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Sigmund Freud |
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L’interpretazione della tragedia
greca data da Freud prima parte
Concludo questa introduzione con
un’idea di Freud sull’eroe e sull’origine della tragedia. Freud presenta un
catalogo di eroi: “ I nomi più noti della serie che comincia con Sargon, sono
Mosè, Ciro e Romolo. Oltre ai quali, tuttavia, Rank[1] ha raccolto un grande numero di figure
eroiche appartenenti alla poesia o alla leggenda, cui viene attribuita,
interamente o in frammenti ben riconoscibili, la stessa vicenda giovanile:
Edipo, Karna, Paride, Telefo, Perseo, Eracle, Gilgamesh, Anfione e Zeto, e
altri (…) Eroe è colui che coraggiosamente si leva contro il padre e alla fine
lo supera vittoriosamente. Il nostro mito insegue questa lotta nella preistoria
individuale, perché fa nascere il bambino contro la volontà del padre e lo fa
salvo nonostante le cattive intenzioni di questi. L’esposizione nella cassetta
è una inconfondibile raffigurazione simbolica della nascita: la cassetta è il
grembo materno, l’acqua è il liquido amniotico (…) Nella forma tipica della
leggenda la prima famiglia, in cui il bambino nasce, è nobile, il più delle
volte regale; la seconda, in cui il bambino cresce, è umile o decaduta (…) Solo
nella leggenda di Edipo questa differenza scompare. Il bambino esposto da una
famiglia regale è accolto da un’altra coppia regale[2]”.
Nel terzo saggio di L’uomo
Mosè e la religione monoteistica[3], Freud richiama alcune affermazioni
di Totem e tabù (1912 - 1913): “La mia costruzione si fonda su
un asserto di Charles Darwin e comprende una congiuntura di Atkinson[4]. Essa dice che in tempi primitivi
l’uomo primigenio viveva in piccole orde (…) Il maschio robusto era signore e
padrone di tutta l’orda, il suo potere, che esercitava con violenza, non aveva
limiti. Tutte le femmine erano sua proprietà, sia le donne e le figlie della
sua orda, sia forse quelle rapite ad altre orde. Il destino dei figli era
crudele; quando essi suscitavano la gelosia del padre, venivano trucidati o
evirati o espulsi”[5]. Gli espulsi formarono altre orde. I più
piccoli restarono nella prima orda, protetti dalla madre prima, poi cercando di
succedere al padre. Successivamente quelli scacciati unirono le loro forze “per
sopraffare il padre e, secondo il costume di quei tempi, lo divorarono crudo”[6]. Al parricidio seguirono le lotte per
l’eredità paterna, poi “persuasisi dei pericoli e dell’infruttuosità di queste
lotte” i fratelli addivennero “a una sorta di contratto sociale. Nacque così la
prima forma di organizzazione sociale, con la rinuncia pulsionale,
il riconoscimento di obbligazioni reciproche, la fondazione di
determinate istituzioni dichiarate inviolabili (sacre), dunque
gli inizi della morale e del diritto. Il singolo rinunciò all’ideale di
acquisire per sé la posizione del padre, rinunciò al possesso della madre e
delle sorelle. Di qui il tabù dell’incesto e l’imposizione
dell’esogamia”.
Buona parte del potere assoluto
tolto al padre passò alle donne, e “venne il tempo del matriarcato…
In questo periodo di “alleanza
fraterna”, la memoria del padre sopravvisse. Si trovò come sostituto un animale
robusto (…) Nel rapporto con l’animale totemico fu mantenuta interamente la
dicotomia originaria della relazione emotiva col padre (ambivalenza)”. In
sintesi il totem in un primo tempo era venerato poi “veniva ucciso e consumato
da tutti i membri della tribù riunitisi insieme (…) Questa grande festa era in
realtà una celebrazione trionfale della vittoria riportata sul padre dai figli
che avevano stretto un’alleanza tra loro”[7]. A questo punto interviene la
religione: “Al posto degli animali subentrarono dèi umani, della cui
derivazione dal totem non si fa mistero. Il dio è ancora raffigurato o in forma
animale o almeno con faccia d’animale, oppure il totem diviene il compagno
preferito del dio (…) Si era frattanto compiuto un grande rivolgimento sociale.
Il matriarcato era stato sostituito dal ristabilirsi di un ordine patriarcale.
I nuovi padri non raggiunsero in verità mai il potere assoluto del padre
primordiale; erano in molti e vivevano associati in raggruppamenti più grandi
dell’orda di un tempo; dovevano mantenere buoni rapporti reciproci ed erano
limitati da norme sociali”. Ma torniamo alla religione: “E’ verosimile che le
divinità materne avessero origine al tempo della restrizione del matriarcato,
per compensare le madri messe in disparte. Le divinità maschili apparvero
dapprima come figli accanto alle grandi madri, e solo dopo assunsero nettamente
i tratti di figure paterne. Questi dèi maschili del politeismo rispecchiano i
rapporti dell’epoca patriarcale. Sono numerosi, si limitano a vicenda,
occasionalmente sono subordinati a un dio supremo che li sovrasta. Il passo
successivo, però, conduce al tema di cui ci stiamo occupando, ossia al ritorno
di un solo dio - padre, unico e illimitato signore”[8].
