mercoledì 26 gennaio 2022

Quintessenze dei tre autori di tragedia. Eschilo, Sofocle, Euripide

teatro di Epidauro
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Conferenza tenuta a Rovigo il 9 dicembre 2021

 
Prima parte
 
Che cosa è quintessenziale nella tragedia in generale, e in quelle di ciascun autore.
 
Tragedia in generale
 
L’essere umano come “inquietante” cfr. lo squillo iniziale del I Stasimo dell’Antigone di Sofocle: polla; ta; deinav, v. 332.
Cfr. Heidegger Introduzione alla Metafisica. Ne parleremo a lungo se ci fermeremo sull’Antigone.
Dell’uomo inquietante e inquieto, dell’uomo come problema abbiamo parlato la volta scorsa.
 
L’inquietante, perfino lo spaventoso può essere positivo, addirittura necessario.
Nel secondo stasimo (vv. 490 - 565) delle Eumenidi di Eschilo le fosche previsioni delle Erinni sostengono che il terrore delle pene, umane e divine, talora è salutare: "a volte il terrore (to; deinovn) è un buon ispettore anche delle anime e deve restarci a fare la guardia: giova giungere alla saggezza sotto l’angoscia "(vv. 517 - 519). E’ il tw'/ pavqei mavqo~ dell’Agamennone (v. 177) che ritorna in forma variata.
Poco dopo le Erinni aggiungono:" mht j a[narkton bivon - mhvte despotouvmenon - aijnevsh/" : panti; mesw/ to; kravto" qeo;" - w[pasen "(526 - 530), non lodare una vita di anarchia né una soggetta al dispotismo: in ogni caso il dio dà potenza al giusto mezzo.
Più avanti la stessa Atena consiglia ai cittadini, che hanno cura della città, di rispettare uno stato senza anarchia né dispotismo ("to; mhvt j a[narcon mhvte despotouvmenon", v. 696) e di non scacciare del tutto la paura dalla città: infatti quale mortale è giusto se non ha nessuna paura? ("kai; mh; to; deino;n pa'n povlew" balei'n - tiv" ga;r dedoikw;" mhde;n e[ndiko" brotw'n; " vv. 698 - 699).
Il metus hostilis
Bellum Iugurthinum[1] di Sallustio:" Nam ante Carthaginem deletam...metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea quae res secundae amant, lascivia atque superbia, incessere" (41), infatti prima della distruzione di Cartagine…il timore dei nemici conservava la cittadinanza nel buon governo. Ma quando quella paura tramontò dagli animi, naturalmente quei vizi che la prosperità ama, la dissolutezza e la superbia, si fecero avanti.
 
La paura è il presupposto di un ordinato vivere civile. Questa norma si trova anche nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio dove Machiavelli scrive:"Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione" (I, 11).
 
“La teoria di una funzione benefica del pericolo esterno (che riassumiamo in genere sotto la formula sallustiana del metus hostilis, il “timore del nemico”: Bellum Iugurthinum 41, 2) è già presente in nuce in Polibio, benché non pienamente sviluppata, né obiettivamente così urgente (nel terzo quarto del II secolo a. C.) come sarà in Posidonio e in Sallustio, nelle tempeste civili della Roma del I secolo. Ma quando, liberatisi dai pericoli esterni, i cittadini di uno stato a costituzione mista vivono nella prosperità, insorgono dall’interno motivi di deterioramento e disgregazione, che tuttavia la costituzione mista possiede in sé i meccanismi per frenare, riportando nell’ordine costituito l’elemento che tende a prevaricare”[2]. Polibio afferma che è difficile trovare un sistema politico migliore della costituzione mista dei Romani: “o{tan me;n ga;r ti~ e[xwqen koino;~ fovbo~ ejpista;~ ajnagkavsh/ sfa'~ sumfronei'n kai; sunergei'n ajllhvloi~, thvlikauvthn kai; toiauvthn sumbaivnei givnesqai th;n duvnamin tou' politeuvmato~ w{ste mhvte paraleivpesqai tw'n deovntwn mhdevn…”(6, 18, 2 - 3), quando infatti qualche paura comune incombente da fuori li costringe alla concordia e alla cooperazione, tanta e tale succede che diventi la potenza dello Stato che né viene tralasciata nessuna delle cose necessarie. Infatti, continua Polibio, tutti fanno a gara per trovare i mezzi utili a fronteggiare la situazione, né le decisioni falliscono l’occasione in quanto tutti contribuiscono ad attuarle.
Cfr. anche Creonte nell’Antigone di Sofocle: ajnarciva e peiqarciva.
Creonte identifica la salvezza con la disciplina:"swv/zei ta; polla; swvmaq j hJ peiqarciva". (676) e l’anarchia con la rovina.
 
 
Seconda parte
 
L’ u{bri~ come dismisura demenziale, peccato morale,
difetto mentale, e pure errore politico e militare.
Eschilo: nei Persiani (del 472) troviamo un anatema dell' u{bri" maledetta come la mala pianta che"quando fiorisce dà per frutto una spiga di acciecamento, donde si falcia una messe tutta di lacrime"(" u{bri" ga;r ejxanqou's j ejkavrpwse stavcun - - a[th", o{qen pagklauvton ejxama'/ qevro"", vv.821 - 822).
 
 Sofocle dà un'interpretazione del tutto politica dell' u{bri", quando nell'Edipo re (vv.873 - 879) scrive:"La prepotenza fa crescere il tiranno u{bri" futeuvei tuvrannon, la prepotenza/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono,/salita su fastigi altissimi,/precipita nella necessità scoscesa dove non si avvale di valido piede". Cfr la zoppia del tiranno (Edipo e Periandro di Corinto nipote di Labda)
 Il contrario della prepotenza è la Giustizia (divkh) e i suoi profeti sono, oltre Solone, Esiodo ed Eschilo.
 
Nesso pavqo~ - mavqo~ (cfr. Agamennone, 177 tw`/ pavqei mavqo~). Può esserci resipiscenza (Alcesti, 940 - a[rti manqavnw di Admeto e anche il Duskolo~ Cnemone di Menandro che prosegue sulla linea euripidea, e così pure gli jEpitrevponte~ dove Carisio dice: “ ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn"(v. 588)
Dove non c’è ravvedimento, o il ravvedimento è tardivo, c’è la catastrofe cfr la conclusione dell’Antigone e vedi quella delle le Baccanti dove un Dioniso spietato dice: “ troppo tardi ojyev ci avete riconosciuti, e quando era necessario non volevate saperne. (v. 1345)
 
Codice quadripartito: venerare gli dèi, onorare i genitori accogliere gli ospiti (Supplici, Eumenidi di Eschilo), poi seppellire i morti (Antigone, Aiace).
Cfr. l’aggiunta oscena di Aristofane nelle Rane e anche quelle di Virgilio che nel VI canto dell’Eneide menziona il peculiare vitium dell’italica gente, il clientelismo, e, tanto per non cambiare, asseconda la volontà di Augusto che lo proteggeva,
 
La democrazia come bene e il tiranno come figura negativa ( Serse nei Persiani di Eschilo; Edipo re e Antigone di Sofocle; Creonte di Tebe nelle Supplici di Euripide. Tebe come anticittà).
 “Nel secondo stasimo dell’ Edipo re di Sofocle, il Coro prega gli dèi di conservare “la nobile gara benefica per la città” (to; kalw`~ d j e[con - povlei pavlaisma, 866 - 867). Si può pensare che alluda alla competizione politica.
  
Il mito di Atene. Il poeta scrive per il popolo che per tutto il tempo dei tre autori vive in un regime democratico caratterizzato dalla libertà, a partire dalla irrinunciabile parrhsiva.
La tragedia greca del V secolo è arte per il popolo.
Atene è celebrata da tutti e tre i tragediografi come la polis che accoglie i supplici, la città della paideia, dell’arte, sede di armonia, delle Grazie, delle Muse, del cielo e dell’aria luminosa.
Cfr Cicerone: “omnium doctrinarum inventrices Athenas” (Orator, I, 4).
Se ne ricorda Dante che nel Purgatorio XV, 97 - 105, presenta un esempio di mansuetudine facendo dire alla moglie di Pisistrato:"Se tu se' sire della villa,/del cui nome ne' dei fu tanta lite,/e onde ogni scienza disfavilla,/vendica te di quelle braccia ardite/ch'abbracciar nostra figlia, o Pisistrato"./E 'l segnor mi parea, benigno e mite,/risponder lei con viso temperato:/"che farem noi a chi mal ne disira,/se quei che ci ama è per noi condannato?".
 
Condanna della stupidità che coincide con l’empietà
Nell'Agamennone[3] di Eschilo il protagonista quando esita a calpestare il tappeto di porpora dice:" to; mh; kakw'" fronei'n - qeou' mevgiston dw'ron[4]" (vv. 927 - 928);
Le parole conclusive dell’Antigone contengono la morale del dramma e presentano una quintessenza presente in tutti e tre gli autori : "il comprendere (to; fronei'n[5]) è di gran lunga il primo requisito/della felicità; è necessario poi non essere empio/ in nessun modo negli atti che riguardano gli dèi (crh; de; tav g j ej" qeou;" mhde;n ajseptei'n)" [6].
Lo stesso Creonte alla fine lo capisce:"mh; fronei'n pleivsth blavbh" (v. 1051), non comprendere è il danno massimo. Ma è tardi (ojyev, 1270).
Luogo simile nelle Baccanti[7]
"Essere equilibrati e venerare gli dèi /è la cosa più bella (To; swfronei'n de; kai; sevbein ta; tw'n qew'n - kavlliston"), e credo che questo sia anche il bene/più saggio per chi sa farne uso (vv.1150 - 1151).
 
Condanne della guerra
Nel primo Stasimo dell’Agamennone (del 458) Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d' j [Arh" swmavtwn"(v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori.
Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459 - 454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[8].
"invece di uomini
urne e cenere giungono
alla casa di ciascuno"(Agamennone, 434 - 436).
Euripide nell’Elena, e nell’Elettra sostiene che la guerra di Troia è stata fatta per un fantasma.
Nelle Troiane fa dire al dio Poseidone:
E’ stolto tra i mortali chi devasta le città mw'ro" de; qnhtw'n oJvsti" ejkporqei' povlei""
consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri
dei morti: egli stesso dopo è già morto (94 - 96)
 
 
Terza parte
 
Quintessenze di Eschilo
 
Lotta tra i sessi (le Supplici).
 
Attualizzazione e utilizzazione del mito. Dalla preistoria alla storia.
 Dal mu'qo" al lovgo".
 
(Pelasgo nelle Supplici; Oreste, argivo nell’Orestea).
Nelle Supplici di Eschilo il mito delle Danaidi è attualizzato: ad Argo c’è una “monarchia democratica”: il re Pelasgo fa dipendere da un voto popolare la decisione di aiutare le 50 figlie di Danao inseguite dai 50 cugini i figli di Egitto che vogliono sposarle.
Le Danaidi quindi raccontano in breve la loro storia e chiedono al sovrano protezione dai tracotanti cugini che vorrebbero ghermirle. A questo punto Eschilo adatta il mito alla Costituzione ateniese, pur se il dramma è ambientato ad Argo dove Pelasgo, sebbene re, rende omaggio alla democrazia affermando solennemente:"io non posso fare promesse prima - di avere reso questo problema comune (koinwvsa") a tutti i cittadini"(vv. 368 - 369).
 E quando le Danaidi ribattono:"tu sei la città, tu incarni il potere del popolo, - signore che non subisce giudizi (a[krito", vv. 370 - 371), il monarca ribadisce:"te l'ho detto anche prima: senza il popolo (a[neu dhvmou) non posso agire neppure con il potere che ho"(vv. 398 - 399).
Il mito dunque viene attualizzato, come avverrà anche nelle successive Eumenidi (del 458)
Poi Pelasgo aggiunge che occorre un pensiero profondo, in grado di dare salvezza[9] (dei' toi baqeiva" frontivdo" swthrivou), e capace di scendere nell’abisso, simile a un tuffatore (divkhn kolumbhth'ro"), con occhio vigile e non ebbro (vv. 407 - 409).
Del resto anche la democrazia vigente ad Atene era un regime popolare retto da uno stratego, Pericle, che di fatto era un re: “a parole si trattava dunque di una democrazia, ma in realtà del governo del primo cittadino” (ejgivgneto te lovgw/ me;n dhmokrativa, e[rgw/ de; ujpo; tou' prwvtou ajndro;" ajrchv, Tucidide II, 65, 9).
 
