mercoledì 21 settembre 2022

Pasolini regista e il suo apprendistato con Roberto Longhi a Bologna

Roberto Longhi
P. P. Pasolini in

Il Vangelo secondo Matteo Edipo re Medea. Garzanti 1991

Da un incontro con Pasolini (293)
Un mondo “epico religioso” (293)

“La mia visione del mondo è sempre, nel suo insieme, di tipo epico religioso”   e questi elementi giocano un ruolo molto importante soprattutto in personaggi miserabili che sono al di fuori di una coscienza borghese.
 
Le origini cinematografiche 294
Quando avevo l’età di voi allievi e studiavo a Bologna, amavo moltissimo il cinema e avevo già in testa di venire proprio qui al Centro sperimentale  -di Roma suppongo ndr.-
 Poi invece è venuta la guerra e ho dovuto rinunciarvi
Ma scrivendo Ragazzi di vita uscito nel 1955 ho composto molte scene cinematografiche come quella dei ragazzi che fanno il bagno nell’Aniene insieme ai cani. La mia impreparazione tecnica è compensata dal mio modo di vedere le cose.
Nell’episodio La Ricotta del film Rogopag  (1963 Rossellini, Godard. Pasolini, Gregoretti) il personaggio di Stracci è una specie di nuovo Cristo 297
Il Vangelo secondo Matteo : “questo film può essere veramente nella linea nazional popolare di cui parlava Gramsci”. 297
 
Gli “Erodi” p. 298
Costituiscono il mondo dei ricchi e dei potenti , dei feudatari
 
La musica e i costumi 299
Bach ma anche spirituals e ritmi di altri paesi. I costumi sono ispirati alla pittura del  ’ 400 e segnatamente a quelli di Piero della Francesca. Roberto Longhi uno dei più seri studiosi di Piero fu il suo maestro.
I cappelloni canestro di Piero quattrocenteschi sono fantastici ma suggeriscono un’analogia tra i potenti di tutti i tempi (Storia della vera croce, basilica di San Francesco di Arezzo)
Piero della Francesca da Sansepolcro 1412-1492
 
Gli interpreti  (p. 300 dei film)
Il vangelo secondo Matteo
Non volevo un Cristo dai lineamenti morbidi, dallo sguardo dolce, come nell’iconografia rinascimentale .
Volevo un volto che esprimesse anche forza, decisione, come quello dei Cristi dei pittori medievali. Una faccia che corrispondesse ai luoghi aridi e pietrosi in cui avviene la predicazione.
Appena vidi Enrique Irazoqui fui certo di avere trovato il mio Cristo . Aveva lo stesso volto bello e fiero, umano e distaccato dei Cristi dipinti da El Greco. Severo, perfino duro in certe espressioni.
L’attore professionista ebbe a dire Pasolini è ammaestrato a parlare una lingua che non esiste con una pronuncia che non esiste.
Cfr. mandaci un rimedio dal bel volto-eujw`pa pevmyon ajlkavn (Sofocle, Edipo re, Parodo, v. 189
Zeus che viene invocato perché distrugga con il suo fulmine  il fuoco malefica del dio della guerra Ares il violento (190), il violento, il dio disonorato tra gli dèi (215) : w\ Zeu' pavter, uJpo; sw/' fqivson keraunw/' (vvvv..202), Zeus padre, annientalo sotto il tuo fulmine.
Oggi qui in Italia il Papa gesuita non ha il coraggio di condannare la guerra senza mezzi termini. Era più vicino al Cristo venturo Sofocle.
E’ la prima volta che critico il Papa ma sono convinto che il vicario di Cristo se è davvero tale non dovrebbe avallare una guerra armata con armi omicide.
 
Il doppiaggio
 Uno della cerchia  p. 302
Da escludere i doppiatori famosi che il pubblico collega a un attore straniero. Pasolini voleva impiegare uno della cerchia appunto
Nel film La ricotta Orson Welles è stato doppiato da Bassani.
Pasolini  disse di lui: “ha una pronuncia italiana perfetta, eppure vera, naturale, senza carichi scolastici, senza birignao.
” Nel gergo teatrale, dizione ridicola e artificiosa, con pronuncia nasale e con vocali finali prolungate”
 
