venerdì 16 settembre 2022

Antologia per la conferenza di Benevento. Seconda parte

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Un’ombra sulla verità (L’homme de la cave)  di Philippe Le guay
Genocidi comparati

L’ho visto ieri sera, un film bello che consiglio ai miei lettori i quali, come me, ne trarranno spunto per riflettere sulla parresìa, un tema che abbiamo trattato più di una volta insieme. Un professore negazionista licenziato dalla scuola per le sue opinioni è ridotto alla condizione di un barbone.
Con 9000 euro compra una cantina (la cave) per andarci a vivere senza dire chi è. Gliela vende una  famiglia di borghesi: marito architetto ebreo la  moglie bella e una figlia carina, adolescente.
Quando scopre qual è l’identità del compratore   l’architetto vuole annullare la vendita ma non può farlo, non in tempi brevi. Allora comincia a perseguitare L’homme de la cave, a trattarlo come non si dovrebbe fare nemmeno con un maiale.
Il negazionista riesce a parlare con la ragazzina e le dice che lui cerca solo la verità e le fa notare che degli Ebrei perseguitati e uccisi si parla da decenni, dei dodici milioni di indigeni massacrati  negli Stati Uniti si è sempre taciuto. La fanciulla ci pensa su e lo dice al padre. Il quale infuriato cerca di dare fuoco alla cantina con il barbone dentro. Quando questo esce per non soffocare, i due si picchiano. Nel frattempo sono sorti dissapori e conflitti anche nella famiglia borghese.
Alla fine il negazionista denuncia il borghese, quindi sparisce. La famiglia si ricompatta dopo le tensioni suscitate dalla vicenda
Sono emersi dei dubbi anche sul fatto che la proprietà della casa con cantina della famiglia borghese sia legittima, ma questi non vengono chiariti, rimangono nll’ombra.
Bello il film perché mostra che non ci sono persone integralmente buone, né perseguitati né persecutori integrali.
A me questo bel film ha fatto tornare in mente i western degli anni Cinquanta. Questi non si limitavano a negare i massacri degli “Indiani” ma li celebravano come cosa ben fatta, compiuta da eroi che giustamente uccidevano degli sporchi selvaggi.
Negli anni Settanta poi sono venuti fuori alcuni film di altro verso su questo argomento, meno male.
Ma quando ero bambino la propaganda razzista dei  western era così forte che il mio parteggiare per gli “Indiani” presi a fucilate dai “bianchi”, era considerato dai miei coetanei compagni di giochi un tradimento, una vile complicità con dei pezzenti incivili e criminali, del tutto meritevoli di venire massacrati da uomini perbene: simili a noi.
Ancora mi vanto di questo: penso che già a otto anni avevo trovato il metodo giusto, la via buona che ho continuato a seguire.
 
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Diversamente intelligenti e diversamente deficienti
 
Oggi in televisione
Tabacci: “Chi si è fidato troppo della Russia deve pagare pegno!”
Paghi dunque pegno chi ha letto e amato Dostoievkij o Tolstoj;
paghi pegno chi è andato all’Hermitage e così via. Tabacci non paghi perché non si è mai fidato. Lui sì che è bravo e non deve pagare pegno!
 
Giuseppe Conte riconosce che le sanzioni fanno più male a noi che alla Russia, però bisogna mantenerle per principio. Quale principio?
Quello della parola data secondo lui, quella del partito preso.
No, il principio vero  è  che non vuole  dispiacere ai burattinai.
 Conte ha perso un’occasione per mostrare un po’ di indipendenza da questo sistema che fa del male agli Italiani. In questo modo perderà dei voti.
 
Il licenziamento dell’allenatore del Bologna Sinisa Mihailovič in lotta con la leucemia è emblematico del vero principio che regola il comportamento di chi ha del potere: l’affare, il profitto viene prima di tutto e in nome del profitto si butta via chi non serve più o non serve abbastanza.
I nostri politici temono di essere messi da parte dai grandi profittatori di questo sistema e contano che, se andranno bene a loro, il popolo non riuscirà a mandarli via.
 