Oreste nelle Eumenidi (del 458) è un personaggio positivo siccome è di Argo che dopo l’ostracismo di Cimone (461) e la rottura di Atene con Sparta, aveva stretto alleanza con Atene e aveva trasformato il suo regime in democratico come si vede nelle Supplici.
Invece nell’Andromaca di Euripide databile nei primi anni della guerra del Peloponneso (431 - 404) Oreste è un personaggio negativo in quanto recuperato dagli Spartani come figlio di Clitennestra e nipote di Elena.
 
Scontri tra civiltà: mitiche tra dei olimpici e Titani (Prometeo incatenato), preistoriche (matriarcato - patriarcato nell’Orestea) e storiche ( Persiani).
Eterno conflitto tra caos e cosmo, tra dispotismo e libertà, tra u{bri~ e swfrosuvnh. Cfr. Il maestro di Olimpia, il Partenone, l’Altare di Pergamo.
 
Titanomachia e Gigantomachia. Nella scultura e nella filosofia.
La lotta dell’ordine contro il caos è il tema di tutta la cultura greca arcaica e classica: non solo di quella letteraria, ma pure dell'arte figurativa: le sculture del maestro di Olimpia con la lotta tra Centauri e Lapiti del frontone occidentale del tempio di Zeus; le metope del Partenone con centauromachia, amazzonomachia, gigantomachia, ora in gran parte nel British Museum di Londra; la Gigantomachia, fregio dell'altare di Pergamo[10] che ora si trova a Berlino, esprimono la stessa idea .
"Non esiste…una vita nobile ed elevata senza la conoscenza dei diavoli e dei demoni e senza la continua battaglia contro di essi"[11], contro "giganti e titani, miticamente, gli eterni nemici della cultura"[12].
E Prometeo, se da un lato è inventore di una tecnologia del resto falsamente benefica, dall'altra fa parte di quelle creature caotiche le quali formavano il corteggio della Magna Mater mediterranea, che infatti viene invocata spesso nella tragedia di Eschilo dal titano sofferente: "Qevmi" - kai; Gai'a, pollw'n ojnomavtwn morfh; miva"( Prometeo incatenato, vv. 209 - 210), Temide e Terra, una sola forma di molti nomi, che la madre gli aveva predetto il futuro: il potere sarebbe stato conquistato con l'inganno . Prometeo è una creatura della Magna mater,
Il fregio maggiore dell'altare di Pergamo (fatto costruire da Eumene II tra il 181 e il 160) riprende il tema dello scontro caos - cosmo con la gigantomachia che simboleggia la sconfitta dei Galati
 
Nel dialogo Sofista di Platone lo straniero di Elea segnala una gigantomaciva...peri; th'" oujsiva" (246a), una battaglia di giganti sull'essere. I due eserciti sono schierati così:"OiJ me;n eij" gh'n ejx oujranou' kai; tou' ajoravtou pavnta e{lkousi tai'" cersi;n ajtecnw'" pevtra" kai; dru'" perilambavnonte". Tw'n ga;r toiouvtwn ejfaptovmenoi pavntwn diiscurivzontai tou'to ei\nai movnon o} parevcei prosbolh;n kai; ejpafh;n tina, taujto;n sw'ma kai; oujsivan oJrizovmenoi, tw'n de; a[llwn ei[ tiv" ti fhvsei mh; sw'ma e[con ei\nai, katafronou'nte" to; paravpan kai; oujde;n ejqevlonte" a[llo ajkouvein"(Sofista, 246a - b), gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano a terra tutto, acchiappandolo con le mani proprio come se si trattasse di rocce o di querce. E infatti attaccandosi a tutte le cose siffatte affermano che soltanto è, ciò che offre un contatto e una presa manuale, e stabiliscono che l'essere e il corpo sono la stessa cosa, e se qualcuno degli altri dirà che c'è qualche cosa senza corpo, lo disprezzano completamente e non vogliono ascoltare nient'altro.
 Chi sono questi non miti giganti del materialismo? Secondo A. E. Taylor Platone non allude agli atomisti ma al "crasso, ottuso materialismo dell'uomo medio"[13].
Il Giasone della Medea di Euripide, l'uomo che cerca l'utile, può entrare bene in questa categoria.
Altrettanto Labano, zio di Giuseppe e padre di Rachele nel grande romanzo biblico di T. Mann: “le mani erano larghe, calde, ugualmente pelose, mani da proprietario, di uomo tutto chiuso e limitato nei suoi pensieri cupamente terrestri: un vero grumo di terra, come pensò Giacobbe”[14]. Sono tali fin da bambini.
 
E gli avversari dell’altra razza, chi sono? "oiJ pro;" aujtou;" ajmfisbhtou'nte" mavla eujlabw'" a[nwqen ejx ajoravtou poqe;n ajmuvnontai, nohta; a[tta kai; ajswvmata ei[dh biazovmenoi th;n ajlhqinh;n oujsivan ei\nai " (246b), quelli che nel dibattito si oppongono loro, molto cautamente si difendono, appoggiandosi a regioni superiori e all'invisibile e sostenendo con forza che il vero essere consiste in alcune forme pensabili e immagini incorporee. I secondi sono più miti ("hJmerwvteroi" 246c). I primi furono seminati nella terra e dalla terra sono sorti ("spartoiv te kai; aujtocqovne"", 247c), gli altri sono amici delle forme"tou;" tw'n eijdw'n fivlou"", 248a).
 
Conciliazione finale delle collisioni (Eumenidi). Alla fine dell’Orestea le Erinni ricevono da Atena il contentino dovuto a divinità minori e inferiori, dei meteci.
La trilogia si conclude con le terribili Erinni che diventano Eumenidi, un poco alla volta sempre più benevole appunto, e lanciano benedizioni:"salve, siate felici nel fortunato possesso della ricchezza, siate felici cittadini di Atene, che state vicino a Zeus, cari alla vergine cara, rimanendo saggi nel tempo: il padre ha sacro rispetto per chi sta sotto le ali di Pallade (vv. 996 - 1002).
Eschilo


Atena contraccambia l'augurio mentre si forma una processione che deve accompagnare le dèe venerande alla loro dimora sotterranea dove saranno ospiti; la parola greca è mevtoikoi (v.1011), meteci, che indica una condizione la quale non gode della piena cittadinanza e dell' optimum ius; questi infatti erano stranieri che, pur coabitanti, non godevano dei diritti politici e subivano restrizioni anche nel campo dei diritti civili.
Nel compromesso tra le due religioni dunque, quella olimpica prevale.
Alla fine dell’Orestea di Eschilo le Erinni sopravvivono come Eumenidi: “Dopo l’intervento razionale di Atena, le Erinni - forze scatenate, arcaiche, istintive, della natura - sopravvivono: e sono dee, sono immortali. Non si possono eliminare, non si possono uccidere. Si devono trasformare, lasciando intatta la loro sostanziale irrazionalità: mutarle cioè da “Maledizioni” in “Benedizioni”. I marxisti italiani non si sono posti, ripeto, questo problema”[15].
L’irrazionale non va eliminato no, bensì controllato .
Sentiamo Freud: “Tiriamo quindi le conclusioni: l’intenzione degli sforzi terapeutici è quella in definitiva di rafforzare l’Io, di renderlo più indipendente dal Super - io, di ampliare il suo campo percettivo e perfezionare la sua organizzazione, così che possa annettersi nuove zone dell’Es. Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. E’ un’opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuiderzee”[16].
 
Il segno sinistramente ominoso del tappeto rosso e il nomen omen di Elena (Agamennone)
 
 
Quarta parte
 
Quintessenze di Sofocle
Devozione nei confronti degli oracoli, in particolare quello delfico, l’ombelico del mondo (Edipo re, 480) da dove emanano i vaticini (mantei`a, Edipo re, 481).
I mortali non possono sfuggire al responso degli oracoli.
Sentiamo la prima strofe e la prima antistrofe del primo stasimo dell’ Edipo re di Sofocle.
 
Il coro si domanda chi sia l'assassino incestuoso che ha sporcato le sue mani di sangue e ha contaminato tutta la terra. Deve correre via, più vigorosamente di cavalli veloci come le tempeste, poiché Apollo olimpio, armato di fulmini, e le Chere ctonie che non sbagliano un colpo si avventano contro di lui.

Il Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico del mondo ma questi lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.
 
"Chi è quello di cui la profetica/rupe di Delfi disse/ :"ha compiuto infamie su infamie/con mani sporche di strage?/"E' tempo che costui più vigorosamente/ di tempestosi cavalli/ muova il piede in fuga./ Armato infatti di fuoco e di fulmini/contro di lui si avventa il figlio di Zeus/e terribili lo accompagnano/ le Chere che non sbagliano un colpo/"Ha brillato infatti apparsa or/ora dal nevoso/Parnaso, la parola di/rintracciare dappertutto l'uomo oscuro/ "Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi/inutile con inutile piede bandito in solitudine/cercando di allontanare i vaticini/dell'ombelico della terra; ma questi sempre/vivi gli volano addosso (Sofocle, Edipo re, vv. 463 - 482).
Con inutile piede (melevw/ podi); allude al piede gonfio di Edipo identificato con la vittima espiatoria(cfr. i versi 877 - 879: "precipita nella necessità scoscesa dove non si avvale di valido piede, e[nq j ouj podi; crhsivmw/ crh'tai", riferito al tiranno). -
Pio è chi capisce i responsi oracolari che vengono dagli dèi.
Chi non è empio rispetta il vate Tiresia che è profeta di Apollo il quale è a sua volta profeta di Zeus[17]. Tiresia come figura positiva (Antigone, Edipo re).
 
Polemica di Sofocle con la sofistica, l’illuminismo dell’epoca.
Non l’uomo, come affermava il sofista Protagora[18], ma Dio è misura di tutte le cose.
Tale idea del resto si può trovare in autori religiosi di altri tempi e di altri luoghi. Tolstoj, in Guerra e pace scrive:" Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene, verità"[19].
 
L’uomo che presume troppo di sé, o per la sua forza (Aiace, vv. 768 - 769 ejgw; de; - divca keivnwn[20]) o per la sua intelligenza (Edipo re, v. 398 gnwvmh/ kurhvsa~), va in rovina.
 
 
Quinta parte
 
Quintessenze di Sofocle
 
Tema della sepoltura (Aiace, Antigone, Edipo a Colono).
Il despota è figlio dell’ u{bri" e non rispetta nemmeno i morti.
Un tiranno non può essere pio. Lo dice chiaramente, nell'Aiace , Agamennone a Odisseo che lo esorta a non calpestare il suicida:" "to; toi tuvrannon eujsebei'n ouj raJ/dion"
(v. 1350), non è facile che sia pio chi detiene il potere assoluto.
 
Creonte minaccia i servi: “Se l'autore manuale di questa sepoltura,/ non lo farete vedere ai miei occhi dopo averlo trovato,/non vi basterà un solo Ade, prima che/vivi e penzolanti abbiate rivelato questo misfatto " ( Antigone, vv. 306 - 309.).
 
Edipo muore a Colono dove Teseo lo ha accolto e dalla sua sepoltura deriveranno benefìci per gli Ateniesi e malefìci per i Tebani
L'ira di Edipo continuerà a colpire i nemici anche dopo la morte: nell' Edipo a Colono Ismene dice al padre che un giorno il suo cadavere sarà un grave peso (bavro" , v. 409) per i Cadmei, quindi la ragazza precisa: "th'" sh'" uJp ' ojrgh'", soi'" o{tan stw'sin tavfoi" " (v. 411), a causa della tua ira, quando staranno presso la tua tomba. Lo ha fatto sapere Apollo delfico (v. 413).
 
Limitatezza della mente umana (gnwvmh nell’Edipo re) e ambiguità del lovgo~ come parola. Il novmo~ di Creonte e quello di Antigone.
 