 Giacomo Gambetti
Gli interpreti p. 325
Franco Citti, attore da sempre
Nel Vangelo, sulla scena della crocifissione, passò un pulman, tutti dissero peccato, dobbiamo rifa’, lui disse no, tanto si sa che il film è di oggi, un pullman non dà fastidio, la scena e il film sono quello che sono lo stesso” 329. La spezzatura, l’ajmevleia di Pisolini
 
Però a Bologna davanti a San Petronio abbiamo girato una breve scena che io sono tutto stracciato, suono il flauto e chiedo l’elemosina, non ci mettevo nemmeno tanto impegno, è passato un bambino e ha detto “mamma poveraccio quel signore” 332
 
Pasolini  individua nella luce di Caravaggio, “quotidiana e drammatica”, una contrapposizione al lume universale del Rinascimento platonico” E prosegue: “Sia i nuovi tipi di persone e di cose che il nuovo tipo di luce, il Caravaggio li ha inventati perché li ha visti nella realtà. Si è accorto che intorno a lui-esclusi dall’ideologia culturale vigente da circa due secoli-c’erano uomini che non erano mai apparsi nelle grandi pale o negli affreschi, e c’erano ore del giorno, forme di illuminazione labili ma assolute che non erano mai state riprodotte e respinte sempre più lontano dall’uso e dalla norma, avevano finito col diventare scandalose, e quindi rimosse. Tanto che probabilmente i pittori, e in genere gli uomini fino al Caravaggio probabilmente non le vedevano nemmeno”[1]. 
 
Pasolini ha utilizzato Masaccio-1401-1428- per Accattone; e per La ricotta i colori di Pontormo 1454-1557- e di Rosso Fiorentino- 1495-1557..
In Accattone del resto “il piano in cui Stella viene rappresentata in mezzo a un mucchio di bottiglie, è là come un omaggio privato a Giorgio Morandi”[2] (1890-1964)
In Accattone si trova un solo elemento figurativo: Masaccio, forse sotto sotto Giotto e anche la scultura romanica; nel Vangelo si incontrano fonti diverse: Piero della Francesca (negli abiti dei farisei), la pittura bizantina (il viso del Cristo simile a quelli di Rouault[3]) eccetera”.
 
“Accattone, per quanto la cosa non sia direttamente visibile, ha la nudità, l’austerità di Masaccio o della scultura romanica. Nel Vangelo l’amalgama è più complesso: la pittura del Rinascimento viene accostata alla pittura moderna (Rouault, per esempio, attraverso il viso di Cristo). Piero della Francesca mi ha ispirato un certo numero di elementi stilistici, per le cuffie e i costumi dei farisei…E poi c’è sullo sfondo Giotto, la pittura romanica. L’amalgama non significa per questo che l’insieme sia sprovvisto di unità. L’unità stilistica, l’unità cioè delle diverse tecniche, è cementata da questa ossessione patetica che mi è propria…L’unità si è fatta quasi a mia insaputa”[4]
 
“Tommaso (che  era il suo vero nome) fu da tutti detto Masaccio; non già perché  e’ fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta trascurrataggine; con la quale niente di manco, egli era tanto amorevole nel fare altrui servizio e piacere, che più altro non può bramarsi” ” scrive Giorgio  Vasari (1511-1574)il quale ne mette in risalto la naturalezza: “perché invero le cose fatte innanzi a lui si possono chiamare dipinte, e le sue vivaci, veraci, e naturali, allato a quelle fatte dagli altri”
Vita di Masaccio. Da S. Giovanni di Valdarno Pittore.
In Vite dei più eccellenti architetti pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri.
 
 In Accattone il regista ha usato musiche di Bach-1685-1750; in Mamma Roma quelle di Vivaldi- 1678-1741.
Gesù della pinacoteca del Borgo, il Cristo che esce dal sepolcro , è un “accigliato colono imbalsamato dal sole”[5].
  
Il cinema buono va raccomandato ai giovani anche perché è uno dei pochi strumenti formativi, forse “l’unico a non essere totalmente come la radio e la televisione nelle mani dello Stato”[6]. 
 
