NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 6 luglio 2021

Shakespeare, "Riccardo III", corso completo


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Corso di giugno - luglio nell’Università Primo Levi di Bologna - telefono 051 - 249868.

Il corso inizierà martedì 29 giugno e proseguirà fino a martedì 20 luglio. Ogni incontro sarà di due ore: dalle 18 alle 20.

 

Sto rileggendo il percorso cui apporto delle aggiunte.

 

 

Shakespeare Riccardo III del 1592. parte prima

 

Riccardo III (1452 – 1485) fu l'ultimo sovrano d'Inghilterra appartenente alla casa di York, un ramo dei Plantageneti, e regnò dal 1483 al 1485.

 

In molti casi indico la parentela etimologica delle parole inglesi con quelle latine e certe volte la parentela più indiretta con parole greche.

L’inglese è “lingua d’origine germanica profondamente latinizzata”[1]

 

Parte prima. La deformità somatica e mentale di Riccardo. La paura della donna. Metus mulieris genitivo soggettivo: la donna incute paura ai deformi brutti e matti.

La svalutazione e sottomissione della donna appartiene a diverse religioni e culture, non solo a quella islamica

 

Riccardo si presenta come deform’d - deformis (de= away; forma= shape) , unfinish’d - finis - finire - (I, 1, 20) deforme, incompiuto …and so lamely and unfashionable that dogs bark at me, as I halt - Cf. Latin claudus, lame - by them (I, 1, 22 - 23) e così claudicante e goffo che I cani mi abbaiano quando arranco vicino a loro

Cfr. La zoppia di Edipo piede gonfio - oijdevw e oijdavw - pouv" - e la tirannide come monarchia claudicante.

 

 Riccardo duca di Gloucester dice al fratello Giorgio duca di Clarence: Why, this it is when men are rul’ed - regula - regere - by women (I, 1, 62), ecco che cosa succede quando gli uomini sono governati dalle donne.

We are not safe, Clarence, we are not safe (I, 1, 70), non siamo sicuri, Clarence, non siamo sicuri.

Vuole fargli credere che il re loro fratello, Edoardo IV , lo perseguita in quanto messo su dalla moglie, la regina Elisabetta. Mentre è Riccardo stesso che maneggia il male con metodo.

Riccardo utilizza la diffidenza e la paura atavica nei confronti della donna.

 

La paura della donna

Catone il Vecchio si opponeva al lusso e alla libertas femminile da lui intesa già come licentia [2].

E' la paura della donna a suggerire al Catone di Tito Livio alcune parole sulla necessaria sottomissione della femina al fine di tenere sotto controllo una natura altrimenti riottosa .

Così si esprime il censore quando parla, nel 195 a. C., contro l'abrogazione della lex Oppia che, dal 215, imponeva un limite al lusso delle matrone[3] le quali erano scese in piazza proprio per manifestare a favore dell'annullamento di questa legge suntuaria:" Maiores nostri nullam, ne privatam quidem rem agere feminas sine tutore auctore voluerunt, in manu esse parentium, fratrum, virorum...date frenos impotenti naturae et indomito animali et sperate ipsas modum licentiae facturas...omnium rerum libertatem, immo licentiam , si vere dicere volumus, desiderant… Extemplo simul pares[4] esse coeperint, superiores erunt "[5], (XXXIV, 2, 11 - 14; 3, 2) i nostri antenati non vollero che le donne trattassero alcun affare, nemmeno privato senza un tutore, e che stessero sotto il controllo dei padri, dei fratelli, dei mariti...allentate il freno a una natura così intemperante, a una creatura riottosa e sperate pure che si daranno da sole un limite alla licenza...desiderano la libertà, anzi, se, vogliamo chiamarla con il giusto nome, la licenza in tutti i campi…. appena cominceranno a esserci pari, saranno superiori.

 

Sentiamo anche il lunatico Re Lear (1605) di Shakespeare:" Guardate quella signora che sorride in modo affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si biforca whose face between her forks - furca - presages presagium - snow, che affètta virtù that minces virtue (lat. minutia e virtus) e scuote il capo and does shake the head a sentir nominare il piacere to hear - ajkouvw - of pleasure’s - placēre - name - latino nomen, greco o[noma - ;

la puzzola e il cavallo nutrito d'erba fresca non vanno là (alla lussuria) con un appetito più sfrenato with a more riotous appetite - appetitus - latino appĕtere.

Sotto la vita esse sono centauri, sebbene donne nella parte superiore (down from the waist they are centaurs, though women all above); solo fino alla cintola esse sono eredi degli dèi but to the girdle do the gods inherit (lat. heres); sotto è tutta del demonio beneath is all the fiend’s : lì c'è l'inferno, lì ci sono le tenebre there’s hell, - allied to cell small room, latino cella, stanzuccia - there’s dark, lì c'è il pozzo solforoso the sulphourous pit - latino puteus che brucia, che scotta, c'è il fetore (stench), c'è la consunzione" (King Lear, IV, 6).

 

Questa svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum del Petrarca quando Agostino che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent " (III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo femminile.

Come si vede la svalutazione e sottomissione della donna appartiene a diverse religioni e culture, non solo a quella islamica.

 

Crudele ironia shakespiriana quando Riccardo dice tra sé a proposito del fratello Clarence mandato nella torre perché venga ucciso da due sicari: “I do love thee so that I will shortly send thy soul to Heaven (I, 1, 118 - 119), ti voglio bene al punto che presto manderò in cielo la tua anima.