L’ipocrisia: il cieco viene chiamato non vedente, come se cambiasse qualcosa, ma bisogna sembrare buoni.  Il deficiente è diventato diversamente intelligente e così via.
Però l’allenatore che salvò il Bologna dalla serie B, ammalatosi e diventato meno efficiente, o diversamente efficiente, dopo una ricaduta nella malattia viene cacciato.
Una delle mie  zie diceva che ero un bambino intelligente-deficiente. Intelligente perché molto bravo a scuola,  deficiente perché non ero usuale e non mi piaceva la gente ordinaria. Inoltre stavo già allora dalla parte dei perdenti.
Mia zia aveva ragione: ora mi vanto di essere “diversamente deficiente” nel senso che mi onoro dei miei deficit: la menzogna, l’intrigo, il bluff, l’intrallazzo di cui dà spettacolo disgustoso la gente ordinaria: in primis i politicanti truffaldini.
 
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I politicanti bicefali
 
I divkranoi di Parmenide sono i bicefali, che ammettono  essere e non essere. Il filosofo eleatico (570- 475)  dice che costoro mescolano i contrari in un guazzabuglio poiché la mancanza di risorse nei loro petti indirizza male la mente facendola errare,  fuorviandola- ajmhcanivh ga;r ejn aujtw`n-sthvqesin ijquvnei plakto;n novon   (frammento 6 Karst del poema Sulla Natura vv. 5-6). Bicefali sono i nostri politicanti che restano a mezza strada: le sanzioni danneggiano noi più che i Russi ammettono, però vanno mantenute, precisano. Perché? Per principio. Il principio loro è quello di rimanere appesi ai fili manovrati da un burattinaio, magari anche da due burattinai
 
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Contro il consumismo dei veri pezzenti ricchi o poveri che siano
Il bello di essere “assai trito e parco”
 
Epigrafe  da Paulo Ucello di Giovanni Pascoli
 
Quelli compravan uova. Esso un fringuello

in gabbia vide, dietro il banco, rosso
cinabro il petto, e nero un suo mantello;
 
nero un cappuccio ed un mantello indosso.
Paulo di Dono era assai trito e parco;
ma lo comprava, se ci aveva un grosso.

 
 Nei Memorabili   di Senofonte, Socrate  risponde con queste parole al rinfacciamento di essere un pezzente : “mi sembra Antifonte, che tu creda che la felicità sia lusso e la possibilità di spendere molto (trufhv, polutevleia); io invece credo che sia tipico del divino non avere bisogno di niente (ejgw; de; nomivzw to; me;n mhdeno;~ devesqai qei'on ei\nai) e l’avere bisogno del meno possibile è la condizione più vicina al divino"(I, 6, 10).
Similmente Seneca nel De tranquillitate animi : “Respice agedum
mundum: nudos videbis deos, omnia dantes, nihil habentes” (8, 5), avanti, guarda l’universo: nudi vedrai gli dèi che tutto danno e nulla possiedono. 
 
 Antifonte sofista dunque disse a Socrate che la sua filosofia non portava alla felicità poiché faceva una vita che nemmeno uno schiavo potrebbe sopportare: “mangi e bevi la roba più ordinaria, porti un mantello che non solo è ordinario ma è il medesimo per l’estate e per l’inverno, e vivi costantemente senza scarpe e senza tunica. Per giunta non prendi denaro che porta gioia a chi lo acquista.
Dunque considera di essere un maestro di infelicità: nomivze kakodaimoniva" didavskalo" ei\nai” (Memorabili, I, 6, 3)
Socrate risponde che non accetta denaro per non essere costretto a frequentare chi lo ha compato.
“I miei cibi sono ordinari ma li condisco con l’appetito, provocato con il movimento. Io che vivo esercitandomi anche fisicamente sono in grado di sopportate il caldo il freddo, la fame meglio di te. Non c’è niente di meglio che evitare la schiavitù del ventre e della lascivia cercando i veri benefici. Io voglio diventare migliore e acquistare amici migliori.
  
