Megadoro Euclione
Senes duo
Megadoro parla tra sé sull’argomento dote. La figlia di Euclione va bene: “Euclionis filiam- laudant” 475-476. La ragazza è reputata come si deve.
Il riscontro dell’approvazione sociale fa sempre un certo.
effetto.
Megadoro si propone come modello perché non ha preteso la dote della ragazza che lui crede povera, mentre lui ricco: “Nam meo quidem animo si idem faciant ceteri, -opulentiores pauperiorum filias-ut indotatas ducant uxores domum, -et multo fiat civitas concordior-, et invidia nos minore utamur quam utimur, et illae malam rem metuant quam metuunt magis, et nos minore sumptu simus quam sumus” (478-483) In effetti, almeno a parer mio, se altri facessero la stessa cosa cioè che i più ricchi sposassero le figlie senza dote dei più poveri, la cittadinanza sarebbe più concorde e noi saremmo meno soggetti all’invidia di come siamo e quelle avrebbero paura di comportarsi male più di quanta ne hanno ora e noi avremmo spese minori di adesso.
Euclione suggerisce una panacea contro le disuguaglianze che creano problemi alla città.
E’ una soluzione semplicistica e pure difficilmente realizzabile.
In questo progetto mancano l’intesa e l’amore . E’ come quando si parla di scuola senza nominarne la quintessenza: l’educazione.
L’intesa tra i coniugi che è il principio vitale del matrimonio.
Nell'Andria di Terenzio Panfilo, parlando con Miside, la serva dell'amata Glicerio, le chiede di riferire alla padrona che non la abbandonerà mai:" conveniunt mores. Valeant/ qui inter nos discidium volunt: hanc nisi mors mi adimet nemo "(696-697), i nostri caratteri vanno d'accordo. Vadano a farsi benedire quelli che vogliono una rottura tra noi: questa non me la strapperà nessuno tranne la morte.
Il termine discidium , dal verbo scindere , significa lo spezzarsi, o il taglio (cfr. discindere, tagliare) di un filo troppo teso in due parti i cui capi si possono riannodare; mentre il divortium implica il volgersi altrove (divertere ) e non incontrarsi più.
Quando cè il divortium, divertunt mores.
Ma quando conveniunt mores i caratteri si accordano non ci sarà nemmeno discidium.
In modo simile a Terenzio, Kierkegaard afferma:" sincerità, apertura di cuore, rivelarsi, intendendersi, ecco il principio vitale del matrimonio, senza le quali cose esso è contrario alle regole della bellezza e, propriamente, amorale, perché così si separa ciò che l'amore congiunge, il sensuale e lo spirituale...L'intesa, ecco dunque il principio vitale del matrimonio"[1].
Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"[2]. Dote o non dote.
Mores del resto comprende anche le abitudini che sono condizionate dalle rispettive situazioni economiche e se queste sono molto differenti comportano abitudini diverse, cosa che può portare problemi seri, grandi ostacoli all’intesa.
Il matrimonio è comunque una gara dura per gli esseri umani:"mevga" ga;r ajgw;n gavmo" ajnqrwvpwn", sostiene Antifonte sofista[3].
"Il problema del matrimonio è che finisce tutte le notti dopo che si è fatto l'amore, e bisogna tornare a ricostruirlo tutte le mattine prima della colazione" sostiene il dottor Urbino, "il marito" di un romanzo di Màrquez[4].
Nel primo romanzo della sua Ricerca Proust racconta le difficoltà dell’intesa tra due amanti che hanno esperienze e pure educazioni molto diverse tra loro
Nella parte seconda del primo volume, (Un amore di Swann), al ricco, colto e affinato ebreo borghese arrivò un biglietto dalla cocotte Odette. Swann aveva dimenticato il portasigarette a casa di lei e Odette gli aveva scritto: “aveste scordato anche il vostro cuore, non vi avrei lasciato riprenderlo”.
La donna aveva cercato di dare “una parvenza di disciplina a certi caratteri informi, che per occhi meno parziali avrebbero forse notato il disordine della mente, l’insufficienza della educazione, la mancanza di franchezza e di volontà (La strada di Swann, p. 237).
Odette aveva colpito Swann perché aveva notato in quella donna una somiglianza con Sefora, la figlia di Jetro, raffigurata da Botticelli nella Cappella Sistina (1481). E’ la vita talora che imita l’arte.
Torniamo al monologo di Megadoro e al problema della dote
Le divites dotatae (489) le ricche con dote sposino pure chi preferiscono- dum dos ne fiat comes purché non portino con sé la dote.
In questo modo mores meliores sibi-parent , pro dote quos ferant quam nunc ferunt” (492-493) si procurerebbero da portare doti migliori di quelle che portano ora.
Sulle indotatae dal padre sentiamo altri autori
Valerio Massimo ricorda che il senato liberalitate sua con la propria generosità sopperì alla mancanza di dote di Fabrizio Luscino e di Scipione perché questi condottieri non avevano altro eredità da lasciare alle figlie praeter opimam gloriam che la grande gloria militare (Factorum et Dictorum memorabilium, IV, 4, 10).
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La figlia di Scipione e i figli di lei, i Gracchi, ereditarono dal padre e dal nonno questa gloria senza denaro.
Seneca nella Consolazione alla madre Elvia ricorda questi episodi e li commenta scrivendo: “O felices viros puellarum , quibus populus Romanus loco suoceri fuit!” (12, 6), O beati i mariti di quelle fanciulle ai quali il popolo romano fece da suocero!
Sulla dote ha scritto parole interessanti Tacito nel capitolo 18 della Germania
“Tuttavia là i matrimoni sono una cosa molto seria, e non potresti approvare di più alcun aspetto dei loro costumi. Infatti quasi i soli tra i barbari si accontentano di una moglie a testa, eccetto pochissimi che, non per libidine ma per la nobiltà, sono richiesti con moltissime offerte matrimoniali. La dote non è la moglie che la porta al marito ma il marito alla moglie-Dotem non uxor marito sed uxori maritus offert.. Partecipano i genitori e i parenti e apprezzano i doni, doni non scelti per i capricci delle donne, né tali che con essi la nuova sposa si acconci, ma dei buoi e un cavallo imbrigliato e uno scudo con lancia e spada. In cambio di questi doni si prende la moglie, ed ella stessa a sua volta porta qualche arma all'uomo: questo reputano il legame più saldo, questi i riti segreti, questi gli dei coniugali.
Perché la donna non si consideri esente dai pensieri di valore e dalle vicende della guerra, è avvisata, dalla stessa cerimonia augurale del primo momento del matrimonio, che viene quale compagna di fatiche e di pericoli e che accetterà le medesime condizioni in pace e correrà i medesimi rischi in guerra: questo significano i buoi aggiogati, questo il cavallo bardato, questo le armi donate.
Così deve vivere, così morire; ella riceve una tradizione da trasmettere ai figli intatta e degna, che le nuore poi ricevano, e a loro volta consegnino alle nipoti.
giovanni ghiselli 26 gennaio 2022-
giovanni ghiselli
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