La brama del potere spinge a odiare e uccidere persino i fratelli. Si può pensare a Eteocle e Polinice, a Romolo e Remo.

 

 

Riccardo III di Shakespeare seconda parte

 

Riflessione aggiunta con questa rilettura: I classici parlano di noi, delle esperienze più importanti della nostra vita e ce ne chiariscono il significato. Inoltre ci suggeriscono le parole per descriverle.

Il sapere si invera nel viverlo.

 

I corteggiamenti di Riccardo e di Cielo d’Alcamo.

L’ appendice sfacciata racconta corteggiamento di chi scrive. Potete saltarlo: non farà parte del corso di giugno - luglio

 

Lady Anne si rivolge a Riccardo il quale le ha ucciso il suocero Enrico VI Lancaster, altro ramo dei Plantageneti, (1471) e il marito Edoardo principe di Galles: “Foul devil, for God’s sake hence, and trouble - tuvrbh - turba us not , diavolo immondo, vattene e non ci disturbare for thou hast made the happy earth - greco e[ra, terra - thy hell, (I, 2, 50 - 51) tu che hai fatto della terra felice il tuo inferno.

Cfr. "Fecimus coelum nocens" ( Seneca, Oedipus, v. 36), io ho reso colpevole il cielo[6]. Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto quando il re di danimarca Claudio, assassino del re suo fratello, dice:"Oh, my offence is rank, it smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore fino al cielo.

Poco dopo Amleto[7], parlando con la madre, paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria salubre (III, 4).

 

Riccardo ha fermato il funerale di Enrico VI per corteggiare lady Anne che segue il feretro in lutto.

Pima la chiama sweet saint, dolce santa poi le rinfaccia l’ignoranza delle regole della carità che rende bene per il male e benedizioni - lady, you know no rules - latin. regula - of charity - latino caritas, carus - - which renders - Lat. reddere to give back - good for bad , blessings for curses (I, 2, 68 - 69).

 

Segue uno scambio di battute a contrasto tra i due.

 Riccardo trova meravigliosa pure la collera di quella donna - angelo “more wonderful when angels are so angry” (I, 2, 74) e la definisce - divine perfection of woman (I, 2, 75) divina perfezione di donna, e Anne che lo maledice chiamandolo –diffus’d infection - L. infectus incompiuto inficio - of man - (78) uomo totalmente infetto.

 

Vengono in mente i contrasti presenti nella poesia provenzale e nella scuola siciliana con Rosa fresca aulentissima di Cielo d’Alcamo (databile ta il 1231 e il 1250)

Riccardo chiede a lady Anne di accordargli con pazienza qualche agio per scusarsi: “let me have - some patient leisure to excuse myself (81 - 82).

 La donna risponde che l’unica giustificazione accettabile da parte sua, uomo turpe, è impiccarsi: “thou canst make - no excuse current but to hang thyself (83 - 84).

 

Sentiamo la risposta meno dura ma altrettanto decisa della rosa aulentissima di Cielo al suo corteggiatore:

“Se di meve trabàgliti , follia lo ti fa fare

lo mar potresti arompere (arare), e venti asemenare

l’abère d’esto secolo tutto quanto asembrare (radunare, provenzale asembrar)

Avere me non pòteri a esto monno;

avanti li capelli m’aritonno (mi taglio i capelli e mi faccio monica)

 

 

Eppure Riccardo riesce a sedurre la donna che ha reso vedova. Lady Anne gli dice “thou are unfit for any place but hell” (I, 2, 111), tu non sei adatto ad altro luogo che all’inferno, e lui le risponde di essere invece adatto for your bed - chamber (114) per la vostra camera da letto

Seguono diverse altre battute di un contrasto che via via si attenua

Vediamone alcune utilizzabili anche nelle nostre vite.

Riccardo dice che è stata Anne a spingerlo a uccidere il marito, con la bellezza di lei : it is my day, my life (134) essa - bellezza - è la mia luce, la mia vita.

Riccardo aggiunge che l’ha privata di un marito per dargliene uno migliore - to a better husband - 143.

Quante volte l’abbiamo detto a mogli non del tutto contente!. Mi viene in mente quando Helena mi disse che ero intelligente e io le domandai, provocatoriamente, se lo era anche il suo compagno, e lei rispose quanto speravo: “lui crede di esserlo”. Compresi che c’era verso.

I classici parlano di noi, delle esperienze più importanti della nostra vita e ce ne chiariscono il significato

Anne sputa addosso a Riccardo e lui le domanda perché l’abbia fatto: “Why dost thou spit at me?” (148)

E lei: “would it were mortal poison for thy sake, vorrei che fosse veleno al tuo gusto (149)

E lui: “never came poison from so sweet a place” (150), mai è scaturito del veleno da una fonte tanto dolce.

E lei: “never hung poison on a fouler toad” 151, mai è rimasto appeso a un rospo più immondo.

Riccardo insiste con i complimenti e lei continua a rilancarglieli rovesciati in ingiurie . Il corteggiatore non si lascia smontare e torna a dire che ha ucciso istigato dalla bellezza di lei.

