Non la pensa così Nietzsche che in questa volontà di vita individua il ribaltamento olimpico-apollineo della sapienza silenica: "Quindi l'esistenza vissuta nella chiara luce solare emanata da questi dèi è sentita come la cosa cui conviene aspirare; e in fondo il dolore dell'uomo omerico si riferisce al prender congedo da essa, soprattutto al prenderne congedo presto; sì che rovesciando la sapienza silenica, si potrebbe ora dire di essi che "la cosa peggiore per loro è quella di morire presto, la seconda è, comunque, quella di morire una volta o l'altra". Una volta che il lamento ha risonato, sempre ci parla della breve vita di Achille, del mutare e avvicendarsi delle generazioni simili a foglie[4], del tramonto dei tempi eroici. Non è indegno del grande eroe il desiderare di vivere ancora, sia pure soltanto come bracciante. Tant'è violenta, nello stato apollineo, la "volontà" che aspira all'esistenza, e l'uomo omerico si sente così uno con essa, che perfino il lamento diventa il suo canto di gloria"[5].
Leopardi che pure ha assunto più volte atteggiamenti eroici[6] però, o forse perciò, nello Zibaldone (2) fa notare che l'eroismo non coincide con la perfezione né con la grandezza: "Omero ha fatto Achille infinitamente men bello di quello che poteva farlo... e noi proviamo che ci piace più Achille che Enea ec. onde è falso anche che quello di Virgilio sia maggior poema ec."
A pagina 471 leggiamo:"L'eroismo e la perfezione sono cose contraddittorie. Ogni eroe è imperfetto. Tali erano gli eroi antichi (i moderni non ne hanno); tali ce li dipingono gli antichi poeti ec. tale era l'idea ch'essi avevano del carattere eroico; al contrario di Virgilio, del Tasso ec. tanto meno perfetti, quanto più perfetti sono i loro eroi, ed anche i loro poemi".
Bologna 27 gennaio 2022 ore 10, 41
giovanni ghiselli
p. s
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[1]Odissea , XI, 489.
[2]Repubblica , 386c. Più avanti(391c) Platone aggiunge che non si deve ammettere nemmeno l'avidità illiberale di Achille né il suo superbo disprezzo di uomini e dèi. Sentimenti che non si addicono a un giovane nato da una dea, pronipote di Zeus e allevato dal sapientissimo Chirone, proprio la ragione per cui, faccio notare, il figlio di Peleo viene approvato da Euripide il quale, nell'Ifigenia in Aulide , gli fa dire:" ejgw; d&, ejn ajndro;" eujsebestavtou trafei;"-Ceivrwno", e[maqon tou;" trovpou" aJplou'" e[cein"(vv. 926-927), io, allevato nell'ambiente di un uomo molto pio, di Chirone, ho imparato ad avere semplici i costumi.
[3]Repubblica , 388b.
[4]Iliade , VI, vv. 146-149.
[5]La nascita della tragedia cap. 3.
[6]Per
esempio nella Canzone all'Italia: "L'armi, qua l'armi: io solo/combatterò, procomberò sol io"(vv.
37-38).
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