Edipo si vanta di averci azzeccato con l’intelligenza senza avere imparato nulla dagli uccelli(Edipo re, v.398).
“arrivato io/, Edipo che non sapevo nulla, la feci cessare - e[pausav nin (la Sfinge) azzeccandoci con l'intelligenza - gnwvmh/ kurhvsa" - e senza avere imparato nulla dagli uccelli" - oujd j ajp j oijwnw'n maqwvn - (Edipo re, vv. 395 - 398) – Edipo si vanta del suo effimero trionfo sulla Sfinge. Ma questo mostro ibrido nato da un incesto –sua madre la vipera Echidna l’ha generata dopo essersi accoppiata con il proprio figliolo, il cane Orto - è una specie di alter ego di Edipo stesso.
P. P. Pasolini nel suo film Edipo re fa gridare alla Sfinge che cade nel burrone:"L'abisso in cui mi spingi è dentro di te".
Ehremberg ( Sofocle e Pericle , pag. 107) sostiene che il re di Tebe "precipita rovinosamente poiché... tenta di vivere in base al criterio secondo cui l'uomo sarebbe la misura di tutte le cose".
 
I segni dati dagli uccelli significano
Edipo non ha capito quanto Giuliano Augusto e Amleto comprenderanno
Cfr. Ammiano Marcellino XXI, 1, 7: “volatus avium dirigit deus”. Per questo gli auspici si ricavano dal volo degli uccelli.
 There is special Providence in the fall of a sparrow (Amleto, V, 2)
Ora o dopo, tuttavia la morte verrà. Dunque we defy augury, sfidiamo i presagi.
 
Una delle caratteristiche dell'affabulazione sofoclea è quella dell'ambiguità: la stessa parola ha significati diversi nell'intenzione di chi la pronuncia e nell'intendimento di chi l'ascolta: "In bocca ai diversi personaggi, le stesse parole acquistano significati differenti od opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, comune. Così , per Antigone, novmo" designa il contrario di ciò che Creonte, nelle circostanze in cui è posto, chiama anche lui novmo". Per la fanciulla il termine significa "norma religiosa"; per Creonte, "editto promulgato dal capo dello Stato. E in realtà il campo semantico di novmo" è sufficientemente esteso per comprendere, con altri, ambedue i sensi...Le parole scambiate sullo spazio scenico, anziché stabilire la comunicazione e l'accordo fra i personaggi, sottolineano viceversa l'impermeabilità degli spiriti, il blocco dei caratteri; segnano le barriere che separano i protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali"[21].
Altrettanta ambiguità e impossibilità di intendersi viene teorizzata da Pirandello nei Sei personaggi in cerca d'autore quando il padre dice:"Ma se è tutto qui il male! Nelle parole! Abbiamo tutti un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono andate dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro! Crediamo d'intenderci; non ci intendiamo mai!".
Pensate ai significati contrastanti in Terenzio Mariani e in Leopardi dell’espressione “Le magnifiche sorti e progressive”
In questi giorni i quotidiani, quasi tutti, celebrano lo sviluppo dell’economia. Ma è lo stesso sviluppo senza progresso denunciato da Pasolini: tutti i giorni muoiono degli operai sul lavoro: " E' in corso nel nostro paese…una sostituzione di valori e di modelli, sulla quale hanno avuto grande peso i mezzi di comunicazione di massa e in primo luogo la televisione. Con questo non sostengo affatto che tali mezzi siano in sé negativi: sono anzi d'accordo che potrebbero costituire un grande strumento di progresso culturale; ma finora sono stati, così come li hanno usati, un mezzo di spaventoso regresso, di sviluppo appunto senza progresso, di genocidio culturale per due terzi almeno degli italiani"[22].
 
 
Sesta parte
 
Quintessenze di Sofocle
 
Forza dei legami di sangue
 
Antigone entra in scena all’inizio del dramma di cui è eponima e si rivolge alla sorella Ismene dicendole
v. 1: "O capo davvero fraterno di Ismene, sangue mio" (Sofocle, Antigone, 1) .
 - koinovn: "è termine ricchissimo nella storia della lingua, del pensiero e delle istituzioni religiose, dell'antropologia. Una fertile duplicità impregna la parola che significa "comune" nel senso di "solito", "generale", "largamente diffuso" (come in koinhv, cioè "lingua comune" o "vulgata"). Significa anche "imparentato per sangue", "genericamente legato"[23]. -
 aujtavdelfon: "del fratello proprio", cioé della sorella mia, del mio sangue. "Sorella della sorellanza" potrebbe corrispondere, come sentiva Goethe, ad aujtavdelfon...Una volta di più, la "provocazione" di Antigone, poiché ogni sillaba di questo discorso iniziale è insieme un appello e una sfida, mira allo scandalo irripetibile e alla santificazione della parentela nella stirpe di Edipo. Antigone e Ismene sono figlie di Edipo e di Giocasta. Sono, allo stesso tempo, nipoti di Giocasta. Ugualmente sono sorelle del figlio di Laio. Il triplice legame rende impareggiabile la forza di essere sorelle.
"La più sororale delle anime", parafrasava Goethe. Collegato a koinovn, aujtavdelfon rende il legame di sangue tra Antigone e Ismene concretamente iperbolico"[24].
I legami di sangue vengono moltiplicati dall’incesto.
“La sorella per antonomasia, la sorella “assoluta”, “autadelfa”, come dice il testo di Sofocle”[25].
Quando Creonte le domanda: "E tu non ti vergogni se la pensi in maniera diversa da questi?" (Antigone, 510) La propaganda di ogni tirannide tende a inculcare la necessità del conformismo. Creonte sa che i più sono capaci soltanto di un'identità gregaria basata su un sentimento di appartenenza alla massa. Ma Antigone è di altra stoffa, e, ben lontana dal vergognarsi, è fiera della sua diversità. Per lei anzi è inconcepibile che ci sia gente pronta "a rinunciare alla libertà, a far sacrificio del proprio pensiero, per essere uno del gregge, per conformarsi e ottenere così un sentimento di identità, benché illusorio"
Sofocle
[26]. -
Ebbene, Antigone risponde: "No perché non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere" (511) oJmosplavgcou": formato da oJmov", "uguale" e splavgcnon, generalmente usato al plurale, come l'italiano "viscere". L'aggettivo, di un crudo realismo, rende l'idea della forza con cui Antigone sente il legame di sangue. Del resto "il realismo, in arte, è greco, l'allegorismo è ebraico"[27].
Questo termine si trova già nei Sette a Tebe di Eschilo (v. 890). I due fratelli, Eteocle e Polinice, si ammazzano a vicenda colpiti nelle viscere uguali, della medesima origine.
 
Superiorità delle leggi non scritte, divine, rispetto ai codici umani
Creonte domanda alla nipote: :"E allora osavi trasgredire queste leggi? - ejtovlma" tousd j uJperbaivnein novmou" ; " (Antigone, vv.449) . -
Antigone risponde: "Sì, infatti secondo me non è stato per niente Zeus il banditore di questo editto oj khruvxa" tavde - /né Giustizia che convive con gli dei di sotterra/determinò tali leggi tra gli uomini,/né pensavo che i tuoi bandi - khruvgmaq j avessero tanta/forza che tu, essendo mortale, potessi oltrepassare/i diritti degli dei, non scritti e non vacillanti a[grapta kajsfalh' qew'n novmima," (450 - 455) .
 
Leggiamo la prima strofe del secondo stasimo dell’ Edipo re: "Oh, mi accompagni sempre la sorte di portare/ la sacra purezza delle parole/e delle opere tutte, davanti alle quali sono stabilite leggi/sublimi - novmoi uJyivpode" - procreate/attraverso l'etere celeste di cui Olimpo è padre da solo né le/generava natura mortale di uomini/né mai dimenticanza/potrà addormentarle:/grande c'è un dio in loro e non invecchia" (vv. 863 - 872)
Le leggi divine sono uJyivpode" - hanno piedi che procedono verso l’alto mentre, il tiranno prima poi cade in basso nell’abisso della necessità dove non si avvale di valido piede.
e[nq j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai" 878 - 879. l’abbiamo già detto.
 
 
Settima parte
 
Quintessenze di Sofocle
 
Mito di stato (Edipo a Colono)
Tutti e tre i tragediografi celebrano i pregi di Atene: la cultura, la democrazia pure in pericolo, l’arte, il clima. Quasi tutte le tragedie siccome piene di orrori sono ambientate nelle località nemiche: le sedi peloponnesiache dei Pelopidi e Tebe , ricordata anche da Dante che la associa a Pisa nell’invettiva contro la città Toscana: “Ahi Pisa, vituperio delle genti/del bel paese dove ‘l sì sona (…) novella Tebe (Inferno, XXXIII, 79 - 80 e 89)
Ebbene nell’Edipo a Colono il figlio di Laio che discende da Cadmo il fenicio fondatore di Tebe maledice questa città che l’ha cacciato e benedice Atene che lo ha accolto e gli ha offerto il luogo della sepoltura.
“Atene e Tebe, con i loro rispettivi ordinamenti, si configurano come due universi politici contrapposti, in cui la convivenza sociale è in un caso giusta e civile, nell’altro oppressiva e illegittima. Questo tema costituisce un motivo forte del dramma, che si sviluppa con coerenza lungo tutta la trama ed è del resto un elemento strutturale dell’ideologia politica simboleggiata nel dramma attico, dove Tebe costituisce per eccellenza l’anti - città, dove la vita civile assume aspetti patologici rispetto a quella di Atene”[28].
 
“Omericità” e arcaismo di Sofocle[29]

Bernard Knox (L'eroe sofocleo in La tragedia greca, guida storica e critica, a cura di C. R. Beye, pag.85) afferma che il poeta di Colono "dimentica l'adattamento eschileo dello spirito eroico alle condizioni della polis, e fa ritorno ad Achille che, irriconciliabile, siede corrucciato nella sua tenda. Nei suoi eroi che affermano la forza della loro natura individuale contro i loro simili, la loro polis, e perfino i loro dei, egli ricrea (...) la solitudine, il terrore e la bellezza del mondo arcaico".
 
“Suo padre spirituale è Omero; ed egli potè essere chiamato “l’Omero tragico” (Diog. Laert. IV, 20).[30]
Una Vita anonima conservata da alcuni manoscritti[31] e risalente al tardo ellenismo, ci dà altre notizie interessanti sul poeta :"Gevgone de; kai; qeofilh;" oJ Sofoklh'" wJ" oujk a[llo" (12), Sofocle fu in rapporti amichevoli con gli dei quant'altri mai, il che corrisponde alla nostra interpretazione di poeta religioso, come del resto a quella di autore arcaicizzante un'altra notizia secondo la quale:"To; pa'n me;n ou\n oJmhrikw'" wjnovmaze (20), chiamava ogni cosa alla maniera omerica. Infatti, continua la Vita , Sofocle riferisce i miti sulle orme del poeta e in molti drammi cita l'Odissea.
L'autore anonimo aggiunge che uno scrittore ionico (non meglio identificato né identificabile) disse che il poeta era JOmhvrou maqhthvn, allievo di Omero. Tale maestro del resto è stato attribuito a non pochi altri autori[32] o da loro stessi vantato[33].
 
Sua densità (Sofocle e Shakespeare secondo Nietzsche)
Shakespeare paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo"[34].
I versi di Sofocle si distinguono per la loro densità: ognuno di essi potrebbe essere commentato con un libro.
“La poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le cose dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”[35].
 
L’ironia sofoclea (Edipo re, 264 - 265: “wJsperei; toujmou` patrov~, - uJpermacou`mai”, combatterò per lui come se fosse mio padre.
 Il pubblico sa che Laio era il padre di Edipo ma lui ancora non lo sa.
L’ironia tragica è un’altra caratteristica sofoclea: chi pronuncia le parole intende dare loro un significato che arriva capovolto alle orecchie dello spettatore, come attraverso un'eco rovesciata
 
L’umanesimo sofocleo (Antigone ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun", (v. 523), non sono nata per condividere l’odio ma l’amore dice la protagonista eponima del dramma; nell’ Edipo a Colono il vecchio esule cieco e malfamato domanda a Teseo per quale ragione lui re di Atene aiuti un uomo disprezzato e maltrattato da tutti, tranne le due amorevoli figliole Antigone e Ismene. Ebbene, Teseo risponde: e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere uomo.
 E' la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.
Il sapere di essere uomo che cosa comporta? Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande e invitandola a fare richieste:"kaiv s joijktivsa" - qevlw jperevsqai[36], duvsmor j Oijdivpou, tivna - povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556 - 558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui.
Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io - dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato fuggiasco come te"(vv.562 - 563)."Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567 - 568). E’, di nuovo, il tw`/ pavqei mavqo~.
 