Poi la mossa estrema di consegnarle la sua spada dicendo alla bella di ucciderlo e inginocchiandosi davanti a lei. Anne non lo fa, anzi lascia cadere la spada e lo fa rialzare, quindi gli dice di mettere via l’arma e infine quando Riccardo le porge un anello non lo rifiuta e per non cedere subito del tutto, gli dice: “to take is not to give” (I, 2, 205), prendere non è dare. Ma ormai è solo ritrosetta e per Riccardo è fatta.

Sentiamo il corteggiamento di Cielo che convince la rosa profumatissima

“Cercat’ajo Calabria, Toscana e Lombardia,

Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,

Lamagna e Babilonia e tutta Barberia:

donna non ci trovai tanto cortese

per che sovrana di meve te prese”

 

Anche la rosa viene a patti con l’indefesso corteggiatore

“ Poi tanto trabagliàsti, faccioti meo pregheri

Che tu vada adomànnimi a mia mare e a mon peri

Se dare mi ti degnano , menami a lo mosteri,

e sposami davanti de la jente

e poi farò le tuo comannamente”.

giovanni ghiselli 17 maggio

 

p. s

 Appendice dove ricordo un mio corteggiamento felice, forse non esente dal ricordo di questa bella letteratura.

Il corteggiamento è cosa santa. E’ una delle gioie della vita.

 

 

Dal capitolo VII della storia di Kaisa

Poi continuai: “Kaisa volentieri (1) morirei, piuttosto che rinunciare a te”.

Intanto stavo seduto con il braccio destro che pendeva, ingessato, verso il pavimento. Con quel gesto di resa volevo mimare il topos gestuale della desolazione ricorrente nelle arti figurative: risale a un sarcofago romano con la morte di Meleagro e viene riusato da Raffaello nella Deposizione dove si vede il braccio destro del Cristo esanime, abbandonato nell’impotenza della morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie mani la sinistra di Gesù (2).

Ero deciso a recitare un’altra volta la commedia di credere che la bella sposa immacolata non potesse essere disposta a commettere la trasgressione della fedeltà coniugale. Dovevo dissimulare il fatto che ero convinto del contrario, senza farle escludere del tutto, però, che speravo ardentemente di indurla a trasgredire con me.

Sicché dissi queste parole quasi ridicole;

“Ti parlerò in modo ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla tua persona. Ho riflettuto mentre scendevo poi risalivo le scale. Una catabasi non proprio infernale e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te, amore mio. 

Ho elaborato con il pensiero le percezioni impresse sui sensi.

Tu, come un angelo mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata, e ora quest’anima appena risorta alla luce non può procedere senza di te, ma rischia di tornare ad aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto buio come il Tartaro, compiendo, per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro che una sinistra, inconcludente confusa congerie di gesti insensati. 

 Eppure credo sia meglio soffocare nel petto questo sentimento d’amore, povero amore mio chiuso nell’animo senza speranza, piuttosto che fare torto alla tua immagine, senza dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa, fedele, cara al marito, al figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. A me più di tutti”.

 Così la adulavo senza decenza. E data la sua attenzione, non smettevo, anzi rincaravo la dose fino al ridicolo.

La provocavo per vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se mi avrebbe chiesto di non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi spalancati, un lieve sorriso enigmatico, e non parlava . Finché lei stava zitta, e le sue orecchie offrivano un facile accesso alla mia voce, alle parole mie, io non dovevo smettere. 

“Sì, preferisco fare del male a me stesso: soffocare la felicità immaginata solo guardando i tuoi occhi azzurri pieni di vita, pieni di voli come questa sera d’estate, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli luminosamente neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di donna maritata cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione speciale, religiosa, quella riservata alle spose irreprensibili, benedette dai santi sacerdoti. Io santo purtroppo non sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro veneratore di Priapo e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia sussurrato amen o alleluia, insomma ho menato una vita da briccone coribantico, ma, da quando ti ho vista, sono diventato un pentito, un penitente, un convertito dalla carne allo spirito, dal naturale al soprannaturale del quale vedo un riflesso chiaro, meraviglioso nella tua icona veneranda”.

Quasi credevo a quanto dicevo recitando forse neanche male. E quasi piangevo. O per lo meno gli occhi mi si velavano di un liquido equivoco tra il sentimentale, rossa umidità di cuore, e l’umidità fremente della libidine che, dentro di me, nera, pelosa e massiccia, scalpitava davvero con furia impudica(3) e tirava forte verso la pelle bianchissima, liscia di lei.

Certo è che Kaisa lo capiva e la cosa non le dispiaceva, anche perché celebrando la sua fedeltà, le toglievo comunque ogni timore di essere importunata: se avesse risposto che il marito faceva bene a fidarsi di lei, poiché la amava del tutto riamato, la preda agognata e mancata mi avrebbe fatto fuggire con la coda tra le gambe e le orecchie abbassate. Sì come cane pieno di zecche, bastonato e sciancato.

Invece disse: “Tu non mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.

E mi accarezzò la mano destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così sperticati perché fino ad ora non hai trovato una donna del tuo stampo, della tua levatura, capace di respirare cultura e bellezza, come sei solito fare tu”.

“Ce l’ho fatta”, pensai, “l’esito non è più incerto: la bilancia inclina verso la realtà dell’amore, verso la sua verità”.

Quindi le dissi:

“Infatti sentivo questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo tu potresti colmare. Tu respiri il bello e me lo ispiri”. E aggiunsi: “se solo guardo te, tutto il resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio di gioia”.

 

 

RICCARDO III per il corso di giugno - luglio. Terza parte.

