giovedì 29 luglio 2021

Aristofane Acarnesi, parte nona

 


 

 Prima Parabasi (626-718) : il coro si toglie i mantelli e viene agli anapesti (breve breve lunga 627).

Aristofane parla di sé in terza persona:

"calunniato dai nemici tra i volubili Ateniesi ( diaballovmeno" d’ ujpo, tw`n ejcqrw` ejn j Aqhnaivoiς tacubouvloiς),

in quanto motteggia la nostra città con le commedie e offende il popolo/

deve rispondere davanti ai mutevoli Ateniesi"( pro;ς j Aqhnaivouς metabouvlouς, 630-632).

La Parabasi è dunque "il cantuccio" nel quale il poeta può esprimersi più personalmente. Aristofane rivendica a sé il merito della schiettezza e della capacità educativa:

"egli dice che vi insegnerà molte cose buone, in maniera che siate felici/

non adulando né promettendo mercedi sotto banco, né ingannando/

né facendo il farabutto né coprendovi di elogi, ma insegnandovi le cose migliori-ajlla; ta; bevltista didavskwn"(656-658).

 

Questo compito pedagogico del poeta verrà ribadito nelle Rane del 405:

"ai bambini infatti

è maestro colui che insegna, per gli adulti ci sono i poeti

e noi dobbiamo dire cose assolutamente oneste" ( pavnu dh; dei' crhsta; levgein hJma'ς, 1053-1055) afferma Eschilo discutendo con Euripide.

 

Sicuro di essere nel giusto dunque, Aristofane afferma, passando alla prima persona, che continuerà per la sua strada dove:

"il bene e il giusto saranno

alleati con me, e mai verrò preso

ad agire verso la città come quel

vigliacco e pederasta sfondato"( w{sper ejkei'noς deilo;ς lakkatapuvgwnpughv è culo e lakavw mi apro, lavkkoς oJ lat lacus, inglese lake, Acarnesi, 661-665).

Si tratta del demagogo Cleone.

Aristofane lo presenta più volte (cfr. soprattutto i Cavalieri-del 424-come un ladro sfrontato: Tucidide ne fa il capo di una potenza imperialistica quale era diventata Atene: "turannivda e[cete th;n ajrchvn", (La guerra del Peloponneso, III 37, 2) avete un impero che è una tirannide dice in un discorso agli Ateniesi.

“Devesi riconoscere che Sparta godeva simpatie più numerose; poiché di Atene, mentre ognuno sentiva il fascino di bellezza e di splendore che da essa emanava, i più cercavano di sfuggire il contatto politico e l’alleanza, che finiva quasi sempre per cambiarsi in esoso legame di dipendenza: e del resto la storia insegna che, in ogni tempo, gli imperialismi più sfrenati e odiosi, più presuntuosi e intollerabili, furono spesso quelli esercitati dalle democrazie più liberali. Una siffatta politica di assoluto primato ateniese Pericle perseguiva fin quasi dall’inizio della sua carriera politica”[1].

Già Pericle aveva detto ai cittadini : “Non potete tirarvi indietro dall’impero (ajrch'" ejksth'nai, Tucidide,  2, 63, 2).

wJ" turannivda ga;r h[dh e[cete aujthvn, oramai infatti l’avete come una tirannide, e averlo preso può sembare ingiusto, ma lasciarlo sarebbe pericoloso. L’inerzia infatti non salva-to; ga;r a[pragmon ouj swv/zetai se non è schierata con l’attività

 

Questo imperialismo di Atene come ogni tirannide escludeva la pietà:

 

Lo dichiara Agamennone nell’Aiace di Sofocle: “tov toi tuvrannon eujsebei'n ouj rJa/dion” (v. 1350), non è facile che un tiranno sia anche una persona pia. Insomma tirannide e pietà sono incompatibili.

 

 La logica del tiranno non può permettergli alcuna “opra pietosa”[2].

