venerdì 14 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 3

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Secondo Atto, scena terza, prima parte (vv. 242-300)

Il topos della neglecta coma
Siro e Dromone, schiavi, e i due giovani figli di babbi benestanti Clinia e Clitifone
 

Gli schiavi annunciano l’arrivo delle ragazze
Siro informa Clinia del fatto che la vecchia tutrice di Antifila non era la madre della ragazza che è rimasta orfana. Poi lo schiavo  procede con il racconto dicendo che, entrati in casa, lui e Dromone hanno visto qual era il modus vivendi e l’indole di Antifila. L’hanno trovata texentem telam studiose tutta intenta al telaio(285) mediocriter vestitam veste lugubri (286) modestamente  vestita a lutto, forse per la morte della madre, sine auro: tum ornatam ita uti quae ornantur sibi, (288), senza gioielli, ordinata come quelle che si tengono in ordine  per sé sole, nulla arte malas expolitam muliebri  (289), per niente donnescamente truccata nelle guance e con il capillus reiectus nrclegenter (290), i capelli lunghi buttati indietro senza attenzione. Questa presentazione dovrebbe essere una garanzia della serietà della ragazza. Le donne truccate dunque erano ancora mal reputate e  forse lo sono tuttora.
 
Sentiamo qualche opinione sul truccarsi delle donne e degli uomini.
Gran virtù della donna per Iscomaco dell' Economico  di Senofonte è la capacità dell'ordine ("tavxi"", VIII, 3) che per gli uomini è la cosa più utile e bella.
Non è invece apprezzato  il trucco poiché per gli umani il corpo umano al naturale è la cosa più gradevole: "oiJ a[nqrwpoi ajnqrwvpou sw'ma kaqaro;n oi[ontai hJvdiston ei\nai" (X, 7). I mezzi della cosmetica dunque sono inganni ("ajpavtai", X, 8) che oltretutto non reggono alla prova della convivenza.
 
Anche l'altro socratico, Platone,  considera la cosmesi non un'arte, ma una prassi irrazionale, la forma di adulazione che sta sotto (uJpovkeitai), si sostituisce, alla ginnastica, per quanto riguarda la cura del corpo, come la culinaria è la contraffazione della medicina. La cosmesi ("hJ kommwtikhv") dunque è "kakou'rgov" te kai; ajpathlh; kai; ajgennh;" kai; ajneleuvqero""(Gorgia , 465b), malvagia e fallace, ignobile e servile, poiché inganna attraverso l'apparenza i colori, la levigatezza e i vestiti, e fa trascurare la bellezza naturale che si ottiene con la ginnastica, mentre con i cosmetici ci appiccichiamo una speciosità esterna. 
 
Torniamo a Senofonte: Iscomaco dunque  consiglia alla moglie di tenersi in esercizio affaccendandosi nei lavori domestici. Infatti quelle che stanno sempre sedute con solennità si espongono ai giudizi come quelle agghindate e ingannatrici (ta;" kekosmhmevna" kai; ejxapatwvsa"", Economico , X, 13).
 
Nei Memorabili  (II, 1, 21-34) Senofonte riferisce, attraverso Socrate, la favola esemplare di Eracle al bivio attribuita a uno scritto del sofista Prodico di Ceo.
 
Intanto il bivio stesso ha un significato e addirittura un'anima:" un ambiente fisico reale-sorgente, primavera, albero, crocicchio- è animato…Le nostre anime sulla terra accolgono la terra nelle nostre anime…La vita ecologica è anche vita psicologica. E se l'ecologia è anche psicologia, allora il "Conosci te stesso" diviene impossibile senza il "Conosci il tuo mondo "[1].
 
Sul bivio dove è arrivato Eracle  ci sono due femmine umane con aspetti e con anime diverse. Anche l'aspetto e l'abbigliamento sono dati psicologici.
 Le due donne parlano all'eroe giovinetto incerto sulla via da prendere indicandogli ciascuna una strada. La prima vuole adescare l' adolescente con la promessa di una vita facile e piacevole. Questa femmina è morbida, prosperosa, quasi opima, truccata nel colorito sì da avere l'aria di apparire più bianca e più rossa del naturale (kekallwpismevnhn de; to; me;n crw'ma w{ste leukotevran te kai; ejruqrotevran tou' o[nto" dokei'n faivnesqai, II, 1, 22) impettita più del conveniente, con gli occhi aperti, e con una veste dalle quali lampeggiava a tutto spiano la sua bellezza (" ejsqh'ta de; ejx h|" mavlista hJ w{ra dialavmpoi", II, 1, 22); inoltre si osservava spesso con compiacimento: guardava se qualcun altro la guardasse e spesso si volgeva alla sua ombra. Costei dagli amici viene chiamata Eujdaimoniva, Felicità, ma dai detrattori, Kakiva, Vizio (II, 1, 27).
 Viceversa la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa Eracle che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica e impegno.
Ella era di natura nobile, ossia pura, pudica, modesta, vestita di bianco (ejsqh'ti de; leukh'/' , II, 1, 22). Il colore bianco è presente in entrambe: il biancore naturale è un segno positivo, luminoso: infatti leukov" è imparentato etimologicamente con il latino lux, lucis ; con l'inglese light e il tedesco Licht che significano appunto "luce".
Ecco dunque una tipica disposizione maschile, o maschilista, avversa al trucco delle donne. 
 