 

Il potere è un nucleo di mali

 

Nuova riflessione in seguito alla rilettura di questo capitolo: il potere di comandare, di dare ordini agli altri può essere un male, spesso lo è, comunque a me non piace. Però è bene avere il potere di non subire ordini da altri.

Il nobile persiano Otane nel dibattito costituzionale della Storia di Erodoto popugna la democrazia contro l’oligarchia di Megabizo e la monarchia di Dario che prevalse.

Allora Otane non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[8].

 

Il linguaggio drammatico di Shakespeare suggerisce attraverso la parola scritta il gesto e il tono che devono accompagnarla mentre viene detta[9]. Come quando Riccardo dopo avere conquistato Anne, dice: “Shine out, fair sun, till I have bought a glass, /That I may see my shadow - greco skovtoς (oJ) - as I pass - latino passus” (I, 2, 267 - 268), brilla bel sole, finché mi sia comprato uno specchio, perché io possa vedere la mia ombra mentre cammino.

 L’attore non può non levare il capo verso il sole indicando la sua ombra.

 

Riccardo parla con l’ex regina Margherita, della quale ha ucciso il marito Enrico VI e il figlio Edoardo e affètta ingenuità e rifiuto del potere: dice di essere troppo puerilmente ingenuo per questo mondo too childish - foolish for this world (I, 3, 142) e piuttosto che re I had rather be a pedlar! - Far be it from my heart, the thought thereof, ( 149 - 150) preferirei essere un venditore ambulante, lontano dal mio cuore un pensiero del genere!

 

Cfr. Ifigenia in Aulide di Euripide

Agamennone ha scritto una lettera ingannevole a Clitennestra , ed è pentito.

L’a[nax, “il gran duca dei Greci”i nvidia un vecchio servo che passa una vita ajkivndunon , priva di rischi, rimanendo ajgnw;~ ajklehv~ (v. 18) sconosciuto e oscuro.

Meno invidiabile è la vita di chi sta ejn timai`~, tra gli onori.

 

Superiorità della vita privata

Nelle tragedie di Euripide ricorre spesso la fuga dai luoghi e dai tempi, insomma dalla storia quale "favola mentita".

Il drammaturgo prefigura il lavqe biwvsa~ di Epicuro.

Ione sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al potere che viene smontato[10] :"del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il dolore (tajn dovmoisi de; - luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;" - zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati " (Ione, vv. 621 - 628).

Si apre la strada all’Ellenismo[11]: nel mito[12] di Er della Repubblica di Platone, l'anima di Odisseo, capitata nel sorteggio per ultima, dovendo scegliersi un'altra vita "guarita da ogni ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò in giro a lungo cercando la vita di un uomo privato e disimpegnato"( bivon ajndro;~ ijdiwvtou ajpravgmono~, 62Oc). Agamennone del resto sceglierà di rinascere come aquila[13].

 

Il topos prosegue con Seneca

 "Il tema fondamentale di tutto il teatro senecano…è che potere e regno, condizioni di illusoria felicità soggette a rovinosi cambiamenti di sorte, coincidono con la frode, con l'Erinni familiare, con il furor mentre l'unica salvezza è la obscura quies [14], la serenità del proprio cantuccio, l'esser parte indistinguibile della folla. L'avversione al regno ha come aspetto complementare l'esaltazione della tranquillità di ogni piccolo uomo, uno qualsiasi della massa silenziosa: felix mediae quisquis turbae, come canta un coro dell' Agamennone (v. 103).

Liceat in media mihi/latere turba (Thy. 533 sg,) afferma Tieste prima di cadere nelle lusinghe del potere e nella trappola tesagli da Atreo"[15].

 

Nell'episodio di Erminia tra i pastori della Gerusalemme liberata un vecchio, pentito delle "inique corti" e fattosi rusticus, spiega a Erminia, giunta in fuga la notte precedente dall'accampamento cristiano sulle rive del Giordano, in quale luogo sereno e lontano dalla guerra si trovi:"O sia grazia del Ciel che l'umiltade/d'innocente pastor salvi e sublime,/o che, sì come folgore non cade/in basso pian ma su l'eccelse cime,/così il furor di peregrine spade/sol de' gran re l'altere teste opprime,/né gli avidi soldati a preda alletta/la nostra povertà vile e negletta.// Altrui vile e negletta, a me sì cara/che non bramo tesor né regal verga,/né cura o voglia ambiziosa o avara/mai nel tranquillo del mio petto alberga./Spengo la sete mia ne l'acqua chiara,/che non tem'io che di venen s'asperga,/e questa greggia e l'orticel dispensa/cibi non compri a la mia parca mensa"[16]. C'è una raccolta di tutti i motivi visti sopra.

 

 

La regina Margherita maledice Riccardo: “the worm - vermis probably al lied to Greek rJovmoς tarlo - of conscience - cum scire - still begnaw thy soul - thy friends suspect - suspicio - for traitors –trado consegno, traditor - while thou liv’st (I, 3, 222 - 223) il tarlo della coscienza ti roda continuamente l’anima, sospetta, finché vivi, dei tuoi amici come traditori.

 

Il tiranno non ha amici

Cicerone Haec enim est tyrannorum vita nimīrum, in qua nulla fides, nulla caritas, nulla stabilis benevolentiae potest esse fiducia, omnia semper suspecta atque sollicita, nullus locus amicitiae (De amicitia, 52)

 

Questa è infatti, senza dubbio, la vita dei tiranni, ove non può esistere alcuna lealtà, alcun affetto, alcuna fiducia di stabile benevolenza, ove tutto è sempre pieno di sospetto e di ansia, e non c’è posto per l’amicizia.

