venerdì 7 gennaio 2022

La Commedia Nuova. Introduzione

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Avvertenza: questa introduzione contiene diversi nomi di autori e
 titoli di testi che non ci sono arrivati. Non è mio costume elencare nomi e titoli annoiando me stesso e non dando niente ai miei allievi.
Perciò  nel fare lezione, il 25 gennaio, mi soffermerò sulle critiche fatte alla commedia nuova da autori di valore dei quali abbiamo i testi: Nietzsche, Oscar Wilde, Leopardi.
Il resto può essere utile per una consultazione e lo lascio in questo post.
 
Menandro di Atene (342-291) è il principale autore della Commedia Nuova.
Di Menandro commenteremo il Dyskolos, e gli Epitrepontes.
 
Aristotele nell'Etica Nicomachea  distingue solo la commedia Antica dalla Nuova, ma in una tripartizione successiva  c’è una  fase intermedia: la  Commedia di mezzo, caratterizzata dalla parodia mitologica e, quindi, dall'abbandono dei temi collettivi e politici del dramma di Aristofane.
Del resto forti segni di cambiamento sono già presenti nei suoi ultimi lavori : le Ecclesiazuse  (del 392) e il Pluto  (del 388) non hanno la parabasi e presentano le parti corali ridotte a semplici intermezzi.
 
Questo significa che la commedia agli inizi del IV secolo ha preso la strada che la distingue dal dramma del periodo precedente.
 D’altra parte il processo di riduzione del peso del coro comincia già con Eschilo, secondo Nietzsche.
 
La commedia di mezzo
 
Noi dunque manteniamo lo schema ternario che risale ai grammatici dell'età dell’imperatore Adriano (117-138) , probabilmente sulla scia di quelli Alessandrini, e datiamo la Commedia di mezzo negli anni compresi fra il 385 e il 330.
 
Aggiungiamo una triade di nomi per fare il verso a Orazio : Alessi originario di Thuri 372- 270;  sarebbe stato zio di Menandro.
Poi Antifane e Anassandride.
 
Di questi autori ci restano solo frammenti dai quali si individuano, oltre le parodie mitologiche di cui si è detto, anche scene di vita quotidiana, mentre si  riduce ancora la partecipazione del coro all'azione, in quanto i canti corali tendono a diventare solo intermezzi (  jembovlima), e spariscono gli attacchi personali a uomini politici, sostituiti da filosofi, soprattutto pitagorici e accademici.
Del resto questo elemento non mancava in Aristofane, come abbiamo visto dalle Nuvole Inoltre si sviluppano i tipi fissi quali il soldato gradasso e sbeffeggiato che d'altra parte ha un precedente nel Lamaco degli Acarnesi . Anche la parodia mitologica non mancava nella Commedia Antica: Aristofane nelle Rane  rappresenta Dioniso che  fugge terrorizzato tra le braccia del suo sacerdote (v. 297) e che viene apostrofato dal servo Xantia  con:
" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 487).
Il dio se l'era voluta, cacandosi addosso dalla paura (479).
 
Le corrispondenze tra questi presunti innovatori e il vecchio Aristofane non sono finite: Antifane in un frammento proclama beati i tragediografi i quali non devono inventare la trama dei loro drammi poiché la prendono già tessuta dal mito e quando si trovano negli impicci ricorrono al deus ex machina , mentre i poveri commediografi devono creare tutto ex novo .
Si ricorderà che il poeta delle Nuvole  rivendica, senza lamentarsene, la propria eccezionale inventiva e laboriosità.
 
Anassandride fece drammi con intrighi amorosi. L’amore non manca mai nelle commedie di Menandro.
 
Di  Alessi della Magna Grecia ricordiamo la commedia intitolata Lino che narra un caso avvenuto al mitico citarista che dava lezioni a Eracle e voleva fargli leggere i poeti, mentre lo scolaro affamato era attratto solo da un libro di cucina.
Nella commedia Lino di Alessi (380-270 a. C., autore della commedia di mezzo, zio o maestro di Menandro) l’autore narra che il mitico citarista dava lezioni a Eracle e voleva spingerlo a leggere i poeti, ma lo scolaro, spinto dalla voracità, prese dalla biblioteca L’arte di cucinare di un certo Simo (fr. 140 K. –A.).
 
Non mancano nel repertorio di questi poeti il travestimento derisorio di tragedie note, soprattutto di Euripide che, presente nei drammi di Aristofane come bersaglio polemico, diviene il modello prediletto da tutti i commediografi successivi.
 
La commedia nuova
La Commedia Nuova (databile dal 325 alla metà del III secolo) è più conosciuta della precedente sia per le recenti scoperte papirologiche di testi di Menandro sia per i rifacimenti latini di drammi degli altri due della triade: Filemone e Difilo, contemporanei del primo.
 
