venerdì 16 settembre 2022

Antologia per la conferenza di Benevento. Quarta parte

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L’osso rotto e la guerra - Non aliter, si parva licet componere magnis

Quando ci rompiamo un osso, chiediamo ansiosamente all’ortopedico, che ci visita e prescrive ingessatura e riposo, se torneremo come prima. Mi accadde nell’ospedale di Patrasso dove arrivai con la mano destra rotta che mi impediva di impugnare il manubrio per proseguire fino a Epidauro. Il giovane dottore, che mi curò bene, mi diede anche una risposta intelligente: l’osso rotto non torna mai com’era prima. Questo succede dopo ogni fatto che muta gli equilibri.
Ora c’è la guerra che sortirà questo effetto.
Dopo questo conflitto, comunque vada a finire, la nostra vita non tornerà a essere quale era prima.
Cambierà con il cambiare degli equilibri. E dunque?
Dunque dobbiamo farci sentire perché il governo della nostra Repubblica si adoperi in modo che il cambiamento non declini a precipizio, non ci tolga tutto il meglio della vita nostra per compiacere chi dà le direttive.
 Dobbiamo essere noi cittadini a dare le direttive, e dalla maggioranza del popolo italiano deve prenderle il governo.
Siamo un popolo che nella maggioranza è contrario alla guerra, all’invio di altre armi che uccidono, a quante sanzioni  affameranno milioni di poveri

Bologna 10 maggio 2022 ore 18, 45

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La testa come acropoli della persona
 
Plutarco nella  Vita di Solone (30, 2) scrive :" to; me;n plh'qo"  h\n e{toimon uJpermacei'n  tou' Peisistravtou", la massa era pronta a combattere in favore di Pisistrato che estese il suo potere, finché occupò l’acropoli mevcri  th;n ajkrovpolin katevsce (30, 5) con i suoi mazzieri.
Questo avvenne ad Atene intorno al 560 a. C.
 
Se l’acropoli di ogni persona è la sua mente[1], i nuovi tiranni si adoperano per occupare le teste dei sudditi con una propaganda che è una continua réclame di quanto bene fanno e quanto bravi sono coloro che comandano. Naturalmente tale pubblicità funziona solo se le teste da colonizzare e sottomettere non hanno le difese della cultura, del pensiero, della coscienza. Così le mazzate dei mazzieri possono annientare l’autonomia del pensiero delle persone.
Bologna 5 maggio 2202 ore 18, 39
In  depraved May” (T. S. Eliot, Gerontion, 21) nel maggio depravato: fa anche freddo. Se sarà freddo anche il maggio 2023 andremo a finire nella Caina “là dove i peccatoi stanno freschi” (Dante, Inferno, XXXII, 117)

giovanni ghiselli
 
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La carenza di compassione uccide i bambini prima di tutti
 
    Nel quarto episodio dell’Edipo re Sofocle contrappone la crudeltà dei genitori alla compassione del servo tebano che non ha eseguito il loro ordine di uccidere il bambino "katoiktivsa" " (v. 1178), in quanto ne ho avuto compassione, spiega.
 
P.P. Pasolini nel suo film Edipo re  sottolinea questa risposta con un primo piano del vecchio tebano che dice di non averlo fatto morire:"per pietà".
 
Per lo stesso motivo  si salvò Cipselo, il bambino che sarebbe diventato tiranno di Corinto, e padre di Periandro.
Erodoto racconta che per sorte divina il piccolo sorrise all'uomo dei Bacchiadi che lo aveva afferrato con l'intenzione di ammazzarlo. Questo se ne accorse, e un qualche sentimento di compassione lo trattenne dall'ucciderlo (oi\kto~ ti" i[scei ajpoktei'nai,V,92).
 
