venerdì 28 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 19

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Atto IV scena 8 (842-873) prima parte (842-857)


 
Menedemo esce fuori da casa sua parlando tra sé,  comunque a voce alta.  i Reputa se stesso “multo omnium nunc fotunatissimum” (842) dopo che il figlio gli ha spiegato come stanno le cose.
 Questo ritenere di essere giunto sul colmo della felicità viene considerato dai Greci più saggi come Solone una forma di u{bri" che può scatenare la cosiddetta “invidia degli dèi”.
 
Sentiamo Erodoto.  Creso lo straricco re di Lidia aveva pacchianamente sfoggiato le sue ricchezze al legislatore ateniese aspettandosi che Solone lo giudicasse l’uomo più felice della terra o almeno il secondo in questa graduatoria.
Ma il saggio nomoqevth" gli disse: "O Creso, tu fai domande sulle vicende umane a me che so che il divino è tutto invidioso e perturbatore. Infatti nel lungo tempo molti accadimenti ci sono da vedere che uno non vuole, molti anche da soffrire. Io a settant'anni pongo il termine della vita dell'uomo (…)
 Di  tutti i giorni compresi in settant'anni, che sono ventiseimiladuecentocinquanta, l'uno di loro non porta affatto nessuna faccenda  uguale all'altro.
Perciò l'uomo è del tutto in balìa degli eventi (pa'n ejsti a[nqrwpo" sumforh v, I, 32, 4).
A me tu appari molto ricco, Creso, e vedo che sei re di molte genti: ma quello che tu mi domandavi, ancora non te lo dico, prima di venire a sapere che tu hai finito bene la vita.
Per nulla infatti colui che è assai ricco è molto più felice di chi vive alla giornata, se non lo accompagna la sorte di finire bene la vita con tutte le sue belle cose. Molti uomini straricchi infatti sono infelici, e molti che hanno risorse misurate, sono fortunati (…)
 Se, dopo avere avuto il  benessere e una buona reputazione, un uomo finirà anche bene la vita, questo è colui che tu cerchi, quello degno di essere chiamato felice, ma prima che sia morto, aspetta e non chiamarlo ancora felice, bensì fortunato (Storie, I, 32, 7)
 
Torniamo a Terenzio
Cremete  ha sentito quanto ha detto Menedemo, e per quanto ne sa lui, esclama tra se: “ut errat!” (844)
Quindi i due vecchi si parlano
Menedemo chiede a Cremte: “Serva, quod in te est, filium et me et familiam”, 845. Quindi gli dice che suo figlio vuole in moglie la figlia  ritrovata dall’amico poprio quel giorno.
Cremete però  ricorda a Menedemo che sta per cadere in una  truffa ordita per derubarlo.
Menedemo sa che Bacchide è amante di Clitifone, mentre Cremete sa che il progetto di matrimonio di Clinia con sua figlia è un inganno inventato per chiedere al padre i soldi che il giovane pseudosposo darà a Bacchide.
 
In questi imbrogli veri o inventati c’è molta stortura e non sono facili da seguire da parte di chi ha un modo di fare diretto.
Una gioco contorto di questo genere sta avvenendo nell’attuale game of chess , nel senso eliotiano,[1] del nuovo presidente della Repubblica.
Un’altra stortura della verità che invece è una cosa dritta:  fra i titoli del telegiornale delle 19 uno faceva: “il nemico è il riscaldamento globale”.
Da alcuni giorni i contagi non aumentano perché la luce del sole sta crescendo di molto e un poco anche il calore. E’ evidente che c’è un nesso tra il calo dei contagi, la diminuzione dei ricoverati in terapia intensiva, dei morti per covid,  e l’innalzarsi del sole nel cielo con l’intiepidirsi dell’aria. Lo vediamo per la terza volta in più di due anni. Ma i conformisti del luogo comune, in cattiva fede se sono degli opportunisti farabutti o in buona fede se cretini integrali, devono dire che il sole e il caldo sono nemici della vita. E’ una bestemmia tra le più turpi.
 
Menedemo crede subito a Cremete e sconsolato dice: id est profecto: id amicae dabitur”, è proprio così, lo darà all’amante. Cioè all’etera Bacchide, altro che la vergine Antifila!
E Cremete conferma: “Scilicet- daturum”, si capisce, glelo darà (856-857)  


Bologna 28 gennaio 2022 ore 20, 14
giovanni ghiselli

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Ora vado a correre per almeno 30 minuti
 


[1] Cfr. T. S. Eliot, The Waste Land, II A game of chess

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