Ieri sera ho visto il film Il signore delle formiche di Gianni Amelio sull’affare Braibanti che ci fece discutere quando eravamo studenti.
Questo signore era un intellettuale poco riconosciuto che voleva educare dei giovani, ne voleva amare alcuni di genere maschile e si innamorò di uno dei suoi discepoli, che lo contraccambiò, e, dal piacentino, andò a vivere con lui a Roma, in una pensione a due stelle.
Braibanti venne accusato di plagio, processato e condannato a 14 anni poi ridotti a due, mentre il giovane amante venne sottoposto a diversi elettroshock per volontà della madre che aveva denunciato il “corruttore” del figlio plagiato.
Il ragazzo, lo preciso per dovere di cronaca, era maggiorenne e consenziente.
Il film è piuttosto bello: gli attori sono bravi e la sceneggiatura non è noiosa sebbene la pellicola duri più di due ore. Ero digiuno e affamato alle 23 e 15 quando il film è terminato ma mi sarebbe piaciuto vederlo continuare.
Fateli parlare ancora, ho mormorato, let them speak again, ricordando Sogno di una notte di mezza estate, anche se siamo a fine estate.
A tratti mi sono commosso per la persecuzione cui viene sottoposto questo personaggio del tutto indifeso dall’istituzione mentre dei giudici parziali, dunque indegni, lo maltrattavano, calunniavano e lo seviziavano accusando lui di essere un seviziatore.
Strazianti sono poi le torture che il ragazzo riceve dalla madre cretina e feroce.
Molto coinvolgente sia intellettualmente sia sensibilmente dunque questo film, però ho trovato inopportuna una sua parte: la denigrazione del PCI di allora. C’è sì un giornalista dell’Unità che scrive alcuni articoli in difesa e in favore del perseguitato ma il direttore che nel 1968 era Maurizio Ferrara, il babbo di Giuliano, lo ostacola, lo dissuade e lo allontana. Arriva addirittura una delegazione di sovietici e una di loro, una donna anziana, ha una parola di orrore per Braibanti.
Non ricordo che il comunismo post staliniano perseguitasse gli omosessuali. Per lo meno a Debrecen nessun universitario dell’Unione sovietica me lo disse.
Credo che il regista Amelio abbia insistito su questo per compiacere gli attuali politici, per piaggeria nei loo confronti. Al tempo del processo non leggevo l’Unità, ma più avanti lessi che Pasolini, il comunista Pier Paolo dico, scrisse un’apologia di Braibanti presentandolo come la persona più indifesa d’Italia.
Il regista mostra l’accanimento della magistratura contro l’omosessuale, tanto questa denuncia di magistrati ingiusti non offende più nessuno, però si sente in dovere di denigrare il PCI. In una fase politica in cui il comunismo sovietico, che ci ha salvati da Hitler sconfiggendolo, viene calunniato come un male peggiore del nazismo (da Sallusti proprio con queste parole), Amelio poteva risparmiarsi questa denuncia di complicità di Maurizio Ferrara con la magistratura. Vero è che il giornalista messo a tacere viene interpretato da un Elio Germano più bravo che mai e che la sua solidarietà con Braibanti (Luigi Lo Cascio, bravo anche lui) e il colloquio tra loro, il loro intendersi, è la parte più bella e commovente del film.
Efficace è anche la denuncia della famiglia del ragazzo la cui madre è un esempio negativo di matriarca megera.
La denuncia della famiglia bigotta mi ha fatto venire in mente I pugni in tasca di Bellocchio e le belle immagini della campagna emiliana Novecento di Bertolucci.
Il film è da vedere.
Pesaro 10 settembre 2022 ore 10, 03
giovanni ghiselli
p. s
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