giovedì 13 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 1

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Terenzio
Heautontimorumenos 
163 a. C.
I Atto
 

Forse non ho ancora detto che il Totò Merùmeni di Gozzano (1911) prende il suo titolo dall’Heautontimorumenos.
Anche nei Fleurs du mal di Baudleaire (1857) c’è una poesia intitolata  Heautontimorumenos. In entrambi questi compomimenti c’ è un’edace ironia (la vorace Ironie) che ha corroso e raggelato il punitore di se stesso
 
Nel prologo dell’Heautontimorumenos il capocomico Ambivio Turpione chiede l’attenzione degli spettatori nel seguire una commedia poco movimentata  senza costringere gli attori a interrompersi a causa del baccano.
 Adeste aequo animo: date potestatem mihi- statariam agere per silentium  , lasciatemi portare in scena una commedia stataria in modo che  il vecchio attore non debba recitare sempre le parti della motoria: il  servus currens, l’iratus senex, l’edax parasitus, l’impudens sycophanta, l’avarus leno, gridando a perdifiato  e stremato dalla fatica clamore summo, cum labore maxumo  (35-40).
 
Sono menzionati gli ingredienti caratteristici della commedia motoria.
 
Il verso più noto di questa commedia si trova nel primo atto (v 77)
 E' una dichiarazione di quella filanqrwpiva che, già diffusa nella letteratura greca, prosegue nell'humanitas  latina.  
  :"Homo sum: humani nil a me alienum puto ", sono un uomo e tutto ciò che è umano mi riguarda.
E’ la risposta dell’anziano Cremete al vicino Menedemo che   gli ha domandato perché si interessi al suo eccessivo affaticarsi nel lavoro.
 
Menedemo dopo un primo momento di reticenza anche sgarbata, sentite le buone parole del vicino gli confida che sta cercando di espiare la colpa di avere fatto scappare lontano da casa il figlio Clinia perché si era innamorato e impegnato con una ragazza povera.
 
Una analoga espressione di tale umanesimo è quella che il vecchio Sofocle attribuisce a Teseo  nell'Edipo a Colono : "e[xoid  j ajnh;r w[n"(v.567), so di essere un uomo.
 Questa è la coscienza della propria umanità senza la quale ogni atto violento è possibile.
 Il sapere di essere uomo che cosa vuole dire? Significa incontrare una creatura mezza distrutta come è Edipo vecchio, provarne pietà, incoraggiarla ponendo domande:"kaiv s j oijktivsa"-qevlw jperevsqai[1], duvsmor j Oijdivpou, tivna-povlew" ejpevsth" prostroph;n ejmou' t j e[cwn", vv. 556-558, e sentendo compassione, voglio domandarti, infelice Edipo, con quale preghiera per la città e per me ti sei fermato qui.
Poi significa ascoltare e comprendere con simpatia poiché siamo tutti effimeri, sottoposti al dolore e destinati alla morte. "Anche io-dice il re di Atene al mendicante cieco - sono stato allevato fuggiasco come te" (vv.562-563)."Dunque so di essere uomo e che del domani nulla appartiene più a me che a te"(vv. 567-568).
 "Umana cosa è l'aver compassione degli afflitti” sono le parole iniziali del Decameron di Boccaccio.
 
Menedemo dunque spiega che aveva cercato di dissuadere il figlio dal proseguire in questa relazione socialmente incongrua.
Il padre non comprende la profondità del sentimento del figlio e attribuisce la genesi di questa passione all’otium
 
Nulla adeo ex re istuc[2] fit nisi ex nimio otio " (Heautontomorumenos , 109), da nessun altro motivo reale deriva questa tua smania se non dall'ozio eccessivo.
Questo è un topos che risale a Omero e ha un lungo seguito nella poesia amorosa (Catullo e Ovidio e altri)
Ho fatto le citazioni nella parte relativa a Menandro.
 
Menedemo si è proposto come modello al figliolo dicendogli : “Ego istuc aetatis non amori operam dabam” 110 , alla tua età non pensavo alle donne, sed in Asiam hinc abii propter pauperiem atque ibi- simul rem  e t belli gloriam armis repperi  (111-1112)
 
In età ellenistica il pauperismo diffuso in Grecia spingeva molti indigenti ad arruolarsi come mercenari negli eserciti dei diadochi poi degli epigoni.
 