 
Ottava parte
 
Quintessenze di Euripide
 
Cronologia dei drammi
Le tragedie sono: l'Alcesti , la più antica, del 438, la Medea del 431, gli Eraclidi del 430 circa, l'Andromaca di poco posteriore, l'Ippolito del 428, l'Ecuba del 424, le Supplici del 422, l'Eracle del 416 circa, le Troiane del 415, l'Ifigenia fra i Tauri tra il 414 e il 413, l'Elettra del 413, l'Elena del 412, lo Ione intorno al 41l, le Fenicie tra il 410 e il 408 , l'Oreste del 408. L'Ifigenia in Aulide e le Baccanti furono rappresentate postume in Atene da Euripide il Giovane insieme all’Alcmeone a Corinto, dopo il 406 (405 o 403). Il Reso, che narra l'episodio dell'assedio di Troia raccontato anche dal X canto dell'Iliade , è quasi certamente spurio.
E’ invece autentico il dramma satiresco Ciclope che ci è arrivato intero
 
Critica della tradizione
Polemica con Sofocle. Blasfemia nei confronti degli oracoli[37], della pretaglia delfica (Andromaca), degli dèi tradizionali (Eracle).
Invano Neottolemo "il ragazzo di Achille"(Andromaca, v.1119) domanda:
"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà? per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini, mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani"(vv. 1125 - 1128).
Il clero delfico non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante che aizzò quel manipolo e lo spinse a combattere (vv. 1146 - 1148). Il messo alla fine della rJh'si" accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov" (v.1164), come un uomo malvagio, e domanda:"pw'" a]n ou\n ei[h sofov";" (v. 1165), come potrebbe essere saggio?
A questo proposito G. De Sanctis scrive:"Ora può darsi che Euripide osasse porre in così cattiva luce Apollo profittando del mal animo degli Ateniesi verso il dio che spartaneggiava in quegli anni come poi filippizzò"[38].
 
Ma il giudizio più aspro lo troviamo nell'Eracle, quando Anfitrione rimprovera Zeus ed afferma la propria superiorità morale sullo stesso padre degli dèi:"Zeus, invano davvero io ti ebbi come compagno di talamo, e invano ti chiamavamo comune genitore di mio figlio: tu infatti ci eri meno amico di quello che sembravi essere.
In virtù io, sebbene mortale, supero te, dio grande: infatti i figli di Eracle io non li ho traditi.Tu sapevi entrare di nascosto nei letti - suv d j ej" me;n eujna;" kruvfio" hjpivsto molei'n, prendendoti i talami altrui mentre nessuno te li dava,ma non sai salvare i tuoi cari. Sei un dio stupido, oppure per natura non sei giusto"(Eracle, vv. 339 - 347).
 
 “Sofocle misura la morale con la religione[39], Euripide invece la religione con la morale. C’è qui senza dubbio un elemento razionale, ma non è né preminente né decisivo, è invece il sentimento morale - aijdwv~ lo chiama il greco - che si rifiuta di attribuire agli dèi quelle azioni “che sono ignominiose per gli uomini”[40]…La convinzione che “ci sia qualcosa di corrotto” ( nosei`) nel modo in cui gli dèi governano il mondo[41] è espressa da Euripide in tanti passi…”[42].
 
Eroi straccioni piagnucolosi, (Menelao nell’Elena), irrisoluti (Agamennone nell’Ifigenia in Aulide).
Nel Telefo del 439, non pervenuto, in cui il re di Misia indossava le vesti di un pitocco, suscitò vibrato imbarazzo e scalpore. Nietzsche: lo spettatore sulla scena
Cfr. Acarnesi di Aristofane, dove Diceopoli si reca da Euripide per farsi prestare gli stracci dov~ moi rJavkiovn ti”, dammi uno straccio!" lo prega (v. 415) con i quali copriva i suoi personaggi "cwlouv~” (v.411), zoppi, e “ptwcouv~ ” (v.413), pitocchi.
Nell'Elena, Menelao afferma:"le lacrime sono la mia gioia: hanno più dolcezza che dolore[43] "(654 - 655).
Nell' Ifigenia in Aulide Agamennone, richiesto di sacrificare la vita della primogenita , dice a un vecchio servo:" ti invidio, vecchio,/invidio tra gli uomini quello che passa una vita/senza pericoli, ignorato, oscuro (ajgnw;" ajklehv" );/ quelli che stanno tra gli onori li invidio di meno"(17 - 20).
 
Si apre la strada all’Ellenismo: nel mito[44] di Er della Repubblica di Platone, l'anima di Odisseo, dovendo scegliersi un'altra vita "guarita da ogni ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò in giro a lungo cercando la vita di un uomo privato e disimpegnato"(62Oc)
 
 
Nona parte
 
Quintessenze di Euripide
 
Pochi punti fermi
Il mito di Stato. Atene è la città della cultura, dell’arte (Medea), la città che dà asilo ai supplici (Medea) e li aiuta (Supplici, Eraclidi ), la città della democrazia. Teseo quale paradigma mitico di Pericle (Supplici): il primo cittadino che di fatto comanda con il consenso degli altri cittadini.
ejgivgneto te lovgw/ me;n dhmokrativa, e[rgw/ de; ujpo; tou' prwvtou ajndro;" ajrchv” Tucidide II, 65, 9).
 
Obiettivi polemici
Esecrazione degli Spartani e delle Spartane (Andromaca, Oreste, Eraclidi).
Peleo, il nonno di Neottolemo, esecra le Spartane e i loro costumi: neppure se lo volesse, potrebbe restare onesta[45] ("swvfrwn", v. 596) una delle ragazze di Sparta che insieme ai ragazzi, lasciando le case con le cosce nude ("gumnoi'si mhroi'"", v.598) e i pepli sciolti, hanno corse e palestre comuni, cose per me non sopportabili " (Andromaca, vv.595 - 600).
Tipi odiosi sono gli Spartani, soprattutto nell'Andromaca che risale ai primi anni della grande guerra del Peloponneso, ed è un concentrato di malevolenza e maldicenza antispartana. “Gli attacchi contro Sparta… a parere di molti la rendono una sorta di pamplhet politico”[46].
La stessa protagonista lancia un anatema contro la genìa dei signori del Peloponneso, chiamati yeudw'n a[nakte~: "o i più odiosi (e[cqistoi) tra i mortali per tutti gli uomini, abitanti di Sparta, consiglieri fraudolenti, signori di menzogne, tessitori di mali, che pensate a raggiri e a nulla di retto, ma tutto tortuosamente, senza giustizia avete successo per la Grecia (vv.445 - 449).
 
Nelle Supplici, Adrasto chiede aiuto a Teseo e gli dice che non si è rivolto a Sparta poiché è una città crudele e dai modi sleali (Spavrth me;n wjmh; kai; pepoivkiltai trovpou~).
 
Nell’Ifigenia in Aulide, quando gli Spartani stavano vincendo la guerra del Peloponneso con l’aiuto del denaro fornito da Ciro il Giovane a Lisandro sono malvisti e mal reputati i Troiani identificati con i Persiani.
Ifigenia lancia un grido di guerra contro i nemici orientali :"è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi" vv., proclama la figlia di Agamennone destinata al sacrificio che dopo una fase di terrore, affronta con coraggio e convinzione di questa necessità( vv. 1400 - 1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria: "do il mio corpo per l'Ellade. Sacrificate, espugnate Troia. Questo infatti sarà il mio monumento a lungo, questi i figli, le nozze e la gloria mia"(vv.1397 - 1399).
 
Una contraddizione
Questo però non è un punto fermo perché nelle Troiane scritte in seguito al genocidio compiuto dagli Ateniesi a Melo, e rappresentate contro questo massacro e contro la guerra, Andromaca accusa i Greci che hanno deciso di ucciderle il figlio il quale cerca rifugio neosso;~ wJseiv, come un uccellino, sotto le ali della madre (v. 751):
 w\ bavrbar j ejxeurovnte~  [Ellhne~ kakav - tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion;” (vv. 764 - 765),o Greci che avete escogitato barbari orrori, perché ammazzate questo bambino che non è colpevole di nulla?
I veri barbari e autori di barbarie sono i Greci nell’accusa di Andromaca:
Nell’ Elena e nell’ Ifigenia fra i Tauri, e nell’Ifigenia in Aulide i barbari torneranno a essere i non Greci per il fatto che dal 412 fu stipulata una xummaciva tra il re dei Persiani e gli Spartani contro Atene (cfr. Tucidide, VIII, 18).
 
Una curiosità Nel libretto di Andrea Leone Tottola, musicato da Gioacchino Rossini, Ermione inveisce contro la rivale Andromaca, di cui è innamorato Pirro, gridando: “Ed osa tanto/Un avanzo di Troia?” (Ermione, I, 4).
 
Polemica con l’oracolo delfico che spartaneggiava e con il dio Apollo

Dell’
Andromaca e dell’Eracle abbiamo già detto.
Nell’Alcesti
Euripide
Thanato, la grande "uguagliatrice" accusa Febo di stare dalla parte dei ricchi: "Stabilisci la legge, o Febo, per gli abbienti" (
pro;~ tw`n ejcovntwn, Foi'be, to,n novmon tivqh" v. 57).
In effetti i sacerdoti dell'oracolo delfico, l'ombelico del mondo da dove zampillavano gli oracoli apollinei, appoggiava le consorterie aristocratiche e i regimi oligarchici.
 
Altri obiettivi polemici sono i demagoghi ( Odisseo nell’Ecuba; poi il ciarlatano dell’Oreste che adombra Cleofonte).
 Nella parodo dell’Ecuba , il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come "lo scaltro (oJ poikilovfrwn[47])/ furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo"(vv.131 - 132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:"razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?
( Ecuba, vv. 254 - 261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di contraccambiarle il beneficio che gli fece quando lo salvò facendolo uscire da Troia dove, infiltratosi come spia (katavskopo~, v. 239), era stato scoperto da Elena la quale lo aveva confidato soltanto alla regina.
Gli chiede dunque in cambio di non ammazzarle figlia con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (Ecuba, v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
 
Nell'Oreste, del 408, l'odioso ciarlatano che forse adombra il demagogo Cleofonte[48], figlio di madre Tracia, il quale capeggiava il partito della guerra a oltranza, chiede la condanna a morte dei matricidi, oramai divenuti vittime per quel continuo mutare dei ruoli assegnati dalla Sorte sovrana che è ricorrente nella poesia euripidea:"E dopo questo[49] si alza un tale, un uomo di lingua senza ritegno (ajqurovglwsso~ lett. lìsenza porta), tronfio di audacia, Argivo non Argivo, impostosi a forza, fidando nella confusione e nella rozza licenza di parola, e pure convincente tanto da gettare i cittadini in qualche male" (vv. 902 - 906).
Costui, spietato[50] e deleterio per la città th'/ povlei kako;n mevga (Oreste, v. 908).: "disse che bisognava uccidere Oreste e la sorella tirando pietre"(vv. 914 - 915).
 
 
Decima parte
 
Quintessenze di Euripide
 
Altri personaggi negativi: il politicante: Agamennone nell’Ifigenia in Aulide. Poi gli araldi: Troiane, Eraclidi, Oreste
 
Sentiamo le accuse che Menelao indirizza al fratello Agamennone, grande capo della spedizione panellenica contro Troia, nell'Ifigenia in Aulide :
"lo sai, quando volevi ottenere il comando dei Danai contro Troia, senza ambirvi in apparenza, ma aspirandovi con la volontà, come eri umile, toccando ogni destra e tenendo aperte le porte per chi lo volesse tra i popolani, e dando udienza successivamente a tutti, anche se uno non la chiedeva, cercando con modi affettati di comprare dalla piazza l'oggetto dell'ambizione. Poi, quando ottenesti il potere, assunti altri modi, non eri più amico come prima agli amici di prima, inaccessibile e introvabile dentro i luoghi chiusi. L'uomo buono quando si trova in auge non deve cambiare i costumi[51], anzi, soprattutto allora deve essere costante verso gli amici, quando, con la buona fortuna, è in grado di far loro del bene"(vv. 337 - 348).
 
