NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 27 gennaio 2022

La superstizione ha diversi aspetti e funzioni varie


 

Teofrasto ridicolizza il superstizioso  deisidaivmwn nel XVI dei suoi Caratteri ( 320 a. C. ca) e definisce la deisidamonivadeiliva pro;" to; daimovnion”(XVI, 2), viltà di fronte al soprannaturale. Ma il superstizioso non è un malvagio. E’ solo buffo: “se una donnola (galh') gli attraversa la strada non va avanti prima che sia passato un altro di là o prima di avere gettato tre sassi oltre quel tratto di strada (3).

 

Polibio  sostiene che la deisidaimoniva (6, 56, 7), la superstizione, se altrove può essere oggetto di biasimo, a Roma tiene insieme lo Stato:" kaiv moi dokei' to; para; toi'" a[lloi" ajnqrwvpoi" ojneidizovmenon tou'to sunevcein ta;    JRwmaivwn pravgmata”.

 

Presso i Romani questa parte della cultura viene esaltata ( " ejktetragwv/dhtai", 8) e introdotta nella vita pubblica e privata tanto da non lasciarne una maggiore. A Polibio sembra che ciò sia stato fatto "tou' plhvqou" cavrin"(9), per la massa. Se infatti fosse possibile mettere insieme uno Stato di uomini saggi, probabilmente una soluzione del genere non sarebbe necessaria, ma poiché ogni massa è leggera ("  ejlafrovn") piena di desideri sregolati ("plh're" ejpiqumiw'n paranovmwn"), di impulsi irrazionali e passioni violente, non resta che trattenerle con oscuri terrori e con tale apparato da tragedia ("leivpetai toi'" ajdhvloi" fovboi" kai; th'/ toiauvth/ tragw/diva/ ta; plhvqh sunevcein", VI, 56, 11). Questa è la ragione per cui gli antichi ("oiJ palaioiv", 12) hanno introdotto nelle plebi le nozioni riguardo agli dèi e le credenze sull'oltretomba. Male fanno i contemporanei ("oiJ nu'n") a bandirle in maniera scriteriata e irrazionale ("eijkh'/ kai; ajlovgw""). Per confermare  queste parole greche del tempo della repubblica romana ne cito alcune latine di Curzio Rufo, della prima età imperiale (I d. C.):" Nulla res multitudinem efficacius regit quam superstitio: alioqui impotens, saeva, mutabilis, ubi vana religione capta est, melius vatibus quam ducibus suis parte "(Historiae Alexandri Magni , IV, 1O), nessuna cosa meglio della superstizione governa la moltitudine: altrimenti sfrenata, crudele, volubile, quando è afferrata da una vana religione, obbedisce più facilmente agli indovini che ai suoi capi.   

C'è dunque un metodo  nella follia della superstizione se considerata dalla prospettiva di chi la diffonde.

 

E' la ragione già svelata da Crizia nel dramma satiresco Sisifo  che contiene la teoria razionalistica dell'utilità politica della religione la quale è un'invenzione geniale e valida a frenare i male intenzionati con la paura dei castighi:"mi sembra che prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i malvagi ci fosse uno spauracchio ("ti dei'ma") anche se fanno o parlano o pensano qualche cosa furtivamente("lavqra/")[1].

 

Un argomento che in epoca moderna viene ripreso da Machiavelli i cui legami con Polibio indicheremo, precisandoli, anche più avanti. Ebbene l'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio  verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella...E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che "ricorrono a Dio" ne nomina due  che conosciamo bene: Licurgo e Solone. Infine tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione".

 

Plutarco  nota che Alessandro era diventato taracwvde~ kai; perivfobo~ (Vita di Alessandro, 75), incerto e pauroso, da quando si era affidato ai segni divini. Quindi lo storico aggiunge questo commento: se l’incredulità (ajpistiva) e il disprezzo (perifrovnhsi~) nei confronti del divino è terribile (deinovn), terribile d’altra parte è anche la superstizione (deinh; d j au\qi~ hJ deisidaimoniva) che come la pioggia cade sempre sul terreno depresso (divkhn u{dato~ ajei; pro;~ to; tapeinouvmenon, 75, 2).   

 

Invero Alessandro divenne pauroso quando stava male. Poco prima che il Macedone morisse a Babilonia, nel giugno del 323,  l'indovino Pitagora aveva trovato nelle vittime sacrificali un fegato senza lobi h|par a[lobon (Vita, 73, 5).  Alessandro si spaventò e disse papai; ijscuro;n to; shmei'on, ahi, un segno forte! Il giovane eroe aveva compiuto il suo destino, si sentiva la morte addosso non era più se stesso, perché questa volta non ebbe la forza di volgere il segno in proprio favore.

Nel 331 l'eclissi di luna non lo aveva spaventato, anzi.

Passato il Tigri, Alessandro si fermò due giorni. La luna deficiens provocò formido tra le truppe (Curzio Rufo Historiae Alexandri Magni IV, 10, 2 )

Il capo invece, senza scomporsi, ad omnia interritus (IV 10, 4), chiamò i vati egiziani i quali pur conoscendone le vere cause, dissero, per suo suggerimento, che l’eclissi di luna era un brutto segno per i Persiani.

"Il successo e la fortuna sono in noi. Noi dobbiamo tenerli: saldi, profondamente. Appena qua dentro qualche cosa comincia a cedere, a stancarsi, a perder forza, tutti intorno a noi si sentono liberi, si ribellano, recalcitrano, si sottraggono al nostro influsso. Allora un guaio viene dopo l'altro, batoste su batoste, e si è liquidati"[2].

Bologna 27 gennaio 2022 ore 17, 49

giovanni ghiselli

p. s.

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 [1] Sono parole di un frammento  (25 D. K.) del dramma satiresco, una quarantina di versi tramandati da Sesto Empirico, filosofo scettico della seconda metà del II secolo d. C.

[2] T. Mann, I Buddenbrook, p. 276.

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