Probabile rappresentazione di Cnemone (Wikipedia) |
Ora passiamo ad esaminare il Misantropo (Duvskolo"), un'opera giovanile: rappresentata alle Lenee del 316 a. C.
Nel Prologo il dio Pan ci dà informazioni sul protagonista, un vecchio contadino dell'Attica, uno di quegli agricoltori"capaci di coltivare anche le pietre"(vv. 3-4). Da questi primi versi si vede che la dimensione eroica, checché se ne dica, non è del tutto sparita dalla commedia nuova: il contadino di Menandro conserva qualche cosa dell'eroismo di quello di Esiodo, dal momento che sopravvive traendo l'estremo prodotto possibile da una terra avara.
Ma Cnemòne non è solo un tenace e duro lavoratore; è pure un
"uomo disumano assai,
intrattabile (duvskolo" appunto) con tutti, che non sta bene con la gente"(vv. 6-7).
Se Cnemone è un disumano (ajpavnqrwpov" ti" a[nqrwpo")
chi è umano secondo Menandro?
Colui che si adatta ad una società borghese, leggera, cortese priva di precise convinzioni politiche e morali, come suggerisce Bruno Snell in Poesia e società “Nel prologo il dio Pan definisce il dyskolos, l’eroe della commedia, un ajpavnqrwpo" a[nqrwpo" sfovdra (v. 6), un uomo disumano assai. Che significa uomo? E’ disumano chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza[1].
In Tirteo era un “uomo” chi possedeva la virtù del coraggio e dava tutto allo Stato, anche la vita (…) Poi essere uomo significa avere un logos. Ma la tragedia più tarda presenta un movimento inverso. All’Agamennone del principio dell’Ifigenia in Aulide la riflessione ha tolto la sicurezza dell’agire, ed Euripide dice spesso che qualcuno è troppo sapiente. Menandro, quando parla semplicemente dell’uomo, non pensa né ad antiche virtù né a capacità spirituali. Per i suoi uomini non esiste un fine al di là della propria vita. Lo Sato non pone compiti di qualche valore, da quando i Macedoni hanno occupato città già autonome. L’aspirazione al sapere tocca ai filosofi e ai dotti specialisti: anche i problemi del bene e del male sono diventati “teorici” e sono oggetto di dispute per le scuole filosofiche…Ma che significa umano e disumano per Menandro?”. La società è mutata, è “ormai limitata alla semplice convivenza, non più legata da fini o interessi comuni… Per Menandro anthropos è l'uomo che si adatta a una simile società, a questa società che è in pari tempo signorile e borghese (e che parla un attico affascinante). Anche in questa società i Greci confermano di avere il talento di creare forme esemplari. Dalla commedia borghese di Menandro e dei suoi contemporanei derivano le commedie romane di Terenzio e di Plauto e, attraverso queste, le commedie del Rinascimento e del barocco e quindi la commedia moderna, il dramma borghese dei moderni e i film dei nostri giorni. Così l’Occidente ha imparato che cosa sia la “società". Le convenzioni, ciò che “uno” fa…furono in gran parte fissate dalla Commedia Nuova del tardo quarto secolo.
Proprio perché è priva di specifiche dottrine religiose, politiche e morali, la Commedia Nuova ha potuto segnare con la sua impronta la cultura sociale dei Romani e poi di altri popoli occidentali. E’ più facile importare e trapiantare le buone maniere che gli usi religiosi e i principi morali”[2]
(…) “E' la civiltà delle buone maniere dalla quale Cnemone si è colpevolmente escluso diventando un disumano regredito a “un'esistenza precivile, da Ciclope”[3].
Polifemo e i suoi simili infatti:
"non hanno assemblee deliberative, nè leggi
ma abitano sulle cime di alti monti
in caverne profonde, e ciascuno dà leggi
ai figli e alle mogli, né si curano l'uno dell'altro"(Odissea , IX, 112-115).
E' questo il primo ritratto dell'uomo impolitico e del tutto asociale che la grecità, almeno quella ateniese fino a Menandro, biasima: Tucidide (II, 40, 2) fa dire a Pericle:"Siamo i soli infatti a considerare non tranquillo ma inutile (oujk ajpravgmona, ajll ; ajcrei'on) chi non si interessa degli affari pubblici".
Il misantropo dunque è un asociale che
"non ha mai rivolto per primo la parola a nessuno" (10), tranne un fuggevole saluto al simulacro dello stesso dio Pan, solo perché"costretto dalla vicinanza"(11).
Un individuo simile a Cnemone è quello che impersona La scortesia , il XV dei Caratteri di Teofrasto:" La scortesia (aujqavdeia) è durezza nel relazionarsi con le parole, e lo scortese è il tipo, se riceve la domanda-dov'è il tale?-, è capace di rispondere-non mi dare briga-(pravgmatav moi mh; pavrece)".
Disumano allora è "chi non è amichevole con nessuno, chi si tiene lontano da tutti con diffidenza" ne inferisce Snell (Poesia e società,. p. 151) che in una nota cita anche Shakespeare:"He' s opposite to humanity ", è un nemico del genere umano, detto di Apemanto, filosofo senza creanza, in Timone d'Atene (I, 1).
Nel Timone d'Atene di Shakespeare (1607) il protagonista eponimo, diventato misantropo per l’ingratitudine umana dice: All’s obliquy;-there is nothing level in our cursed –natures-but direct villainy. Therefore be abhorred-all feasts, societies, and throngs of men-His semblable (similis-)yea himself, Timon disdains-(dedignari)-Destruction fang-(azzanni,allied to latin pangere conficcare affondare) mankind. IV, 3, 18-24).
Cfr. anche La diffidenza di Teofrasto.J ajpistiva.
Insomma costoro sono persone che peccano contro le convenienze le quali sono cresciute di importanza da quando la polis non dà compiti di grande valore siccome i Macedoni hanno occupato l'acropoli , e l'aspirazione al sapere, all'arricchimento filosofico o letterario dell'anima riguarda i dotti specialisti. Proprio questa mancanza di alti ideali o di specifiche dottrine ha messo la Commedia nuova in una condizione di esemplarità rispetto a Plauto, Terenzio e anche ad autori del Rinascimento, dell'età barocca e pure di quella moderna.
Bologna 7 gennaio 2021 ore 17, 40
giovanni ghiselli
p. s.
C’è ancora un po’ di luce nel cielo. Sta arrivando la luce della primavera intanto. Quando le si aggiungerà il calore avremo il vaccino più vero anche se meno riconosciuto dalle parole
[1] Così dice Shakespeare, Timon of Athens, I, 1: “He’ s opposite to humanity”.
[2] B. Snell, Poesia e società, pp. 151-152.
[3] B. Snell, Poesia
e società,, p. 153
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