Secondo Milan Kundera, la compassione è il motivo principale, o il motore di tanti miti, come di certi amori:" Egli provò allora un inspiegabile amore per quella ragazza sconosciuta; gli sembrava che fosse un bambino che qualcuno avesse messo in una cesta spalmata di pece e affidato alla corrente di un fiume perché Tomáš lo tirasse sulla riva del suo letto… Di nuovo gli venne fatto di pensare che Tereza era un bambino messo da qualcuno in una cesta spalmata di pece e affidato alla corrente. Non si può certo lasciare che una cesta con dentro un bambino vada alla deriva sulle acque agitate di un fiume! Se la figlia del Faraone non avesse tratto dalle acque la cesta con il piccolo Mosè, non ci sarebbero stati l’Antico Testamento e tutta la nostra civiltà. Quanti miti antichi hanno inizio con qualcuno che salva un bambino abbandonato! Se Polibo non avesse accolto presso di sé il giovane Edipo, Sofocle non avrebbe scritto la sua tragedia più bella!"[2].
 
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I Pentei di ieri e quelli di oggi
 
Pasolini su Dioniso e Penteo nelle Baccanti di Euripide
 
“Egli è venuto in forma umana a Tebe per portare amore (ma mica quello sentimentale e benedetto dalle convenzioni!), e invece porta il dissesto e la carneficina. Egli è l’irrazionalità che cangia, insensibilmente e nella più suprema indifferenza, dalla dolcezza all’orrore. Attraverso essa non c’è soluzione di continuità tra Dio e il Diavolo, tra il bene e il male (Dioniso si trasforma, appunto, insensibilmente e nella più suprema indifferenza, dal giovane pieno di grazia che era al suo primo apparire in un giovane amorale e criminale. Sia come apparizione “benigna” che come apparizione “maledetta”, la società, fondata sulla ragione e sul buon senso-che sono il contrario di Dioniso, cioè dell’irrazionalità-non lo comprende. Ma è la sua stessa incomprensione di questa irrazionalità che la porta irrazionalmente alla rovina (alla più orrenda carneficina mai descritta in un’opera d’arte. Sono gli I. M. , per citare Elsa Morante, gli Infelici Molti, ossia la maggioranza, o la media, fondata sulla razionalità e sul buon senso, che non comprendono la grazia di Dioniso, la sua libertà, e, perciò, finiscono atrocemente nella strage: di cui peraltro la irrazionalità stessa è patrona. Quanti Péntei, nella nostra società (…) I Pentéi italiani sono dei mediocri, dei meschini imbecilli, neanche degni di essere dilaniati dalle Menadi ”[3].
 
I Pentei italiani di oggi sono quelli che diffondono e vogliono inculcare odio razzistico antirusso: contro ogni persona russa, contro la cultura russa, la medicina russa, il gas russo, le giornaliste e giornalisti russi pur invitate e invitati alle trasmissioni; insomma tutto ciò che è russo deve essere abominato e spregiato.
 
Scrittori, musicisti, artisti che,  defunti da tempo, ci educano ancora, ragazze e ragazzi agonisti sportivi. Tutto da togliere di mezzo.
Nemmeno Hitler arrivava a escludere dalle olimpiadi gli atleti che non gli piacevano e gli davano dispiaceri vincendo. Ma ora, se-Dio non voglia!- una russa o un russo vincesse una gara, sarebbe un abominio intollerabile per chi dà questi ordini.
Direbbero che erano drogati, ma hanno preferito prevenire.
Quanti obbediscono a tale propaganda infamante e infame si aspettano un po’ di gratitudine e qualche regalo dai loro  padroni e non si curano del fatto che decine di milioni di italiani sono contrari a questa russofobia siccome sono consapevoli che li danneggerà, e chiedono la pace.
Sarà la maggioranza del nostro popolo impoverito a punire questi razzisti odiosi. Sarà il nuovo Dioniso per loro.

Bologna 3 maggio 2022-ore 9, 13
 giovanni ghiselli
 
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Contro la guerra

Nella letteratura antica non mancano le maledizioni della guerra
Ne voglio riferire alcune perché i rischi che corriamo adesso  rendono non solo attuali ma anche necessarie queste deprecazioni.
 
Già nell'Iliade Zeus  dice ad Ares:"e[cqisto" dev moiv ejssi qew'n oi}   [Olumpon e[cousin (V, 890), tu per me sei il più odioso tra gli dei che abitano l'Olimpo.
 
