Euclione ha sentito le parole di Megadoro e gli piacciono molto per via del risparmio dei padri.
“Nimis lepide fecit verba ad parsimoniam” 497
Megadoro va avanti con il suo monologo peraltro ascoltato dal futuro suocero Eiclione.
Megadoro dunque dice che nessuna moglie non dotata dal padre rinfaccerebbe al marito di avergli portato un patrimonio maggiore del suo né pretenderebbe purpuram atque aurum-ancillas, mulos, muliones, pedisequos,-salutigerulos pueros, vehĭcla quī vehar (500-502) porpora e oro, serve, muli, mulattieri, staffieri, valletti che portano i saluti, carrozze per andare a passeggio.
Euclione- sempre tra sé- approva di nuovo elogiando la conoscenza precisa dei mores, delle abitudini delle donne figlie di padri ricchi (503-504)
Si vede che già nel secondo secolo a. C. il lusso delle donne ricche era diffuso a Roma.
Sentiamo Ovidio per quanto riguarda la successiva età di Augusto.
Ovidio sconsiglia vesti troppo costose, specialmente purpuree (Ars III 169 sgg.): Quid de veste loquar? Nec nunc segmenta requiro/nec quae de Tyrio murice, lana, rubes./Cum tot prodierint pretio leviore colores,/ quis furor est census corpore ferre suos? " che devo dire della veste? Io non chiedo le frange d'oro, né te, lana, che rosseggi per la porpora di Tiro. Dal momento che sono venuti fuori tanti colori a prezzo più basso, che pazzia è portare sul corpo il proprio patrimonio?
Potremmo rispondere: l'esibizione che puzza di soldi è il furor tipico del liberto arricchito scandalosamente, come Trimalchione, il " signore tre volte potente" il quale viene descritto al suo ingresso nella sala del banchetto con indosso un pallio scarlatto e un fazzoletto orlato di rosso, da senatore, intorno al collo con frange pendenti da una parte e dall'altra.
" Habebat etiam in minimo digito sinistrae manus anulum grandem subauratum " (Satyricon , 32), inoltre portava al mignolo della mano sinistra un grosso anello indorato, da cavaliere; nell'ultima falange del dito seguente un altro anello tutto d'oro ma cosparso come da stelline di ferro "et ne has ostenderet tantum divitias, dextrum nudavit lacertum armilla aurea cultum et eboreo circulo lamina splendente conexo ", e per non mettere in mostra soltanto queste ricchezze, denudò il braccio destro ornato da un braccialetto d'oro e da un cerchio d'avorio intrecciato con una lamina brillante, "deinde pinna argentea dentes perfodit " (33), quindi si stuzzicò i denti con una stecca d'argento.
Megadoro procede elencando gli sprechi con un elenco che ptremmo intitolare: il consumismo antico.
Il catalogo è questo:
Si vedono più carrozze nei palazzi che carri nelle masserie – plus plaustrorum in aedibus –quam ruri 505-506
Questo è ancora una cosa ancora bellina rispetto a quando ti portano le fatture.
E’ pronto un esercito di creditori: il lavandaio (fullo), il ricamatore, l’orefice, quello del lino, i mercanti di frange, di tuniche, i tintori di rosso, di viola, del color cera, oppure i sarti di vestiti a maniche lunghe, o i profumieri; i rivenditori di biancheria, quelli che vendono le scarpe, i calzolai sedentari e quelli che vendono scarpette leggere, e pure i fabbricanti di sandali e i tintori nel color malva.
Chiedono denaro i lavandai, chiedono i rammendatori, poi ci sono i negozianti di reggiseni- strophiarii 516 -strophium è una fascia che regge il seno- quindi i fabbricanti di busti.
Quando pensi di averli oramai liquidati, se ne vanno, e altri trecento vengono a chiedere, dopo essere rimasti in agguato nell’atrio: tessitori, orlatori, fabbricanti di scrigni -arcularii (arcula)- . Te li portano, vengono pagati; ora pensi di averli proprio liquidati.
Quand’ecco che si fanno avanti i tintori in zafferano o qualche altro tormento petulante.
E’ un catalogo zeppo di nomi e di tipi quanto quello sciorinato da Leporello.
