Il teatro rivoluzionario di Terenzio
seconda parte
Negli Adelphoe non c'è un contrasto di classe bensì di mentalità: l'ideale di Demea è quello della tradizione romana e catoniana; Micione è un seguace dell'aristocrazia progressista che apprezza il valore dell'otium . I poveri sono spesso, come in Menandro, buoni e rispettabili e conducono una vita dignitosa: così Egione e Sostrata, il patrono e la madre di Panfila negli Adelphoe.
Un frammento di Menandro fa: non bisogna cedere ai prepotenti ma opporsi. Gorgia avverte Sostrato in tal senso nel Dyskolos.
Così in Terenzio, all'inizio del III atto degli Adelphoe , Geta (schiavo di Sostrata) eleva il lamento del povero che non ha difesa davanti alla prepotenza del ricco: "Tot res repente circumvallant se (si addensano)... vis, egestas, iniustitia, solitudo, infamia "(302-303).
In genere però i fatti dimostrano che le opinioni e le supposizioni degli schiavi sono vicini ai luoghi comuni che Terenzio vuole dimostrare errati.
Infatti Micione non porrà obiezioni al matrimonio di Eschino con la poverella Panfila sedotta dal ragazzo.
Insomma in Plauto lo schiavo è l'eroe della commedia, mentre Terenzio ne fa uno sciocco poiché il servo della commedia nuova esprimeva la saggezza tradizionale che a Terenzio non piace.
Terenzio disapprova gli imbrogli dei servi siccome vuole che tra padrone e schiavo si stabilisca un rapporto di fiducia.
Obietto che non tutti i servi delle commedie di Terenzio sono pessimi però. Geta negli Adelphoe è buono e addirittura mantiene la famiglia (479-482).
Nei vv. 35-39 dell'Andria Terenzio afferma che nello schiavo può esserci l'anima di un uomo libero: Simone il padre dell’innamorato Panfilo dice al suo liberto Sosia:"feci ex servo ut esses libertus mihi/propterea quod servibas liberaliter ". Terenzio ha indicato un rapporto tra padrone e servo fondato sulla liberalità.
Gli Scipioni ed Emilio Paolo davano ai figli un'educazione liberale ed ellenizzante: ponevano accanto ai giovinetti non solo grammatici e retori, ma anche scultori, pittori, personale che addestrava cani e cavalli, tutti greci. Micione è convinto che il miglior sistema pedagogico stia nell'abituare i figli alla sincerità e alla confidenza. Goethe si faceva chiamare Micione dal figlio, mentre Augusto si definiva Eschino.
Il problema pedagogico è trattato anche nell'Andria . Simone dà al figlio Panfilo un'educazione di tipo ellenizzante che completa le attività intellettuali con quelle sportive: si dedicava ad allevare cavalli, o cani da caccia, o ad ascoltare filosofi, ma tutto senza esagerare"nequid nimis "(62).
Ai vv. 52-54 dell’Andria Simone dice parole contrarie all'educazione repressiva:" is postquam excessit ex ephebis, Sosia et-liberius vivendi fuit potestas(nam antea- qui scire posses aut ingenium noscere/ dum aetas metus magister prohibebant? " , dopo che fu uscito dalla minore età, Sosia, egli ha avuto la possibilità di vivere in modo più indipendente (infatti prima come avresti potuto conoscere o capire la sua indole finché l’età, la soggezione, il maestro lo imbrigliavano?)
I Pesaresi della mia generazione hanno avuto la fortuna di venire a Bologna - meglio che a Urbino - dopo il liceo. Di qui è iniziata l’emancipazione dalla famiglia e dal conformismo della sedes Pisauri, moribunda secondo Catullo (81, 3).
Pesaro e Bologna
Emanciparsi dal borgo dell’infanzia e adolescenza, ma non rinnegarlo: qui a Bologna, dove giunsi quasi ancora fanciullo, nell’autunno del 1963, chi non mi conosce, come mi sente parlare, mi domanda se sono di Pesaro. Conservo l’accento e il prolungamento delle vocali che usavamo giocando, da “squizzi” nelle strade e pure a scuola.
L’infanzia ci rimane sempre dentro. Nei mesi estivi poi Pesaro non è moribunda, anzi.