Questo infatti può costituire un indizio di grilli per la testa: il buon Eufileto, il marito cornuto di Lisia ebbe l'impressione che il volto della moglie adultera fosse truccato (" e[doxe dev moi, w\ a[ndre" , to; provswpon ejyumuqiw'sqai, ossia coperto di yimuvqion, una specie di biacca), sebbene il fratello le fosse morto da nemmeno trenta giorni,  ma non disse niente lo stesso ( 14).
 
Un'adultera di mia conoscenza si metteva le calze a rete per dare un segnale di disponibilità.
 
C'è del resto anche un'opinione favorevole al trucco, ed è quella di Ovidio.
 il poeta "donnaiolo" nel poemetto sui cosmetici per le donne li legittima  poiché "culta placent "( Medicamina faciei femineae[2], v. 7) , ciò che è coltivato piace,  e nell'Ars Amatoria  afferma che è proprio l'eleganza a fargli preferire l'età moderna all'antica, presunta aurea:"prisca iuvent alios, ego me nunc denique natum/gratulor: haec aetas moribus apta meis" (III, 121-122), i tempi antichi piacciano ad altri, io mi rallegro di essere nato ora dopo tutto: questa è l'età adatta ai miei gusti, non perché, continua il Sulmonese, terre mari e monti sono stati domati dall'uomo,"sed quia cultus adest nec nostros mansit in annos/rusticitas priscis illa superstes avis " 127-128), ma perché c'è eleganza e non è rimasta fino ai nostri anni quella rozzezza sopravvissuta agli avi antichi.
 Un cultus  che include la coltura del corpo e dello spirito.
"Ordior a cultu[3] . Così Ovidio inizia, dopo il lungo proemio, la precettistica riservata alle donne nel terzo libro dell’Ars amatoria. Cultus , riferito come qui alla vita della donna, indica più  o meno la "cura della persona" e quindi la "raffinatezza"[4].
 
Mazzarino, menzionando gli autori favorevoli alla tecnica, indica Ovidio, "un poeta, non uno storico",  nel quale si trova "una reazione al diffuso concetto di decadenza, ed una esaltazione del progresso tecnico[5], evidente, secondo lui, nell'attività industriale e commerciale sopravvenuta nel suo tempo (l'età di Augusto)[6]. In fondo, si può dire che per l'uomo antico l'idea del progresso tecnico vive accanto a quella di decadenza; e talora è soffocata da questa, e talora, invece, emerge e predomina, senza che questo "dualismo" implichi contraddizioni di notevole importanza"[7].
 
Questa sera andrò a teatro e per l’evenienza ho assunto i miei cosmetici: ho preso il sole pedalando per due ore, ricavandone un poco di abbronzatura e rafforzando la linea. Poi mi sono lavato i capelli. Tale è la cosmesi che pratico da quando ero ragazzo per migliorare il mio aspetto. Sono bello? Non bello: mi piacciono molto le donne e faccio di tutto per essere contraccambiato. Un tempo ci riuscivo piuttosto spesso, ora assai meno ma non ho smesso del tutto.
 
Andiamo un poco avanti con Terenzio
Clinia teme di illudersi ma Siro conferma quanto ha detto, anzi aggiunge che la vecchia filava e le due avevano una ancillula (293) una sola servetta cenciosa, trasandata-neglecta- e pure sudicia (295).
La trasandatezza, non questa della serva ma quella attribuita ai capelli di Antifila poco sopra ( neclegenter al v. 291) può essere pure un’arma di seduzione le la persona appunto non è sudicia.
 
