domenica 6 ottobre 2024

Battaglia sul Granico 334-, Sardi, poi la costa asiatica grecizzata del mare Egeo.

“Alessandro non fu cantato da Pindaro come Ierone, Gelone e Terone, e la sua impresa non ebbe la rinomanza di quella di Ciro il Giovane contro Artaserse raccontata da Senofonte.

 Eppure la sua impresa è stata la più grande, ed io non mi sono ritenuto indegno di porla davanti agli occhi dell’umanità. Io non devo scrivere il mio nome, né quello della patria o della famiglia o delle cariche o{ti ejmoi; patri;~ te kai; gevno~ kai; ajrcai; oi{de oiJ lovgoi eijsi; te kai; ajpo; nevou e[ti ejgevnonto ( Arriano, Anabasi di Alessandro, 1, 12, 5), per me patria, famiglia e cariche sono, e fin dalla giovinezza sono state, queste narrazioni. Ed io non mi ritengo indegno dei migliori nell’uso della lingua greca”.

Valore assoluto del lovgo~.   

Arriano mitizza se stesso, imitando Al.

 

Battaglia sul Granico

Memnone di Rodi consigliava la tattica scitica ai Persiani, ma Arsite, luogotenente della Frigia sull’Ellesponto non voleva vedere la sua terra devastata.

Dall’altra parte Parmenione sul Granico -maggio 334- consigliò di non attaccare subito, ma A. disse “ho varcato l’Ellesponto e non sarà tou`to smikro;n reu`ma questo fiumiciattolo a impedirci di passare come siamo (1, 13, 6). E’ uno dei tanti contrasti che costeranno la vita a Parmenione.

 

Cfr. non cederò di Achille cedere nescius.

L'eroe non fa niente che non stimi degno della sua natura:  Achille, cedere nescius  [1],  non si lascia bloccare dalla profezia di sventura del cavallo fatato Xanto,  e gli risponde:"ouj lhvxw"[2], non cederò.

Della definizione oraziana dell'eroe si ricorda Leopardi nel Bruto Minore :" Guerra mortale, eterna, o fato indegno,/teco il prode guerreggia,/ di cedere inesperto"(vv. 38-40).

Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"(Iliade,  VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli: nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille

 

Se aspettassimo, replica Al.,  infonderemmo coraggio nei Persiani. Al. era dh`lo~o{plwn th`/ lamprovthti (I, 14, 4), riconoscibile per lo splendore delle armi e per il timore reverenziale di chi gli stava intorno. Altre volte invece Al. si mette in evidenza con la semplicità dell’abbigliamento.

L’ esercito macedone vinse: aveva maggiore forza d’urto (rJwvmh) per l’esperienza e perché combattevano con le aste di corniolo contro le lance meno solide della cavalleria persiana “xustoi`~ kranei?noi~ pro;~ palta; ejmacou`nto (I, 15, 5), ossia aste di legno molto duro, cornĕus quelle dei Macedoni.

Arsite si uccise poiché era considerato ai[tio~ di quel disastro.

 

Al. commissionò a Lisippo le statue di bronzo di 25 compagni caduti; lo scultore peloponnesiaco o{sper kai;  jAlevxandron movno~ prokriqei;~ ejpoivei (Arriano, I, 16, 4),  fu l’ unico prescelto a raffigurare anche Alessandro.

 

Plutarco descrive l'aspetto fisico, ricavandolo soprattutto dalle statue di Lisippo dal quale solo egli riteneva opportuno farsi effigiare poiché sapeva rappresentare in modo accurato la tensione del collo lievemente piegato verso sinistra e la dolcezza dello sguardo:"thvn t  j ajnavtasin tou' aujcevno" eij" eujwvnumon hJsuch'/ keklimevnou kai; th;n uJgrovthta tw'n ojmmavtwn" (Vita, 4, 2) .

 Si noti che questi segni esterni sono rappresentativi del carattere e contengono "tensione" con "dolcezza".

Nel Ritratto di Alessandro [3] Lisippo sembra scartare la rappresentazione realistica come quella idealizzata, optando per un'immagine umanizzata del sovrano, nella quale divino e umano arrivano a fondersi, esprimendo un nuovo concetto di regalità.