Parole simili vengono dette da Eracle nella tragedia di Euripide che racconta l’impazzimento dell’eroe il quale, tornato in sé, dice a Teseo che gli offre aiuto:
“Ahimé: questo è secondario rispetto ai miei mali;
ma io non credo che gli dèi amino letti che non sono leciti.
 né ho mai considerato degno né crederò che attacchino lacci alle braccia
né che uno sia padrone dell’altro.
Infatti il dio se è veramente dio, non ha bisogno
di nulla- dei`tai ga;r oj qeov~, ei[per e[st j orqw`~ qeov~ - oujdenov~: queste sono miserabili favole di aedi- ajoidw`n oi[de duvsthnoi lovgoi (Euripide, Eracle, 1340- 1346)
 
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Ecce homo

 “Questo homo sono proprio io stesso, compreso l’ecce; il tentativo di spargere su di me un po’ di luce e di spavento mi sembra riuscito quasi troppo bene”[1].
Sanzioni, menzogne narcotizzanti e desolazione.
 
Platone e Plauto: educati e maleducati a banchetto
 
Le sanzioni sono di fatto anti-italiane: costituiscono un disastro per la nostra economia e il  mattatoio dei poveri.
Non è un caso che vengano presentati come “pelandroni” da certa televisione.
I partiti dell’atlantismo più ortodosso perderanno parecchi voti per la loro superfetazione di servilismo nei confronti della potenza occidentale egemone che dalle nostre perdite ricava profitti.
Le mille chiacchiere che si fanno, difficilmente risalgono alle cause.
 
La scuola un tempo era logocentrica: insegnava a parlare e a scrivere in maniera almeno corretta. Ora non lo fa più, e tanti Italiani hanno già disimparato o non hanno mai parato a parlare né a scrivere. La parola viene biascicata o urlata o subissata dal rumore o sovrapposta-sottoposta mentre due personaggi televisivi gridano insieme non senza l’aggiunta di chi conduce la trasmissione. Si insegnano la prepotenza, l’ignoranza, la cattiva educazione.
 
Nel Protagora di Platone il personaggio Socrate indica alcune regole per i simposi della gente educata che non può rumoreggiare a tavola, e, anzi, non sopporta qualsiasi elemento ostacoli la conversazione. Le persone mediocri e volgari, per incapacità di parlare tra loro durante i simposi, a causa della mancanza di educazione, si intrattengono a vicenda attraverso la voce dei flauti; invece tra i convitati colti e per bene, non puoi vedere né suonatrici di flauto, né danzatrici, né citariste, ma essi soli che sono capaci di conversare tra loro senza queste sciocchezze e questi giochi ("ajlla; aujtou;" auJtoi'" iJkanou;" o[nta" sunei'nai a[neu tw'n lhvrwn te kai; paidiw'n touvtwn", 347d)  e parlano e si ascoltano a turno ordinatamente, anche se bevono vino.
 
