Giorgio de Chirico, Pilade e Oreste |
Menedemo lamenta la frustrazione della sua gioia precedente: “ah frustra sum igitur gavisus miser”. (857).
Il gaudere deve essere reso funzionale all’intelligenza e alla maturazione come ogni forma di pathos. Gli amori che finiscono dopo averci dato una gioia anche breve bon devono essere mai rinnegati ma contribuire per sempre al nostro potenziamento e progresso.
Tuttavia, continua il padre innamorato del figlio, preferisco qualunque cosa al perderlo: “Quidvis tamen iam malo quam hunc amittere” (858).
Ha imparato dal dolore precedente.
Quindi chiede consiglio all’amico sul da farsi. Comunque non vuole dare un dispiacere al figlio: “ne sentiat me sensisse atque aegre ferat” 860.
Il poliptoto verbale sottolinea la volontà di non affliggere Clina facendogli sapere quanto lui ha saputo.
Cremete rimprovera all’amico l’eccessiva indulgenza: “nimium illi, Menedeme, indulges” 861.
Il fatto è che Menedemo vuole rimediare all’eccessiva severità dell’antefatto.
Ma Cremete non cede: oramai si è iniziato così e vuole percorrere questa sta strada metodicamente, fino in fondo.
Cremete ha visto l’amico risoluto e gli dice che può lasciare credere al figlio che lui crede alla storia delle nozze: “dic convenisse, egisse te de nuptiis” 862, di’ che ci siamo incontrati e che hai trattato per le nozze.
Il matrimonio è anche un affare e richiede trattative. Uno dei motivi per non sposarsi. Non c’è nessuna ragione favorevole a questo costume.
Credo di avere già citato l’Alcesti di Euripide e altri testi con i quali autorizzo questa mia posizione.
Cremete aggiunge che Menedemo può dire al figlio che l’accordo tra i due padri sulle nozze dei figli c’è stato. “Em, istuc volueram” (866), ecco questo volevo, ringrazia l’amico.
Cremete spinge Menedemo ad affrettarsi e questo risponde di nuovo che lo desidera.
Cremete però non rinuncia a metterlo in guardia: “ut istam rem video, istius obsturabere” (obsaturaberis) ne sarai sazio (869). Come di un cibo che mangiato più volte viene a noia, fino al disgusto.
"Il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l'amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione" sostiene il dottor Urbino, "il marito" di un romanzo di Màrquez[1]. Questo è un lavoro che una persona non si sobbarca se ne ha uno migliore
Quindi Cremete suggerisce a Menedemo di dare il denaro cautim et paulatim- si sapies (870-871) con cautela e poco alla volta, se sarai accorto. Medemo promette che gli darà retta-faciam-
Così i due amici si accordano: mentre si apprestano a tornare ciascuno in casa sua, Cremete promette a Menedemo il suo aiuto:“Ego domi ero, siquid me voles (872) e il padre di Clinia risponde: “Sane volo” certo che voglio, poi aggiunge: “Nam te scientem faciam , quidquid egero” 873, infatti ti metterò al corrente di ogni mia azione. L’amicizia tra questi due vecchi ricorda quella tra Pilade e Oreste in diverse tragedie
L’amicizia è tenuta in maggior conto della parentela da Oreste e da Euripide il quale nell'Oreste[2] fa dire al protagonista, in lode dell'amicizia di Pilade: "acquistate amici, non solo parenti:/poiché chiunque collimi nel carattere, pur essendo un estraneo,/è un amico più caro ad aversi di mille consanguinei (murivwn kreivsswn oJmaivmwn ajndri; kekth`sqai fivlo~)" (vv. 804-806)
Fine del IV atto
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] L'amore ai tempi del colera, p. 222.
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[2] Del 408
a. C.
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