Avvertenza: il generale cade spesso nel generico. Perciò mi limito ad alcune citazioni di commentatori. Da queste non si conosce la carne viva degli autori e dei testi.
La conosceremo dall’analisi di due intere commedie di Plautoç: l’Aulularia e l’Amphitruo
In questa ultima parte introduttiva partecipo alcune parole di critica non mia e pochi versi di altre commedie.
Date della vita di Plauto : 255-184.
L'attività teatrale di Plauto si colloca nel trentennio 215-185
Per la datazione del Miles gloriosus ci aiutano i vv.211-212:"nam os columnatum poetae esse inaudivi barbaro,/cui bini custodes semper totis horis occŭbant ", infatti ho sentito dire che ha il volto puntellato un poeta latino, cui due guardiani a tutte le ore stanno alle costole.
Sembra ci sia un riferimento alla prigionia del poeta Nevio, fatto incarcerare dai Metelli intorno al 206.
Dunque il Miles risalirebbe al periodo in cui Plauto aveva 50 anni. La scarsità delle parti liriche (o cantica ), solo 82 versi su 1437, conferma la relativa arcaicità della commedia. Il v. 86 ci informa che il modello era un jAlazwvn, un millantatore scritto in greco, probabilmente da Menandro.
Ma nel Miles ci sono almeno due motivi contaminati: oltre quello del soldato fanfarone anche quello della parete bucata. Secondo Della Corte il modello potrebbe essere Filemone invece di Menandro:" Alazon graece huic nomen est comoediae;/id nos latine gloriosum dicimus "(vv. 86-87, questa commedia in greco si intitola alazòn , che in latino si dice gloriosus , fanfarone). Sono versi del prologo recitato da Palestrione servo di due padroni: prima dell’adulescens Pleusicle, poi di Pirgopolinice.
Plauto nacque a Sarsina, allora in Umbria, ora in Romagna vicina al confine con la Toscana (Pieve Santo Stefano) verso il 250 e morì a Roma nel 184.
Le commedie di Plauto iniziano con una situazione di disordine dei valori morali e si conclude tanto con il soddisfacimento dei giovani quanto con la restaurazione del potere dei vecchi: il senex recupera il pieno controllo della situazione e rinuncia a punire quelli che hanno perpetrato le beffe.
Personaggi femminili sono la merĕtrix che può essere spudorata oppure dolce e sensibile, la matrona, sposa del senex e madre dell'adulescens; ella è spesso autoritaria, specie se dotata .
Il miles è non di rado gloriosus il gradasso che si vanta di grandi imprese militari e amorose.
La figura più odiosa è quella del lenone.
Il motore delle fabulae di Plauto è il servus che l’autore definisce architetto, poeta, generale dotato di una lucida visione degli eventi. Pseudolus si equipara al poeta
Il servo Pseudolo indica un lato positivo comune tra poeti e schiavi: la capacità inventiva: il poeta trova e raffigura l’utopia, lo schiavo inventivo scopre il denaro che altri non trovano da nessuna parte
: “Sed quasi poeta, tabulas cum cepit sibi,/quaerit quod nusquams gentium, reperit tamen,/facit illud veri simile quod mendacium est,/nunc ego poeta fiam: viginti minas, /quae nusquam nunc sunt gentium, inveniam tamen” (Pseudolus, I, 4, vv. 401-405)
Cfr. anche Shakespeare: : l’occhio del poeta roteando in sublime frenesia si sposta rapido dal cielo alla terra e dalla terra al cielo, e mentre la mente immagina figure di cose sconosciute, la penna de poeta le traduce in forma (turns them to shape) e all’aereo nulla dona suo luogo e nome ( and gives to airy-aer-ajhvr- nothing a local habitation and name, A Midsummer Night's Dream, V, )
Sono parole di Teseo, duca di Atene.
Insomma il teatro plautino è una specie di mondo rovesciato dove i servi trionfano sui padroni e i figli sui padri. Si ha metateatro quando l'autore medita sul teatro stesso.
