Il problema di cui si parla senza che vi si ponga rimedio.
La povertà era diffusa nell'Attica del IV secolo: Isocrate nell'Areopagitico (del 357) denuncia la decadenza economica di Atene:"ora sono in maggior numero i bisognosi rispetto agli abbienti"( nu'n de; pleivou" eijsi;n oiJ spanivzonte" tw'n ejcovntwn, 83). L'oratore indicava un rimedio nel ritorno al predominio dell'Areopago, quando nessuno chiedeva la carità.
Menandro piuttosto indica una soluzione nella filantropia e nei matrimoni tra poveri e ricchi. Intanto però i diseredati cominciavano ad agitarsi gridando:"abolizione dei debiti!" e "distribuzione delle terre!".
Un'espressione che si trova già nella Repubblica platonica, del 370:"crew'n te ajpokopa;" kai; gh'" ajnadasmovn"(566a), cancellazioni di debiti e distribuzioni di terre. E’ un proclama del demagogo.
E’ necessario restituire dignità al lavoro. Nessun lavoratore deve essere pagato in maniera che debba vivere assillato dal bisogno.
Quando iniziai a insegnare e dovevo pagare una stanza in un albergo di Cittadella poi in un appartamento di Padova, non ce l’avrei fatta con il mio stipendio di 118 mila lire al mese, uguale a quello del ferroviere Pinelli.
Dicevo che era giusto che non venissi pagato più dell’anarchico defenestrato o di un operaio.
Sbagliavo: l’operaio, magari con figli, doveva essere pagato più di me perché il mio affitto lo pagava una zia, il suo probabilmente no.
Me lo fece capire un medico cubano educandomi e gliene sono ancora grato perché a casa mia invece mi avevano insegnato che era cosa giusta la povertà dei contadini mezzadri e della “serva”.
Lo incontrai a Budapest e mi disse che guadagnava meno di uno che tagliava la canna da zucchero e aveva dei figli, e che era giusto così perché lui non aveva figlioli.
giovanni ghiselli
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