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Non la pensa così Bruno Snell che mette in rilievo il privatatizzarsi degli interessi dei personaggi di Menandro.
“i personaggi di Menandro sono limitati alla loro cerchia privata. Se Alessandro conquista il mondo e dopo la sua morte i diadochi si disputano la sua eredità, la Commedia Nuova riecheggia tutto ciò, al massimo, presentando un soldato che si dà importanza con la sua borsa piena e grandi discorsi. Atene è diventata una città di provincia e non ha più nulla da dire in politica. Gli interessi sono semplificati all’estremo: i vecchi curano la proprietà, i giovani si dedicano a piaceri assai terreni; i caratteri si sono moderati al punto che nessuno persegue uno scopo con grande passione. I vecchi non sono grossi speculatori, ma avari; i giovani hanno bisogno del vino per infiammarsi in modo che un’azione possa prendere l’avvio. Se un giovane è nei guai, di regola soltanto gli schiavi sono così attivi da trovare un rimedio. Gli schiavi hanno il diritto di diventare solenni, solo loro filosofeggiano o citano versi tragici. Gli uomini nobili e “umani” di Menandro, che non inseguono più interessi superiori, che non credono affatto che esista più un modo di agire grande e ragionevole, si limitano molto consapevolmente ad aver riguardo per il prossimo e ad aiutarlo; essi educano se stessi secondo il principio che per loro “niente di umano è estraneo”. Se in Euripide Teseo si presenta a Eracle con umana comprensione, questo era il gesto di un singolo amico provato. Ora questo avvicinamento psicologico al prossimo diventa il fondamento morale della società; ed è il contrario di un rigorismo morale”[1].
Nella commedia L'arbitrato (Epivtreponte") troviamo un vero momento di mavqo" (comprensione) tragico quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie è stato un "infortunio involontario"( ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
Qui la tradizione è presente e, nello stesso tempo, rinnovata: la reputazione (dovxa) infatti è quella tradizionale: Solone nella Elegia alle Muse chiede loro benessere (o[lbo", v. 3) e, appunto, una reputazione buona (dovxa ajgaqhv, v. 4). per essere degno di rispetto (aijdoi'o", v. 6). Pindaro agli atleti augura benessere e buona reputazione.
Carisio allora ripropone la formula antica, ma poi la supera con quell"io l'uomo senza peccato, ti" ajnamavrthto", che anticipa il Vangelo di Giovanni:"chi di voi è senza peccato scagli la pietra per primo contro di lei, oJ ajnamavrthto" uJmw'n prw'to" ejp& aujth;n balevtw livqon, qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat (VIII, 7). Questa non è una posizione realistica, conclude Del Grande, poiché i mariti borghesi non erano, né sono, come Carisio; Menandro dunque, messi da parte gli eroi del mito, ne crea altri più umani i quali comunque arrivano alla comprensione attraverso la sofferenza, come suggerisce l'Agamennone (v. 177) di Eschilo.
“Carisio, ad udire le parole tanto umane di una sposa offesa, cede alla commozione. Guarda a sé stesso, al modo come ha agito, e si confessa colpevole: un vero momento di mavqoς tragico»[2].
Sempre per quanto riguarda la comprensione, è interessante quello che dice la giovane sposa Panfile al padre Smicrine:
"se non riesci a persuadermi mentre mi vuoi salvare
puoi essere giudicato un padrone invece che un padre (oukevti path;r krivnoi j ajlla; despovth")"(510-511).
Un'affermazione moderna che ha avuto un seguito fino ai nostri giorni (penso al libro di G. Ledda, e al film derivatone, Padre padrone ) ed ha un riscontro puntuale in Terenzio che negli Adelphoe fa dire al buon educatore Micione:
"Hoc patriumst, potiu' consuefacere filium
sua sponte recte facere quam alieno metu:
hoc pater ac dominus interest. Hoc qui nequit
fateatur nescire imperare liberis "(74-77), questo è dovere del padre, abituare il figlio a comportarsi bene per volontà sua piuttosto che per paura degli altri: in questo il padre differisce dal padrone. Chi non sa fare questo, ammetta di non saper guidare i figlioli.
“Si richiede tatto psicologico non solo nei confronti del prossimo, ma anche nei confronti di se stessi. Nella commedia più delicata e più bella di Menandro, gli Epitrepontes, il cui intreccio può essere in qualche modo ricostruito, tutto si svolge in modo che infine un giovane si renda conto del misfatto che ha commesso. Ubriaco, ha usato violenza a una fanciulla che poi sposa senza sapere di averla già incontrata. Quando nasce un figlio prima del tempo, com’egli crede, si adira contro la moglie finché deve scoprire che l’unica persona meritevole della sua indignazione morale è lui stesso. Come Admeto in Euripide, acquista coscienza della propria situazione e riconosce che le sue grosse parole non erano altro che parole. Così osserva a suo modo l’antico ammonimento delfico: conosci te stesso. Ma non è un Tantalo che nella sua hybris selvaggia ha ignorato il confine tra potere umano e divino, né un Edipo, che nelle sue oneste aspirazioni confidava nel proprio sapere, e neppure un Admeto, che non riconosceva un imperativo a lui posto: è un giovane borghese innocuo che senza un proposito, senza un’idea, a anzi senza vera coscienza, essendo ubriaco, è caduto vittima della debolezza umana. La grandezza di Menandro sta nello sviluppare caratteri umani, con le loro reazioni psicologiche, da temi così inconsistenti (…) i poeti più antichi erano spinti a comporre da motivi di contenuto: conservare vivo il ricordo di grandi gesta, scoprire una verità, indagare la virtù ecc (…) Dopo l’intermezzo democratico, con la fioritura ateniese della tragedia e della commedia, i poeti dovevano di nuovo dimostrare il loro talento alle corti dei monarchi…E come Menandro essi rinunciano al pathos, ai programmi morali, all’impegno politico, e osservano con sorridente comprensione il comportamento degli uomini”[3].
Bologna 9 gennaio 2022 ore 19, 47
giovanni ghiselli
p. s.
Ho concluso con Menandro che nel corso sulla commedia latina deve essere solo propedeutico.
Mi direte se aveva ragione Cesare a chiamare Terenzio “o dimidiate Menander”.
Ora andrò a correre sulla strada “ per guadagnarmi onestamente il pan” come cantavamo nel tempo, che non rimpiango, della goliardia.
[1] B. Snell, Poesia e società, pp. 154-155.
[2] C. Del Grande, Tragw/diva, p. 209.
[3] B. Snell, Poesia
e società, pp. 156-157.
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