 

Il vincitore mandò ad Atene 300 armature persiane (cfr. Cleone e gli scudi di Sfacteria 425 a. C.) da dedicare ad Atena con l’iscrizione: “Al. e i Greci, plh;n Lakedaimonivwn, dai barbari che abitano l’Asia (1, 16, 7). Quindi Al. avanzò su Sardi, poi andò sulla costa, a Efeso dove sciolse l’oligarchia e instaurò la democrazia “che Al. considerava, o diceva di considerare, come la costituzione originaria dei greci dell’Asia Minore” (Boosworth, p. 270).

 Dopo le prime rappresaglie contro gli oligarchi Al. impose un’amnistia poiché sapeva che il popolo abbandonato a se stesso, xugcwrhqe;n aujtw`/ -sugcwrevw-(1, 17, 12), si sarebbe dato al saccheggio e all’ingiustizia.

 

Non è democrazia quando il popolo può fare ciò che vuole.  

Mi riferisco al processo e della condanna a morte degli strateghi vincitori alle Arginuse (406 a. C.). Ci fu un tentativo di difesa, ma nella massa oramai era stato inoculato l'odio e il desiderio del capro espiatorio ed essa gridava che era grave se qualcuno non permetterva al popolo di fare quanto voleva ("to; de; plh'qo" ejbova deino;n ei\nai, eij mhv ti" ejavsei to;n dh'mon pravttein o{ a]n bouvlhtai", Senofonte, Elleniche,  I, 7, 12).

"E' la rivendicazione che riecheggia minacciosamente in assemblea ad Atene durante il processo popolare contro i generali delle Arginuse"; è "la formula che caratterizza, secondo Polibio, la degenerazione  della democrazia (VI, 4, 4:" quando il popolo è padrone di fare quello che vuole").[4]

 

Al Fece comunque deporre le oligarchie- ojligarciva~ pantacou` kataluvein- e instaurare le democrazie ta;~ de;  dhmokrativa~ ejgkaqistavnai,  (Arriano, I, 18, 2).

 

“La grande idea di Alessandro era di aiutare i popoli a ritrovare la personalità perduta…Le monete di quest’epoca ci provano che tutte le città non solo ricuperavano la loro autonomia, ma ridivennero municipalità indipendenti, come prima della pace d’Antalcida (386). Queste monete non recano l’effigie del re, ma lo stemma della città[5].

 

Questo non toglie che Al. esigesse sottomissione e tributi i quali non venivano più pagati  ai padroni barbari ma a lui.

 

 Alcune città greche fruivano di particolari riguardi: “Abbiamo già visto quanto Alessandro si preoccupasse per favorire lo sviluppo delle città elleniche…Di queste municipalità, un tempo asservite ai capricci dei tiranni, Alessandro aveva fatto altrettante città libere e fiere, che dipendevano soltanto dal loro liberatore[6].

 

Era dunque una liberazione parziale e una libertà limitata.

 Mileto resisteva (334). Un’aquila aejtov~ fu vista appollaiarsi sulla poppa di una nave di Al. a riva. Parmenione consigliava di attaccare una battaglia navale (parhv/nei j Alexavndrw/ naumacei'n, I,18, 6) ma Al. dimostrò che non era il momento di combattere sul mare oujk ejn kairw`/ naumacei'n (18, 9), oltretutto l’aquila ejpi; gh`/ significava che egli avrebbe vinto la flotta persiana ejk gh`~.

Alessandro era molto attento ai “segni”. Poi li interpretava come voleva.

 

 Diodoro[7] (Biblioteca, 17, 23) sostiene che Al. sciolse la flotta pensando che i Macedoni avrebbero combattuto con impeto maggiore se fosse stata eliminata la speranza della fuga. Questo gesto verrà imitato da Agatocle, il re dei Siracusani (dal 317 al 289 a. C.) che sbarcato in Libia bruciò le navi.

 Mileto fu presa e i Persiani dovettero andarsene a[praktoi (19, 11), senza avere concluso nulla. Al. sciolse la propria flotta perché oramai controllava la terra e lasciava le navi persiane senza porti.

