sabato 15 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 4

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Secondo Atto,  scena terza, seconda parte (vv. 301- 352)



Siro continua a dare buone notizie: Antifila piangeva per quanto Clinia le era mancato.
Bisogna però dire che non sempre le lacrime sono segno di dolore.
Possono essere false per simulare dispiacere.
 
E’ davvero addolorato chi prova dispiacere senza ostentarlo.
 
Quando muore un personaggio potente e dalla buona reputazione rumoreggiano le trombe dell’agiografia.
 
Molti recitano la parte dell’addolorato ostentando lacrimosa afflizione.
Dolori tantum des quantum natura poscit, non quantum consuetudo.  Plerique enim lacrimas fundunt ut ostendant, et totiens siccos oculos habent quotiens spectator defuit (Seneca, De tranquillitate animi, 15, 6).
 
Cfr. questi due distici di Marziale I, 33: “Amissum non flet cum sola est Gellia patrem/si quis adest iussae prosiliunt lacrimae/Non luget quisquis laudari, Gellia quaerit/ille dolet vere qui sine teste dolet”.
 
Copio questo titolo in grassetto e caratteri cubitali nel quotidiano “la Repubblica” di ieri 14 gennaio 2022:
“Tutta la politica in fila per Sassoli ‘Al quirinale Uno come lui’ ”
 
Intanto molti manovrano per eleggere Berlusconi  e molti altri chissà chi.
 
 Sassoli mi era simpatico e mi dispiace sia morto. Credo di rendergli onore con questo pezzo. Era una persona riservata e tutto questo compianto ostentato non gli sarebbe piaciuto
 
Per questo non sopporto il frastuono degli agiografi dei media saltati sul carro funebre.
 
 
 Le lacrime possono significare perfino gioia come nelle Troiane e nell’Elena di Euripide già citati..
Dopo tutto Siro le  aveva già detto che Clinia era tornato.
Ma le riflessioni citate sopra sono fatte da vecchi, mentre Clinia è un giovane, afferra la buona notizia e non sta più in sé dalla gioia (308)
 
Siro poi dice a Clitifone: “Adducimus tuam Bacchidem” 311.
Il figlio di Cremete invece non gioisce di questa novità per paura del padre. Sicché aggredisce Siro per la sua intraprendenza non richiesta.
Ma il servo dà una risposta che vuole essere eroica: “Non fit sine periclo facinus magnum nec memorabile”.
 
Noto che facinus è una vox media e può diventare impresa come delitto. Anche amor del resto è vox media e spesso si associa all’odio (cfr. Catullo Odi et amo) e al conflitto (cfr. Ovidio Militat omnis amans) oltre che al piacere, alla pace e alla gioia.
 
Siro vuole giustificarsi ma Clitifone non lo lascia parlare. Allora Clinia intercede per il servo. Siro premette che quando si prende una strada bisogna percorrerla metodicamente affrontandone le parti impervie.
C’è sempre verso di saltare gli ostacoli - problhvmata - che si trovano in itinere.
Siro, da servus astutus et callidus qual è, suggerisce una simulazione:
Adsimulabimus tuam amicam huius esse amicam” 333, faremo finta che la tua amante sia l’amante di questo, di Clinia.
Antifila invece sarà portata dalla madre di Clitifone. Questo trova che tale piano sia pericoloso.
Siro allora gli dice che l’alternativa è rimandare indietro Bacchide.
L’innamorato, spaventato da questo regredire ancora più che dal periglioso andare avanti, assegna a Siro tutte le mosse della strategia: “Et me et meum amorem et famam permetto tibi” 351.
Tuttavia lo mette in guardia: bada di non diventare quello da accusare-accusandus-  ora che sei giudice - iudex
 
Il ribaltamento di ruoli avviene spesso nella vita, in certi casi anche inevitabilmente.
 
Noi insegnanti siamo passati  da scolari esaminati da maestri e professori a esaminatori degli scolari, degli studenti e di altri docenti, via via nella vita.
 
Si veda nel romanzo di Dino Buzzati Il deserto dei Tartari (1940)  il momento in cui il capitano Drogo viene chiamato in forma “fin troppo disinvolta” da un subalterno, un tenente
 In un primo momento Giovanni Drogo  si risente, ma poi: “lo colpì, con dolorosa risonanza dell’animo, il ricordo del lontanissimo giorno in cui per la prima volta egli era salito alla Fortezza, dell’incontro con il capitano Ortiz, proprio nello stesso punto della valle, della sua ansia di parlare con una persona amica (…) esattamente come in quel giorno, pensò, con la differenza che le parti erano cambiate e adesso era lui, Drogo, il vecchio capitano che saliva per la centesima volta alla Fortezza Bastioni (…) capì Drogo come una intera generazione si fosse in quel frattempo esaurita, come lui fosse giunto oramai al di là del culmine della vita, dalla parte dei vecchi, dove in quel giorno remoto gli era parso si trovasse Ortiz. E a più di quarant’anni, senza aver fatto nulla di buono, senza figli, veramente solo nel mondo, Giovanni si guardava attorno sgomento, sentendo declinare il proprio destino (capitolo XXV)
Più avanti Drogo malato a morte vede seduta sulla soglia di una locanda una donna con un bambino che dormiva in una rustica culla. L’ufficiale moribondo lo osserva e intanto “un’acuta tristezza gli entrava nel cuore” .
Pensava allo sfacelo del proprio corpo.
“Eppur anche lui un giorno aveva dormito come quel bambino, anche lui era stato grazioso e innocente e forse un vecchio ufficiale malato si era fermato a guardarlo, con amaro stupore. Povero Drogo, si disse, e capiva come ciò fosse debole, ma dopo tutto egli era solo al mondo, e fuor che lui stesso nessun altro lo amava” capitolo XXIX

 
Bologna 15 gennaio 2022 ore 11, 51
Giovanni ghiselli

p. s.
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