lunedì 17 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 8

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Atto III scena prima ( parte terza 495-511)


Menedemo ha tanta voglia e fretta di ritrovare il figlio da chiedere a Cremete, che gli ha rivelato la preparazione di un imbroglio , di lasciarli fare subito perché vuole dare al figlio quello che vuole pur di rivederlo presto: id ut maturent facere (496): cupio illi dare -quod volt, cupio ipsum iam videre (496-497).

E’ il tanto peggio tanto meglio di un amore non contraccambiato o di un malato che affronta un’operazione molto rischiosa nella speranza di un miglioramento mettendo sulla bilancia il tutto per tutto. O la va o la spacca si diceva una volta. E’ quanto sta facendo in questi giorni l’ottantacinquenne Berlusconi. 
Cremete si allontana dicendo che aveva promesso di fare da arbitro tra due vicini i quali disputano sui confini ambĭgunt de finibus (499). Andrà a disimpegnarsi chiedendo un rinvio per aiutare l’amico. Gli promette continuo hic adero (502) tornerò subito. Menedemo lo ringrazia e rimasto solo dice a se stesso che la natura umana è fatta in maniera tale che uno vede e giudica meglio i fatti degli altri che i propri. Cfr. Cicerone Tusculanae: “est enim proprium stultitiae aliorum vitia cernere , oblivisci quorum” (III, 30, 73). 

 In effetti è cosa elegante e intelligente denunciare pubblicamente le proprie carenze magari poi smentendole con le azioni compiute, con le cose ben fatte. E’ un’astuzia anche produttiva. Menedemo spiega questo oscuramento della vista, la “mala luce” dei presbiti, con l’emotività dovuta al gaudium o alla aegritudo. A parer mio questa cecità sui propri difetti è spesso una viltà o una reticenza dovuta al fatto che non abbiamo la forza di riconoscerli pubblicamente per poterli affrontare e superare. Conosciamo i nostri vizi ma non vogliamo farli conoscere agli altri e nemmeno a noi stessi. “Siamo pieni di vizi, di ticchi, di orrori” (Pavese Lavorare stanca, Antenati, 36).
Ma quello che siamo è il nostro carattere, il nostro destino. Ancora Pavese: “Agiamo sempre nel senso del destino. Le due cose sono una cosa sola. Chi si sbaglia è chi non capisce ancora il suo destino. Cioè non capisce qual è la risultantedi tutto il suo passato - che gli segna l’avvenire. 
Ma lo capisca o no, glielo segna lo stesso. Ogni vita è quello che doveva essere (Il mestiere di vivere, 31 marzo, 1946) 

Infine il padre di Clinia riconosce invece la maggiore capacità di giudizio di Cremete rispetto alla propria.
Torna Cremete dicendo che si è disimpegnato per essere libero di aiutare l’amico - dissolvi me , otiosus operam ut tibi darem (508).
Questo è un otium cum digitate. I miei sono lo studio, lo scrivere, la bicicletta, la corsa, il cinema, il teatro. Tutto ciò da cui imparo. Negotium è raccontare quanto ho imparato tenendo conferenze. 
Una volta otia e negozia erano i corteggiamenti.

Cremete aggiunge che vuole dare istruzioni a Siro. Sente dai colpi alla porta che il servo sta uscendo di casa ed esorta l’amico a rientrare in casa sua-ut ne nos inter nos congruere sentiant (511) perché non si accorgano che ci siamo accordati.


Bologna 17 gennaio 2022 ore 10 
 giovanni ghiselli 

 p. s. Avrei dovuto concludere questa scena ieri sera, ma alle 20, 20 ho staccato per andare a vedere la nuova versione di West side story. La vecchia mi era piaciuta molto e anche questa non è male. Ci sono balli di donne belli assai.

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