 Nel primo Stasimo dei  Sette a Tebe di Eschilo il Coro di ragazze tebane dissacra il dio della guerra: Ares  è un domatore di popoli che  infuriando soffia con violenza e contamina la pietà "mainovmeno" d j ejpipnei' laodavma"-miaivnwn eujsevbeian"(vv. 343-344).
 
Nell'Agamennone[4] Ares viene definito "oJ crusamoibo;" d j  [Arh" swmavtwn" (v.437), il cambiavalute dei corpi, nel senso che la guerra distrugge le vite e arricchisce gli speculatori. Secondo Gaetano De Sanctis, Eschilo con questa tragedia ha voluto mettere in guardia gli Ateniesi"contro le guerre ingiuste, pericolose e lontane, onde tornano, anziché i cittadini partiti per combattere, le urne recanti le loro ceneri. La lista dei caduti della tribù Eretteide mostra quale eco dovesse avere nei cuori tale monito durante quella campagna d'Egitto (anni 459-454) in cui fu impegnato il fiore delle forze ateniesi"[5].
 
In maniera analoga il tenente Mahler, il disertore austriaco amante della contessa adultera, del film Senso di Visconti  pone questa domanda retorica:"Cos'è la guerra se non un comodo metodo per obbligare gli uomini a pensare e ad agire nel modo più conveniente a chi li comanda?".
 
“Al soldato si era tradizionalmente cercato di inculcare il concetto che ubbidire ai suoi capi fosse un obbligo religioso e morale, che egli doveva adempiere a costo della vita…Ma vi sono altre motivazioni emozionali, più sottili, che rendono possibile la guerra”[6]. Vediamole in inglese, perché lo studio e la conoscenza delle lingue classiche non deve accompagnarsi all’ignoranza di tutte le moderne: “War is exciting, even if it entails risks for one’s life and much physical sofference. Considering that the life of the average person is boring, routinized, and lacking in adventure, the readiness to go to war must be understood as a desire to put an end to the boring routine of daily life-and to throw oneself into an adventure, the only adventure, in fact, the average person may expect to have in his life[7], la guerra è eccitante, perfino se implica rischi per la propria vita e grandi sofferenze fisiche. Considerando che la vita della persona media è noiosa, fatta di routine, e carente di avventure, la disposizione a partire per la guerra deve essere intesa come il desiderio di porre fine alla noiosa routine della vita quotidiana e di gettarsi in un’avventura, l’unica avventura, di fatto, che la persona media può aspettarsi nella vita.
 
 Il coro (di marinai di Salamina) dell’Aiace di Sofocle condanna la guerra e chi ha mostrato ai Greci la presenza universale di Ares dalle armi odiose : prima sarebbe dovuto sprofondare nel grande etere o nell’Ade (vv. 1192-1195). E’ un rifiuto indiretto di Omero educatore, almeno quale lo vede Eschilo personaggio delle Rane di Aristofane: il divino poeta, afferma il tragediografo, insegnò cose utili: schieramenti di eserciti, valore guerresco e armamenti di eroi. (v. 1035) .
 
La sofferenza delle donne per le guerre degli uomini è compianta dal Coro di vecchi Tebani nella Parodo dell' Edipo re: "La città muore senza tenere più conto di questi[8]/e progenie prive di pietà giacciono a terra portatrici di morte senza compassione,/ e  intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose"( vv. 179-185).   
Quindi  Ares viene deprecato dal religiosissimo autore come "il dio disonorato tra gli dei" ( ajpovtimon ejn qeoi'" qeovn, v.215). Il dio è dissacrato poichè la guerra del Peloponneso dopo la morte di Pericle veniva condotta dal becero e sanguinario Cleone senza rispetto dell'etica eroica, delle consuetudini cavalleresche, e senza riguardo per l'umanità: Tucidide  nel dialogo senza didascalie del V libro fa dire dagli Ateniesi  ai Meli di non volgersi a quel senso dell' onore (aijscuvnhn, 111, 3) che procura grandi rovine agli uomini.
 