 

Nell'Agamennone di Seneca, Egisto parlando con Clitennestra fa questo rilievo:"non intrat umquam regium limen fides" (v. 285), la lealtà non entra mai nella soglia di una reggia. La Tindaride ribatte che se la comprerà con i doni, ma il drudo conclude: “pretio parata vincitur pretio fides” (v. 287), la lealtà procurata a pagamento può essere superata da un altro pagamento.

 

La regina Margherita chiama Riccardo maiale grufolante, schiavo della natura, calunnia della pancia incinta di tua madre, thou slander of thy,heavy mother womb (231) rag - the resemblance to Gk. rJavkoς, a shred of cloth, is accidental - of honour, straccio dell'onore (I, 3, 233)

I, 4

Passiamo alla quarta scena del I atto.

Clarence rinchiuso nella torre racconta un sogno al Keeper il guardiano , un sogno prolungato oltre la vita, un sogno che del futuro gli squarcia il velame: I pass'd methought, the melancholy - greco melagcoliva bile nera, follia e latino melancholĭa - flood, with that sour ferrymen which poets write of (I, 4, 45 - 46) mi sembrava di passare il fiume malinconico, con l'arcigno tragettatore di cui parlano i poeti

 

Virgilio Eneide "Navita sed tristis nunc hos nunc accipit illos" (VI, 315). Cfr. anche le Rane di Aristofane e l'Inferno di Dante.

 

Brankbury, il luogotenente della torre, dice: "princes have but their titles - latino titulus - for their glories - i principi hanno da gloriarsi solo dei loro titoli. An outward honour for an inward toil - L. tud - as in in tutŭdi past tens of tundere to beat - un onore esterno per un rovello interno.

And for unfelt imaginations they often feel a world of restless care, e per fantasie non provate, essi provano spesso un mondo di affanni incessanti (I, 4, 78 - 81).

 

Nella prima antistrofe del secondo stasimo dell'Edipo re vediamo che tutte le tirannidi sono zoppe come è zoppo (lamely, I, 1) Riccardo : "la prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/ se si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni e non convengono (mhde; sumfevronta) /salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai "(vv. 873 - 879).

Non solo il tiranno è zoppo e scivola, ma anche i suoi decreti. Antigone non obbedisce ai khruvgmata di Creonte, ma alle leggi della coscienza e degli dèi che, viceversa, sono a[grapta kajsfalh' (Antigone, v. 454), non scritti e non vacillanti.

 

 

Riccardo III di Shakespeare quarta parte

 

Aggiungo questo pensiero dopo la rilettura.

Le madri nelle tragedie, quelle scritte e quelle vissute, sono spesso nodi di dolore. Gli uomini che arrivano al potere non possono più farne a meno

L’Antigone di Brecht dice": chi beve il potere/beve acqua salsa, non può smettere, e seguita/per forza a bere". E’ uno degli arcana imperii.

Il potere fa gola a molti che lottano per sostituire quanti lo detengono e questi usano tutti i mezzi per conservarlo. “La Terra è una foresta di belve” scriveva Foscolo nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis.

Non tutto il mondo ma quello del potere lo è.

Questo capitolo evidenzia l’imbestiarsi del tiranno che prevale sugli altri animali feroci finché la Giustizia lo martella e lo fa precipitare.

Il protagomista del Macbeth identifica il meccanismo del potere con una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare:"That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap / For in my way it lies - " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada. Il gradino è Malcolm, un figlio del re ucciso da Macbeth che deve uccidere anche il principe se vuole regnare. Ma anche lui, come Riccardo, cadrà

 

Nella Torre di Londra dove Riccardo ha mandato due servi prezzolati perché ammazzino suo fratello duca di Clarence, questo prega il secondo sicario che ha qualche scrupolo: “a begging prince, what beggar pities not?” (I, 4, 258) quale mendicante non ha compassione di un principe mendico?

Questo sicario dubitoso prima dice che la sua coscienza si trova nella borsa del duca di Gloucester, cioè di Riccardo che lo paga (I, 4, 122), poi dopo l’assassinio si pente e lascia tutto il compenso all’altro sicario il quale pugnala Clarence poi lo finisce annegandolo nella botte di malvasia che era nella torre

E il pentito:

take you the fee - pecus - , and tell him (a Riccardo) what I say

For I repent me - me poenitet - that the duke is slain (I, 4, 267 - 268), prendi tu il compenso e riferiscigli quello che dico, perché mi pento dell’uccisione del duca.

 

 Rodolphe il seduttore di Emma Bovary a un certo punto“Giudicò fuori luogo ogni pudore. Trattò l’amante senza il minimo riguardo. La ridusse alla più assoluta docilità, alla più convinta corruzione. Emma aveva per lui un attaccamento idiota, ribollente d’ammirazione: ne ricavava una gran voluttà, una beatitudine paralizzante: la sua anima si sprofondava in quell’ebbrezza, vi si annegava, vi si annullava, come il duca di Clarence nella botte di Malvasia”[17].

 

La madre come nodo di dolore.

