Leopardi e Cicerone
Leopardi considerava il genere lirico il più nobile tra quelli della poesia siccome il più vicino alla natura.
"La poesia, quanto a' generi, non ha che tre vere e grandi divisioni: lirico, epico e drammatico. Il lirico, primogenito di tutti; proprio di ogni nazione anche selvaggia; più nobile e più poetico d'ogni altro; vera e pura poesia in tutta la sua estensione proprio d’ogni uomo anche incolto, che cerca di ricrearsi o di consolarsi col canto..espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dell'uomo. L'epico nacque dopo questo e da questo; non è in certo modo che un'amplificazione del lirico..il drammatico è l'ultimo dei tre generi, di tempo e di nobiltà. Esso non è un'ispirazione, ma un'invenzione..Esso è uno spettacolo, un figlio della civiltà e dell'ozio..trattenimento liberale bensì e degno; ma non prodotto della natura vergine e pura, come è la lirica, che è sua legittima figlia, e l'epica, che è sua vera nepote"(Zibaldone, pp.4234-4236).
La stessa cultura ateniese viene considerata manchevole poiché non ci furono poeti lirici ateniesi.
Io dico perché la letteratura ateniese fu politica, mentre la lirica è quasi sempre impolitica o poco politica- a parte Brecht-, e se non è ottima come quella, per esempio, di Saffo e di Leopardi , rimane spesso soggettiva.
Ma sentiamo Leopardi: “Si dice con ragione che quasi tutta la letteratura greca fu Ateniese. Ma non so se alcuno abbia osservato che questo non si può già dire della poesia; anzi, che io mi ricordi, nessun poeta greco di nome (eccetto i drammatici, che io non considero come propriam. poeti, ma come, al più, intermedii fra’ poeti e’ prosatori) fu Ateniese. Tanto la civiltà squisita è impoetica (22. sett. 1828). Però, chi dice che la lett. Gr. Fiorì principalm. In Atene, dee distinguere, se vuol parlar vero, ed aggiungere che la poesia al contrario. Ec. (22. Sett. 1828) Zibaldone, p. 4389.”
Cicerone viceversa metteva i lirici nei bassifondi della poesia, in quanto, appunto indifferenti o pure ostili ai doveri quiritari del civis romanus.
Egli biasima in particolare i newvteroi della sua età (Lettera ad Attico 7, 21) che nell’Orator (161) chiama poetae novi e nelle Tusculanae (3, 45) cantores Euphorionis.
Trovo che la scarsa simpatia di Cicerone per i lirici sia chiarita molto bene da queste parole di Seneca: “Negat Cicero, si duplicetur sibi aetas, habiturum se tempus quo legat lyricos” (Ep. 49, 5), Cicerone dice che si gli raddoppiasse la vita non avrebbe tempo per leggere i lirici.
La mia graduatoria personale cioè il mio interesse mette al primo posto il dramma, poi l’epica che seguita nel romanzo, e per terza la lirica che a dire il vero non è sempre impolitica. Anche Leopardi ha scritto delle grandi liriche politiche.
Bologna 29 ottobre 2021 ore 19, 49
giovanni ghiselli
p. s
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