Gli araldi. Taltibio ne è il prototipo. Molti giornalisti di oggi ne sono gli epigoni
 
Negli Eraclidi, il coro dei vecchi ateniesi afferma che gli araldi ingrandiscono quanto è accaduto raddoppiandolo e innalzandolo come una torre (pa`si khvruxi novmo~ di;~ tovsa purgou`n, v. 293).
Così fanno oggi i giornalisti.
 Si tratta dell’araldo di Euristeo che ha minacciato Demofonte il re di Atene il quale lo ha cacciato.
 
Cassandra, nelle Troiane , introduce un discorso diretto a Taltibio[52] iniziando con queste parole :" davvero è tremendo il servo (h\/ deino;~ oj lavtri~).
Perché mai hanno questo nome gli araldi, oggetto di comune odio a tutti i mortali?" (vv.424 - 425).
 
Anche nell'Oreste l'araldo Taltibio fa una brutta figura nel racconto del messo che riferisce a Elettra i discorsi dell’assemblea di Argo: "Ed ecco si alza Taltibio che con tuo padre saccheggiava i Frigi. E parlò, lui che è da sempre sottoposto ai potenti, doppiamente, mostrava ammirazione per tuo padre, ma non approvava tuo fratello, intrecciando parole buone e cattive e dicendo che il figlio aveva istituito usanze non buone verso i genitori: e sempre rivolgeva occhiate ammiccanti agli amici di Egisto. Siffatta è questa genia: sul carro di quello che ha buona fortuna, saltano sempre gli araldi: ed è loro amico colui che nella città ha cariche e poteri"(vv. 888 - 897).
Di nuovo come i giornalisti di oggi, quasi tutti.
 
La teoria della classe media. Il galantuomo dell’Oreste. Teseo nelle Supplici
 
Nell'Oreste c'è un galantuomo che difende i figli di Agamennone per i quali il demagogo aveva proposto la lapidazione:"Un altro, però, alzatosi, diceva cose contrarie a quello; era un uomo di aspetto non bello, però animoso, uno che di rado bazzica la città e il cerchio della piazza, un lavoratore in proprio (aujtourgov~ ), di quelli che, soli, salvano il paese, e pure intelligente, quando vuole scontrarsi con le parole, integro, che conduce una vita irreprensibile" (vv.917 - 922).
Di Benedetto da questi versi ricava una "teoria della classe media"[53] secondo la quale la solidarietà di Euripide va verso i piccoli proprietari terrieri
 
Nelle Supplici di Euripide, Teseo propugna la teoria della classe media.
Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi sono inutili e desiderano avere sempre di più, quelli che non hanno mezzi di sussistenza sono temibili ("deinoiv", v. 241) poiché si lasciano prendere dall'invidia e, ingannati dalle lingue dei capi malvagi, lanciano strali contro i possidenti.
Questa parte della teoria che vede nei poveri dei potenziali delinquenti si trova anche nella Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo Senofonte. L’anonimo autore chiamato “il vecchio oligarca”, da August Boeck identificato con Crizia, cervello e capo politico dei “Trenta tiranni”, sostiene che nel popolo c’è il massimo di ignoranza , di disordine e malvagità: la povertà infatti spinge piuttosto alle turpitudini, come la mancanza di educazione e l’ignoranza che in alcuni nasce dall’indigenza (1, 5).
In conclusione:"Triw'n de; moirw'n hJ jn mevsw/ sw/zei povlei" - kovsmon fulavssous j o{ntin j a]n tavxh/ povli"", ( Supplici, vv. 244 - 245), delle tre parti quella che sta in mezzo salva le città, custodendo l'ordine che essa dispone.
 
 
Undicesima parte
 
Quintessenze di Euripide
 
I sacrifici umani. Le buone mogli. La moglie cattiva. Ambiguità delle situazioni
 
Greci e barbari (Ifigenia in Aulide (vv. 1400 - 1401 citati sopra) Ifigenia fra i Tauri e i sacrifici umani
Ifigenia critica l’uso dei sacrifici umani.
Se qualcuno dei mortali tocca con le mani del sangue o anche un parto (loceiva~) o un morto, la dea (Artemide) lo tiene lontano dagli altari, ritenendolo contaminato (musarovn, 383), aujth; de; qusivai~ h{detai brotoktovnoi~ ma lei gode dei sacrifici che uccidono gli uomini (384).
Non è possibile che Leto, la compagna di Zeus abbia partorito tanta stupidità (tosauvthn ajmaqivan, 387). Giudico non credibili (a[pista krivnw) anche i conviti di Tantalo[54] agli dèi, che questi abbiano goduto del pasto del figlio, e ritengo che la gente di qui, essendo loro assassini di uomini, attribuiscano alla dea la loro malvagità (to; fau`lon, 390).
Infatti credo che nessuno tra i numi sia cattivo ( oujdevna ga;r oi\mai daimovnwn ei\nai kakovn, 392
Cfr. Pindaro, Olimpica IX, 37 - 38: to; loidorh`sai qeou;~ ejcqra; sofiva, ingiuriare gli dèi è odiosa sapienza.
 
Nel dramma di Goethe Ifigenia in Tauride (1787) la potagonista dice che fraintende gli dèi missversteht i celesti die Himmlischen - Himmel, cielo - chi li immagina sanguinari , der sie blutgierig wähnt (523) e li incolpa delle sue orrende voglie.
 
Abbiamo già detto che nelle Troiane secondo Andromaca i veri barbari sono i Greci[55]

 
Le buone mogli: La sposa di Admeto (Alcesti) e quella di Ettore (Andromaca e Troiane). Fedeli e generose fino all’abnegazione in favore del marito.
La moglie cattiva.
La moglie di Menelao apparentemente buona dell’Elena, e l’adultera delle Troiane è ingannevole in entrambe le tragedie: nell’Elena a danno degli ospiti egiziani, nelle Troiane è sfacciata e dannosa nei confronti del marito, dell’amante, della madre dell’amante, di tutta la Grecia e l’Asia avendo scatenato la guerra.
 Ecuba la smaschera dicendo: Afrodite in realtà era la tua follia erotica ajfrosuvnh (Troiane, v. 990).
Non per niente le due parole cominciano con le medesime lettere:
infatti tutte le stoltezze sono Afrodite per gli uomini; e il nome della dea comincia giustamente come quello di follia (ta; mw'ra ga;r pavnt' ejsti;n jAfrodivth brotoi'" - kai; tou[nom' ojrqw'" ajfrosuvnh" a[rcei brotoi'").
Inoltre ti attirò la sua ricchezza e quella di Troia. Eri consenziente e sei fuggita con lui, di nascosto.
Una volta cominciata la guerra, parteggiavi sempre per il vincitore, guardando al successo badavi a seguirlo e non volevi andare con il valore (1008 - 1009).
Io avrei favorito la tua fuga, ma tu da Troia non volevi andartene.
La sentenza di Ecuba in seguito a questo dibattito è che Menelao deve ucciderla per dare un esempio a tutte le donne.
Il coro sostiene le accuse di Ecuba, e Menelao sembra convinto.
Ecuba esorta lo Spartano a non fare salire l’adultera sulla sua stessa nave. Ma Elena prevale: intanto se la cava poi tornerà a essere la regina di Sparta come la troviamo nel IV canto dell’Odissea.
Nelle Troiane Elena ha attribuito la causa del suo adulterio all’irresistibile forza trainante di Afrodite protettrice di Paride che aveva come alleata una dea non piccola oujci; mikra;n qeovn (v.940) cui nemmeno Zeus resiste,
Tra le due donne si svolge un dibattito giudiziario con discorsi contrapposti dissoi; lovgoi.
 
Ambiguità delle situazioni (Alcesti)
Il Primo Episodio (136 - 212) dell’Alcesti inizia con l'ingresso in scena di una delle serve della regina. Il corifèo le domanda se la padrona sia ancora viva o già morta.
E l'ancella risponde:
"Ti è possibile dire che è viva e che è morta"(141).
Euripide e i suoi personaggi non hanno quasi nessuna sicurezza: nemmeno quella della vita e della morte.
C'è un frammento del Frisso di Euripide che dice:
"chi sa se il vivere sia morire
e il morire invece vivere?".
In Euripide tutto è problematico.
 
Jan Kott in Mangiare Dio commenta tanta incertezza sostenendo che "l'ambiguità è il cardine dell'Alcesti "p.142).
L'Alcesti poi è un dramma ambiguo anche come genere: non si capisce se sia una tragedia o una commedia. In questo senso, sostiene il critico polacco, può raffrontarsi con l'arte manieristica che imita l'arte invece della natura,
Euripide dunque apre la via a questa mescolanza di generi che nella cultura classica ha un seguito nell' estetica del sofista Crizia permeata dall'antitesi.
 
Contro il neorazzismo che dilaga
Non si possono dividere razzisticamente i maschi dalle femmine come fanno le persone ottuse, uomini e donne.
Lo stesso facevano gli schiavisti poi i fascisti.
Crizia, che pure fu un oligarca poi un tiranno, di fatto aveva una mente meno chiusa di quanti teorizzano la superiorità dei bianchi tutti su tutti i negri, e di quanti e quante ora vogliono le donne al potere comunque esse siano.
Diceva Crizia che è bellissimo nei maschi l'aspetto femminile e nelle femmine il contrario - o{ti kavlliston e[fh ei\do" ejn toi'" a[rrhsi to; qh'lu , ejn d j au\ tai'" qhleivai" toujnantivon .
( Dione Crisostomo, 21, 3.)
 
Altro elemento nuovo introdotto da Euripide nella tragedia
 o nell' Anfitrione di Plauto, nel prologo del quale dramma Mercurio dice:
" Eandem hanc, si voltis, faciam ex tragoedia
comoedia ut sit omnibus isdem versibus (vv. 54 - 55).
Questa medesima, se volete, farò in modo che da tragedia
diventi commedia con tutti gli stessi versi.
E, subito dopo:
"faciam ut commixta sit tragico comoedia "(v.59), farò in modo che la commedia sia commista di tragico.
 
 
Dodicesima parte
 
Quintessenze di Euripide
 
Pessimismo pedagogico nell’ Ecuba del 424; ottimismo pedagogico nelle Supplici del 422, in prossimità della pace di Nicia.
 
Nell’Ecuba di Euripide la protagonista sente raccontare da Taltibio il sacrificio di Polissena e prova “una strana consolazione” per la nobiltà con la quale la ragazza è morta, splendendo di bellezza, come un’opera d’arte, e parlando con il coraggio di un eroe: “Non è strano che, se la terra è cattiva,/ma ottiene buone condizioni dagli dèi, produce buona spiga,/mentre se è buona, ma non riceve quanto essa deve ottenere,/ dà cattivi frutti; tra gli uomini invece, sempre/il malvagio non è nient'altro che cattivo / mentre il buono è buono, né per una disgrazia/guasta la sua natura, ma rimane sempre onesto? (“oJ me;n ponhro;" oujde;n a[llo plh;n kakov", - oJ d j ejsqlo;" ejsqlov", oujde; sumfora'" u{po - fuvsin dievfqeir j , ajlla; crhstov" ejst j ajeiv;”)/Dunque i genitori fanno la differenza o l'educazione?/Certamente anche essere educati bene, porta/ un insegnamento di onestà; e se uno l’ha imparato bene,/ sa che cosa è turpe, avendolo appreso con il metro del bello. /Ma questi pensieri la mente li ha scagliati invano",( Ecuba, vv. 592 - 603). In questa tragedia dunque prevale il pessimismo, come nell’ode di Pindaro.
 