Empedocle[9] nel Poema lustrale   narra che gli uomini della primitiva età felice non avevano Ares come dio né il Tumulto della battaglia:"oujdev ti" h\n keivnoisin  [Are" qeo;" oujde; Kudoimov"", né Crono né Poseidone, ma solo Cipride regina (fr. 119, vv. 1-3). Inoltre non si bagnava l'altare con il sangue dei tori, ma si offriva mirra, incenso e miele, poiché per gli uomini era massima contaminazione (muvso~… mevgiston, v. 9) divorare le membra staccandone l'anima (vv. 9-10).
 
Il protagonista degli Acarnesi[10] di Aristofane, fieramente avverso alla guerra, promette: "io non accoglierò mai in casa Povlemo" (v. 977), la personificazione del conflitto, visto come " un uomo ubriaco (pavroino" aJnhvr, v. 981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a bere nella coppa dell'amicizia, "bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti/e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986-987).
 Il pacifista Diceopoli si fa portavoce dei contadini, esasperati poiché gli opliti spartani nella fase archidamica della guerra (431-421) ogni anno distruggevano  i raccolti dell’Attica.
  Respinto Polemos, arriva la Pace connessa alla festa, all'amore e alla bellezza dell'arte: infatti è compagna della bella Cipride e delle Cariti amabili (v. 989). Quindi giunge l'inviato di un marito, un paraninfo che offre a Diceopoli le carni del banchetto di nozze per avere una coppa di pace:" i[na mh; stratevouit  j ajlla; kinoivh mevnwn" (Acarnesi, v. 1052), al fine di non andare in guerra ma rimanere in casa a fare l'amore. Diceopoli, che ha sofferto l'incomprensione dei concittadini, per lo sposo- non sposo non si commuove, ma si adopera per la sposa: la donna non si merita di soffrire per la guerra (v. 1062). 
 
Nella seconda commedia pacifista di Aristofane (Pace del 421) la Festa per la pace (Qewriva)  odora di frutta, di conviti, di grembi di donne che corrono verso la campagna (kovlpou gunaikw'n diatrecousw'n eij" ajgrovn, v. 536) e di tante altre cose buone.
Qui si racconta che gli dèi[11] si sono allontanati dagli uomini per non vederli sempre combattere e li hanno abbandonati a Polemo il quale ha gettato la Pace in un antro profondo (v. 223). Intanto però il pestello (aJletrivbano" , v. 269) degli Ateniesi, il cuoiaio (oJ bursopwvlh" , v. 270) che sconvolgeva l'Ellade, Cleone, è morto. Così pure Brasida, il pestello dei Lacedemoni[12].
La pace accresce le possibilità di vita secondo Trigeo, il vecchio contadino ateniese che brama Irene e vuole liberarla : essa consente di navigare, rimanere dove si è, fare l'amore, dormire, andare a vedere le feste, banchettare, giocare al cottabo, e gridare iù iù (vv. 341-345).
Vogliono le guerre i fabbricanti di lance e i mercanti di scudi per i loro guadagni (vv. 447-448). Alla fine questi riceveranno le pernacchie, mentre i contadini potranno tornare al lavoro dei campi richiamando alla memoria l'antica vita che la Pace largiva: i pani di frutta secca, i fichi e i mirti, il dolce mosto, le viole accanto al pozzo e le olive di cui si ha desiderio. La pace portava ai contadini la zuppa d'orzo verde e significava la salvezza (ci'dra kai; swthriva, v. 595) sicché le vigne e i teneri fichi, e quante altre piante vi sono, rideranno liete accogliendola. Segue nell'agone un'eziologia della guerra meno ridicola di quella presentata negli Acarnesi [13]:  Pericle, spaventato dalle accuse intentate a Fidia, per non seguire la stessa sorte, mise a fuoco la città e provocò tanto fumo che tutti i Greci lacrimavano. Alla pace ritrovata conseguono progetti e preparativi di feste a base di scorpacciate di cibo e orge sessuali: Teoria ha un culo da festa quinquennale e va molto bene; la focaccia è cotta, la torta col sesamo è impastata e tutto il resto è pronto: "tou' pevou" de; dei' " (v. 870), manca solo il bischero. Quindi Trigeo cita due esametri omerici[14]: "è privo di legami sociali, di leggi, di focolare quello che/ama la guerra civile agghiacciante (vv. 1097-1098).
Ogni guerra degli uomini contro gli uomini è una guerra civile.
Nella II Parabasi  il Coro di contadini proclama la sua gioia per la libertà dagli impegni bellici e la possibilità che la pace offre di stare vicino al fuoco a bere con i compagni, arrostire ceci, mettere ghiande al fuoco e sbaciucchiare la serva tracia mentre la moglie si lava. Poi quando arriva l'estate con la dolce canzone della cicala[15] Trigeo gode nel vedere maturare viti precoci e mangiare i fichi dicendo "w|rai fivlai" (v. 1168), che bella stagione! Di questo gode il contadino invece di essere arruolato ancor prima dei cittadini, e di dover obbedire a un capitano vigliacco. Alla festa finale arriva un mercante di falci che ha ripreso la sua attività ed è grato a Trigeo, mentre il mercante di armi è addolorato. Il cimiero, che lui vende, può servire al massimo per pulire la tavola, e la corazza per cacarci dentro. Le lance segate in due potranno fare da pali di viti. Infine c'è la festa di nozze fra Trigeo e Opora (il raccolto): lui ce l'ha grande e grosso, lei  ha la fica dolce ( Pace, th'~ d’ hJdu; to; su'kon, v.1352).  
 