La duchessa di York , madre di Riccardo, di Edoardo IV e di Clarence, quando viene a sapere della morte di Edoardo lamenta che gli è rimasto solo one false glass (II, 2, 53 - 54) ) uno specchio menzognero that grieves me when I see my shame in him, che mi addolora quando vedo la mia vergogna in lui. Parla di Riccardo del quale conosce i crimini e la perfidia

 

Quindi replica al lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo: “Alas, I am the mother of these griefes - gravis: - Their woes are parcell’d - particula - late latin particella - , mine is general” (Riccardo III, II, 2), ahimé, io sono la madre di questi lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti.

 

Simile nodo di dolore è Ecuba che nelle Troiane di Seneca dice al nuntius il quale è incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore:" quoscumque luctus fleveris, flebis meos:/ sua quemque tantum, me omnium clades premit;/mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv. 1061 - 1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti gli affetti miei sono morti; chiunque è un caro di Ecuba è infelice!

 

La complicità di Buckingham con Riccardo. L’amicizia che rende identici.

Ricccardo chiama il complice duca di Buckingham my other self, un altro me stesso (II, 3, 151 - 152) concistoro dei miei segreti, mio oracolo, mio profeta, mio caro cugino

Cfr. Cicerone, De amicitia: Vero amico infatti è chi è come un altro se stesso (verus amicus…est enim is, qui est tamquam alter idem (80).

Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.

Curzio Rufo racconta che Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (novembre 333) scusò le donne del re sconfitto Dario III le quali avevano scambiato il suo più caro amico Efestione con lui dicendo alla regina madre: “Non errasti…mater; nam et hic Alexander est” (Historiae Alexandri Magni, III, 12), non hai sbagliato, made; difatti anche questo è Alessandro.

 

Un cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i fratelli della regina Elisabetta e se costoro non governassero ma fossero governati "this sickly land might solace - solacium - solor - as before " (II, 3), questa terra malata potrebbe trovare ristoro come prima.

 

Non solo la terra ma pure il cielo viene ammorbato dal capo malato che è il mivasma, la contaminazione, la fonte dell’inquinamento

Cfr. quanto dice Tiresia a Edipo: “ Io ti ingiungo di attenerti /al bando che hai proclamato e dal giorno/d'oggi non devi rivolgere la parola né a questi né a me/poiché sei tu l'empio contaminatore di questa terra - wJ" o[nti gh`" th`sd j ajnosivw/ miavstori - (Sofocle, Edipo re, vv. 350 - 353).

 

Come tale si riconosce da subitol’Edipo di Seneca: “fecimus caelum nocens” (Oedipus, 36).

 

Altrettanto pensa il re di Danimarca Claudio lo zio di Amleto che ha assassinato il fratello: “Oh, my offence is rank, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.

La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi niente conosce, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E' il nobile Ross che parla.

La connessione organica tra il re o la regina e la sua terra viene messa in rilievo già da Omero e da Esiodo

 

La bestialità del re efferato o comunque non rectus.

 

Riccardo è chiamato the boar da Hastings, il ciambellano che dice: to fly the boar before the boar pursues lat sequor - , prosequor - were to incense the boar to follow us, fuggire il cinghiale prima che il cinghiale insegua sarebbe aizzare il cinghiale a inseguirci (III, 2, 27 - 28).

 

Nel Primo Stasimo dell’ Edipo re di Sofocle, il colpevole ricercato, cioè Edipo viene identificato con l'animale del sacrificio

Il Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico del mondo e lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.

:"Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi (petrai'oς oJ tau'roς) inutile con inutile piede (mevleoς melevw/ podiv) bandito in solitudine (vv. 477 - 479).

"quello di cui la profetica ripe di Delfi disse: - ha compiuto infamie su infamie con mani sporche di strage"(Edipo re, vv.463 - 466); ovvero l'animale del sacrificio,"il toro delle rupi"(v.478) destinato a divenire la "vittima massima"(cfr. Virgilio, Georgiche, II,146 - 147:"et maxima taurus/victima ).

Aristofane nella Parabasi delle Vespe (422) si pregia di non essersela presa con gente dappoco ma con i potenti e da subito proprio con la bestia dalle zanne aguzze (xusta;ς tw̃/ karcarovdonti, 1031).

E’ Cleone, il demagogo che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni immondi di Lamia[18] e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou, 1035)

 

 

Riccardo III di Shakespeare quinta parte

 

L’ipocrisia del potere. Riccardo di Shakespeare e Tiberio di Tacito.

 

Riflessione aggiunta alla rilettura per far più bello il mio corso

Riccardo e prima di lui Tiberio con i loro suspensa semper et obscura verba fanno venire in mente alcuni capi politici della prima repubblica italiana i quali erano dotati, se non di altro, della possibilità di scegliere le parole che preferivano e convenivano.

L’ignoranza di questi politicanti attuali consente loro solo di ripetere slogan imparati a memoria.

 

Potete indicare alcuni dei nostri politici, se volete

 

Hastings dice che non darà il suo voto to bar - lat latin barra - my master’s heirs - heres (III, 2, 53 - 54 ) per escludere gli eredi del re Edoardo IV; non vorrà farlo a costo di morire to the death. Questa fedeltà infatti gli costerà la vita.

In effetti Riccardo ha già detto a Buckingham che bisognerà tagliargli la testa - chop off his head - (III, 1, 193) se non si arrende ai loro complotti.

Cfr. le decapitazioni suggerite dai tiranni agli apiranti tiranni in Erodoto e Tito Livio.

