“Ricci: “E’ tempo di ricostruzione
Nessuno può tirarsi indietro”.
Come cittadino italiano, residente a Pesaro soprattutto nei mesi estivi, comunque elettore qui dove ho studiato alle elementari Carducci, alle medie Lucio Accio e al liceo Terenzio Mariani sempre come alumnus optimus, dico al sindaco Matteo Ricci, che non ho votato ma è pur sempre “il primo cittadino” di questa città, culla me cara, che sarebbe tempo di non tirare più indietro, sempre più indietro e in basso, la cultura di questa nostra cittadina.
A Bologna dove ho lavorato dal ginnasio al liceo all’università, i colleghi dicevano di noi pesaresi docenti a Bologna che il ginnasio liceo Terenzio Mariani di Pesaro doveva essere ottimo quando lo frequentavamo (personalmente ne fui scolaro dal 1958 al 1963).
Sono in pensione dal 2010 e da allora mi sono trovato a ricevere centinaia di inviti a tenere lezioni in diverse città e cittadine d’Italia, mentre ma la Pesaro di Ricci mi ha messo a tacere da quando ho scritto non bene di lui in questo mio blog che ha non pochi lettori, anzi molti.
Ora suggerisco a quanti vogliono ricostruire davvero di fondare la ricostruzione su un rinascimento culturale. Ci sono città anche piccole come Pesaro o più piccole di Pesaro che tengono manifestazioni culturali in quasi tutti i periodi dell’anno. Mi trovo qui dal 4 luglio e nel primo mese non c’è stato nemmeno un cinema in funzione, né al chiuso né all’aperto.
Non chiedo niente per me, sia chiaro. Ma lo scempio del casco gigante da motociclista ciclopico piazzato davanti al mare è un simbolo che deturpa la città come ha scritto bene una mia ex allieva e amica. Andrebbe totlto oggi stesso.
Il 2 ottobre tornerò a Bologna dove terrò corsi e da dove dovrò spostarmi per tenere lezioni. A Rovigo, a Cento, a Benevento, a San Giorgio del Sannio, a Roma, a Ferrara, a Faenza per ora.
A Pesaro posso studiare, fare sport e scrivere liberamente quello che voglio.
Ecco: con questo post chiedo a chi ci governa di non toglierci il bene primario della libertà di parola.
Vorrebbe dire cadere davvero e del tutto nella buio dell’ignoranza, tirannide e sel servilismo .
Per non rimanere nel soggettivo e nell’attualità, metto qui sotto un brevissimo excursus sulla parresía in un paio di tragedie di Euripide e un brevissimo brano di Hugo.
Questa è appunto la libertà di parola. Lo chiarisco a chi non lo sapesse né rimanesse interdetto chi fa la guerra alla cultura.
Il bene supremo della parresía
La tragedia Ione (circa del 411 ) tratta il problema del potere il cui valore viene smontato, quindi quello della cittadinanza ateniese e della parresia ad essa associata. La parresia è un bene primario.
Il trovatello Ione spera che la madre sconosciuta sia una ateniese perché a lui spetti la parrhsiva (672) , siccome lo straniero che piomba in quella città pura- kaqara;n ej" povlin- quanto al gevno" (673) , anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[1] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
Le Fenicie (dello stesso periodo) riprendono il mito dei Sette a Tebe con Eteocle peggiorato e Polinice migliorato rispetto a Eschilo, e con una smontatura del potere compiuta da Giocasta che vuole togliere ogni attrattiva alla tirannide parlando con Eteocle il quale invece ne è bramoso ed è disposto a commettere qualsiasi nefandezza pur di ottenerlo o mantenerlo.
Torna il tema della parresia. Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), è una soprattutto, che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa: “douvlou tovd j ei\pa~ , mh; levgein a[ ti~ fronei`”(392).
Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa libertà di parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[2].
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