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Un'espressione del genere si confà a un analogo personaggio di Terenzio: Demea degli Adelphoe che dice di sé (866-868):
"ego ille agrestis, saevos, tristis, parcus, truculentus, tenax,
duxi uxorem: quam ibi miseriam vidi! Nati filii;
alia cura ", io quel rozzo campagnolo, disumano, tetro, avaro, duro, testardo, ho preso moglie: quale miseria ci ho trovato! Sono nati i figli; altra preoccupazione.
Questa descrizione invero deriva dal
fr. 11 Körte. di Menandro:" jEgw; d j a[groiko", ejrgavth", skuqrov" , pikrov", feidwlov"", io villano, lavoratore, arcigno, duro, tirchio. Come si vede le stesse cose, e gli stessi tipi ritornano.
Sicché la moglie di Cnemone lo ha lasciato; ha lasciato la bambina con il padre ed è andata a vivere con il figlio su un piccolo podere nelle vicinanze dove i due si mantengono a stento. Per fortuna:
"il ragazzo ha cervello al di sopra della sua età:
infatti l'esperienza delle difficoltà fa crescere"
("proavgei ga;r hj tw'n pragmavtwn ejmpeiriva", v. 29).
Ecco dunque che pure in questa commedia si annida la formula delfica che è la fondamentale legge tragica codificata da Eschilo nell'Agamennone (v. 177) con le parole:"tw'/ pavqei mavqo"", attraverso la sofferenza la comprensione.
Ma il vecchio è ancora lontano dalla resipiscenza, da quell’ "ora comprendo" che rende pure l’egoista e stupido Admeto meritevole di grazia ( cfr. Alcesti, a[rti manqavnw, v. 940).
Ottima invece è la ragazza figlia del mosantropo, una parqevno" la quale "in conseguenza dell'educazione ricevuta non sa nulla di cattivo"(35-36). E' strano che una giovane crescendo in un'ambiente del genere possa fruire di una buona educazione, ma intanto, come specificherà più avanti Menandro, il padre è "selvaggio" sì, però è anche un "nemico della malvagità" .
La ragazza dunque non è stata educata tra le donne ma liberamente in certo modo, e con un padre selvaggio che odia il male(mh; ga;r ejn gunaixi;n ejstin hJ kovrh-teqrammevnh (…) ejleuqerivwς dev pwς meta; patro;ς ajgrivou misoponhvrou tw' trovpw ( 384ss)
L’educazione delle fanciulle
Dietro l'approvazione di tale paideia per le fanciulle c'è la filosofia del Peripato: Barigazzi (La formazione spirituale di Menandro) ci informa che Teofrasto in un frammento consiglia di tenere le bambine chiuse in casa perché crescano riservate e pudiche. La moglie infatti deve essere scelta per la modestia, la scarsa loquacità, e l'indole buona. Alla donna dunque non servono grandi qualità intellettuali.
Affermazione dalla quale, sia chiaro, dissento con forza.
Nella seconda parte dell'Economico (capp. VII sgg.) di Senofonte, Socrate riferisce un dialogo tenuto con Iscomaco che è un gentiluomo (kalo;" kai; ajgaqov" ) di campagna. Quest’uomo considera l'agricoltura come la più nobile tra le attività economiche perché produce ricchezza e pure uomini nobili, pronti a difendere la patria.
Secondo Iscomaco la sposa deve occuparsi dei lavori interni alla casa, mentre il marito seguirà quelli esterni. Infatti per la donna è più bello restare dentro casa che vivere fuori ("Th'/ me;n ga;r gunaiki; kavllion e[ndon mevnein hj; quraulei'n", Economico , VII, 30) mentre per l'uomo è più vergognoso rimanere in casa che impegnarsi nelle cose esterne.