 

Riccardo chiama tongueless - old latin dingua - blocks (III, 7, 42) pezzi di legno senza lingua i cittadini che non lo hanno acclamato.

 

Pindaro qualifica Aiace come a[glwssoς -

Nella Nemea VIII il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo. 

 

Tuttavia alla fine Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla poppa raminga le ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei” (Foscolo, Sepolcri, 220 ss.)

 

Buckingham che è complice dei delitti di Riccardo è pure il regista della recita del principe il quale, come Tiberio negli Annales finge di recalcitrare davanti alla proposta di prendere il potere.

Il duca complice dunque gli suggerisce di tenere in mano un libro di preghiere –get a prayer book in your hand (III, 7, 46) e di farsi affiancare da due uomini di chiesa - and stand between two churchmen - (48).

Il potere criminale cerca spesso l’avallo della religione che non poche volte si presta. Si pensi al sacrificio di Ifigenia in Eschilo (Agamennone), Euripide (Ifigenia in Aulide) e Lucrezio (De rerum natura) .

Il consigliere Buckingham dunque continua con il suo catechismo a Riccardo: “Play the maid’s part: still answer nay, and take it” (III, 7, 50) recitate la parte della verginella: rispondete sempre no, e prendete ciò che rifiutate.

 Esce Riccardo ed entra il sindaco di Londra, the Lord Mayor, con dei cittadini. Buckingham dice che sta facendo anticamera ma teme che il duca non voglia dare udienza.

Si affaccia Catesby un altro sostenitore di Riccardo e attore della commedia diretta da Buckingham che gli domanda: “what says your lord to my request?” (57) qual è la risposta del signore alla mia istanza?

Catesby risponde che Riccardo non riceve perché si trova all’interno con due padri reverendissimi piamente immerso in meditazioni e non vuole essere distolto from his holy exercise, dai suoi devoti esercizi (63).

Buckingham gli chiede di insistere perch lui stesso, il sindaco e degli assessori sono venuti a conferire in matter of great moment - no less importing than our general good (66 - 67) su materia di grande momento, non meno importante che il nostro bene comune. Catesby esce.

Quindi Buckingham parla al sindaco e agli altri presenti, dicendo : “questo principe non è un Edoardo (intendi suo fratello il re Edoardo IV morto da poco), non è un lascivo che si sollazza con le cortigiane, ma medita con due profondi teologi, non dorme to engross - L. grossus thick - his idle body (75) per ingrossare il suo corpo ozioso, ma prega per arricchire la sua vigile anima.

 

Torna Catesby ribadendo la ritrosia di Riccardo. Allora Buckingham rimanda Catesby dal principe perché lo preghi di nuovo, quindi dice ai presenti che comprende la tenacia del sant’uomo che non si lascia staccare delle preghiere e dalla fervida contemplazione.

Subito dopo Riccardo si affaccia sulla galleria tra due Vescovi

Vedremo che si farà pregare a lungo prima di “lasciarsi costringere ad accettare a world of cares (III, 7, 222) un mondo di affanni.

 

Una scena del genere si trova negli Annales di Tacito. Alla morte di Augusto (14 d. C.) i senatori asserviti rivolgono suppliche a Tiberio versae inde ad Tiberium preces (I, 11), ed egli varie disserebat de magnitudine imperii, sua modestia, della grandezza dell’impero e della propria insufficienza; solam divi Augusti mentem tantae molis capacem, solo la mente di Augusto era capace di reggere una mole tanto grande.

Ma Tacito commenta plus in oratione tali dignitatis quam fidei erat, in tali discorsi c’era più ostentazione che verità e pure quando non voleva simulare suspensa semper et obscura verba, Tiberio usava sempre parole vaghe e oscure , poi quando voleva simulare in incertum et ambiguum magis implicabantur, si avviluppavano sempre di più nell’indefinito e nell’equivoco. Ricorda i politici della prima repubblica italiana i quali erano dotati, se non di altro, della possibilità di scegliere i verba che preferivano. L’ignoranza di questi attuali consente loro solo di ripetere slogan imparati a memoria.

 

 

Riccardo III di Shakespeare sesta parte.

Corso che inizierà martedì prossimo 29 giugno

 

Riccardo e Nerone. Riccardo e la farsa che lo proclama re.

 

Una riflessione aggiunta dopo la rilettura.

La commedia della ritrosia di Riccardo con l’epilogo: “io mi sobbarco” .

Ora l’ipocrisia del potere funziona in maniera diversa. L’avversario sconfitto non viene ammazzato, anzi, il vincitore che durante la campagna elettorale lo aveva vituperato, si rimangia le accuse, gli fa i complimenti e gli dice che è pronto a collaborare. Il vinto prende questa mano che vien dal cielo. Nessuno deve essere escluso dal gruppo dirigente,

Sono le regole della casta: chi è dentro deve restarci, e chi è fuori deve rimanerci, anche se è bravo, soprattutto se è molto bravo, e, qualora avesse maggiore possibilità di essere riconosciuto da chi vota, costituirebbe una minaccia per quelli già insediati sulle pltrone. Non c’è bisogno di uccidere quelli pericolosi per la loro intelligenza e cultura: basta oscurarli.

Periandro di Corinto e Tarquinio il Superbo consigliavano a quelli della loro casta o famiglia di tagliare le teste più alte.

