giovedì 29 settembre 2022

Una fantasia contro natura

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Vediamo alcune espressioni della fantasia contraria alla natura di generare senza l'unione tra l'uomo e la donna
, creature che invece secondo natura sarebbero naturalmente quant'altre mai congeniali tra loro.
Sentiamo innanzitutto Giasone nella Medea :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai geno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 572-575), bisognerebbe infatti che in altro modo, donde che sia, gli uomini generassero i figli, e che la razza delle donne non esistesse, così non ci sarebbe nessun male per gli uomini.
Insomma il male è la femmina. 
 
Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne,  ingannevole male per gli uomini ("kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[1] ("ajthrovn[2]... futovn", v. 630) che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.
Sentiamo alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:
 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini?  Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).
 
Si ricordi a questo proposito la nascita di Atena dalla testa e di Dioniso dalla coscia di Zeus che rapì il feto al fuoco  dove bruciava la madre Semele e disse:
  Vieni, Ditirambo, entra
in questo mio maschio ventre (ejma;n a[rsena tavnde ba'qi nhduvn) Baccanti 526-527).
 
Nelle Eumenidi di Eschilo, Apollo difende Oreste matricida dicendo che può esserci il padre senza la madre, come dimostra Atena che non è stata nutrita in tenebre di ventre (oujk ejn skovtoisi nhduvo" teqrammevnh, 665) ma è un germoglio quale nessuna dea può generare.
Comunque non è la madre tevknou tokeuv", generatore del figlio, poiché ella è solo trofo;" nutrice del feto seminato, tivktei d j oJ qrwv/skwn, genera chi la monta. 
 
Nell'Orlando furioso (1532) troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.
Prima il"Saracin" biasima, "catullianamente", l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente[3],/contrario oggetto a quello della fede!/Oh infelice, oh miser [4] chi ti crede!" (27, 117). 
 Quindi Rodomonte aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana imposta come punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de l'uom, che senza te saria giocondo:/come ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine l'amante infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che Natura femina vien detta"(120).
 
Un motivo questo presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[5] John Milton (1608-1674). In questo poema  Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [6] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X,  888 e sgg.).
 
   Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere quell'unico  scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[7].
 E meno male che poi "il Signore Dio disse:"Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Genesi, 2, 23).
 
 La stessa fantasia viene denunciata da Alonge nei drammi di Ibsen in particolare ne Il costruttore Sollness del 1892:"L'uomo odia la donna, la odia perché ha invidia del suo ventre…Non ci sono donne nella religione del capitale. Il dio padre corrisponde esattamente al dio creatore. Il Figlio discende direttamente e misteriosamente dal Padre. Nell'olimpo cristiano la Vergine tenta di nascondere a malapena un evidente processo di partenogenesi maschile"[8]. 
 
La paura della donna: è la donna che fa paura a molti uomini
Sentiamo anche il lunatico Re Lear di Shakespeare:" Guardate quella signora che sorride in modo affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si biforca, che affètta virtù e scuote il capo a sentir nominare il piacere; la puzzola e il cavallo nutrito d'erba fresca non vanno là con un appetito più sfrenato. Sotto la vita esse sono centauri, sebbene donne nella parte superiore (down from the waist they are centaurs, though women alla above); solo fino alla cintola esse sono eredi degli dèi;  sotto è tutta del demonio: lì c'è l'inferno, lì ci sono le tenebre, lì c'è la voragine solforosa che brucia, che scotta, c'è il fetore, c'è la consuzione" (King Lear, IV, 6).

 
Pesaro 28 settembre 2022 ore 20, 43


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[1] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.
[2] Ricorda che la protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij gunai'ke;" ejsmen ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.
[3] Cfr. il già citato "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-570). 
[4] Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono alcuni,  assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato.  In realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser" (685), non c'è e non c'è stasto un vecchio innamorato infelice quanto me. 
[5] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.
[6] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.
[7]E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p. 104 e 105.
[8] R. Alonge, Epopea borghese nel teatro di Ibsen, Guida Editori, Napoli, 1983, p. 139.

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