In questo caso però dobbiamo aggiungere almeno un paio di nomi poiché Terenzio prese come modelli del Phormio  e dell' Hecyra   due commedie di Apollodoro di Caristo (Colui che reclama  e la Suocera).
  Plauto  per l' Asinaria  utilizzò l'Asino selvatico  di Demofilo, entrambi  posteriori a Menandro di una trentina d'anni.
 
In questa terza fase, il coro non prende nessuna parte all'azione ma riempie gli intervalli con canti e danze; gli attacchi personali sono sempre più rari e innocenti, in quanto indirizzati soprattutto  a etère e parassiti. Rimane però un tratto caratteristico della Commedia antica: quello di un personaggio che si rivolge agli spettatori invocati come testimoni o giudici.
 
 Il modello di questi autori è più che mai Euripide: al punto che Filemone "voleva farsi subito impiccare, soltanto per poter visitare Euripide nel mondo infero: purché potesse essere veramente persuaso che l'estinto conservava ancora laggiù le sue facoltà intellettuali".
Sono parole di Nietzsche il quale in La nascita della tragedia  (11) parla della commedia nuova, "che venerava nella tragedia la sua precorritrice e maestra", come di una "figura degenerata" del dramma euripideo e spiega:"Dato questo legame che intercorre fra le due forme è comprensibile l'appassionata simpatia che i poeti della nuova commedia sentivano per Euripide...Ma volendo indicare con la massima brevità...ciò che Euripide ha di comune con Menandro e Filemone e che cosa agì su di loro come modello e li spronava all'imitazione, basterà dire che Euripide ha portato sulla scena lo spettatore...la maschera fedele della realtà. L'uomo comune penetrava attraverso lui sulla scena; lo specchio in cui prima non apparivano che tratti grandiosi e audaci ora mostrava soltanto quella penosa fedeltà che riproduce coscienziosamente anche i tratti non riusciti della natura. Odisseo...decadde sotto le mani dei nuovi poeti fino ad assumere la figura del greculo, che d'ora in poi starà al centro dell'interesse drammatico come schiavo domestico bonario e scaltro.
Ciò che Euripide ascrive a proprio merito nelle Rane  di Aristofane", quando si vanta di avere reso snella la tragedia (v. 941) , " e cioé di avere liberato, con le sue ricette casalinghe, l'arte tragica dalla sua pomposa corpulenza, si sente soprattutto nei suoi eroi tragici.
Ora lo spettatore vedeva e sentiva sulla scena quasi un proprio fedele doppione".
 
Tale realismo dunque può definire anche i poeti della Commedia nuova, tanto che il filologo Aristofane di Bisanzio, prefetto della grande biblioteca di Alessandria vissuto tra il III e il II secolo (257-180)  ebbe a domandare: " w\  Mevnandre kai; bive povtero" a[r uJmw'n povteron ajpemimhvsato;", o Menandro, o vita, chi di voi due ha imitato l'altro? 
Sono parole echeggiate da Cicerone che nella Repubblica  (IV, 13) definì la commedia:"imitationem vitae , speculum consuetudinis, imaginem veritatis ".
 
E' opportuno a questo punto un excursus su Oscar Wilde il quale in La decadenza della menzogna  (del 1889) dà la risposta paradossale a questa domanda retorica:"la  vita imita l'arte assai più di quanto l'arte imiti la vita...Un grande artista inventa un tipo, e la vita tenta di copiarlo, di riprodurlo in forma popolare...I greci, con il loro rapido istinto artistico, capirono questo, e mettevano nella stanza della sposa la statua di Ermes o di Apollo, affinché ella potesse generare figli altrettanto ben formati delle opere d'arte che contemplava nell'estasi o nel dolore. Sapevano che la vita non solo guadagna dall'arte la spiritualità, la profondità del pensiero e del sentimento, il turbamento o la pace dell'anima, ma che essa può formarsi sulle stesse linee e colori dell'arte, e può riprodurre la dignità di Fidia come la grazia di Prassitele...Schopenhauer ha analizzato il pessimismo che caratterizza il pensiero moderno, ma Amleto lo ha inventato. Il mondo è diventato triste perché una volta una marionetta fu malinconica.
Il nichilista, quello strano martire che non ha fede, che va al patibolo senza entusiasmo, e muore per quello in cui non crede, è un prodotto puramente letterario. Esso fu inventato da Turgenev e completato da Dostoevskij"(pp.222-224). 
 
 Da Euripide questi autori invero non hanno preso solo il realismo delle situazioni ma anche elementi strutturali come il Prologo che, recitato spesso da una divinità o da un elemento personificato della natura, informa sull'antefatto del dramma, o anche alcuni aspetti del contenuto quali l'interesse per i fatti amorosi, le vicende familiari, la psicologia dei personaggi, e il linguaggio naturalistico, non lontano da quello parlato.
 