Il teatro plautino è carnevalesco: il codice culturale si inverte.”Plauto mette al centro del suo teatro una figura sanguigna e ribalda, che gioca spavaldamente con gli avvenimenti, lieto di portare al trionfo un amore contrastato depredando del mal posseduto vecchi avari e lenoni spergiuri, tutti esseri ostili alla felicità altrui. Nella commedia plautina lo spazio è della vita, della giocondità, del trionfo vitale dei giovani innamorati su vecchi sordidi e libidinosi. A questo servono i “bellissimi inganni” dei servi, nei quali non è lecito vedere né tracce di autobiografia né la “protesta sociale” del poeta o quanto altro del genere certa moda ideologica può suggerire: nel distacco del poeta dai suoi personaggi è uno dei segreti del comico plautino (Della Corte)”[1].
Nel mondo carnevalesco e rovesciato degli schiavi plautini al posto del valore forte della fides troviamo quello della perfidia , la santa protettrice dei servi:" Perfidiae laudes gratiasque habemus merito magnas" (Asinaria, v. 545), abbiamo ragione di elogiare e ringraziare assai la mala Fede, dice lo schiavo Libano allo schiavo Leonida. Perciò Lupus est homo homini, non homo, quom qualis sit non novit” (Asinaria, 495), quando non si sa di che tipo sia, dice un mercante. Contro questo sentenza abbiamo la menandrea a[nqrwpo" ajnqrwvpw/ qeov" e Cecilio Stazio (230-167 a. C il Plocium con l’ uxor dotata) homo homini deus si suum officium sciat (fr. 265 Ribbeck).
Il teatro di Plauto deriva da una commistione felice tra la commedia nuova e la farsa italica.
I versi, a seconda del metro, costituiscono i deverbia (dialoghi recitati in senari giambici), i recitativi, parti recitate con enfasi e accompagnate dal doppio flauto, e i cantica , in versi lirici, cantati. Plauto riconosce di tradurre in latino (Maccus vortit barbare, Asinaria, 11 ) dai Greci Menandro, Difilo, Filemone, Alessi, Demofilo. Ma rispetto ai Greci trascura completamente l'aspetto psicologico a favore di quello burlesco.
Gioachino Chiarini nell’Introduzione a Plauto scrive: “proprio l’esotico abito greco consentiva iniziative-sia riguardo alla forma che al contenuto- di fatto precluse a un genere d’ambientazione romana quale fu, ad esempio, la togata….
La commedia plautina è essenzialmente uno scontro, a colpi di inganni e controinganni, tra la fazione dell’adulescens innamorato (comprendente il suo aiutante di fiducia, il servus callidus…) e la fazione di chi vuole impedirgli di coronare il suo sogno d’amore (per solito suo padre, o il ruffiano di turno). Tale scontro si traduce il più delle volte nello schema, tipico del pensare (e narrare) arcaico, “due contro due”…Plauto pone decisamente la beffa al centro del suo mondo poetico”
C’è uno scontro tra due eserciti in miniatura.
Cfr. l’Odissea che racconta scontri tra intelligenti (Odisseo, Telemaco, Penelope) e cretini (I ciclopi, i Proci, i compagni di viaggio di Pdisseo)
Il tratto metateatrale è quello in cui il teatro medita su se stesso. C’è commistione tra commedia “regolare” greca e farsa italica nella quale predominava la beffa. Plauto è un grande inventore di metafore: quelle predilette riguardano proprio lo scontro e l’intrigo. Frequenti sono le parole che designano “truppe”, “eserciti” oppure macchinazioni, trame (machina, dolus, fallacia). Le metafore militaresche ricorrono anche con grande frequenza in connessione con la sfera erotica, gli assalti sono assalti amorosi, le spade falli priapescamente sguainati.
Chi si intende non poco di schermaglie e battaglie amorose è Ovidio.
Negli Amores scrive:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi, militat omnis amans "(I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato.
