martedì 13 settembre 2022

Le donne di Euripide. Alcesti l’ottima moglie. 1

George Dennis, L'addio di Admeto e Alcesti
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Per la conferenza che terrò a San Giorgio del Sannio il 14 ottobre

Partiamo dalla tragedia Alcesti del 438.
La vidi rappresentata a Siracusa il 12 giugno del 2013
 
Pregi e difetti della rappresentazione
 
Il funus acerbum della sposa di Admeto è anticipato con un lungo corteo e una croce cristiana.
Un grande velo nero ricopre il coro.
Nel prologo recitato da Apollo e Thanatos, la Morte rinfaccia ad Apollo "Stabilisci la legge, o Febo, per gli abbienti" (pro;~ tw`n ejcovntwn, Foi`be, ton novmon tivqh",  v. 57).
Ebbene questo verso ideologico è stato saltato nella rappresentazione suracusana. Apollo dunque secondo Euripide ha pure questa funzione. L’oracolo delfico ricorda Gaetano De Sanctis spartaneggiava poi addirittura filippizzò, dunque la pretaglia delfica che verrà criminalizzata nell’Andromaca (429) è malvista da Euripide siccome contraria alla democrazia ateniese
 
Nell’Andromaca "il ragazzo di Achille"(v.1119) domanda:
"per quale ragione mi uccidete mentre percorro il cammino della pietà? per quale causa muoio? Nessuno di quelli, che erano migliaia e stavano vicini, mandò fuori la voce, ma gettavano pietre dalle mani"(vv. 1125-1128). Il clero non è estraneo a questo “crimine sacro”: a un certo punto, dai recessi dl tempio rimbombò una voce terribile e raccapricciante che aizzò quel manipolo e lo spinse a combattere (vv. 1146-1148).
 Il messo alla fine della rJh'si" accusa Apollo di essere w{sper a[nqrwpo" kakov" (v.1164), come un uomo malvagio, e domanda:"pw'"  a]n ou\n ei[h sofov";" (v. 1165), come potrebbe essere saggio?
 
Altri versi nodali spariti dalla rappresentazione dell’Inda sono quelli che sconsigliano le nozze: il Coro formato da vecchi di Fere, amici del re, conclude il primo stasimo cantando: “ou[pote fhvsw gavmon eujfraivnein-plevon h] lupei'n, toi'" te pavroiqen - tevkmairovmeno" kai; tavsde tuvca"  -leuvsswn basilevw",  o}sti" ajrivsth"-ajplakw;n ajlovcou th'sd j, ajbivwton-to;n e[peita crovnon bioteuvsei”, (vv. 238-242), non dirò mai che le nozze portino gioia più che dolore, argomentandolo dai fatti passati e vedendo questa sorte del re, il quale, persa l'ottima sposa, vivrà in futuro una vita non vita.
 
Buona la trovata della musichetta allegra suonata all’arrivo di Eracle e ripetuta alla fine. Dopo la resurrezione di Alcesti, Eracle raccoglie la croce e la butta sul feretro vuoto. I due sposi si allontanano mano nella mano.
  La traduzione è nel complesso accettabile, ma, oltre le omissioni di cui sopra, sono da biasimare alcune banalizzazioni come p. e. l’aggettivo ajpovtomo" (“scosceso”, v. 118) riferito a movro" (“parte, destino, morte”) tradotto e banalizzato con “terribile”. Nell’insieme lo spettacolo è buono.
Ottima la recitazione di Graziosi nella parte pur secondaria di Ferete. Buffo e divertente  Eracle (Santospago) con il suo epicureismo ante Epicurum
 
Tragedia rappresentata per la prima volta nel 438.
 Il significato di fondo del dramma credo sia contenuto nei versi con i quali Admeto riconosce il suo sbaglio.
 Alla resipiscenza segue un lieto fine.
Admeto, sentendo il peso della  solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw"(v.940), condurrò una vita penosa: ora comprendo In seguito, come si sa, gli verrà restituita la compagna dalla possa di Eracle.
Da Alcesti morta, come da Edipo a Colono, dovrebbe spirare il bene: il coro nel terzo stasimo formula questa preghiera che verrà ripetuta dai passanti, sull’obliquo sentiero accanto alla tomba: “Au[ta pote; prouvqan j ajndrov~,-nu'n dj e[sti mavkaira daivmwn: - cai'r j w\ povtni j eu\ de doivh~. - toi'aiv nin prosrou'si fh'mai” ( Alcesti, vv.1002-1005), questa una volta morì per il marito, ora è una divintà beata: salve, signora, dacci del bene. Tali parole le diranno. 
Il potere assoluto dell'  jjjjAnavgkh  viene apertamente affermato dal coro  Il Stasimo della tragedia è un inno alla Necessità vista come la divinità massima, quella che vincola e subordina tutti, compresi gli dèi:
"Io attraverso le Muse/mi lanciai nelle altezze, e/ho toccato moltissimi ragionamenti (pleivstwn aJyavmeno" lovgwn),/ma non ho trovato niente più forte/della Necessità né alcun rimedio (krei'sson oujde;n  jAnavgka"-hu|ron oujdev ti favrmakon)/nelle tavolette tracie che scrisse la voce di/Orfeo, né tra quanti rimedi/diede agli Asclepiadi Febo/dopo averli ricavati dalle erbe come antidoti/per i mortali afflitti dalle malattie"(vv. 962-972).
Da questi versi si vede che la Necessità è più forte del lovgo" , della poesia, dell'arte medica.
La Necessità non è meno forte di Zeus: “kai; ga;r Zeu;~  o{ti neuvsh/-su;n soi; tou'to teleuta'/” (Alcesti,  978-979), e infatti qualunque cosa Zeus approvi, con te lo porta a compimento,  dice il coro dei vecchi di Fere.
Alcuni versi prima del terzo stasimo, nel terzo episodio, Eracle aveva affermato l’impotenza della tevcnh nei confronti della tuvch: “non è chiaro dove procederà il passo della sorte (to; th'" tuvch"), e non è insegnabile (ouj didaktovn) e non si lascia prendere dalla tecnica (oujd j aJlivsketai tevcnh/ )” (Alcesti, vv. 785-786)
Questo predominio del fato non risparmia nessuno, e il maire Prometeo afferma, consolandosene, che nemmeno Zeus "potrebbe in alcun modo sfuggire alla parte che gli ha dato il destino (ou[koun a]n ejkfuvgoi ge th;n peprwmevnhn, Eschilo, Prometeo incatenato,  v. 518).
Destino  e Necessità sono le divinità supreme.
 