Anche Euripide, che pure aizza spesso l'odio ateniese contro Spartani e Spartane, attribuisce a Poseidone una condanna delle devastazioni belliche nel prologo delle Troiane : "mw'ro" de; qnhtw'n o{sti" ejkporqei' povlei", - naou;" te tuvmbou" q  j, iJera; tw'n kekmhkovtwn ,- ejrhmivvva/ dou;" aujto;" w[leq ' u{steron"(v. 95-97), è stolto tra i mortali chi distrugge le città, gettando nella desolazione templi e tombe, sacri asili dei morti; tanto poi egli stesso deve morire.
Nell'Elena (vv. 37-40) e nell'Oreste (vv. 1640-1642) il tragediografo afferma che la guerra è un mezzo voluto dagli dèi per alleggerire il mondo oberato dalla massa troppo numerosa dei mortali.
Nell’Elena per giunta la moglie di Menalo non ha tadito il marito e non è andata a Troia ma si è fermata in Egitto.
 
Tale giudizio contro la guerra si trova anche alla fine dell’Elettra euripidea, quando Castore annuncia a Oreste che Elena sta arrivando, insieme con Menelao, dall'Egitto, dalla casa di Proteo, poiché a Troia non è mai andata, “Zeu;~ d  j,  wJ" e[ri" gevnoito kai; fovno" brotw'n,- ei[dwlon JElevnh~  ejxevpemy j ej~  [Ilion ” ( Elettra, vv. 1282-1283),  ma Zeus mandò a Ilio un'immagine (ei[dwlon) di lei, affinché ci fosse guerra e strage dei mortali.
 
"Sì sì, lei non era qui". Dice di Elena la Cassandra  di Christa Wolf. E aggiunge:"Il re d'Egitto l'aveva tolta a Paride, quello stupido ragazzo. Lo sapevano tutti nel palazzo, perché io no? E ora? Come ne usciamo, senza perdere la faccia. Padre, dissi, con un fervore col quale non gli parlai mai più. Una guerra condotta per un fantasma, può solo essere perduta"[16].
 
A proposito delle guerre ultime la Wolf ha definito G. W. Bush “più criminale di qualsiasi capo della D.d.r.”[17]
  
Ora passiamo in rassegna alcuni autori latini. 
 Virgilio nella prima Georgica  (v.511) depreca "Mars impius " che al tempo della guerra civile infuria dovunque, come nell'età del ferro.
Orazio ricorda che le guerre, che pure a molti piacciono, sono esecrate dalle madri: “ bellaque matribus-detestata” (carm. 1. 1. 24-25), quindi  qualifica il dio Marte come torvus (carm. 1, 28, 17) e  cruentus (carm. 2. 14. 13).
Tibullo [18]attribuisce la colpa della guerra alla brama dell'oro:" Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? /Quam ferus et vere ferreus ille fuit!// Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,/tum brevior dirae mortis aperta via est.// An nihil ille miser meruit; nos ad mala nostra/vertimus, in saevas quod dedit ille feras?//Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,/faginus adstabat cum scyphus ante dapes " (I, 10, 1-8), Chi per primo ha tirato fuori le orrende spade? Oh quanto feroce e davvero ferreo[19] fu quello! Allora la strage nacque per il genere umano, allora la guerra, allora più breve si è aperta la via della morte tremenda. Oppure quel disgraziato non ebbe colpa; ma noi volgemmo a nostro danno quello che egli ci diede contro le belve feroci?
 Questa è  colpa del ricco oro, e non c'erano guerre quando una coppa di faggio stava davanti alle vivande.  Non era ancora  l'età del business .
 