Nel teatro di Plauto “le metafore militaresche ricorrono anche con grande frequenza in connessione con la sfera erotica (militat omnis amans! ), gli “assalti” divengono assalti amorosi, le “spade” falli priapescamente sguainati, le “prigionie” e le sconfitte prigionie e sconfitte d’amore”[2].
Le buone maniere del commensale piacevole.
Le canaglie che gridano insieme nei beceri cori televisivi dovrebbero prendere imparare a memoria, ripetere spesso e lasciarsi educare da queste parole di Plauto
Nel Miles gloriosus di Plauto il gradevole e giovanile senex[3] Periplecomenus dà lezione di comportamento a tavola:"Vel cavillator facetus vel conviva commodus/idem ero; neque ego oblocūtor sum alteri in convivio;/incommoditate abstinere me apud convivas commodo/commemini, et meae orationis iustam partem persequi/et meam partem itĭdem tacere, quom aliena est oratio./Minime sputator, screator sum, itidem minime muccidus…Neque ego numquam alienum scortum subigito in convivio;/neque praeripio pulpamentum neque praevorto poculum;/neque per vinum umquam ex me exoritur discidium in convivio./Siquis ibi est odiosus, abeo domum, sermonem segrego./Venerem, amorem amoenitatemque accŭbans exerceo" (vv. 639-647 e 652-656), io sarò anche un motteggiatore arguto e un commensale piacevole; né io sono uno che interrompe un altro durante un banchetto; ricordo di astenermi opportunamente dall'essere importuno con i convitati e di esporre la parte conveniente del mio discorso e tacere parimenti quando mi tocca, se la parola è a un altro. Assolutamente non sputo, non scatarro, e parimenti non ho la goccia al naso….E non pizzico mai la ganza di un altro, né mi lancio sulla ciccia né acchiappo prima il bicchiere; né nasce mai da me durante la cena un litigio per il vino. Se lì c'è qualcuno disgustoso, me ne vado a casa, metto via la conversazione. Quando sto a tavola pratico la grazia, l'amore e la piacevolezza.
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Seneca nel De ira consiglia di evitare i conviti volgari dove possono offendere i motteggi di certe persone, soprattutto se sono stimolate dal vino:"vitare vulgares convictus memento; solutior est post vinum licentia, quia ne sobriis quidem pudor est" (III, 37), ricordati di evitare i banchetti volgari; la sfrenatezza è più scatenata dopo il vino, dal momento che neppure i sobri hanno ritegno.
Un doppio senso
testis=testes. Vale "testicoli" e anche "testimoni". Plauto insiste su questo doppio senso per accrescere la comicità dell'epilogo del Miles gloriosus , una scena" incentrata sulle percosse e sulla minaccia di castrazione, meritata punizione di un adultero, velleitario e mancato, con giochi di parole a doppio senso (ad es. testes indica sia i testimoni, sia gli attributi maschili), fonte di irrefrenabile comicità (v. 1416 intestatus; v. 1417 intestabilis; v. 1420 salvis testibus; v. 1426 carebis testibus)"[4].
In tutti questi esempi c'è il doppio significato di cui si è detto: infamato e senza testicoli; coperto di infamia e castrato; salvi i testimoni, quale locuzione giuridica, e con testicoli intatti; rimarrai senza testimoni e testicoli.
Nel Miles gloriosus di Plauto si trova un locus similis all’elogio della gioventù e dell’onestà che si trova nell’Eracle di Euripide: “Un aspetto della bellezza è la giovinezza.
La giovinezza è preferibile alla ricchezza, ed è bellissima tanto nella prosperità quanto nella povertà: “kallivsta me;n ejn o[lbw/, -kallivsta d j ejn peniva/”, Euripide, Eracle, vv. 647-648. Se gli dèi avessero intelligenza e sapienza (xuvnesi"-kai; sofiva) secondo i criteri umani donerebbero una doppia giovinezza (divdumon h{ban) come segno evidente di virtù a quanti la posseggono, ed essi, una volta morti, di nuovo nella luce del sole (eij" aujga" pavlin aJlivou), percorrerebbero una seconda corsa, mentre la gente ignobile avrebbe una sola possibilità di vita (Euripide, Eracle, vv.661-669).