Iscomaco racconta che, quando si era sposato, sua moglie non aveva ancora 15 anni : “ h] e[th me;n ou[pw pentekaivdeka gegonui'a h\lqe pro;ς ejmev”, e nel tempo precedente viveva sotto un’assidua sorveglianza “o{pwς w;ς ejlavcista me;n o[yoito, ejlavcista d j ajkouvsoito, ejlavcista d’ ejrhvsoito” (VII, 4), perché vedesse il meno possibile, ascoltasse il meno possibile, domandasse il meno possibile .
Nel Duvskolo" di Menandro Sostrato, l'innamorato e pretendente della figlia del misantropo, in un breve monologo, elogia l'educazione presumibilmente ricevuta dalla ragazza la quale è una meraviglia perché il padre l’ha fatta crescere tenendola sola con sé e isolandola dal consorzio umano:"Se questa fanciulla non è stata educata tra le donne e non conosce nessuno di questi mali nella vita, e non è stata terrorizzata da qualche zia e balia, ma è venuta su liberamente con questo padre selvaggio che odia il male, come potrebbe non essere la mia felicità unire la mia sorte alla sua?" (vv. 384-389).
Una bella sentenza di Menandro ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che in natura "niente è tanto congeniale come l'uomo e la donna, a guardarci bene".
La ragazza in questione è pure pia; anche per questo riesce simpatica a Pan il quale intende proteggerla e favorirla: al punto che ha fatto innamorare di lei "un giovane figlio di un uomo ricco"(39-40) che passava di là.
Finito il prologo, entra per l'appunto l'innamorato, Sostrato, accompagnato da Cherea, parassita e amico. Quest'ultimo distingue l'amore per l'etèra che va soddisfatto subito:"infatti il temporeggiare fa crescere di molto la passione"(62) da quello per la ragazza libera: allora è necessario informarsi "sulla famiglia, i beni, i costumi"(65-66).
Una prassi questa che ha sapore di cultura borghese. Basta pensare ai matrimoni d'interesse, tutti falliti, di Tony, della saga borghese di I Buddenbrook di Thomas Mann.
Viceversa in Menandro deve prevalere l'inclinazione reciproca, il conveniunt mores , concordano i caratteri, come si legge nel suo discepolo Terenzio (Andria , 696).
Analoga riflessione si trova in Svevo:"Se il giovine ama la ragazza, l'affare è certamente buono; se non l'ama, pessimo"(Una vita , p. 208).
A Sostrato il sistema delle informazioni non piace, comunque ha mandato lo schiavo Pirria (71) dal padre della ragazza. Anzi l'innamorato è in pena per il ritardo (78). Ma ecco che Pirria arriva come servus currens poiché grida:"c'è un matto che mi insegue, un matto"( maivneq j oj diwvkwn, maivnetai, 82).
Non solo: il poveretto è stato pure fatto bersaglio di zolle e pietre ( bavllomai bwvloi", livqoi", 83).
Il vecchio che abita lì dunque è "matto e indemoniato"(89-90). Quando Pirria bussò alla porta venne fuori "una vecchia disgraziata" (99) la quale glielo indicò su una collina dove raccoglieva qualcosa. Pirria allora si è avvicinato, ma il contadino lo ha aggredito apostrofandolo con un:
"maledetto uomo- ajnovsie a[nqrwope-, tu vieni nel mio campo? Che cosa vuoi?".
Quindi ha preso una zolla e gliel'ha tirata in faccia (108-111).
Poi l'ha assalito con un paletto gridando:"che cosa abbiamo a che fare tu ed io?"( soi; de; kajmoi; pra'gma tiv- ejstin; 114-115.
Parole che vogliono difendere la propria autonomia dalla persona invadente chiunque egli o ella sia.
Cfr. N.T. Giovanni in altro contesto 2, 1, 11: tiv ejmoi, kai; soiv , guvnai; Quid mihi et tibi mulier?).
T. Mann commenta queste parole, da par suo, nel Doctor Faustus:"In fondo, per una madre, il volo di Icaro del figlio eroe, la sublime avventura virile dell'uomo che non è più sotto la sua protezione è un'aberrazione tanto colpevole quanto incomprensibile, donde ella sente risuonare, con segreta mortificazione, le parole lontane e severe: "Donna, io non ti conosco". E così ella riprende nel suo grembo la povera, cara creatura caduta e annientata, tutto perdonando e pensando che questa avrebbe fatto meglio a non staccarsene mai" (p.691).