Curzio Rufo nota che durante la campagna di Alessandro Magno in India succedeva che gli assediati dessero fuoco alla loro città e gli assedianti cercassero di spegnere il fuoco: “adeo etiam naturae iura bellum in contrarium mutat ” (Historiae Alexandri Magni, 9, 4, 7), a tal punto la guerra stravolge perfino le leggi di natura.
Questi e altri del genere sono biasimi e moniti che dobbiamo continuare a rivolgere ai promotori di guerre se non vogliamo essere loro complici.
 
 Mi sembra assolutamente opportuno ricordare tali giudizi sull'assurdità della guerra che viene imposta  agli uomini comuni, se non proprio dagli dèi, dall'alto dei palazzi del potere, affinché  i mortali poveri, servano a interessi che sicuramente non sono i loro.
 
Bologna 16 settembre 2022 ore 18, 11
 
 
 




[1] Cicerone ricava dal Timeo di Platone ( 69c-71a) il dato che la parte razionale dell’uomo si trova nell’acropoli, la roccaforte di ogni persona. “Plato triplicem finxit animum, cuius principatum id est rationem, in capite sicut in arce posuit” (Tusculanarum Disputationum, I, 20)
[2] L'insostenibile leggerezza dell'essere (del 1984),  p. 14 e p.19. 
[3] Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società,p p. 1142-1143
[4]
Del 458 a. C.
[5] Storia dei Greci , II vol., p.91
[6]
E. Fromm, Anatomia della distruttività umana, p. 269.
[7] The Anatomy of human destructiveness, pp. 241-242.
[8]
Dei cadaveri. La peste è anche morale, dunque simboleggia pure la guerra.
[9] Fiorito intorno alla metà del V secolo.
[10]
Del 425 a. C.
[11] Disgustati, come ha detto di recente il Pontefice.
[12]
A chi potremmo paragonare questi due guerrafondai?
[13] Dove Diceopoli racconta che dei giovanotti ateniesi avvinazzati rapirono una prostituta megarese, e i Megaresi per rappresaglia ne sottrassero due ad Aspasia: di qui si scatenò per tutti il principio della guerra: per tre puttane (Acarnesi, vv. 524-529).
[14]
Da Iliade 9, 63-64.
[15] Questa, hJliomanhv~ (Uccelli, 1096), va pazza per il sole, e non dà segni ambigui come la rondine.
[16]C. Wolf, Cassandra , p. 85.
[17] Ho trovato in la Repubblica del 27 aprile 2011 (p. 47) la citazione tratta da Un giorno in ogni anno, 2001-2011, nel nuovo secolo, Ein Tag im Jahr, 2001-2011, im neuen Jahrhundert,  appena uscito da Suhrkamp Verlag
[18]
Nato a Gabii o a Pedum , nel Lazio rurale fra il 55 e il 50 a. C., morto tra il 19 e il 18 a. C. Sotto il suo nome ci è giunto il Corpus tibullianum , tre libri di elegie. Sono sicuramente e autenticamente tibulliani i primi due che cantano l'amore per due donne, Delia e Nemesi. Il terzo libro che gli umanisti divisero in due parti è un' antologia di vari autori, compreso Tibullo. Quintiliano lo definisce tersus atque elegans maxime…auctor  (Institutio oratoria , X, 93), l'autore più elegante e raffinato, nel campo dell'elegia dove i latini possono sfidare i Greci.
[19]  Cfr. Erodoto:" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai" (I, 68, 4), il ferro è stato inventato per la rovina dell'uomo

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