La negligenza può essere un artificio
Fedra,  innamorata di Ippolito, gli dice che suo padre , quando da ragazzo giunse a Creta, era davvero splendido (“Quis tum ille fulsit!”[8]), ma lui, il figlio del raffinato ateniese  e dell’Amazone selvaggia, ha qualcosa in più: “in te magis refulget incomptus decor” (v. 657), in te in più risplende un fascino incurante, poiché hai preso la bellezza di tuo padre e l’inflessibilità della madre scita: “in ore Graio Scythicus apparet rigor” (v. 660). 
Insomma, la negligenza può essere un dato stilistico ricercato, come nel caso di Sofronia della Gerusalemme liberata, "La vergine tra 'l vulgo uscì soletta,/non coprì sue bellezze, e non l'espose,/raccolse gli occhi, andò nel vel ristretta,/con ischive maniere e generose./Non sai ben dir s'adorna o se negletta, se caso od arte il bel volto compose./Di natura, d'Amor, de' cieli amici/le negligenze sue sono artifici" (II, 18).
 
 Faccio un esempio più dettagliato e appropriato ai versi della commedia che stiamo coomentando: il topos della neglecta coma.
Nel I libro dell'Ars amatoria, a proposito degli uomini, Ovidio scrive: "Forma viros neglecta decet; Minoida Theseus/abstulit, a nulla tempora comptus acu;/ Hippolitum Phaedra, nec erat bene cultus, amavit;/ cura deae silvis aptus Adonis erat " (Ars amatoria, I, vv. 507-510), agli uomini sta bene la bellezza trasandata; Teseo rapì la figlia di Minosse senza forcine che tenessero in ordine i capelli sulle tempie; Fedra amò Ippolito e non era gran che curato; Adone, avvezzo alle selve, era oggetto d'amore di una dea.
 
Le donne a loro volta possono affascinare con una trasandatezza apparente:"Et neglecta decet multas coma: saepe iacere/hesternam credas, illa repexa modo est./Ars casum simulet" (Ars amatoria III, 153-155), a molte sta bene anche una chioma trascurata: spesso puoi credere che sia lì dal giorno prima, ma quella è stata appena ripettinata. L'artificio finga di essere casuale.
 
Parini impiega il topos della neglecta coma e delle artificiose negligenze a proposito dell'acconciatura del Giovin Signore suo pupillo:"Ma il crin, Signore,/Forma non abbia ancor da la man dotta/Dell'artefice suo…Non senz'arte però vada negletto/su gli omeri a cader (…) Poi che in tal guisa te medesmo ornato/Con artificio negligente avrai;/Esci pedestre a respirar talvolta/I mattutini fiati (Il mattino[9], vv. 1005 e sgg.).
 
In La montagna incantata di thoas Mann c’è una donna malata a morte Natalia la cui “femminilità di razza (…) trionfava ancora sulla miseria del suo povero corpo e sapeva trasformare in graziosa acconciatura perfino la benda di garza che le avvolgeva la testa anch’essa afflitta da un qualsiasi incomodo ripugnante”[10].
 
Clitifone dice all’amico che la servetta sordidata et sordida (297) , malvestita e lercia è un altro gran buon segno dell’innocenza della padrona: “magnum hoc quoque signumst, dominam esse extra noxiam (298). Se la ragazza permettesse a degli uomini di corteggiarla, questi coprirebbero di ragali l’ancella. E’ la regola disciplinast (Heautontimorumenos 300)  
 

Bologna 14 gennaio 2022 ore 18, 29
giovanni ghiselli
 
Sempre1200846
Oggi248
Ieri456
Questo mese4666
Il mese scorso8985
 
Sto per uscire con la chioma volutamente trascurata. Pulita però. E con la parte scoperta della faccia già discretamente abbronzata e soltanto dal sole che prendo per due ore al giorno pedalando sulle strade più benedette dal dio che nutre la vita. Comincio a godere della “borsa di studio” che Elio mi regala ogni giorno:  un’aggiunta di almeno un minuto di luce rallegrante
Saluti a tutti.
 


[1] J. Hillman, Variazioni su Edipo , p. 96.
[2] Uscito verso l'1 d. C,
[3] Ars amatoria , III, 101.
[4]Conte - Pianezzola, Il libro della letteratura latina, Edizione Modulare,  8, Le Monnier, Firenze, 2001,  p. 513.
[5] Cfr. nel mio Storiografi Greci  (Loffredo, 1999) la scheda Sfiducia nella tecnologia che porta "sviluppo senza progresso" (pp. 140-143).
[6]Ov. A. A. III, 121 sgg. Ovidio nell'Ars amatoria  dice che preferisce il presente(Prisca iuvent alios  (III, 121), le età antiche piacciano ad altri, poiché esso è più raffinato: quia cultus adest  (III, 127) e ha perso quella rozzezza (rusticitas illa  , III, 128  ) tipica del passato. 
[7]S. Mazzarino, Il Pensiero Storico Classico , Laterza, Bari, 1974, I, p. 16.
[8] Seneca,  Fedra, v. 651.
[9] Pubblicato nel 1763.
[10] T. Mann, La montagna incantata, I, p. 345.

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