Ora diamo qualche notizia su Filemone e Difilo, quindi passeremo a Menandro con i suoi testi.
 Filemone era originario di Siracusa dove nacque intorno al 360 a. C. ma passò quasi tutta la vita ad Atene dove morì quasi centenario. Quintiliano (Institutio Oratoria , X, 1, 72) ci informa che spesso fu preferito a Menandro, ingiustamente dai critici del suo tempo, ma più tardi, con il consenso di tutti, meritò di essere considerato secondo:"Philemon, qui ut prave sui temporis iudiciis Menandro saepe praelatus est, ita consensu tamen omnium meruit credi secundus ".
 
Di questo autore ci sono arrivati una sessantina di titoli e numerosi frammenti. Ricordiamo tre titoli di drammi utilizzati da Plauto: l'  [Emporo", il Mercante da cui deriva il Mercator  , lo Qhsaurov", il Tesoro, modello del Trinummus  (I tre soldi)
 E  il Favsma, il Fantasma, modello della Mostellaria  (la commedia del fantasma: mostellum ).
Plauto ha poi derivato le Bacchides dallo Di;ς ejxapatw̃n di Menandro, “Colui che inganna due volte.
Il Favsma è forse di Menandro
 
Leopardi nello Zibaldone  (pp. 41-42) indica, insieme con altri testi, un frammento di Filemone come esempio del fatto che "il ridicolo degli antichi comici...consistea principalmente nelle cose, e il moderno nelle parole...quello degli antichi era veramente sostanzioso, esprimeva sempre e mettea sotto gli occhi per dir così un corpo di ridicolo, e i moderni mettono un'ombra uno spirito un vento un soffio un fumo. Quello empieva di riso, questo appena lo fa gustare e sorridere, quello era solido, questo fugace...quel de' greci e latini è solido, stabile, sodo, consiste in cose meno sfuggevoli, vane, aeriformi, come quando Luciano nel Zeu;" ejlegcovmeno" paragona gli Dei sospesi al fuso della Parca ai pesciolini sospesi alla canna del pescatore. Ed erano i gr. e lat. inventori acerrimi e solertissimi di queste immagini, di queste fonti di ridicolo e ne trovavano delle così recondite, e nel tempo stesso così feconde di riso ch'è incredibile come in quel frammento di Filemone comico".
Leopardi si riferisce al fr. 79 Kock, vv. 10-16 dello Stratiwvth", dove Filemone stabilisce un paragone tra un convitato che scappa inseguito dagli altri dopo avere arraffato un boccone ghiotto, e una gallina che fugge tenendo nel becco qualche cosa di troppo grande per essere inghiottita, e viene incalzata da un'altra che vuole strapparle il cibo. Insomma "quel motteggiare era più consistente più corputo, e con più cose che non il moderno".
 
Difilo nacque intorno alla metà del IV secolo a Sinope sul Ponto da dove si trasferì presto ad Atene. Morì a Smirne, sulla costa ionica dell'Asia minore agli inizi del III secolo. Ci sono arrivati una sessantina di titoli e frammenti meno numerosi ma più estesi di quelli di Filemone. Una delle sue commedie aveva come protagonista la poetessa Saffo corteggiata da Archiloco e Ipponatte.
 
Plauto nei Commorientes imitò i Sunapoqnhvskonte" coloro che vogliono morire insieme di Difilo , dramma dal quale Terenzio tradusse "verbum de verbo " parola per parola un "locus ", una scena,  che Plauto lasciò "integrum " intatta,  e per questo poté essere inserita, con una contaminatio , negli Adelphoe  (Prologo, vv. 9-11) del resto ricavati dagli  jAdelfoiv di Menandro.
Plautus cum latranti nomine (Casina, 34) utilizzò Difilo anche per  Rudens  ( La gomena,  ma non si conosce il titolo del modello) e per la Casina  la sua ultima commedia, del 185. Càsina è la ragazza del caso, derivata dai Klhrouvmenoi , (Coloro che tirano a sorte). Anche la Vidularia  (La commedia del baule, vidulus , è modellata su una commedia di Difilo, Scediva, la Zattera.
 
Fine di questa introduzione povera di idèe e di testi a parte Nietzsche, Wilde e Leopardi. Devo dirlo e scusarmi.
Me lo ha insegnato un’allieva di terza liceo al Minghetti, nel 1976, quando ero ancora inesperto e snocciolavo i nomi come avevano fatto i miei docenti con me.
 Tanti titoli e nomi, nessuna citazione di testi.
La ragazza dunque disse che facendo tale tipo di lezione non davo niente a loro, agli allievi. Compresi subito che aveva ragione, gliela diedi e mi corressi.
Correggetemi ancora se vi annoio. Ve ne sarò grato. Annoiare è il crimine degli imbecilli.
 
Bologna 7 gennaio 2021 ore 10, 56
giovanni ghiselli  

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