Lo stesso vale per la tirannide collettiva di una città. 

 

  

Il coro chiede ispirazione all’ardente musa di Acarne- Mou`s j  jAcarnikhv  9(665-666)

Segue il biasimo alla città la quale  trascura i  vecchi .

Noi vecchi antichi oiJ gevronte" oij palaioiv (676), lamentano i coreuti, non veniamo assistiti nella vecchiaia- ouj ghroboskouvmeqj – 678  in maniera degna di quelle famose battaglie che abbiamo combattuto sul mare. Anzi, subiamo maltrattamenti tremendi: permettete che veniamo derisi- eja`te katagela`sqai- da  giovani oratori insolenti (680).

 

L’orrore della derisione è uno dei principali motivi che spingono l’Aiace di Sofocle a suicidarsi e la Medea di Euripide a uccidere i propri figli. Cfr. la cività di vergogna di Dodds (i  Greci e l’irrazionale).

 

Noi balbettiamo per la vecchiaia e stando presso il pulpito della Pnice, della giustizia vediamo solo l’ombra. Nei processi il giovanotto che si è dato da fare per divenire avvocato  colpisce velocemente mettendo insieme un’accusa con parole rotonde poi tirato sulla tribuna interroga l’accusato collocando trappole di parole e dilania,  tormenta, squassa un uomo vecchio come Titone.

Il vecchio biascica poi, condannato a pagare- ojflw`n- ojfliskavnw- se ne va piangendo e dice agli amici: me ne vado multato di questo denaro di cui avevo bisogno per comprarmi una bara.  Si può pensare ai rottamatori nostrani e della spietatezza da loro inaugurata verso i vecchi, a partire naturalmente dagli indifesi.

I vecchi lamentano l’ingiustizia che subiscono pur dopo avere meritato assai nella battaglia di Maratona quando inseguivamo dicono- ejdiwvkomen- 697- il nemico, mentre ora siamo perseguiti in tutti i modi - sfovdra diwkovmeqa-700-  da uomini malvagi, poi per giunta veniamo dichiarati colpevoli.

 

Una colpevole calunnia contro la vecchiaia si trova nella Retorica (1389b) dove  Aristotele  sparlando, a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto che sono egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~).

 

I vecchi sono mal reputati siccome mettono davanti agli occhi dei meno attempati quello che diventeranno se non moiranno prima.

 

Il corifeo propone che le cause siano separate: cwri;" ei\nai ta;" grafav" (714): un vecchio sdentato deve essere difensore di un vecchio e  mentre quel  culo aperto e chiacchierone  eujruvprwkto" kai; lavlo" (716) – del figlio di Clinia sarà il difensore dei giovani.  Alcibiade verrà canzonato più volte.

 Si tratta del grande trasgressore , quello cui, secondo D'Annunzio, "parve più fiera la gioia/ d'abbattere il limite alzato"(Maia, Laus vitae "). 

Nella Vita  di Plutarco troviamo, tra le altre, notizie sulla sua dissolutezza che del resto non inficiava le grandi capacità dell'uomo:"alle doti politiche e oratorie...si univano grandi difetti: menava una vita dissoluta, era dedito al bere, amoreggiava senza ritegni, vestiva con effeminatezza, strascicando, per esempio, la veste"(16).

Ma nel Simposio di Platone il grande seduttore dell'intera Atene deve riconoscere che la bellezza di cui andava  fiero era solo di bronzo in confronto a quella aurea di Socrate il quale "disprezzò e derise e umiliò" tanta venustà non contraccambiando i desideri del discepolo (219c).

 

Pesaro 29 luglio 2021 ore 11, 30.

giovanni ghiselli

 

 

 

 



[1] G. Giannelli, Le grandi correnti della storia antica, p. 101.

[2] Cfr. Alfieri, Antigone, V, 2, v. 76.

4 commenti:

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