Pindaro nell’ Olimpica II chiarisce il suo pessimismo pedagogico :" sofo;" oJ polla; eijdw;" fua'/ : - maqovnte" dev, lavbroi - pagglwssiva/ kovrake" w{" a[kranta garuveton - - Dio;" pro;" o[rnica qei'on ” (vv. 86 - 89), saggio è chi sa molto per natura, voi due[56] addottrinati invece, intemperanti, vaghi di ciance, come corvi di fronte al divino uccello di Zeus, gracchiate parole vuote.
 
Nelle Supplici ,del 422, un dramma che è tutto un encomio degli Ateniesi, leggiamo invece l'espressione di un incondizionato ottimismo pedagogico, forse per il fatto che si stava preparando la pur malsicura pace di Nicia: Adrasto fa l'elogio funebre dei sette caduti nella guerra contro Tebe, poi conclude rivolgendosi direttamente a Teseo: “ Non ti stupire dopo quanto ho detto,/ Teseo, che questi abbiano avuto il coraggio di morire davanti alle torri./Infatti essere educati non ignobilmente comporta il senso dell'onore:/e ogni uomo che ha esercitato il bene/
si vergogna di diventare vile. Il coraggio è/ virtù insegnabile (hJ eujandriva - didaktovn), se è vero che il bambino impara/a dire e ad ascoltare quello di cui non ha cognizione./Ma quello che uno abbia imparato, suole conservarlo/fino alla vecchiaia. Così educate bene i vostri figli"(vv. 909 - 917).
 
Al contrario di Sofocle, Euripide conferisce maggior valore dei rapporti affettivi rispetto a quelli di sangue. (Alcesti, Oreste, Ifigenia in Tauride).
 
Euripide nell'Oreste fa dire al protagonista eponimo, in lode dell'amicizia di Pilade:"acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di mille consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)"(vv. 804 - 806).
 
Già nell'Alcesti Euripide rappresenta una sposa la quale sacrifica per il marito la propria vita dopo che il padre e la madre di lui si erano rifiutati di donargli la loro.
 
Plutarco nella Vita di Solone racconta che il legislatore ateniese permise a chi non aveva figli di lasciare in eredità i propri beni anche fuori dalla famiglia in quanto “filivan te suggeneiva~ ejtivmhse ma`llon kai; cavrin ajnavgkh~(21, 3), valutò l’amicizia più della parentela e l’affetto più dei vincoli di sangue.
 
Nell’Ifigenia fra i Tauri, Ifigenia chiede a Oreste ancora non riconosciuto come fratello di portare un messaggio a Micene.
Tu non mi sembri dusgenhv~ (591) di bassa stirpe. Ti regalo la salvezza kouvfwn e{kati grammavtwn (594) per delle lettere leggère.
Pilade invece sarà sacrificato alla dea.
Oreste accetta purché venga mandato ad Argo Pilade e sia l’amico a salvarsi.
La vita di Pilade gli sta a cuore non meno della propria.
Ifigenia dice w\ lh`m j a[riston (609), o anima mobilissima, sei nato da una radice nobile - ajp j eujgenou`~ rJivzh~ pevfuka~ (611) radix, root, Wurzel
Vorrei che mio fratello fosse come te!
Ironia tragica in Euripide
Pilade non vuole salvarsi senza Oreste: sarebbe aijscrovn (674). Potrebbero dire addirittura che lui ha ordito la morte dell’amico per impadronirsi del regno sposando la sorella, Elettra. - aijscrologiva, l’oscenità -
Oreste insiste: vuole dei discendenti dalla sorella e dall’amico cui chiede di non tradire mai Elettra : “kai; mh; prodw`/~ mou th;n kasignhvthn potev (706). - Proditor - Poi lo saluta come fivltaton fivlwn (708), mentre oJ Foi`bo~ mavnti~ lo ha ingannato. Un caro amico è più affidabile di un dio menzognero
Pilade promette di non tradire Elettra, poi dà una speranza a Oreste: è l’eccesso di sventura (livan duspraxiva) che dà rivolgimenti eccezionali (didou`sa livan metabolav~ (721 - 722).
 
Luciano nel dialogo Tossari o l’amicizia (164 - 165), dà un’altra versione del mito: gli Sciti imprigionarono Oreste e Pilade incappati in un naufragio volevano sacrificarli ad Artemide, ma i due amici “aggrediti i carcerieri e sopraffatta la guardia, to;n te basileva kteivnousi e presa con sé la sacerdotessa, rubata la stessa Artemide, fuggirono per mare facendosi beffa della comunità degli Sciti” (katagelavsante~ tou` koinou` tw`n Skuqw`n, 2). Lo scita Tossari dice che gli Sciti annoverano Oreste e Pilade tra gli eroi per il loro coraggio. Ma soprattutto li onorano come dèi perché si sono dimostrati gli amici migliori mai esistiti e hanno stabilito le leggi dell’amicizia. Luciano descrive un dipinto, forse visto in una città scitica ellenizzata dove si raffigurano i due amici e si mostra il loro affetto th;n eu[noian, la solidarietà nei rischi th;n ejn toi`~ deinoi`~ koinwnivan, la lealtà to; pistovn, e il cameratismo kai; filevtairon, la sincerità to; ajlhqev~ e la saldezza to; bevbaion del loro amore reciproco. Tutto ciò non si trova tra gli uomini: appartiene a un’intelligenza superiore. Per gli Sciti l’amicizia è un valore grande
 
Valore della gratitudine (Eracle)
Teseo manifesta a Eracle la propria gratitudine: "mi riportasti alla luce dal regno dei morti"(v. 1222). Quindi aggiunge:"Io odio la gratitudine che invecchia degli amici".
Io che una volta ho ricevuto un beneficio, ora ho compassione di te" (v. 1223 e v.1236).
 
Non mancano le contraddizioni fra tragedia e tragedia: esecrazione della guerra (Troiane); assurdità della guerra combattuta per un fantasma (Elena, Elettra, Oreste).
Ma nell’Ifigenia in Aulide c’è una chiamata alle armi alle armi
 
Nel prologo delle Troiane Poseidone dice:
“E’ stolto tra i mortali chi devasta le città,
mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei"
consegnando al deserto templi e tombe, luoghi sacri
dei morti: egli stesso dopo è già morto (94 - 96)
 
Più avanti la lucida follia di Cassandra dichiara che chi ha senno deve evitare la guerra: “feuvgein me;n ou\n crh; povlemon o{sti~ eu\ fronei`” (Troiane, v. 400).
 
Ma c’è anche la chiamata alle armi per la guerra santa (Ifigenia in Aulide).
Dunque: divdwmi sw`ma toujmo;n J Ellavdi (1397), offro il mio corpo per l’Ellade, quvet j, ejkporqei`te Troivan ( 1398), sacrificate, distruggete Troia.
Questo sarà il mio monumento perenne, questi i figli, le nozze, la fama[57].
L’Ifigenia in Aulide , scritta negli ultimi anni di vita del poeta, e rappresentata postuma, come le Baccanti, contiene un appello all’unità dei Greci e alla loro alleanza contro i nemici orientali :"è naturale che gli Elleni comandino sui barbari, e non i barbari, madre, sui Greci: loro infatti sono schiavi, noi liberi"[58], proclama la fanciulla ( vv. 1400 - 1401) dopo avere offerto la sua vita per la patria.
 
Poetica di Euripide (Medea, Eracle)
I versi 190 - 203 della Medea contengono la poetica di Euripide: la poesia non deve rallegrare i conviti e le feste, già di per sé piacevoli, ma alleviare gli affanni dei mortali. La poesia è una specie di cura omeopatica: racconta casi dolorosi, pieni di lacrime, per consolare le lacrime e gli affanni.
 
La poesia è la grande consolatrice: dà una strana consolazione anche alla vecchiaia.
Innanzitutto quelli del poeta: nell'Eracle [59] il drammaturgo non più giovane[60] attraverso "il cantuccio" del coro fa questa sua dichiarazione d'amore alla bellezza e alla poesia che conforta pure la vecchiaia:"non cesserò mai di unire/le Grazie alle Muse,/dolcissimo connubio./Che io non viva senza la Poesia/ma sia sempre tra le corone./Ancora vecchio l'aedo/ fa risuonare la Memoria"(vv. 673 - 679).
 
 
Tredicesima parte
 
Quintessenze di Euripide
 
Scontri fra culture nella Medea (cfr. il film Medea di Pasolini).
La barbara arcaica ieratica si confronta con il sistema privo di carità del mondo (pre) borghese e diviene donna ricca di espedienti. Medea, come Odisseo polumhvcano" , è piena di risorse e anche la sua forza sarà quella della "complicità con il reale"[61].
 
In una intervista a J. Duflot, Pasolini dichiara che nel suo film ha voluto mettere in evidenza il contrasto tra la cultura razionale e pragmatica di Giasone e quella arcaica e ieratica della barbara:" Ho riprodotto in Medea tutti i temi dei film precedenti (...) Quanto alla pièce di Euripide, mi sono semplicemente limitato a qualche citazione (...) Medea è il confronto dell'universo arcaico, ieratico, clericale, con il mondo di Giasone, mondo invece razionale e pragmatico. Giasone è l'eroe attuale (la mens momentanea) che non solo ha perso il senso metafisico, ma neppure si pone ancora questioni del genere. E' il "tecnico" abulico, la cui ricerca è esclusivamente intenta al successo (...) Confrontato all'altra civiltà, alla razza dello "spirito", fa scattare una tragedia spaventosa. L'intero dramma poggia su questa reciproca contrapposizione di due "culture", sull'irriducibilità reciproca delle due civiltà (...) potrebbe essere benissimo la storia di un popolo del Terzo Mondo, di un popolo africano, ad esempio[62]".
 
 La consolazione delle lacrime (Troiane, Elena).
 
Il piangere, come scarso controllo, come uscita dalla realtà, può essere consolatorio: nelle Troiane (del 415) il Coro commenta le lacrime sopra lacrime (davkruav t j ejk dakruvwn, v. 605) versate per le case distrutte, in tale modo: "come sono dolci le lacrime (wJ" hJdu; davkrua) per quelli che vivono male/e i lamenti dei pianti e una musa che narri il dolore"(vv. 608 - 609).
 
 Enea vedendo che ci sono lacrime per le sventure (Eneide, I, 462), prima piange, poi si consola, quindi geme a lungo: tum vero ingentem gemitum dat pectore ab imo (Eneide, I, v. 485).
 
Nell'Elena (del 412) Menelao afferma: "le lacrime sono la mia gioia: hanno più /grazia che dolore"(654 - 655). "Non è casuale che alla perdita di contatto con la realtà politica del suo tempo si accompagnasse in Euripide una sempre più decisa teorizzazione di una poetica che poneva al centro della creazione tragica lo sfogo del personaggio attraverso il pianto"[63].
 
Un’eco di questa “gioia delle lacrime” si trova nella Tebaide di Stazio, ricca di risonanze tragiche: “amant miseri lamenta malisque fruuntur” (XII, 45), amano i lamenti gli infelici e si compiacciono dei mali. Il poeta commenta la visita dei Tebani al campo di battaglia dove sono caduti gli assalitori e i difensori di Tebe.
 
Rifiuto o pentimento del potere: Ione, Ifigenia in Aulide.
Superiorità della vita privata
Euripide ricorre spesso la fuga dai luoghi e dai tempi, insomma dalla storia quale "favola mentita".
Il drammaturgo prefigura il lavqe biwvsa~ di Epicuro
 
Ione sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato[64]: "del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn dovmoisi de; - luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;" - zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati " (Ione, vv. 621 - 628).
 
Nell’ Ifigenia in Aulide , l’a[nax , il grande capo Agamennone invidia un vecchio servo che passa una vita ajkivndunon , priva di rischi, rimanendo ajgnw;~ ajklehv~ (18) sconosciuto e oscuro.
Meno invidiabile è la vita di chi sta ejn timai`~, tra gli onori.
 
Una maledizione del "bene fallace" costituito dal potere si trova nell'Oedipus di Seneca:"Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum,/quantum malorum fronte quam blanda tegis "(vv. 6 - 7), qualcuno gioisce del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto un'apparenza così lusinghiera!.
Nelle Fenicie , Seneca fa dire a Giocasta che Eteocle pagherà il fio a caro prezzo con il fatto di essere re:"poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).
 
