lunedì 31 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 22

Atto V  scena 1. Seconda parte (893-924)



Menedemo nega quanto gli ha detto l’amico Non.
 
Quid non? fa Cremete
 
Menedemo insiste Non, inquam
Poi però spiega che suo figlio incalzava perché si facessero subito le nozze.
 
Cremete stenta a credere Mira narras (896) e domanda se almeno Siro ha detto qualche cosa.
 
Nihil fa Menedemo
 
Cremete ripete  che non si capacita e non capisce,
quindi  l’amico fa una battuta ironica. “equidem miror , qui alia tam plane scis” (897), davvero mi meraviglio di te che capisci le altre faccende tanto esattamente
Poi Mendedemo aggiunge che Syro avrà creato confusione, e conclude escludendo che Bacchide sia l’amante di Clinia.
 
A questo punto Cremete del tutto disorientato e pure turbato chiede del figlio: “Quid agit?’ 
Menedemo gli racconta tutto: e l’amico si sente perduto: “filist amica Bacchi’: Menedeme, occidi (908)
Poi Cremete spiega che gli resta poco denaro: appena per dieci giorni  decem dierum vix mi est famiglia-909, date le abitudini e le pretese di Bacchide.
 
Nell’Aulularia di Plauto, Metrodoro sostiene che è l’uxor dotata la donna babilonica dalle spese infinite, mentre in questa  commedia di Terenzio è piuttosto l’etera mantenuta che dìssipa i patrimoni di chi se l’è presa in casa.
 
Cremete oramai è certo che l’amante di Bacchide è il proprio figliolo Clitifonte, e a una battuta di Menedemo, che gli ricorda l’inganno in cui era caduto, dice: “Derīdes merito (915), tu mi canzoni a ragione. Quindi se la prende con se stesso Nunc ego mihi suscenseo (915) perché  non si è accorto del tranello pur avendone avuti davanti agli occhi  tanti indizi “ni essem lapis! Quae vidi! Vae miserae mihi! (917), se non fossi stato insensibile come una pietra di fronte a quello che vedevo. Guai a me disgraziato! Quindi minaccia vendetta contro chi l’ha raggirato.
Menedemo cerca di calmarlo rammentandogli il proprio esempio.
Cremete dice all’amico che è fuori di sé per la rabbia: “Prae iracondia, Menedeme, non sum apud me” 920.
Menedemo gli ricorda che tempo prima aveva ricevuto buoni consigli dal lui; e ora non sa darli a se stesso?
 
Breve excursus
Seneca nel trattato De ira (del 41 d. C.) consiglia all’iracondo di prendere tempo. E fa l’esempio appunto del temporeggiatore Fabio Massimo: “Quo alio Fabius affectas imperii vires recreavit quam quod cunctari et trahere  et morari sciit, quae omnia irati nesciunt?  (I, 11, 5), con quale altro metodo Fabio risollevò  le forze inficiate dell’impero se non che  seppe temporeggiare e tirare in lungo e aspettare, tutte cose che gli adirati non sanno fare?
 (…) iram ante vicit quam Hannibalem (5).
 
Anche nell’elezione presidenziale della settimana scorsa ha vinto il cunctator aspettando di essere chiamato. Non era irato, mentre chi lo era non ha saputo aspettare.
 
Seneca suggerisce tra l’altro la frugalità alimentare contro l’ira: “Ne cibis quidem implendi sunt, distendentur enim copora et animi cum corpore tumescent”II, 20, 2,  neppure si devono rimpinzare di cibo; si allargheranno infatti i corpi e gli animi si gonfieranno con il corpo.
 
In effetti il più emotivo e frettoloso in queste elezioni è stato Salvini, l’ingrassato Salvini.
 
Prendere tempo dunque è salutare contro l’ira Maximum remedium irae mora est (II, 29, 1)
 Infine un paio di frasi che ricordo della rimpianta prova scritta di latino alla maturità classica del 1977: “Pugna tecum ipse; si vis vincere iram non potest te illa. Incipis vincere si absconditur, si illi exitus non datur. Signa eius obruamus et illam quantum fieri potest occultam secretamque teneamus” (III, 13, 1)
 
Rimpiango non solo gli scritti di latino e di greco alla maturità.
Mi piacevano tanto che negli ultimi anni di servizio nella scuola pubblica feci parte della commissione che sceglieva i brani da proporre al ministro.
 
Rimpiango in particolare la maturità del 1977 per la presenza come membro esterno, di latino e greco appunto, del collega Mario Avorio del liceo Telesio di Cosenza. Dopo gli esami diventammo amici e lo siamo rimasti per anni, fino a quando, troppo presto, morì.
Lo rimpiango, e con lui mi manca il tempo in cui la scuola era un luogo di studio e di amicizie.
Ora le coltivo attraverso le mie conferenze e questi miei scritti.
 
 Cremete dunque domanda all’amico: “Quid faciam?” 924

 
Bologna 31 gennaio 2022 ore 13, 29
giovanni ghiselli

p. s.
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