mercoledì 19 gennaio 2022

Terenzio, Heautontimorumenos. 12


Cod. Vat. lat. 3868, P. Terenti Afri Comoediae VI (sec. IX), f. 35v
Prologo dell’Heautontimorumenos
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana
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Atto IV scena prima (614-667)

Sostrata, Chermes, Nutrix, Syrus
 
Sostrata, la moglie di Cremete, ospita Antifila ed entra in scena mostrando alla nutrice un anello che la ragazza le ha dato mentre si lava. Alla donna pare di riconoscere in quell’anulus quello che mise accanto alla bambina sua e di Cremete da esporre perché il padre non voleva una figlia.
Dunque Sostrata dice alla Nutrix: “Nisi me animus fallit, hic profectost anulus, quem ego suspicor, is quicum expositast nata” (614-615)
Siamo sulla via del riconoscimento.
 
Riconoscimenti
Aristotele nella sua Poetica elenca  alcune forme di riconoscimento. Il più antico è quello di Odisseo attraverso una cicatrice vista da Euriclea mentre lo lava nel XIX canto del secondo poema[1] omerico. Questo tipo di  ajnagnwvrisi~  si trova anche nell’Elettra di Euripide  attraverso il segno convincente di una cicatrice sul sopracciglio (oulh; par j ojfruvn) che Oreste si procurò inseguendo con la sorella un cerbiatto  nel palazzo del padre ( vv. 573-574).
Nella commedia di Menandro   jEpitrevponte" (quelli che si rivolgono a un arbitro)  il bambino partorito da Panfila viene riconosciuto come figlio di Carisio dall’anello che la madre aveva strappato al suo ignoto violentatore, lo stesso Carisio il quale, proprio da quel daktuvlio" ritrovato nella culla dell’infante esposto, capisce di esserne il padre e può  lasciarsi andare ad amare di nuovo la medesima ragazza che aveva violentato, poi sposato poi ripudiato senza riconoscere in lei quella che aveva subito violenza tra lui.
Qui nell’Heautontimorumenos la violenza è  diversa:  quella di Cremete, un padre che vuole sbarazzarsi della figlia neonata, tuttavia  l’anello ritorna.
La nutrice conferma il riconoscimento di Sostrata.
Si attende che Antifila abbia finito di lavarsi per sentire cosa dice.
Cremete sta entrando in casa e dice che si aspetta di ascoltare magnas nugas (621) grosse sciocchezze, un ossimoro che denota l’ottusità dell’uomo. Le nugae sono piccinerie.
 
Sostrata abituata ai rimproveri e probabilmente ai maltrattamenti del marito che dai primi versi sembrava tanto umano, si giustifica subito dicendo che non ha fatto nulla contro i suoi ordini.
Cremete ribadisce il proprio ruolo di padrone chiedendole se voglia fargli credere ciò che è incredibile: vin me istuc tibi, etsi incredibilest- credere? Poi aggiunge un ironico credo (624-625).
E’ il modo in cui viene trattata pregiudizialmente la persona da sottomettere. Lo facevano con noi bambini  gli adulti imbecilli.
Siro a parte commenta malevolmente la excusatio non petita: “nescioquid peccati portat haec purgatio” (625)
Sostrata ricorda al marito la bestialità di lui: “memistin me gravidam esse et  te maxumo opere edicere-si puellam parerem, nolle tolli? (626-627), ti ricordi quando ero incinta e tu dichiaravi con tutta la forza che se partorivo una bambina non volevi che venisse allevata?
 
Credo che rifiutare una figlia sia la massima rinnegazione della propria vita e della propria stirpe: solo da una figlia sicuramente tua puoi essere certo di avere un proseguimento della tua vita su questa terra.
Il più grande rimpianto della mia vita è la figlia non nata che Päivi apettava da me.
Eppure, se è andata così significa che è stato meglio per tutti. Mi giustifico e mi consolo con l’amor fati.
 
Il marito ottuso crede che la moglie abbia allevato la loro figliola di nascosto.
 
Siro a parte dice che lui così avrebbe una padrona in più e il padrone uno a svantaggio aggiunto: domna (domina) ego, erus damno auctus est (628)  un significato dal significante e pure dal significato simile  a “donna danno”.
 