Nel Miles gloriosus di Plauto il gradevole e giovanile senex[2] Periplectomenus dà lezione di comportamento a tavola:"Vel cavillator facetus vel conviva commodus/idem ero; neque ego oblocūtor sum alteri in convivio;/incommoditate abstinere me apud convivas commodo/commemini, et meae orationis iustam partem persequi/et meam partem itĭdem tacere, quom aliena est oratio./Minime sputator, screator sum, itidem minime muccidus (…)
Neque ego numquam alienum scortum subigito in convivio;/neque praeripio pulpamentum neque praevorto poculum;/neque per vinum umquam ex me exoritur discidium in convivio./Siquis ibi est odiosus, abeo domum, sermonem segrego./Venerem, amorem amoenitatemque accŭbans exerceo" (vv. 639-647 e 652-656), io sarò anche un motteggiatore arguto e un commensale piacevole; né io sono uno che interrompe un altro durante un banchetto; ricordo di astenermi opportunamente dall'essere importuno con i convitati e di esporre la parte conveniente del mio discorso e tacere parimenti quando mi tocca, se la parola è a un altro. Assolutamente non sputo, non scatarro, e parimenti non ho la goccia al naso (….)
E non tasto  mai la ganza di un altro, né mi lancio sulla ciccia né acchiappo prima il bicchiere; né nasce mai da me durante la cena un litigio per il vino. Se lì c'è qualcuno disgustoso, me ne vado a casa, metto via la conversazione. Quando sto a tavola pratico la grazia, l'amore e la piacevolezza
 
La scuola dovrebbe insegnare anche la cortesia che prescrive di parlare e tacere al tempo giusto. La cultura abitua a parlare in modo significativo, cercando le cause. L’aberrazione della scuola non educa più. La televisione è un narcotico che cerca di anestetizzare la desolazione  sofferta da molti.

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Guicciardini, Apollo, Dioniso, Putin e Zelenskij. I polimorfi
 
“È grande errore parlare delle cose del mondo indistintamente e assolutamente, e per dire così, per regola; perché quasi tutte hanno distinzione ed eccezione per la varietà delle circunstanzie, le quali non si possono fermare con una medesima misura ; e queste distinzione ed eccezione non si truovano scritte in su' libri, ma bisogna le insegni la discrezione (Guicciardini, Ricordi, 6).
 
La discrezione va impiegata anche nel definire Apollo. Nietzsche ne mette in rilievo un solo  aspetto:  quello di dio della luce, della chiarezza della misura, della forma.
Ma all’inizio dell’Iliade (I, 49) deinh; de; klaggh; gevnet j ajrgurevoio bioi`o, si levò tremendo lo strepito dell’arco d’argento di Febo appunto. E il nume adirato fa una strage.
 
 “Arco si dice biov~ - biou` oJ;  una parola simile a bivo~- ou oJ che vuole dire “vita”, ma l’arco dà la morte.
 
Nell’Edipo re di Sofocle il sacerdote invoca Apollo perché porti salvezza a Tebe:"Febo che ha mandato questi vaticini/ venga salvatore swthvr q j i{koito  e nello stesso tempo ponga fine al morbo” (159- 150).
Dunque Apollo ha più aspetti e funzioni diverse
 
Altrettanto polimorfo è Dioniso
Arriano ci fa sapere che gli Ateniesi venerano un altro Dioniso rispetto al nume tebano figlio di Semele.
 Questo Bacco  ateniese è figlio di Zeus e di Core, e il canto Iacco dei misteri viene intonato a questo dio, non a quello tebano (Anabasi di Alessandro, 2, 16, 3).
Così forse si spiega la differenza tra il Dioniso feroce delle Baccanti e quello di Omero, un dio impaurito (Iliade, VI, 135 Diwvnuso" de; fobhqeiv" ) e infantile, che, minacciato da Licurgo, si getta in mare dove Tetide lo accolse in seno spaventato e tremante per le grida dell’uomo.
Poi c’è  il Dioniso ridicolo delle Rane di Aristofane. In questa commedia il dio  fugge terrorizzato da Empusa tra le braccia del suo sacerdote (v. 297). Più avanti Dioniso si caca addosso dalla paura di Empusa (v. 479) e viene apostrofato dal servo Xantia  con:" oh tu, davvero il più vigliacco degli dèi e degli uomini!"(v. 486).
 