Bologna è una città dove si vive benissimo e mi piace assai, però ha due carenze: il mare e la cucina del pesce che è un cibo troppo leggero per hi mangia ragù, lasagne, mortadella, e altri cibi micidiali di tal fatta. Per fortuna non mancano i ristoranti greci.
Simone dunque racconta a Sosia come ha educato il figlio.
Il vero scopo di un'educazione liberale è rendere il giovane capace di imporsi da solo una norma di vita:" scias posse habere iam ipsum suae vitae modum "(Andria, 95).
I rimproveri non giovano: infatti Panfilo, che non è mai stato rimproverato dice all’ancella Miside che prova per il padre un pudor , uno scrupolo, che non gli consente di disobbedire:"tam patris pudor, qui me tam leni passus est animo usque adhuc...facere " Andria, v. 262-263), alui che con tanta indulgenza mi ha lascito vivere finora a mio talento.
Eppure anche i padri indulgenti vogliono che a un certo punto il figlio si sposi, e i giovani educati liberalmente lo fanno; invece i ragazzi che hanno avuto un padre severo tendono piuttosto al libertinaggio.
L'Heautontimorumenos tratta il problema pedagogico più a fondo: Cremete rappresenta l'astratto raziocinare e sermoneggiare e Menedemo il sentimento.
Correggo Perelli: i suggerimenti di Cremete non sono astratti
Egli dice a Menedemo che l'equivoco tra lui e il figlio è nato da mancanza di confidenza:"verum nec illum tu satis noveras/nec te ille; hoc qui fit? ubi non vere vivitur "(Heautontimorumenos, vv. 153-154), ma tu non lo avevi capito abbastanza né lui te; questo come succede? Quando non si vive nella sincerità .
Dunque in famiglia è necessaria la confidenza reciproca.
Questa è una lezione essenziale del teatro di Terenzio.
Al proprio figliolo Clitifone, Cremete dice che i beni come nobiltà e ricchezza sono tali secondo l’indole di chi li possiede: sono beni per chi sa usarli, per quello che non ne fa uso non sono beni haec perinde sun ut illius animu’ qui ea possidet:- qui uti scit ei bona; illi qui non utitur mala (195- 196) un altro insegnamento tutt’altro che astratto.
Luogo simile in Senofonte
Il Socrate di Senofonte dice a Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono averi utili:"Taujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"( Economico, I, 10); così i flauti sono utili per chi li sa suonare bene; per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili( "oujde;n ma'llon hj; a[crhstoi livqoi"). Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai).
Quindi Seneca: “Stulto nulla res opus est (nulla enim re uti scit), sed omnibus eget” (Ep, 9, 14), allo stupido non occorre nulla ( infatti non sa fare uso di nessuna cosa), ma sente la mancanza di tutte.
Penso ai libri che hanno invaso la mia casa: per altri sarebbero un ingombro sgradevole.
Ai vv. 96-150 Menedèmo racconta a Cremete perché passi il giorno a lavorare i campi in solitudine: si autopunisce siccome ha rimproverato duramente il figlio Clinia il quale amoreggiava con una ragazza povera ( Heautontimorumenos-vedi vv. 99-101 e 109 sgg.).
Già Menandro è fautore di una condotta indulgente dei padri verso i figli.
Menedemo si è comportato troppo duramente con il figlio.
Cremete glielo dice, però poi parlando al proprio figliolo Clitifone
suggerisce che una certa severità è necessaria con i figli dediti a crebro scortari cebro, crebro convivarier, a frequentare le puttane spesso e spesso banchettare. Quindi afferma che bisogna utilizzare l’insuccesso degli altri come contromodello per evitare il proprio fallimento (210).
Terenzio crede piuttosto che sia più efficace l’esperienza personale e non l'esempio degli altri .
All’inizio del II atto Clitifone rimasto solo dice che è ingiusto che i genitori pretendano che i figli nascano subito vecchi(214):"qui aequom esse censent nos a pueris ìlico nasci senes ".
Quindi il giovane esprime l'ideale pedagogico di Terenzio: se avrà un figlio si metterà in condizione di capire e perdonare i suoi peccati:"et cognoscendi et ignoscendi dabitur peccati locus" (218).