 

 Poi ci fu l’assedio di Alicarnasso 334/ 333.

Nominò “satrapessa” della Caria, Ada cui il fratello- marito Idrieo aveva lasciato il potere morendo: è costume in Asia fin dai tempi di Semiramide che anche le donne comandino sugli uomini nenomismevnon ejn th`/  jAsiva/  e[ti ajpo; Semiravmew~ kai; gunai`ka~ a[rcein ajndrw`n (1, 23, 7),. 

Poi Al. andò in Licia e Panfilia continuando a occupare la costa per rendere ajcrei`on to; nautikovn (1, 24, 3), inutile la flotta ai nemici.

 

Cfr. Senofonte kth`ma e crh`ma.

 Il Socrate di Senofonte dice al giovane Critobulo: le medesime cose per chi sa servirsene sono averi utili, per chi invece non sa servirsene non sono averi utili:"Taujta; a{ra o[nta tw'/ me;n ejpistamevnw/ crh'sqai aujtw'n eJkavstoi" crhvmatav ejsti, tw'/ de; mh; ejpistamevnw/ ouj crhvmata"(Economico, I, 10); così i flauti sono utili per chi li sa suonare bene, per chi non lo sa, non sono niente più che sassi inservibili ( "oujde;n ma'llon h] a[crhstoi livqoi").

Non basta quindi possedere (kekth'sqai) il denaro; bisogna anche sapersene servire (crh'sqai).  E’ pertanto prima di tutto un problema di conoscenza, di ejpisthvmh, di capacità riflessiva.

 

Il segno dato dalla rondine.

Gli venne svelata una congiura organizzata da un Alessandro, figlio di Aeropo, comandante della cavalleria tessala. Inoltre era stato turbato da un prodigio durante l’assedio di Alicarnasso. Mentre A. riposava sul mezzogiorno una rondine svolazzava sulla sua testa truvzousan megavla (I, 25, 6) garrendo ripetutamente e si posava qua e là sul suo letto e cantava in modo più irrequieto del solito qorubwdevsteron h} kata; to; eijwqov~ a[/dousan (25, 7). A. non si svegliava e comunque cercava di scacciarla con la mano, ma la rondine si posò sulla sua testa e non se ne andò prima che quello si fosse svegliato del tutto (25, 8).

L’indovino Aristandro gli disse che questo significava una macchinazione di amici che sarebbe stata scoperta. Infatti la rondine è un uccello familiare e benevolo suvntrofon kai; eu[noun  verso gli uomini e lavlon chiacchierone più degli altri uccelli. (25, 9).

 

Maurizio Bettini dedica un capitolo (il IV "Turno e la rondine nera") del suo Le orecchie di Hermes alla rondine come uccello dal doppio significato.

“Ma l'esempio forse più interessante è costituito da una storia che si narrava di Alessandro Magno[8]. Il generale stava dormendo , "a mezzogiorno", quando una rondine cominciò a volteggiare sulla sua testa. Alessandro, ancora nel sonno, tentò di scacciarla con una mano, ma la rondine non voleva saperne di andarsene. Si allontanò solo quando il Macedone, destatosi, la colpì con forza- ma prima lasciò cadere su di lui i suoi escrementi[9].

Alessandro si spaventò molto del prodigio, e mandò a chiamare l'indovino Aristandro di Telmisso, che abilmente lo rassicurò. L'indovino volse il prodigio in bonam partem appellandosi al carattere di "amica dell'uomo" posseduto dalla rondine. Si tratta di uno dei tipici casi in cui, di fronte a una credenza di tipo bipolare, la dialettica fra dark side e bright side viene utilizzata per fini di carattere "contestuale": sfruttandone le intrinseche possibilità di manipolazione” [10].

 

Torniamo ad Arriano. Alessandro figlio di Aèropo dunque fu catturato e tenuto sotto custodia.

