindi ad analizzare qualche parte dell'opera dalla quale trarremo, tra l'altro, l'immagine storica più completa dell'ultimo venticinquennio del quinto secolo.
Bologna 9 settembre 2021 ore 18, 37
giovanni ghiselli
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