Nell’atto V c'è il capovolgimento delle posizioni iniziali : Cremete viene ingannati dal figlio e si infuria, mentre Menedemo diviene indulgente esprimendo la morale della commedia:"fac te patrem esse sentiat; fac ut audeat /tibi credere omnia , abs te petere et poscere /neque aliam quaerat copiam (mezzo) ac te deserat "(925-927), fai in modo che tuo figlio senta che tu sei un padre, fai che abbia il coraggio di confidarti tutto, di chiedere a te, di ricorrere a te, e non ti abbandoni cercando dei mezzi altrove.
Nessun autore antico è avanzato quanto Terenzio nel credere nella bontà della natura umana quando viene lasciata libera.
Del resto negli Adelphoe Micione non è un lassista: non rinuncia all'autorità ma vuole renderla più salda attraverso l'amicitia : è il principio dell'imperialismo filantropico e illuminato teorizzato da Panezio (185-110) e dal circolo scipionico.
Dunque la liberalità rafforza l'autorità paterna e l'imperium .
Terenzio rifiuta anche il sistema educativo fondato sugli esempi poiché ritiene che ciascun uomo debba rimanere fedele alla propria identità.
Le persone non possono essere educate tutte allo stesso modo poiché sono diverse: "hoc licet impune facere huic, illi non licet,/non quo dissimili’ res sit, sed quo is qui facit " (Adelphoe , 824-825).
Micione invita anche a non dare troppa importanza al denaro: "attentiores sumus ad rem (roba) omnes quam sat est "(834). E' il vizio dei vecchi: "solum unum hoc vitium adfert senectus hominibus" (833).
Infatti Polibio racconta la grande generosità di Scipione Emiliano (XXXI, 26-27)
Quando morì Emilia, la moglie del nonno adottivo, Scipione Africano Maggiore, ella lasciò al nipote grandi ricchezze, quelle che era solita sfoggiare nella magnificenza di cui circondava la sua persona. Scipione Emiliano quindi regalò lo splendido corredo ereditato a sua madre Papiria che era separata da suo padre ed era meno facoltosa di quanto si addicesse alla sua nobiltà. Papiria allora si recò ad un solenne pubblico sacrificio con il fastoso abbigliamento e i sacri utensili di Emilia suscitando entusiasmo per la generosità del figlio, veramente eccezionale e stupefacente a Roma dove assolutamente nessuno dà niente a nessuno senza fare dei conti (" aJplw'" ga;r oujdei;" oujdeni; divdwsi tw'n ijdivwn uJparcovntwn eJkw;n oujdevn", XXXI 26, 9. Scipione dunque si distingue da quella mentalità tirchia e utilitaristica impersonata da Catone e codificata nel suo De agri cultura che rappresenta un mondo ristretto, quello della villa , e dominato dalla logica dell'utile
Infine abbiamo la conversione di Demea nel monologo:"re ipsa repperi facilitate nihil esse homini melius neque clementia "(860), ho trovato proprio nei fatti nei fatti che per l’uomo non c’è niente di meglio dell’affabilità e della clemenza,
Micione è invidiato perché se l'è passata bene: "illum diligunt, apud illum sunt ambo, ego desertus sum "(873).
Il finale è comico e non va preso troppo sul serio secondo Perelli.
Eppure Demea vuole condannare gli eccessi di Micione indicando una via di mezzo:"te isti facilem et festivom putant ( accondiscendente e generoso 986) ex adsentando, indulgendo et largiendo "(Adelphoe, 988) dal tuo lusingare, indulgere, largheggiare.
Bologna 12 gennaio 2021 ore 11, 34
giovanni ghiselli
p. s.
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Splendido racconto, Gianni, finalmente comincio a capire qualcosa della commedia greca e latina. Fu una grave lacuna del liceo classico dei miei tempi, "tragicista" e ciceroniano.
RispondiEliminaOggi, per la prima volta, ti leggo nel blocco. È un'altra cosa. Assomiglia più ad un libro ben fatto e ben impaginato. Complimenti!
Ci vediamo (virtualmente) martedì prossimo. Un caro saluto. Riccardo