Al. figlio di Filippo mosse verso la Frigia passando per Telmesso città portuale della Licia. Vi abitano i Pisidi che sono barbari e macimwvtatoi (I, 28, 2). Quindi A. passò per Celene e si diresse a Gordio che fa parte della Frigia all’Ellesponto. Primavera 333. Là giunse un’ambasceria di Ateniesi che chiesero di rilasciare i prigionieri greci catturati al Granico, ma ad A. non sembrò sicuro condonare della paura ai Greci (ajnei`naiv ti tou` fovbou,I,  29, 6) che avevano combattuto contro la Grecia in favore dei barbari.

 

Motivo della positività della paura.

 

Metus e to; deinovn ispettore delle anime,

Quanto alla paura, Eschilo consiglia di non bandirla del tutto dalla città quando nelle Eumenidi  fa dire al Coro delle Erinni:" a volte il terrore è bene (" e[sq  j  o{pou to; deino;n eu\ ") /e quale ispettore delle  anime (frenw'n ejpivskopon)/ deve restarvi a fare la guardia".(vv. 517-519).

E subito dopo:" mht  j a[narkton bivon-mhvte despotouvmenon-aijnevsh/" : panti; mevsw/ to; kravto" qeo;"-w[pasen "(526-530), non lodare una vita di anarchia né una soggetta al dispotismo: in ogni caso il dio dà potenza al giusto mezzo.

 Più avanti la stessa Atena istituendo l'Areopago afferma che in quel luogo il rispetto (sevba", v. 690) e la paura sua congiunta (fovbo" te xuggenh;", 691) tratterrà i cittadini giorno e notte dal commettere delitti, quindi  consiglia agli Ateniesi che hanno cura della città di rispettare uno stato senza anarchia né dispotismo ("to; mhvt j a[narcon mhvte despotouvmenon", v. 696) e di non scacciare del tutto il timore fuori dalla città: infatti quale mortale è giusto se non ha nessuna paura ?  ("kai; mh; to; deino;n pa'n povlew" balei'n-tiv" ga;r dedoikw;" mhde;n e[ndiko" brotw'n;" vv. 698-699).

 

Il tiranno Creonte nell'Antigone  di Sofocle considera l'anarchia il massimo male: Non c'è male più grande dell'anarchia./Essa manda in rovina le città, questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/  le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina" (vv. 672-676).

 

Secondo Sallustio era Il metus hostilis, la paura del nemico, che tratteneva i Romani dai vizi i quali, invece, caduta Cartagine, invasero Roma:"Ante Carthaginem deletam…metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilĭcet ea quae res secundae amant, lascivia atque superbia, incessēre " (Bellum Iugurthinum , 41), prima della distruzione di Cartagine…il timore  del nemico manteneva il buon governo nella città. Ma quando quella paura sparì dalle menti, quei vizi che naturalmente il successo ama, la dissolutezza e la superbia si fecero avanti.

 

Pesaro 6 ottobre 2024 ore 11, 04 giovanni ghiselli

p. s

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[1]Orazio, Odi , I, 6, 5- 6:" gravem /Pelidae stomachum cedere nescii ", la funesta  ira di Achille incapace di cedere. 

[2] Iliade , XIX, v. 423.

[3]Una copia romana che si trova al Louvre.

[4]Canfora, Lo Spazio Letterario Della Grecia Antica , Volume I, Tomo II, p. 835.

[5] J. G. Droysen, ( Alessandro Il Grande, p. 134.

[6] Johann Gustav.  Droysen (1808-1884), Alessandro Il Grande, p. 135

[7] Storico di Agirio, in Sicilia, visse per lungo tempo a Roma. Tra ìl 60 e il 30 a.C. compose la Biblioteca, una storia universale in 40 libri. Raccontava parallelamente la storia greca e quella romana dalle origini al 36 a. C. Ci sono arrivati i libri 1-5 e 11-20. Il XVI e il XVII raccontano le storie di Filippo e di Alessandro.

[8] Arriano, L'anabasi di Alessandro, I, 25, 6, sgg.

[9] Si narrava che lo stesso incidente fosse capitato a Gorgia. Il quale se la cavò, però, senza allarmarsi e con molto spirito, esclamando "non son cose da farsi, queste, Filomela!" (Plutarco, Questioni conviviali, 8, 7, 2).

In Arriano non ho trovato notizia di questo “incidente” (n. d. r.).

[10] M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 126 sgg..

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