Ebbene, gli attori della guerra tra Russi e Ucraini, e con attori intendo chi la recita, non chi la fa, Putin e Zelenskij  non sono nemmeno loro integralmente buoni o del tutto cattivi.
Chi li giudica tali è integralmente stupido se ne è convinto,  ma lo fa quasi sempre per il proprio “particulare”
 
Dunque: è una grande falsificazione “ parlare delle cose del mondo indistintamente”. Ha ragione Francesco Guicciardini, uno dei miei maestri. Sia anche il vostro.
 
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La guerra e il lavoro
 
La predica quotidiana che vorrebbe spingere il popolo italiano alla guerra e alla miseria è un pubblico incitamento alla contronatura.
 
I propagandisti della guerra sono sempre armati come Eros. Costoro  però spingono ad amare la morte.
Nel Pervigilium Veneris [3] che celebra l'inizio della primavera e la potenza di Afrodite, Amore è in vacanza ("feriatus est amor", v. 31) perciò gli è stato ordinato di andare inerme, di andare nudo:"neu quid arcu, neu sagitta, neu quid igne laederet " (v. 33), per non ferire qualche creatura con l'arco, con la saetta, con il fuoco. Eppure, avverte l'autore, o l'autrice, "Nymphae, cavete, quod Cupido pulcher est:/ totus est in armis idem quando nudus est amor" (vv. 34-35), guardatevene o Ninfe, poiché Cupido è bello: ed è tutto armato anche quando è nudo Amore.
 La differenza è che Eros colpisce con le sue frecce uomini e donne perché si innamorino e procreino unendosi e generando vita, mentre  chi manda le armi in Ucraina fa morire uomini donne e bambini in quel paese, e con le sanzioni farà soffrire assai presto la fame e il freddo a tante persone deboli e povere qui in Italia.
 
Empedocle di Agrigento ricorda un aspetto caratteristico dell’età dell’oro: l’assenza di conflitti. Nel Poema lustrale (fr. 119)  narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano un Ares come dio, né il Tumulto della battaglia (“oujdev ti" h\n keivnoisin  [Are" qeo;" oujde; Kudoimov""), né Zeus, né Crono né Poseidone, ma solo Cipride regina (vv. 1-3).
Il lavoro
L’ozio è un diletto cattivo (“scolhv, terno;n kakovn” Euripide, Ippolito, 384) certamente, però lavorare in condizione di schiavitù muovendosi con le catene ai piedi, o con le valigie di cartone tenute chiuse dallo spago, e con un salario insufficiente per pagare un affitto anche in un garage, significa lasciar calpestare la propria dignità umana. I candidati dalla destra che insultano un uomo povero pubblicamente sono fascisti anche peggiori dei fascisti di Mussolini.
Per quale motivo scrivo tanto ogni giorno di politica?  Perché voglio spingere chi mi legge a votare coscientemente. Devo smascherare le sirene maligne, gli scellerati che danno dei pelandroni ai poveri. E faccio citazioni per accrescere bellezza e autorevolezza alle mie parole, per distinguermi dalla chiacchiera di vari pseudoministri e finti intellettuali.
Voglio io stesso imparare a fondo  determinate frasi belle ut quae fuerint verba sint opera (Seneca, Ep. 108, 35). Quando ero più molto giovane, tali opera che rendevano presenti e vive le antiche sentenze colme di sapienza e di amore erano prima di tutto azioni erotiche, ora vogliono diventare soprattutto atti educativi e politici, senza rinnegare l’amore ovviamente.


Bologna 16 settembre 2022- ore 11, 31
giovanni ghiselli
  
 
 


[1] Lettera del 14 novembre 1888 all’amica Meta.
[2] Di cinquattaquattro anni invero. Palestrione lo chiama o lepidum semisenem (v. 649), simpatico quasi vecchio.
[3] Un carme anonimo, compreso nell'Anthologia latina , di novantatré versi (tetrametri trocaici catalettici), di età e attribuzione incerta, dal II secolo d. C. , al IV, al VI; da Floro, a Tiberiano, a un'autrice anonima.

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