A cent’anni dalla nascita una mostra evocativa ed emozionante su Pier Paolo Pasolini e sul suo importante incontro con le lezioni di storia dell’arte del critico Roberto Longhi.
Scendendo per le scale del sottopasso di Piazza Re Enzo a Bologna – nei pressi di Piazza Maggiore si viene trasportati all’interno di una dimensione onirica dove, lentamente, prende vita, attraverso proiezioni di immagini e suoni, il mondo di un grande intellettuale e regista bolognese.
Da questa catàbasi rivelatrice, ha inizio il viaggio che la Cineteca di Bologna ha voluto dedicare al centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini.
La mostra, visitabile fino al 16 ottobre 2022, dal titolo Pier Paolo Pasolini: Folgorazioni Figurativecurata da Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli -, permette al visitatore di conoscere il percorso formativo dell’artista suddividendolo in dieci sezioni o, meglio, in dieci “folgorazioni”. 

Da questa catàbasi rivelatrice, ha inizio il viaggio che la Cineteca di Bologna ha voluto dedicare al centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini.
La mostra, visitabile fino al 16 ottobre 2022, dal titolo Pier Paolo Pasolini: Folgorazioni Figurativecurata da Marco Antonio Bazzocchi, Roberto Chiesi e Gian Luca Farinelli -, permette al visitatore di conoscere il percorso formativo dell’artista suddividendolo in dieci sezioni o, meglio, in dieci “folgorazioni”. 
La principale “folgorazione”, cui si accenna nel titolo dell’esposizione, nasce tra i banchi di una piccola aula dell’Università di Bologna, al numero 33 di Via Zamboni. Qui, nell’inverno del 1941, ebbero luogo le lezioni di Storia dell’arte medievale e moderna tenute dal professor Roberto Longhi. Seduto a un banco di quell’aula Pasolini seguì con passione questo corso incentrato sulla pittura di Masolino e di Masaccio. In particolare, ad attrarlo fu il metodo innovativo di cui, in piena epoca fascista, il professor Longhi si avvalse per le sue analisi: le opere d’arte non venivano, infatti, spiegate con auliche e formali letture, ma attraverso la proiezione dei particolari dei dipinti, poi commentati in tutti i loro minuziosi dettagli. Fu proprio da quelle immagini proiettate dalla luce sulla parete e «cariche di bellezza che esprimono il “sacro” della realtà», che nacque la vocazione per il cinema in Pasolini. 

Negli anni seguenti, durante la Seconda Guerra Mondiale, Pasolini, facendo tesoro dei suoi studi bolognesi, si reca frequentemente a Casarsa, in Friuli, dove, oltre a scrivere la sua prima raccolta Poesie a Casarsa, ha anche modo di conoscere la pittura locale e di scoprirne i «risultati più brillanti». La luce, infatti, imprimerà sulle future pellicole del Pasolini  una presenza costante e vitale, poiché elemento attivo, dinamico che risalta l’oggetto su cui ricade a volte mostrandolo per com’è davvero, altre volte deformandolo. 
Dopo l’importante parentesi friulana e con la fine del conflitto mondiale, Pasolini, nel gennaio del 1950, si trasferisce a Roma. Sarà qui che si aprirà un nuovo e fondamentale capitolo della sua consapevolezza artistica. A Roma egli farà luce sul lato più nascosto della città, che lui definirà essere «stupenda metropoli plebea».
 Sarà, infatti, folgorato dalle realtà umili e reiette che la popolano ed imparerà a conoscerle mescolandosi ad esse e divenendo testimone di quell’umanità dimenticata che costituirà l’ennesima fonte di ispirazione per il poeta, tramite cui darà vita alle prime opere come regista: Accattone (1960), Mamma Roma (1962) e La ricotta (1963). In questi film, per la prima volta, per la tecnica registica e per le scenografie Pasolini si avvarrà delle sue conoscenze di storia dell’arte apprese a lezione da Roberto Longhi. In essi, infatti, a prevalere visivamente sono la fisicità e l’energia corporea dei personaggi, come nei dipinti del Masaccio, ripresi nei loro dettagli da Pasolini per narrare e rappresentare quel mondo lontano della periferia romana. Allo stesso tempo si viene a creare una stretta connessione con il mondo caravaggesco.
Pasolini, come Caravaggio sceglie i suoi attori dal popolo – come il giovane cameriere romano Ettore Garofalo protagonista nel film Mamma Roma. Nei suoi film, Pasolini usa ossessivamente la luce, come Caravaggio usa il diaframma luminoso per i suoi quadri «che fa delle sue figure delle figure separate, artificiali, come riflesse in uno specchio cosmico (…) e così la luce, pur restando così grondante dell’attimo del giorno in cui è colta, si fissa in una grandiosa macchina cristallizzata».
Dopo aver fatto riferimento all’arte trecentesca (l’utilizzo della luce contrastante di Masaccio) e alla poetica di Caravaggio, nel suo terzo film, La ricotta (1963), Pasolini inserirà il colore. Questa svolta nasce dopo che, nel 1961, egli era approdato alla lettura del testo di storia dell’arte di Giuliano Briganti La maniera italiana.
 Il film in questione è, infatti, intriso di “manierismo” (che Longhi, nel 1953 definirà essere un momento artistico in cui prevalgono «umori balzani, lunatici, spesso introversi») a partire dalle due sequenze in cui Pasolini mette in scena i due quadri della Deposizione di Cristo rispettivamente del Pontormo e di Rosso Fiorentino, pionieri di tale corrente artistica. Vere e proprie citazioni, dunque, che si inseriscono e colorano vividamente, con le tinte brillanti tipiche dei manieristi, parte della pellicola che per il resto del film è girata in bianco e nero.