Plauto fa dire queste parole a Palestrione, servo del soldato che inganna il soldato sottraendogli la donna di cui è innamorato il suo precedente padrone Pleusicle.
Periplecomeno, il senex garbato e piacevole, ha esposto la propria filosofia di vita: non si è sposato e non ha messo al mondo dei figli per non averne preoccupazioni, come vedremo anche in uno dei due fratelli degli Adelphoe di Terenzio. Del resto ha diversi parenti che lo coteggiano e lo trattano bene per averne l’eredità. Sono gli heredipetae di cui troveremo mezza piena la città di Crotone nel Satyricon. L’altra metà è costituita da vecchi possidenti
Palestrione lo approva Periplecomeno: “O lepidum caput! (725)
Bisognerebbe che gli dèi e le dèe differenziassero le vite secondo in caratteri delle persone
"itidem divos dispertisse vitam humanam aequom fuit:/ qui lepide ingeniatus esset, vitam ei longiquam darent,/ qui inprobi essent et scelesti, is adimerent animam cito" ( Miles gloriosus, vv. 730-732), parimenti sarebbe stato giusto che gli dèi distribuissero la vita umana: a colui che avesse un carattere amabile, dovrebbero dare una vita lunga, a quelli che fossero cattivi e scellerati, portargliela via presto.
Dico che è la stessa natura a fare questa differenza: chi ama la vita e la rispetta ne viene contraccambiato.
Marziale afferma che l’uomo buono, privo di rimorsi, gode del frutto del suo passato e accresce lo spazio della propria esistenza: “ampliat aetatis spatium sibi vir bonus: hoc est/vivere bis, vita posse priore frui” (X 23, 7-8).
Altri milites gloriosi nella letteratura
Archiloco nel cantare la guerra con spirito nuovo, usa il dialetto ionico di Omero e si avvale della sua lezione formale, ma presenta una visione diversa dell'onore e della gloria militare.
Per confermare questa affermazione, in buona parte vera, possiamo utilizzare il frammento 60D:
"non amo lo stratego grande né dall'incedere tronfio
né compiaciuto dei riccioli, né ben rasato;
ma per me sia pur piccolo, e storto di gambe
a vedersi, però che proceda con sicurezza sui piedi, e sia pieno di cuore/"[5]. Tetrametri trocaici catalettici.
Paride miles gloriosus
Nel III canto dell'Iliade troviamo già questo contrasto tra apparenza e sostanza: Ettore rinfaccia a Paride (v. 39) di essere un donnaiolo (gunaimanev") e seduttore (hjperopeutav) di aspetto splendido (ei\do" a[riste) ma senza valore né forza nel cuore (45), capace di portare via donne di uomini bellicosi ma non di affrontarli. Allora Paride gli risponde di non biasimarlo e non rinfacciargli i doni amabili dell'aurea Afrodite (mhv moi dw'r j ejrata; provfere crusevh" jAfrodivth"", 64): nemmeno lui, Ettore, disprezza i magnifici doni degli dèi (qew'n ejrikudeva dw'ra, 65) che del resto nessuno può scegliersi.
Paride era fuggito da Manelao, ma poi decide di affrontare il duello.
Certamente Euripide aveva in mente il topos del "non bello ma buono", quando nell'Oreste (del 408) elabora la così detta "teoria della classe media" e, presentando con simpatia il piccolo proprietario terriero il quale lavora la terra da sé ed è uno di quelli che, soli, salvano la città, si sente quasi in dovere di precisare che era un uomo di aspetto non attraente ma coraggioso (" morfh'/ me;n oujk eujwpov", ajndrei'o" d& ajnhvr", v.918).