Ma non basta: Pirria[1] si è dato alla fuga e il vecchio a inseguirlo tirandogli "zolle pietre e anche pere, come non aveva più altro"(120-121). Il servo dunque consiglia a Cherea di battere in ritirata, di rimandare la visita, per lo meno, dicendo :
"sappi bene che
in tutte le cose è più efficace scegliere il momento opportuno ( " ejsti; praktikwvteron eujkairiva"127-128).
Cfr. l’ajkairiva di Teofrasto.
Questo consiglio percorre gran parte della cultura classica: il principale teorico della necessità di cogliere l'occasione (kairov") è Isocrate: Non si deve fallire l'occasione:"tw'n kairw'n mh; diamartei'n"(Contro i sofisti , 16)
Nella commedia latina possiamo ritrovare l'affermazione ai vv. 364-365 dell'Heautontimorumenos di Terenzio:"in tempore ad eam veni, quod rerum omniumst -primum " (364-365), sono andato da lei al momento giusto che è quello che conta più di tutto. Parla il servo Siro a Clitifonte.
Cherea e Pirria, vorrebbero rimandare l'incontro ma si avvicina il pazzo in persona, sempre gridando:
"quanto era beato Perseo per due ragioni:
poiché aveva le ali
e non si incontrava nessuno di quelli che camminano per terra,
poi perché possedeva un arnese con il quale
trasformava in pietre tutti gli scocciatori"(153-157).
Si ricorderà che Perseo aveva sandali alati e che impietrava i nemici con la testa della Gorgone
Cnemone vorrebbe essere come lui:
"cosa che vorrei capitasse
pure a me! Non ci sarebbe niente di più abbondante
che le statue di pietra da tutte le parti!"(157-159).
Il vecchio insomma non sopporta di vedere la gente né di sentirla parlare:
"non si può più vivere, per Asclepio.
Mettono piede nel mio podere e fanno chiacchiere (lalou's j)"(160-161). La chiacchiera è la più radicale antitesi dell’essere, delle idee, della sostanza delle cose.
Questo bisogno di solitudine, condannato da Omero a Menandro come disumano, più avanti, con la degenerazione brutale dei rapporti umani, con la trasformazione delle persone in "turba ", folla, diventerà non solo dignitoso ma necessario.
Prendiamo Seneca tornato dal Circo dove ha assistito a mera homicidia , omicidi veri e propri:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è:"recēde in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza nell'incipit di un'altra lettera: “ Seneca Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiam: fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche uno solo.
Un'eco in Nietzsche: “c'è da dir male anche di chi soffre per la solitudine-io ho sempre e solamente sofferto per la moltitudine”[2]. E poi: “ogni compagnia è cattiva, ad eccezione di quella con i propri simili”[3].
In altri tempi (1938) C. Pavese scrive :"Maturità è l'isolamento che basta a se stesso" (Il mestiere di vivere , 8 dicembre). E più avanti (15 ottobre, 1940):"Ci sono servi e padroni, non ci sono uguali. La sola regola eroica: essere soli soli soli". E infine (25 aprile 1946):"Ogni sera, finito l'ufficio, finita l'osteria, andate le compagnie-torna la feroce gioia, il refrigerio di essere solo. E' l'unico vero bene quotidiano". E' pur vero che questo nostro autore si uccise il 18 agosto del 1950.
Da un paio di anni oramai il veleno diffuso nell’aria che respiriamo ha fatto diventare molti di noi dei misantropi.
Dobbiamo liberarcene.
Bologna 8 gennaio 2022 ore 9, 40
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Purriva", cfr. il rufus schiavo Pseudolo della commedia latina tanto geniale quanto volgare:"ore rubicundo" (v. 1219
[2] Ecce homo, p. 37.
[3] Di là dal bene e dal male, p. 50.
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