Alla fine il ragazzo si è arreso al padre:  postremo (…) adulescentulus victus est e in Asiam ad regem militatum abiit (117)
 
Cremete attribuisce questa incomprensione tra padre e figlio alla mancanza di franchezza e confidenza.:"verum nec illum tu satis noveras/nec te ille; hoc qui fit? ubi non vere vivitur "(Heautontimorumenos, vv. 153-154), ma tu non lo avevi capito abbastanza né lui te; questo come succede? Quando non si  vive nella sincerità.
   
Cremete poi  parla del caso  dei vicini  al proprio figliolo  Clitifone il quale gli rivela che il figlio di Menedemo non è in Asia ma è tornato e si è rifugiato in casa loro perché lui e Clinia sono legati da un’amicizia che risale all’infanzia. Dice che quel povero ragazzo ha paura di tutto: timet omnia, iram patris et animum amicae se erga ut sit suae.- Eam misere amat  (188-189) .
 
Miser in Catullo e nell’elegia amorosa è l’aggettivo che qualifica l’innamorato infelice.
 
Dunque questo amore pur contraccambiato ma ostacolato dal padre per ragioni socioeconomiche ha portato turba atque abitio, scompiglio poi la partenza del ragazzo (190)
 
 Sicché in quella casa c’è abbondanza di mezzi e pure infelicità
 
Cremete  commenta tale disarmonia tra il benessere materiale e lo stare bene dicendo  che   i beni esterni  come stirpe e ricchezza sono tali  secondo l’indole di chi li possiede: sono beni per chi sa usarli, mentre per chi  non sa farne fa uso sono anzi dei mali “haec perinde sun ut illius animu’ qui ea possidet:- qui uti scit ei bona; illi qui non utitur mala” (195- 196) un altro insegnamento tutt’altro che astratto.
 
Luogo simile in Senofonte
Il Socrate di Senofonte dice a Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono averi utili:"Taujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"( Economico, I, 10); così i flauti sono utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili( "oujde;n ma'llon hj; a[crhstoi livqoi"). Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai).
 
Quindi Seneca: “Stulto nulla res opus est (nulla enim re uti scit), sed omnibus eget” (Ep, 9, 14), allo stupido non occorre nulla ( infatti non sa fare uso di nessuna cosa), ma sente la mancanza di tutte. 
 
Penso ai libri che riempiono gran parte della mia casa e del mio tempo: per altri sarebbero un ingombro sgradevole.
 
Il giovane Clitifone dice al padre che teme un eccesso di rabbia di Menedemo contro Clinia.
Cremete dice tra sé che non svelerà tutto quanto gli ha detto Menedemo poiché è bene per Clinia continuare ad averne paura : “nam in metu esse hunc illist utile (199). La funzione positiva del metus si trova in molti testi: dall’Orestea di Eschilo, alle Storie di Polibio, al Bellum Iugurthinum di Sallustio per menzionarne alcuni. Ve ne parlerò durante il corso
 
Poi Cremete fa un discorsetto al figliolo per tenerlo un po’ in riga. Non deve pensare che la sua indulgenza arriverà al lassismo.
Insomma i padri non hanno tutti i torti  quando non vogliono che i figli vadano spesso a puttane scortari crebro nolunt, né vogliono che passino le giornate banchettando nolunt crebro convivarier (206), quindi  lesinano il denaro per le spese praebent exigue sumptum, atque haec sunt tamen ad virtutem omnia ( 207) tutto a fin di bene, per conservare i figli virtuosi.
Il ragazzo è avvisato. Infine il padre dà il consiglio di imparare dalle esperienze altrui quanto deve evitare e quanto invece può essergli utile.
 

Bologna 13 gennaio 2021 ore 19, 12
Giovanni ghiselli

p. s
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[1] ejperevsqai: infinito aoristo di ejpeivromai, domando.
[2] Pronome neutro derivato da istud+ il deittico -ce.

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