Un borghese eretico, un borghese sviato
Sul finire degli anni Sessanta, nel pieno clima delle contestazioni giovanili, il lavoro artistico di Pasolini prende una piega del tutto inaspettata. L’arte primitiva e classica utilizzata come tramite per la lettura della realtà dei suoi primi film viene di colpo abbandonata, per far sì che all’interno della sua opera si insinui un protagonista nuovo, fino ad allora taciuto: la borghesia. Nei confronti di questo ceto sociale, la sua vis polemica è tanto più forte in quanto egli stesso ne fa parte. Pasolini è, infatti, come scrive il professor Marco Antonio Bazzocchi – tra i curatori della mostra bolognese – un «borghese eretico che non sa sorridere e che tende a drammatizzare tutto (…) autoesiliato dalla propria classe di appartenenza» ma senza dimenticarne le origini. 
Sono proprio gli odiati borghesi, contro cui Pasolini urla il suo disprezzo, che, ora, popolano le sue opere, poiché la borghesia è la classe vincente e il suo trionfo contamina la realtà e massifica lo sguardo. Il primo film che affronta queste tematiche è Teorema (1968), in cui viene infatti descritta la storia di una famiglia borghese. Questa volta, a dare ispirazione al pathos espressivo dei protagonisti del film sono le opere di Francis Bacon, in cui compaiono figure deformate e strazianti che assumono forme mostruose e animalesche.
 
Ha qui inizio «l’orribile presente borghese e capitalistico» che Pasolini condanna e che trova la sua prima rappresentazione nei volti fissi e inespressivi della famiglia di Teorema e il suo culmine negli ambienti chiusi e freddi di Salò (1975) – ultimo film prima dell’assassinio del regista. In esso i protagonisti, i quattro Signori e le Narratrici, danno vita alle loro perversioni, in un gioco registico fatto di inquadrature simmetriche e di specchi che riflettono ampi spazi déco in cui spiccano oggetti e rimandi all’arte d’avanguardia dei futuristi, di Léger e di Mackintosh. Viene costruito un mondo surreale e feroce come la classe che lo popola.

A chiudere il cerchio del percorso artistico di Pasolini e della mostra è un servizio fotografico realizzato nell’ottobre del 1975, pochi giorni prima che il regista fosse assassinato, nel quale Pasolini viene immortalato dal fotografo e amico Dino Pedriali. Tra gli scatti spicca quello in cui Pasolini, inginocchiato per terra, ritrae su un foglio da disegno il profilo di Roberto Longhi – ripreso dal volume del 1973 con i saggi più famosi dello storico dell’arte curati da Gianfranco Contini –, l’ultimo omaggio al maestro della sua prima e illuminante “folgorazione figurativa”: un’immagine che ci accompagna nella risalita verso la superficie e nella realtà affollata del centro di Bologna.


Bologna 21 settembre 2022 ore 10, 15.
giovanni ghiselli

 



[1] Pasolini, La luce di Caravaggio in Pasolini Tutte le opere, p. 2673.
[2] P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, p. 1519.
[3] Op. cit, p. 1338..Rouault è il maggior pittore di arte sacra del Novecento n.d.r.
[4] Op. cit., p. 1519.
[5] Roberto Longhi (1890-1970) , Da Cimabue a Morandi, p. 83.
[6] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 95.

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