Manzoni nell' Adelchi (V, 8) rappresenta il protagonista ferito che dice al padre sconfitto:"Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto”".
 
Simpatia e compassione per i giovani che muoiono ante diem (Ifigenia in Aulide; Ecuba (Polissena); Alcesti; Fenicie (Meneceo): Eraclidi (Macaria).
Particolarmente bella è la morte di Polissena nell’Ecuba: una sacrificio che può illustrare il tema della bellezza nella morte: la principessa Troiana antepone una morte dignitosa a una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, (Ecuba , v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
 
Rimpianto della giovinezza (Eracle)
Un aspetto della bellezza è la giovinezza.
La giovinezza è preferibile alla ricchezza, ed è bellissima tanto nella prosperità quanto nella povertà: “kallivsta me;n ejn o[lbw/, - kallivsta d j ejn peniva/”, Euripide, Eracle, vv. 647 - 648. Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi" - kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661 - 669).
 
Marziale afferma che l’uomo buono, privo di rimorsi, gode del frutto del suo passato e accresce lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7 - 8).
 
Aspetti di tradizionalismo: contro gli uomini straordinari e sofisticati nelle Baccanti; la bella semplicità di Achille allevato dal pio Chirone nell’Ifigenia in Aulide).
 
Il Coro delle Baccanti nel Primo Stasimo canta che Dioniso odia chi non si prende cura di tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari: "ajpevcein prapivda frevna te;;;;;; - perissw'n para; fwtw'n"(vv.427 - 428).
Sembra una scelta delle credenze popolari, contro il reo dolor che pensa, i sofismi e il pretenzioso sapere degli intellettuali.
 
In Delitto e castigo di Dostoevskij secondo il protagonista Raskolnikov, "gli uomini si dividono in - ordinari - e - straordinari - .Quelli ordinari devono vivere nell'obbedienza e non hanno diritto di violare la legge, perché essi, vedete un pò, sono appunto ordinari. Quelli straordinari, invece, hanno il diritto di compiere delitti d'ogni specie e di violare in tutti i modi la legge, per il semplice fatto d'essere straordinari" (p.290).
 
Chirone, dikaiovtato" Kentauvrwn[65], il più giusto dei Centauri, "nodrì Achille"[66] insegnandogli quella naturalezza e semplicità di costumi che è la quintessenza dell'educazione sana.
Agamennone nell’Ifigenia in Aulide chiarisce a Clitennestra che Chirone educò il Pelide: “ i{n j h[qh mh; mavqoi kakw'n brotw'n” (v. 709), perché non imparasse gli usi degli uomini malvagi. Più avanti Achille riconosce tale alta paideia all'uomo piissimo che l'ha allevato:"ejgw; d j, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;" - Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein" (vv. 926 - 927), ho imparato ad avere semplici i costumi. L’antitesi del semplice, schietto Achille in questa tragedia, e non solo, è Odisseo del quale Agamennone dice: “Poikivlo~ ajei; pevfuke tou' t j o[clou mevta” (v. 526), è molteplice per natura e sempre dalla parte della massa. - hjnavgkasen (v. 530):
 
 
Quattordicesima parte
 
Quintessenze di Euripide
 
Euripide è il poeta del razionalismo greco?
 Pohlenz, Dodds, Nietzsche
 
Pohlenz:
Euripide non fu precisamente il razionalistico "poeta dell'illuminismo greco". Fu il poeta che meglio di ogni altro seppe ascoltare i moti più segreti del cuore umano e avvertì in tutta la loro gravità i conflitti che ora ne scaturivano. Il desiderio di vendetta di Medea emerge dalle insondabili profondità della sua anima, e appena arriva alla soglia della coscienza ha inizio nell'intimo del personaggio una dura, inesorabile lotta, in cui la ragione e l'amore materno soccombono alla passionalità del qumov". La vita ha insegnato ad Euripide che noi abbiamo in genere chiara coscienza del bene, ma non lo attuiamo perché gli impulsi irrazionali sono più forti"[67].
 
Pohlenz ha in mente quanto dice Fedra nell’Ippolito di Euripide: "bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk ejkponou'men: il bene topicamente costa povno", fatica), alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo[68], (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza (aijdwv" te, una forma brutta di aijdwv" ) "(vv.379 - 385).
 
La Medea di Euripide individua nel suo animo un conflitto tra la passione furente e i ragionamenti, quindi comprende che l'emotività, sebbene sia causa dei massimi mali per gli uomini, è più forte dei suoi propositi:" Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - oJvsper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" ( vv. 1078 - 1080), capisco quale abominio sto per compiere, ma più forte dei miei ragionamenti è la passione che è causa dei mali più grandi per i mortali", dice nel quinto episodio dopo avere preso la decisione folle di uccidere i figli.
 
Dodds
Euripides remains for us the chief representative of fifth - century irrationalism; and herein, quite apart from his greatness as a dramatist, lies his importance for the history of Greek thought[69], Euripide rimane per noi il principale rappresentante dell’irrazionalismo del V secolo; e in questo, del tutto a parte dalla sua grandezza come drammaturgo, sta la sua importanza per il pensiero greco.
 
Nietzsche
Viceversa Nietzsche: La tendenza apollinea si chiude nell’iinvolucro di uno schematismo logico, mentre Euripide traduce il dionisiaco in una passione naturalistica.
“Socrate, l’eroe dialettico del dialogo platonico ricorda la natura affine dell’eroe euripideo che deve difendere le sue azioni con ragioni e controragioni e che per questo rischia di non suscitare più la nostra compassione tragica” (La nascita della tragedia, capitolo 14) ).
Nella natura della dialettica infatti trionfa l’elemento ottimistico che entrato nella tragedia le fa compiere il salto mortale nel dramma borghese.
 
Euripide per certi versi apre la strada all’Ellenismo (cfr. le Rane di Aristofane). Maggiore attenzione per la natura (Baccanti).
 
Snellimento della poesia
Callimaco contrappone il canto dell'usignolo, il dolce cantore cui ambisce assimilarsi il poeta, alle trombonate dell'epica . Fu lo stesso Apollo ad avvisarlo riguardo al fatto che la Musa deve essere fine, delicata, sottile (Mou'san...leptalevhn, Aitia , v. 24).
 Ebbene il "sottilizzarsi" della Musa risale a Euripide secondo Aristofane che nelle Rane (vv. 941 - 942) gli fa dire, in polemica con la magniloquenza di Eschilo:" i[scnana me;n prwvtiston aujth;n kai; to; bavro" ajfei'lon - ejpullivoi" kai; peripavtoi"" io prima di tutto resi sottile l'arte e le tolsi pesantezza con giri di parolette brevi.
 Dunque l'opposizione alla poesia grossa, con pretese di grandiosità, parte dalle rivendicazioni attribuite dal massimo commediografo al tragediografo più innovativo, passa poi per Callimaco, e, rimanendo nelle letterature classiche, arriva a Catullo che, nel carme 95 , annuncia l'uscita della Smirna di Cinna, un poemetto breve ed elaborato per nove anni, una specie di manifesto del neoterismo, contrapposto agli antiquati Annali di Volusio di stampo enniano rozzi e noiosi, utili tutt'al più per incartocciare gli sgombri. Il distico finale (9 - 10) si chiude con parole di ortodossia callimachea:" Parva mei Cinnae mihi sint cordi monumenta,/at populus tumido gaudeat Antimacho ", a me stiano a cuore i piccoli capolavori del mio Cinna, mentre il volgo si goda l'enfatico Antimaco.
Questo (vissuto tra V e IV secolo) è autore di due poemi elegiaci, Tebaide e Lide , che Callimaco (fr.398 Pf.) definì: " pacu; gravmma kai; ouj torovn", libro grossolano e non fine".
 
Con Euripide cresce l’attenzione per la natura:
 
 “O Tebe nutrice di
Semele, incorònati di edera; 106
colmati, colmati di verdeggiante
smilace dal bel frutto
e baccheggia con i rami
di quercia o di abete, 110
e adorna l'indumento delle
nebridi screziate con ciocche di ricci
dal bianco pelo; e intorno ai tirsi violenti,
santifìcati: presto tutta la terra danzerà.
Bromio è chiunque guidi i tiasi. 115
Verso il monte verso il monte, eij" o{ro" eij" o[ro", dove aspetta
la turba delle donne
lontana da telai e spole
rese furiose dall’assillo di Dioniso. (Baccanti, parodo, vv. 105 - 119
 
Poi, con Teocrito, la natura diviene il paradiso perduto dell’uomo civilizzato delle città
 
E’ vera o presunta la misoginia che Aristofane gli attribuisce nelleTesmoforiazuse?
Nelle Tesmoforiazuse il personaggio di Euripide manifesta il suo timore delle donne decise a vendicarsi per tutte le maldicenze, più o meno giustamente, subite : “mevllousi m j aiJ gunai'ke~ ajpolei'n thvmeron - toi'~ Qesmoforivoi~, o[ti kakw'~ aujta;~ levgw "(vv. 181 - 182), oggi alle Tesmoforie le donne vogliono uccidermi poiché dico male di loro
Invero le donne di Euripide sono molto più forti e intelligenti dei rispettivi uomini che spesso sono dei miserabili. Basta pensare a Giasone e Admeto.
Medea ammazza i figli, ma tra i due amanti - antagonisti il personaggio odioso è senz'altro Giasone:"Medea si rivela fin dal principio come una donna non comune, di sinistra potenza, e di fronte ad essa il saggio e benpensante Giasone non è che un miserabile. Questa raffigurazione che Euripide ci dà dell'eroe del mito greco e della maga barbara, distribuendo luci ed ombre proprio all'opposto di come accadeva nella veneranda tradizione, ci permette di capire perché Aristofane rimproverasse al poeta di aver gettato nel fango le nobili figure del mito. Ma Euripide non lo fa per l'infame piacere di demolire ogni grandezza, al contrario (e qui Nietzsche ha visto più a fondo di Aristofane e di Schlegel) lo fa con un'intenzione morale: le credenze antiche vengono smascherate e demolite, ma per far posto a un senso di giustizia più vero e per porre un fondamento a questo nuovo dovere. E chi potrà sottrarsi all'impressione che questa Medea non abbia davvero la ragione dalla sua, di fronte a questo Giasone?"[70].
Già Epitteto apprezzava la sinistra potenza di Medea: “Egli, personalmente, odiava le vie di mezzo. Medea, nella sua efferatezza, gli riusciva più simpatica che non i tiepidi, che non fanno nulla ex abundantia cordis e professano princìpi filosofici senza mai applicarli”[71].
 
Poi: l ateismo del “sacrilego Euripide”, ha davvero aperto la strada a tutti i beffardi Luciani dell’antichità?
“Che cosa volevi, empio Euripide, quando cercasti di costringere ancora una volta questo mito morente a servirti? Morì tra le tue braccia violente, e allora sentisti il bisogno di un mito imitato, mascherato, che come la scimmia di Ercole sapeva oramai soltanto adornarsi con l’antica pompa. E come per te moriva il mito, moriva per te anche il genio della musica: per quanto tu saccheggiassi con avide mani tutti i giardini della musica, anche così giungesti solo a una musica imitata e mascherata. E poiché avevi abbandonato Dioniso, anche Apollo abbandonò te” Nietzsche, La nascita della tragedia , capitolo 10.
Euripide ha aperto diverse strade da eterno critico ed eterno cercatore quale era.
“Era inevitabile che la critica agli dei e ai miti, presente nelle opere di Euripide, lo facessero apparire come un negatore dell’esistenza divina; così la venditrice di ghirlande, nelle Tesmoforiazuse di Aristofane ([72]), si lamenta di guadagnare poco da quando Euripide ha convinto la gente, con le sue tragedie, che gli dei non esistono. In realtà, dietro a tutte queste critiche c’è la ricerca, da parte del poeta, di un’immagine divina purificata: così Ifigenia conclude il suo discorso, appena citato[73], sul sacrificio umano, affermando (391) che nessun dio può essere malvagio; è lapidaria l’espressione del Bellerofonte (292 N.): se gli dei fanno qualcosa di vergognoso, allora non sono dei”[74].
 