Accosto a questo catalogo di Metrodoro quanto scrive Lucrezio a proposito dello scialacquare dell’uomo innamorato per la donna insaziabilmente vanitosa"Labitur interea res et Babylonica fiunt/unguenta et pulchra in pedibus Sicyonia rident/scilicet et grandes viridi cum luce zmaragdi/ auro includuntur teriturque thalassina vestis/assidue et Veneris sudorem exercita potat " (De rerum natura, IV, vv. 1124-1128), si scialacqua nel frattempo la roba, e diventa profumi di Babilonia, e calzari belli di Sicione sorridono nei piedi e naturalmente grossi smeraldi con la luce verde sono incastonati nell'oro e si consuma la veste colore del mare continuamente, e tenuta in esercizio beve sudore di Venere.
cfr. anche Sofocle, Antigone 781. 782:" [Erw" ajnivkate mavcan,-, o}" ejn kthvmasi pivptei"", Eros invitto in battaglia, Eros che sulle ricchezze ti abbatti. E’ l’incipit del terzo stasimo.
Euclione non lo interrompe siccome vuole che Metrodoro non smetta di memorare mores mulierum (524) nominare una per una le abitudini costose dovute ai costumi delle donne.
Metrodoro conclude la sua arringa che sembra ricordare la legge suntuaria seguita alla sconfitta di Canne del 216.
La lex Oppia dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone: vietava alle donne di possedere più di una mezza oncia di oro, di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.
Nel 195 le donne scesero in piazza a manifestare per l'abrogazione della lex Oppia
Catone parlò da console pro lege quae abrogabatur (Tito Livio, 34, 1, 7) in favore della legge che si voleva abrogare e contro la liberà femminile da lui equiparata alla licenza.
La paura della donna suggerisce al Catone il vecchio alcune parole sulla necessaria sottomissione della femina al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti intemperante.
: “ Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam , si vere dicere volumus, desiderant " (XXXIV, 2, 11-14) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se vogliamo chiamarla con il giusto nome la licenza in tutti i campi.
Catone aggiunge che appena si comincerà a povare vergogna di ciò di cui non ci si deve vergognare, non ci si vergognerà di quanto invece è opportuno vergognarsi ( simul pudere quod non oportet coeperit, quod oportet non pudebit, 34, 4, 16)
In conclusione: “Ego nullo modo abrogandam legem Oppiam censeo (34, 5, 11)
Infine Megadoro ricorda che liquidati i conti con tutti i venditori di cianfrusaglie- ubi nugigerulis res soluta est omnibus- 525, arriva un miles e aes petit 526, un soldato che chiede del denaro.
Si trattava forse di un’imposta addossata ai cittadini facoltosi in favore dei soldati poveri. Ma non è certo perché non è attestata in altre fonti del tempo di Plauto.
Da malizioso quale sono, non escludo che questo aes militare fosse stato promesso al miles per i servizi resi alla sposa.
Comunque sia, il soldato non riceve denaro perché quando si va dall’argentarius, i conti sono in rosso a causa delle spese insostenibili che si associano alle ricche doti e così ci si trova in debito con il banchiere.
Dunque quae indotata est, ea in protestate est viri (534), mentre le spose “dotatae mactant et malo et damno viros” (535), le donne con dote colpiscono i mariti con misfatti e perdite.
C’è chi pensa che sia meglio sposare una ragazza povera per dominarla
Lo afferma Marziale (40 ca-104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit , Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3-4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.
Sentiamo una ripresa di questo topos fatta da Dostoevskij: “Ma non è forse vero che voi,” lo interruppe di nuovo Raskolnikov, con una voce tremante d’ira in cui si sentiva il gusto di offendere, “non è forse vero che alla vostra fidanzata…proprio nel momento in cui ricevevate il suo consenso…voi avete detto che più di tutto eravate lieto che fosse povera…perché è più vantaggioso togliere la moglie dalla miseria in cui vive, per poi poterla dominare…e poterle rinfacciare d’averla beneficata?”[1]. Raskolnikov sta parlando al pretendente della sorella, Lùzin.
Euclione si avvicina a Metrodoro che gli fa: “Quid agis, Euclio?” 536.
Così si chiude la quinta scena del terzo atto dell’Aulularia di Plauto
Bologna 26 gennaio 2022ore 17, 57
giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1205498
Oggi276
Ieri380
Questo mese9318
Il mese scorso8985
Nessun commento:
Posta un commento