E’ il fatalismo ellenico che fece dire a Maria Callas: io credo nel destino perché sono greca.
 
Un  topos gestuale, tra l’erotico e il disperato, è il bacio della donna al letto, anzi al letto della propria morte per amore.
Alcesti poco prima di morire vi si getta sopra, lo bacia e lo bagna tutto con il torrente di lacrime che le sgorga dagli occhi (kunei' de; prospivtnousa, pa'n de; devmnion-ofqalmotevgktw/ deuvetai plhmmurivdi, Alcesti, vv. 183-184.).
Un gesto ripetuto da Didone la quale muore imprimendo la bocca sul letto (os impressa toro, Eneide , IV, 659,).
La Medea di Apollonio Rodio bacia il letto della sua camera di ragazza nell’abbandonarla: “Kuvsse d j eJovn te levco~” (Argonautiche, 4, 26), quindi baciò anche i battenti, accarezzò le pareti, e dopo essersi strappata un ricciolo lo lasciò nella stanza della madre, ricordo della sua vita di vergine. 
Per kuvsse da kunevo, aor.  [ekusa, cfr. inglese to kiss e tedesco küssen
nel Simposio   Platone pone Alcesti tra i primi eroi quando fa dire a Diotima che Alcesti, Achille e Codro hanno dato la vita , non tanto per gli amati e la patria, quanto convinti che immortale sarebbe stata la memoria della loro virtù ("ajqavnaton mnhvmhn ajreth'" pevri eJautw'n e[sesqai", 208d). Tutti  fanno ogni cosa per la virtù immortale e tale rinomanza gloriosa ("uJpe;r ajreth'" ajqanavtou kai; toiauvth" dovxh" eujkleou'"").
 
 In effetti il coro dell'Alcesti  elogia l'eroina morente con queste parole:" i[stw nun eujklehv" ge katqanoumevnh-gunhv t  j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( Alcesti, vv. 150-151), sappia dunque che morrà gloriosa/di gran lunga la migliore delle donne sotto il sole.
Una gloria che la stessa moribonda rivendica, biasimando i genitori di Admeto ("oJ fuvsa" chJ tekou'sa",v. 290),  poiché hanno lasciato perdere l'occasione di salvare nobilmente il figlio e morire con gloria ("kalw'" de; sw'sai pai'da keujklew'" qanei'n", v. 292).
 
Entra Thanatos, la morte, corredata di ali nere (cfr. v. 843: a[nakta to;n melavmpteron nekrw`n, la signora dei morti dalle ali nere) che, vedendo Apollo, rabbrividisce e lo accusa:
"Ahi, ahi,/che fai tu presso il palazzo? perché tu ti aggiri qui/Febo? commetti ingiustizia di nuovo limitando/e annullando gli onori degli inferi?/Non ti bastò avere impedito la sorte/di Admeto avendo ingannato le Moire/con arte dolosa? E ora, armata/la mano di arco fai la guardia su costei,/che si sobbarcò, liberando lo sposo:/di morire al suo posto lei stessa, la figlia di Pelia?(vv. 28-37)
Nella Parodo (vv.77-135) il coro esprime la speranza che il trapasso dell'amata regina non sia già avvenuto e si chiede come sia possibile evitarlo:
"Perché mai questa calma (hJsuciva) davanti al palazzo?
perché tace la casa di Admeto?
Non c'è nessuno degli amici vicino,
che possa dire se bisogna
che io pianga la regina come morta, o se ancora viva
veda questa luce la figlia di Pelia
Alcesti che a me e a tutti
è parsa essere ottima moglie (ajrivsth gunhv)
verso il suo sposo"(77-85).
Ecco dunque che il "misogino" Euripide ci presenta la migliore delle donne.
 
giovanni ghiselli
 
continua

p. s
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