martedì 8 ottobre 2024

Ifigenia CLXV. La parola drammatica che suggerisce all’attore il tono e il gesto.

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Ero entusiasta al punto che mi proposi di raccontare presto la storia grande e meravigliosa del nostro amore nato dalla volontà educativa.

Durante la cena lo dissi a Ifigenia comunicandole il mio entusiasmo. La ragazza mi dava suggerimenti dal suo punto di vista. Dovevo chiarire quale fosse il mio metodo educativo. Mostrare, attraverso i pensieri dell’io narrante e diversi dialoghi, la collisione tra due concezioni opposte dell’insegnamento: la mia, che identifica il docente con l’educatore inteso a favorire lo sviluppo intellettuale, estetico e morale dei giovani, poi  quella antitetica di quanti considerano l’istituzione scolastica un luogo e uno strumento di repressione e negazione della creatività, della fantasia, degli istinti anche buoni delle ragazze e dei ragazzi da un lato, e dall’altro una fonte di  sostentamento e un esercizio di miserabile potere imposto da docenti e burocrati frustrati, e proprio per questo imperiosi nei confronti di adolescenti spesso  invidiati in quanto più belli e benestanti dei loro guardiani.

Scuole di sapere nel migliore dei casi, quasi mai di sapienza che potenzia la vita.

Lo avevo mostrato nel dramma breve già composto ma ora dovevo allargare il quadro facendovi entrare la politica, i costumi della polis, della nazione, dell’intero Occidente la cui cultura nobile e antica stava declinando da alcuni anni. Avremmo collaborato all’impresa noi due reciprocamente amanti e amati. Scendemmo dal monte e andammo a casa mia colmi di desiderio e di gioia. Facemmo l’amore più volte, senza tenerne il conto.

Le ricordai questi versi di Catullo nell’euforia della bella nottata

Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum
.

Meglio di così non avremmo potuto festeggiare i nostri compleanni di quel novembre. Ventisette anni Ifigenia, trentasei io.

Ci sentivamo rispettivamente Musa e poeta. Avremmo educato popoli interi rendendo evidenti le idee,  chiare e perspicue a i lettori le visioni che ci avevano fatto superare ogni difficoltà: la giustizia, la paideia, la salute morale e fisica, la gioia di vivere.

Saremmo andati a Delfi in bicicletta a pregare per impetrare la realizzazione dei nostri propositi che  potevano non garbare ai burocrati della scuola e a tutti gli altri mediocri, però, anzi perciò piacevano sicuramente  agli dèi.

Il giorno seguente cominciai e prendere appunti. Ma era ancora troppo presto per iniziare questo grande romanzo. Non era già tempo. Sarebbe arrivato durante una tragica notte del giugno successivo. Intanto mi diedi a ritoccare e ampliare la pièce già scritta che conteneva alcuni germi da sviluppare nell’opera successiva, più grande.

Nei giorni successivi accolsi alcuni suggerimenti di Ifigenia a proposito della recitabilità di alcuni passi. Erano avvertenza preziose: dovevo trovare parole che suggerissero agli attori il tono e i gesti che lei mi indicava. Questi incontri si concludevano con abbracci nel talamo nostro dove avevamo disposto  fogli, matite,  gomme e penne. Un disordine che ci faceva sentire attivi e ci piaceva. ifigenia mi gratificava dicendo che riconosceva in me il genio di uno scrittore non inferiore ai nostri grandi maestri: da Omero a Joyce.

Pesaro otto ottobre 2024 ore 10, 50 giovanni ghiselli.

p. s.

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