Viceversa, ma sempre con un ricordo archilocheo, nella stessa tragedia viene ridicolizzato Menelao, lo spartano e marito di Elena odioso per avere provocato infiniti dolori ai figli di Agamennone: ( "ajll j i[tw xanqoi'" ejp j w[mwn bostruvcoi" gaurouvmeno"" Oreste, v. 1532).
"venga avanti, pavoneggiandosi per i riccioli biondi sugli omeri" .
Il cognato di Napoleone Murat è un altro miles gloriosus
Tolstoj in Guerra e pace individua il militare bello e vano, un vero e proprio stratego archilocheo francese e napoleonico, in Gioacchino Murat :" un uomo d'alta statura dal cappello adorno di piume, i capelli inanellati che gli piovevano sulle spalle. Indossava un mantello scarlatto, e le lunghe gambe erano protese in avanti (...) in effetti costui era Murat, che ora aveva assunto la qualifica di re di Napoli (...) cosicché aveva un'aria più trionfante e imponente di quanto l'avesse prima (...) Alla vista del generale russo, con gesto regale e solenne, respinse indietro il capo con quei capelli a riccioli fluenti sulle spalle (...) La faccia di Murat raggiava di stolida soddisfazione" (pp. 925-926).
Nel Miles gloriosus di Plauto il soldato fanfarone è presentato dalla merĕtrix Acroteleutium con queste parole: “Populi odium quindi noverim, magnidicum, cincinnatum moechum unguentatum? (v. 923), come potrei non conoscere questo individuo odioso a tutti, fanfarone, dai capelli arricciati, donnaiolo profumato?
Cicerone riassume questo locus nel De finibus bonorum et malorum :"animi enim liniamenta sunt pulchriora quam corporis " (III, 22, 75), infatti i lineamenti dell'anima sono più belli di quelli del corpo. Qui siamo nel campo dell'etica.
E ancora: “mens cuiusque is est quisque, non ea figura quae digito demonstrari potest ” (De repubblica, VI, 26), la mente di ciascuno è quel ciascuno, non quella figura che può essere indicata con un dito.
Torniamo all’ambito militare: Svetonio nella Vita di Giulio Cesare (65) ricorda che il conquistatore delle Gallie "Militem neque a moribus neque a forma probabat, sed tantum a viribus ", non giudicava i soldati con la misura dei costumi né con quella dell'aspetto fisico ma solo con il metro della forza.
Un altro personaggio frequente nelle commedie di Plauto è il parasitus: nel Miles gloriosus il parassita di Pirgopolinice (puvrgo" “torre”, povli" città, nikavw vinco secondo le sue stesse vanterie) è Artotrōgus (a[rto" pagnotta e trwvgw, rodo) che asseconda le fanfaronate del soldato dicendo- in un a parte) che lo fa perché alla sua tavola epityrum estur insane bene (24) si mangia un pasticcio di olive buono da impazzire
Fin dell’introduzione al teatro latino. Ora possiamo passiamo alle due commedie analizzate.
Bologna 11 gennaio 2021 ore 11, 17
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] C. Questa, prefazione a Plauto Anfitruo, p. 41.
[2] G. Chiarini La rappresentazione teatrale in Lo spazio letterario di Roma antica, volume II, p. 162.
[3] Di cinquattaquattro anni invero. Palestrione lo chiama o lepidum semisenem (v. 649), simpatico quasi vecchio.
[4] A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del 2000, p 123.
[5]Questa alta valutazione del cuore e del sentimento si ritroverà, com'è noto, negli autori dello Sturm und drang e del romanticismo: Goethe ne I dolori del giovane Werther scrive(9 maggio 1772):"egli apprezza la mia intelligenza ed i miei talenti più del mio cuore, che è pure l'unica cosa della quale sono superbo, che è pure la fonte di tutto, di ogni forza, di ogni beatitudine e di ogni miseria. Ah, quello che io so, lo può sapere chiunque-ma il mio cuore lo possiedo io solo".
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