Freud pensa che il monoteismo fu
introdotto tra gli Ebrei da Mosé, un Egiziano seguace della religione voluta da
Amenofi IV, che era “salito al trono intorno al 1375 a. C.”[9] e adorava “il sole (Atòn) non come
oggetto materiale ma come simbolo di un essere divino la cui energia si
manifestava appunto nei raggi”[10] solari. Il faraone eretico si cambiò
il nome in Ekhanatòn cancellando la presenza del dio Amòn dal culto, dalla
propria persona e da tutte le iscrizioni.
“Si trattava di un rigoroso
monoteismo, il primo tentativo del genere nella storia mondiale, per quanto ne
possiamo sapere; e con la fede in un unico dio nacque inevitabilmente
l’intolleranza religiosa, sconosciuta all’antichità prima di allora e per molto
tempo dopo. Ma il regno di Amenofi durò solo diciassette anni; subito dopo la
sua morte, avvenuta nel 1358, la nuova religione fu spazzata via, e la memoria
del re eretico proscritta (…)Vorrei adesso arrischiare una conclusione: se Mosè
fu Egizio e se egli trasmise agli Ebrei la propria religione, questa fu la
religione di Ekhanatòn, la religione di Atòn”[11].
Freud cerca di avallare questa tesi
con vari indizi : entrambe le religioni “sono forme di rigido monoteismo”;
inoltre “l’assenza nella religione ebraica di una dottrina concernente l’aldilà
e la vita ultraterrena, che pure, sarebbe stata compatibile col più rigoroso
monoteismo” corrisponde al rifiuto di tale presenza anche nella religione di
Ekhnatòn che “aveva bisogno di combattere la religione popolare nella quale il
dio dei morti Osiride aveva forse una parte maggiore di quella di ogni altro
dio del mondo superiore”. Terzo indizio: Mosè introdusse presso gli Ebrei “la
consuetudine della circoncisione”[12]. Ebbene: “Erodoto, il “padre della
storia”, ci informa che la consuetudine della circoncisione era da lungo tempo
familiare in Egitto”.
Erodoto scrive: “ei[mata de;
livnea forevousi aijei; neovpluta, ejpithdeuovnte" tou`to mavlista. Tav te
aijdoi`a peritavmnontai” Storie, II,
37, 2), portano vesti di lino sempre lavate da poco, curando questo in massimo
grado. Le parti sessuali le circoncidono.
Dunque Mosè “non era ebreo ma
egizio, e allora la religione mosaica fu probabilmente una religione egizia”[13].
31 dicembre, giovanni ghiselli
[1] Nella pagina precedente Freud dà
questo chiarimento “Nel 1909 Otto Rank - allora subiva la mia influenza - pubblicava
per mio incitamento uno scritto dal titolo Il mito della nscita
dell’eroe.”
[2] S. Freud, L’uomo Mosè e la
religione monoteistica, primo saggio, in Freud Opere, 1930 - 1938, pp. 340
- 342..
[3] E’ l’ultimo scritto di
Freud, insieme con il Compendio di psicoanalisi del resto
incompiuto. Uscirono entrambi nel 1938. nota p. 26
[4] C. Darwin, The Descent of the
Man (Londra 1871) vol. 2, pp. 362 sg.; J. J. Atkinson, Primal
Law, nel volume a cura di A. Lang, “Social Origins” (Londra 1903) pp. 220
sg.
[5] S. Freud, L’uomo Mosè e la
religione monoteistica, terzo saggio, in Freud Opere, 1930 - 1938, p. 403.
[6] S. Freud, Op. cit., p. 404.
[7] S. Freud, Op. cit., p. 405.
[8] S. Freud, Op. cit., p.
405.
[9] S. Freud, Op. cit., secondo
saggio, p. 349
[10] S. Freud, Op. cit., secondo
saggio, p. 350.
[11] S. Freud, Op. cit., secondo
saggio, p. 353.
[12] Più avanti (Terzo saggio, p. 439)
Freud ne dà un’interpretazione: “La circoncisione è il sostitutivo simbolico
dell’evirazione, che un tempo il padre primigenio nella pienezza del suo potere
assoluto aveva inflitto ai figli; chi accettava questo simbolo, mostrava con
ciò di essere pronto a sottomettersi al volere del padre se questi gli imponeva
il sacrificio più doloroso”.
[13] S. Freud, Op. cit., secondo
saggio, p. 355.