La linea critica contraria a Euripide, poi Goethe.
La linea critica Aristofane - A. W. Schlegel - Nietzsche ha marchiato Euripide quale corruttore e affossatore della grande tragedia attica.
 
Ma Goethe alcuni mesi prima della morte scriveva nel suo Diario:"Non finisco di meravigliarmi come l'elite dei filologi non comprenda i suoi meriti e secondo la bella usanza tradizionale lo subordini ai suoi predecessori seguendo l'esempio di quel pagliaccio di Aristofane... Ma c'è forse una nazione che abbia avuto dopo di lui un drammaturgo che sia appena degno di porgergli le pantofole?" [75].






[1] Del 40 ca. a. C.
[2] D. Musti (a cura di) Polibio, Storie, vol. primo, p. 51
[3] Del 458 a. C.
[4] Il non capire male/ è il dono più grande di dio.
[5] "Con fronei'n, "saggezza", il coro non allude a qualità teoretiche, come la conoscenza o la sapienza, ma a un modo di pensare, di sentire e di agire misurato, equilibrato, improntato al rispetto degli dèi. Allude a qualità morali" , G. A. Privitera, R. Pretagostini, Storie e forme della letteratura greca, p. 281.
[6] Vv. 1347 - 1349.
[7] Rappresentate postume
[8] Storia dei Greci , II vol., p.91
[9] Servirebbe anche oggi, 25 aprile 2015.
[10] 180 - 160 a. C.
[11] H. Hesse, Il giuoco delle perle di vetro, p. 293.
[12] J. Hillman, L'anima del mondo e il pensiero del cuore , p. 144.
[13] Platone, p. 597. Vedi la scheda “Il borghese” dopo il v. 621.
[14] T. Mann, Giuseppe e i suoi fratelli, La storia di Giacobbe, p. 272.
[15] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 54.
[16] S. Freud, Introduzione alla psicoanalisi, in Sigmund Freud, Opere, 1930 - 1938, p. 190.
[17] cfr. Eschilo, Dio;" profhvth" , Eumenidi, v.19.
[18] Cfr. Platone, Cratilo (385e) :"w{sper Prwtagovra" e[legen levgwn - - pavntwn crhmavtwn mevtron ei\nai a[nqrwpon", come diceva Protagora che l'uomo è misura di tutte
[18] Nel contesto “ quelli” sono gli dèi le cose.
[19] Trad. it., Garzanti, Milano, 1974.  p. 1607.
[20] Nel contesto “ quelli” sono gli dèi
[21] J. P. Vernant, Ambiguità e rovesciamento in Mito e tragedia nell'antica Grecia , pp. 89 - 90.
[22] Scritti corsari, Il genocidio, p. 286.
[23] G. Steiner, Le Antigoni , p. 234.
[24] G. Steiner, Le Antigoni , p. 235.
[25] Maria Zambrano, La tomba di Antigone, p. 56.
[26] E. Fromm, Psicanalisi della società contemporanea , p. 68.
[27] C. Pavese, Il mestiere di vivere , 29 settembre 1946.
[28] Avezzù - Guidorizzi, Edipo a Colono, p. 218.
[29] “ fa ritorno ad Achille che, irriconciliabile, siede corrucciato nella sua tenda” Bernard Knox (L'eroe sofocleo). 
[30] Ehrenberg, Sofocle e Pericle, p. 42
[31]P. e. nel Venetus Marcianus (V) con il titolo Sofoklevou" gevno", e nel Vaticanus (R) con il titolo Gevno" Sofoklevou".
[32]L'Anonimo autore del trattato Sul sublime passa in rassegna gli autori "omericissimi" che sono Erodoto, Stesicoro, Archiloco e soprattutto Platone il quale anzi non sarebbe diventato così grande filosofo e poeta se non si fosse messo a gareggiare con Omero (13).
[33]"Secondo quanto riferisce Gor'kij, lo stesso Tolstoj disse di Guerra e pace :" Senza falsa modestia, è come l'Iliade ", da G. Steiner, Tolstoj o Dostoevskij , p. 81.
[34]Umano, troppo umano II vol., Opinioni e sentenze diverse, 162.
[35] Hilman, La forza del carattere, p. 70.
[36] = ejperevsqai: infinito aoristo di ejpeivromai, domando.
[37] Anche in polemica con Sofocle, il collega di successo.
[38]Storia dei Greci , II vol., p. 331.
[39] Possiamo indicare una parentela spirituale tra Sofocle e Tolstoj che in Guerra e pace (p. 1607) scrive:" Per noi, con la misura del bene e del male dataci da Cristo, non esiste nulla di incommensurabile e non c'è grandezza là dove non c'è semplicità, bene, verità".
[40] Xenophan. fr. 11, 2.
[41] Iph. Taur. 1403; Troad. 27, 1042; Iph. Aul. 411.
[42] Nestle, Storia della religiosità greca, p. 36.
[43] C’è il piacere della confusione e mescolanza dei sentimenti, la voluttà delle lacrime che è reperibile in D'Annunzio, se vogliamo trovare in Euripide gli archetipi della letteratura decadente. In L’innocente , Tullio Hermil ebbro di bontà e di amore per Giuliana prima di scoprirla impura, ne beve le lacrime con felice voluttà:" - Oh, lasciami bere - io pregai. E, rilevandomi, accostai le mie labbra ai suoi cigli, le bagnai nel suo pianto" (p. 145.)
[44] Il mito è sempre una "immagine concentrata del mondo" (Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 151).
[45] Plutarco dà un'interpretazione non malevola dello stesso fatto: il legislatore volle che le fanciulle rassodassero il loro corpo con corse, lotte, lancio del disco e del giavellotto..per eliminare poi in loro qualsiasi morbidezza e scontrosità femminile, le abituò a intervenire nude nelle processioni, a danzare e a cantare nelle feste sotto gli occhi dei giovani (Vita di Licurgo , 14). E' interessante il fatto che Erodoto (I, 8) viceversa fa dire a Gige:"la donna quando si toglie le vesti, si spoglia anche del pudore".
[46] Caterina Barone (a cura di) Euripide Andromaca, p. 7.
[47] Aggettivo formato da poikivlo~ (variopinto) e frhvn (mente). "L'azione di "colorare" "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisse sia proprio poikilomhvvvth" (Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.) "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione ". (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, p. 142.).
 Poikivlo" è etimologicamente connesso al latino pingo, pictor, pictura e significa qualche cosa di non semplice ( cfr. Platone, Teeteto, 146d. dove poikivlo", opposto a monoeidhv", "semplice"), di macchiato come la pelle di pantera (Iliade X, 29 - 30). e di oscuro: cfr Euripide, Elena 711 - 712 dove l'aggettivo è riferito dal nunzio all'oscurità del divino difficile da congetturare:" oJ qeov" wJ" e[fu ti poikivlon - kai; dustevkmarton" (cfr. tekmaivrw).
[48] Viene messo alla gogna nella parabasi delle Rane di Aristofane come incapace di pronunciare correttamente la lingua dei veri Ateniesi: sulle sue labbra ambigue orrendamente freme la rondinella tracia (vv. 679 - 681), e, poco più avanti il demagogo è messo tra gli stranieri, rossi di pelo, mascalzoni e discendenti da mascalzoni, ultimi arrivati, dei quali ora la città si serve per ogni uso, ma che in passato non sarebbero stati utilizzati facilmente nemmeno per caso come vittime espiatorie: “oujde; farmakoi'sin eijkh'/ rJa/divw~ ejcrhsat j an” (vv. 730 - 733). “Noi diremmo ‘spaventapasseri’ o ‘Guy Fawkeses’. La parola significa letteralmente ‘medicine umane’, ovvero ‘capri espiatori’ (G. Murraty, Le origine dell’Epica Greca, p. 24). Tra le altre cose la rondine è in sé un animale ambiguo: significa il ritorno della primavera e dell’amore ma non “ci sono dubbi sul fatto che la rondine, nella cultura antica, funzioni anche come presagio di sventura. Cleopatra fu terrorizzata dal fatto che delle rondini avevano fatto il nido attorno alla sua tenda, e sulla nave ammiraglia (Dione Cassio, 50, 15)”. (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 137). E' il dark side della rondine. 
[49] Diomede che aveva proposto l’esilio per i matricidi.
[50] Certamente ignaro del monito di Cristo venturo "chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra"(Giovanni, VIII, 7) che invece troveremo prefigurato da Menandro negli (Epitrevponte") dove troviamo un vero momento di mavqo" tragico quando Carisio, il protagonista, definisce se stesso, ironicamente, l'uomo senza peccato attento alla reputazione ( ejgwv ti" ajnamavrthto", eij" dovxan blevpwn, v. 588) e comprende che l'errore sessuale della moglie è stato un "infortunio involontario" (ajkouvsion gunaiko;" ajtuvchm j, v. 594).
[51] Seneca nell’Epistola 120 scrive:"maximum indicium est malae mentis fluctuatio (20)... Magnam rem puta unum hominem agere " (22), il massimo segno di un animo volto al male è l'ondeggiare... Considera grande cosa rappresentare sempre la stessa parte.
[52] Questo personaggio nell'Iliade godeva di rispetto e autorità (cfr. 7, 276)
[53] Euripide: teatro e società , p. 193 e sgg. Ne riferirò commentando la Medea dopo il v. 125.
[54] Cfr. Pindaro, Olimpica I, 35 - 53.
[55] Cruciali sono i versi con i quali Andromaca accusa i Greci di essere loro i veri barbari: “w\ bavrbar j ejxeurovnte~ [Ellhne~ kakav - tiv tonde pai`da kteivnet j oujde;n ai[tion; (764 - 765), o Greci inventori della barbarie, perché uccidete questo bambino che non è colpevole di niente? 
[56] Simonide e Bacchilide, secondo gli scoliasti 
50Altrettanto Macaria negli Eraclidi: “tavd j ajnti; paidwn ejstiv moi keimhvlia (591), questi saranno i ricordi della mia vita invece dei figli. 
[58] Demostene nella III Olintiaca (348, dove vuole convincere gli Ateniesi a soccorrere la città della Calcidica contro Filippo di Macedonia) scrive che una volta agli Ateniesi obbediva il re di Macedonia ed era giusto essendo un barbaro che obbedisse ai Greci (24)
[59] Probabilmente del 415 a. C.
[60] Era nato intorno al 485.
[61]M. Detienne - J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.
[62]J. Duflot, Pier Paolo Pasolini. Il sogno del centauro, Roma 1983, in Naldini, Pasolini, una vita , p. 81.
[63] V. Di Benedetto, op. e p. citate sopra.
[64] Il potere verrà demonizzato del tutto da Seneca, " per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile di male - insieme fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia soggettiva" G. Paduano (a cura di), Edipo, p. 9.
[65] Iliade, XI, 832.
[66] Dante, Inferno, XII, 71.
[67] M. Pohlenz, L'uomo greco, p. 624.
[68] Il piacere dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose egregie è denunciato anche da Tacito nell'Agricola:"subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo, et invisa primo desidia postremo amatur " (3), infatti si insinua anche il piacere della stessa passività, e alla fine si ama l'accidia dapprima odiosa.
L'ozio che fa male si trova pure nel carme 51 di Catullo: "Otium, Catulle, tibi molestum est (v.13), lo star senza far niente ti fa male, Catullo.
[69] Dodds, Euripides the irrationalist in The ancient concept of progress, p. 90.
[70] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , pp. 178 - 179.
[71] Pohlenz, La Stoa, 2, 109.
[72] Tou;~ a[ndra~ ajnapevpeiken oujk ei\nai qeouv~: - w[st j oujkevt j ejmpolw`men oujd j ej~ h{misu ( vv. 451 - 452) ha persuaso gli uomini che gli dèi non esistono: - così non vendiamo nemmeno la metà. Ndr.
[73] “E’ su questa linea anche il rimprovero che l’Ifigenia Taurica (380) rivolge ad un’Artemide che respinge da sé ogni impurità, e, nondimeno, si rallegra per i sacrifici umani” (p. 769).
[74] A. Lesky, La poesia tragica dei Greci, p. 770. 
[75] B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo, p. 189.

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