Sostrata dice la verità: che ha affidato la bambina a una donna anziana di Corinto, una vecchia per bene, non corrotta né corruttrice: anus haud impura. Ei dedi (629). Quindi la donna si scusa dicendo che se ha sbagliato l’ha fatto senza saperlo
Cremete l’ homo sum del verso 77 diventato  inhumanus, accusando di inscitia incoscienza la moglie, poi le dà dell’imprudens perché non ha eseguito il suo ordine di far morire, opportunamente, la bambina, di fatto e non solo a parole.
Tuttavia non nega le attenuanti  e “magnanimamente”   sorvola “At id omitto: misericordia, animus maternus” (637)
Però poi accusa Sostrata di avere messo la bambina in mano a una vecchia perché diventasse una prostituta o venisse venduta in piazza vel uti quaestum faceret vel uti veniret palam (640)
Avrai pensato: “quidvis satis est dum vivat modo” (641) qualunque cosa va bene, purché viva, basta questo.
Sostrata piega di nuvo la testa davanti al marito padrone: “mi Chreme, peccavi, fateor, vincor (644)- Quindi lo chiama mi vir e fa appello alla capacità di comprendere, perdonare e  di porre riparo alla sua stoltezza con la giustizia.
Cremete si compiace di tanta mansuetudine e risponde : “scilicet ignoscam” (646) si capisce, perdonerò, e rivendica la sua grande indulgenza pur criticando se stesso per non avere educato come si deve la moglie bisognosa di maggiore severità: male docet te mea facilitas multa”.
Infine le dà il permesso di parlare: loquere (649).
Sembra una scena comica: irrisoria nei confronti della stupidità prepotente e impotente di questo pater familias.
 
Sostrata  prosegue con il mea culpa che a me suona come una canzonatura ironica  del marito cretino: “ut stultae et misere omnes sumus –religiosae, quom exponendam do illi, de digito anulum-detraho et eum dico ut una cum puella exponeret:-si moreretur, ne expers partis esset de nostris bonis (649-652) stupide e superstiziose come siamo tutte noi femmine,  quando do a quella donna la piccola da esporre, mi tolgo dal dito l’anello e ordino di esporlo con la bambina: perché, se doveva morire, non le mancasse qualcosa dei nostri beni.
 
Il marito idiota fa un commento ironico: “istuc recte: conservasti te atque illam (653), questo va bene: hai salvato te e quella.
 
Quindi Sostrata mostra l’anello al marito il quale le domanda unde
habes ? Allora la moglie nomina la ragazzina che Bacchide ha portato con sé:  quam Bacchis secum adduxit adulescentulam (654)
 
Sono le mosse scacchistiche o le tirate di dadi del destino buono che mette a posto le cose.
 
Il tempo e la vita sono diretti dal logos ma non corrispondono alla logica meschina dei più: il corso del tempo è un ragazzo che gioca, gioca con le tessere di una scacchiera: è il regno di un ragazzo ( aijw;n pai`~ ejsti paivzwn, pesseuvwn paido;~ hJ basilhivh, scrive Eraclito,  fr. 48 D.)
 
La ragazza dunque ha consegnato l’anello a Sostrata mentre andava a lavarsi perché non si perdesse ea  lavatum dum it , servandum mihi dedit (655) e Sostrata l’ha riconosciuto
Cremete vuole interrogare la vecchia cui Antifila venne consegnata
Sostrata dice che si chiama Filtera al marito che vuole rintracciarla.
Intanto Syro teme che il riconoscimento della figlia gli nuoccia.
Invece Sostrata è contenta del fatto che Cremete mostri interesse per il ritrovamento della figlia che aveva rifiutato: si compiace e congratula per il fatto che l’animo di Cremete non è più così durus come era allora in tollendo nell’esporre la bambina innocente  (665)
Il marito ravveduto  si giustifica con parole plausibili: le copio e le faccio mie perché nemmeno io feci nulla per salvare la bamnina che Päivi decise da sola di abortire:
Non licet hominem esse saepe ita ut volt, si res non sinit
Nunc ita tempus fert, mi ut cupiam filiam: olim nil minus” (666-667)
Spesso all’uomo non è possibile essere come vorrebbe, se le circostanze  non lo permettono. Ora il tempo comporta condizioni per cui io possa desiderare una figlia: allora nulla desideravo di meno.
 
Spesso è la situazione economica che non ci permette di mettere al mondo un figlio; mi riconosco anche in questo: nel 1974 dovevo trasferirmi da Padova a Bologna; vero è che le zie mi avevano comprato la casa dove vivo ancora ma all’epoca mi ci dovevo sistemare e organizzare la mia vita in questa città da dove mancavo da cinque anni e dovevo prepararmi per fare almeno dignitosamente un lavoro molto più impegnativo sebbene sempre con uno stipendio che mi permetteva di sopravvivere  appena decentemente.
Se fosse successo una decina di anni fa dopo un incremento delle mie entrate e la sistemazione qui a Bologna e le mie sicurezze nel lavoro, avrei detto a quella donna che amavo e stimavo: “ti prego, fai nascere quella bambina: me ne occuperò io”. I classici parlano sempre di noi. In questa chiusura della prima scena del quarto atto Terenzio ha scritto per me e chissà quanti altri.
 

Bologna 19 gennaio 2022 ore 17, 43
Giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Cfr. Odissea, XIX, 386 e sgg.

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