martedì 27 luglio 2021

Aristofane Acarnesi, sesta parte.

 


 

Per trovare gli stracci, bisogna andare dal poeta creatore di pezzenti: dunque Diceopoli si reca a casa del drammaturgo creatore di straccioni e lo chiama vezzeggiandolo anche un poco:"Euripide, Euripidino!"( Eujripivdh, Eujripivdion, v.404).

Euripide in più di una commedia di Aristofane viene accusato di avere presentato al pubblico nei suoi drammi esemplari umani negativi: uomini  ordinari e donne sgualdrine.

 Questa critica verrà ripresa da A. W. Schlegel  e approfondita da Nietzsche in La nascita della tragedia (1872)  sulla quale torneremo.

 

 Il tragediografo dunque  appare su un palco raffigurato da una macchina teatrale chiamata ejkkuvklhma, una piattaforma che scorreva su ruote e rappresentava gli interni.

Qui negli Acarnesi compaiono anche diversi cenci: i costumi di alcuni personaggi euripidei. Diceopoli dunque rivolge la sua richiesta al drammaturgo non senza rivolgergli la critica che diverrà più seria nelle Rane :

"Tu crei sospeso per aria mentre potresti farlo

 stando a terra: non è un caso che crei degli zoppi. (cwlou;ς poei'ς)

Allora perché tieni i cenci della tragedia,

le vesti da far compassione? Non è un caso che crei i pezzenti. ptwcou;ς poei'ς

Ma ti supplico per le tue ginocchia, Euripide,

dammi qualche straccio dell'antica tragedia. dovς moi rJakiovn ti tou' palaiou' dravmatoς (415)

Infatti io devo fare davanti al coro un lungo discorso

che mi porta la morte se parlo male"(410-417).

Euripide ha creato una folla di antieroi storpi e mendicanti, e Diceopoli ne nomina alcuni: Eneo, Fenice, Filottete, Bellerofonte lo zoppo (oJ cwlov", 427)  e Telefo, lo straccione ferito, il più malridotto, del quale appunto  viene scelto il costume (430). Era questo un re di Misia il quale venne ferito dalla lancia di Achille che sola poteva guarirlo: per avere il tocco risanatore Telefo si recò alla corte di Argo travestito da mendicante, si impadronì di Oreste e minacciò di sgozzarlo se Agamennone non lo avesse aiutato facendolo guarire dalla stessa lancia che lo aveva ferito.

Diceopoli dunque si traveste ed espone il suo piano: i coreuti non devono capire più niente perché io li possa beffare con delle frasette.

Con queste parole Aristofane lancia un’accusa contro Euripide che sarebbe uno dei poeti mistificatori.

 

Nelle  Rane il personaggio Eschilo si rivolge a Euripide chiamandolo  “ collezionatore di ciarle (stwmuliva) , ptwcopoiev creatore di pezzenti, rattoppatore di cenci. Inoltre cwlopoiovς., creatore di storpi che per giunta fa l’insolente ( vv. 841- 843)  

Eschilo poi chiede a Euripide che cosa abbia scritto lui di buono e l’avversario risponde: non ippogalli né caprocervi (iJppalektruovnaς, tragelavfouς), ma come ricevetti la tua arte gonfia tevcnhn oijdou'san,  di smargiasserie e parole pesanti, i[scnana[1] me;n prwvtiston aujthvn, l’ho snellita subito e le ho tolto pesantezza (kai; to; bavroς ajfei'lon) con paroline e raggiri (ejpullivoiς kai; peripavtoiς (Rane, 939-942).

 

Tra i poeti mistificatori personalmente metto tutti quelli che scrivono in maniera incompensibile per il popolo e perfino per chi ha un’educazione accademica. Eppure tra costoro c’è pure chi ha avuto il premio Nobel. Bene fece Sartre a rifiutarlo.

 

 

 Euripide che è il creatore della sottigliezza, oltre che della straccioneria lo asseconda:

"te lo darò: infatti macchini trame sottili con mente accorta"(dwvsw: puknh`/ ga;r lepta; mhcana`/ freniv, 445).

Questo non è sempre un difetto: deficit peggiore è la mente grossolana di chi macchina imbrogli colossali.

 

Diceopoli prende tutta l'attrezzatura da mendicante, poi, prima di andarsene, infila una battuta sulla umiltà del mestiere della madre di Euripide, Cleitò,  che avrebbe fatto l'erbivendola:

"Euripiduccio dolcissimo e carissimo,

possa morire nella maniera peggiore, se ti chiederò ancora qualche cosa,

tranne una soltanto, questa soltanto:

dammi il cerfoglio che ti ha lasciato la mamma!"(475-479) skandikav moi dovs (skavndix hJ).

Euripide si offende:

"Quest'uomo mi oltraggia. Chiudi i serrami della casa"(479) dice al servo e Diceopoli si allontana con tragica disperazione dicendo:

"O cuore, bisogna andarsene senza il cerfoglio!"(480) ajjneu skavndikoς.

Quindi si appresta ad affrontare l'agone con il coro.

 

giovanni ghiselli Pesaro 27 luglio ore 11,43

 

 

 



[1] ijscnaivnw, termine del lessico ippocrateo, come se la poesia di Eschilo, gonfia e malata, avesse bisogno di cure 

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