Oggi, invece di tagliarle, si fa in modo che non possano mostrare le loro capacità nei luoghi che contano per la casta

 

Quindi Buckingham si rivolge a Riccardo chiedendogli perdono per avere interrotto il suo zelo davvero cristiano: pardon us the interruption –of thy devotion and right Christian zeal ” III, 7, 101 - 102).

 

Quel right Christian fa pensare al contrassegno di ipocrisia contenuto nel “grazie davvero”” detto da gente come Fazio.

 

Riccardo naturalmente sta al gioco e si scusa a sua volta per il fatto che il suo zelo nel servizio di Dio ha causato un ritardo nell’accoglienza degli amici.

Quindi il complice avverte il principe dicendogli “your fault that you resign - the supreme seat the throne majestical (116 - 117) la vostra mancanza che sta nel rinunciare al supremo seggio, il trono augusto, in favore di una stirpe guasta, priva la nobile isola dei suoi organi sani e lascia her face defac’ d with scars of infamy - 125, la sua figura sfigurata dalle cicatrici dell’infamia, in quanto il ceppo regale è innestato su ignobili piante.

 

Allude a supposte infedeltà della regina Elisabetta moglie del re Edoardo IV, fratello di Riccardo e al fatto che i figli di lei sarebbero degli illegittimi.

 

In riparazione di ciò vi sollecitiamo ad assumere il governo regale di questo paese not as Protector (132), non da Protettore, o umile fattore a vantaggio di altro, ma come vostro diritto innato.

Buckingham aggiunge che al suo prego si uniscono i cittadini ossequienti e devoti amici

 

Ma Riccardo persiste ancora nella commedia del diniego dicendo che gli si vuole imporre insensatamente the golden yoke - zugovn - iugum of sovereignity, (145) l’aureo giogo della sovranità.

I miei meriti immeritevoli rifuggono dalla vostra alta istanza (154).

 

Secondo Svetonio, nei primi tempi del suo principato Nerone si comportò da filantropo, al punto che quando veniva costretto dalle leggi a firmare una condanna a morte esclamava: “quam vellem, inquit, nescire litteras!” (Neronis vita, 10), come vorrei non saper scrivere! Inoltre soppresse o abolì le imposte più gravose, salutava i cittadini chiamandoli per nome, e al Senato che gli porgeva ringraziamenti rispose: quando li avrò meritati. “ Agenti senatui gratias espondit: Cum meruero”,

Ho riferito questo dalla biografia di Svetonio ma non credo che nell’imperatore ancora adolescente educato da Seneca ci fosse l’ipocrisia che sta mostrando in Riccardo. Del resto la sua corte imperiale della dinastia Giulio - Claudia non era meno funestata dai delitti rispetto a quella dei Plantageneti.

 

Riccardo continua a schermirsi denunciando la propria inadeguatezza al compito che vogliono assegnargli: “vorrei occultarmi alla grandezza che mi si propone - being a bark to brook to mighty sea” - (160 - 161) essendo una barca troppo incapace di resistere ai possenti marosi.

 

Metafore e allegorie nautiche sono frequenti nella poesia antica.

 

Faccio un esempio di metafora tratto dall’Edipo re di Sofocle

"la città infatti, come anche tu stesso vedi, troppo/già ondeggia e non è più capace di sollevare il capo dai gorghi del flutto insanguinato (vv.22 - 24) .

 

Aggiungo alcuni versi della la quattordicesima ode del primo libro di Orazio:" O navis, referent in mare te novi/ fluctus. O quid agis? fortiter occupa/portum (vv. 1 - 3)...non tibi sunt integra lintea (v. 9) ...Tu, nisi ventis/debes ludibrium, cave (vv. 15 - 16) , o nave ti riporteranno in mare nuovi flutti! O che fai? raggiungi il porto senza esitare...hai le vele strappate...Tu stai attenta, se non vuoi diventare zimbello dei venti.

In questo caso si tratta tratta di un’allegoria piuttosto che di una metafora: la nave in difficoltà significa lo Stato in pericolo.

E' interessante la definizione che dà Quintiliano dell'allegoria e l'interpretazione di questa:"Allegoria, quam inversionem interpretantur, aut aliud verbis aliud sensu ostendit aut etiam interim contrarium. Prius fit genus plerumque continuatis translationibus, ut.... segue la citazione delle parole citate sopra fino a portum , quindi l'interpretazione:"totusque ille Horatii locus, quo navem pro re publica, fluctus et tempestates pro bellis civilibus, portum pro pace atque concordia dicit ".(Institutio oratoria , VIII, 6, 44), l'allegoria, che interpretano come inversione, o mostra una cosa con le parole, un'altra con il significato generale, o talora il contrario. Il primo genere avviene per lo più con metafore continuate...e tutto quel passo di Orazio nel quale egli intende come nave lo Stato, come flutti e tempeste le guerre civili, come porto la pace e la concordia.

 

Non possiamo non ricordare l'invettiva all'Italia del Purgatorio di Dante:"Ahi serva Italia, di dolore ostello,/nave senza nocchiere in gran tempesta,/non donna di province, ma bordello!(VI, 76 - 78).

 

Riccardo conclude la sua falsa rinunzia al trono dicendo che grazie a Dio non c’è bisogno di lui in quanto royal fruit (166), il frutto regale, il nipote che invero si appresta a fare ammazzare, maturato dallo scorrere rapinoso del tempo - mellow’d by the stealing hours of time (167) diventerà degno della maestà del trono. Dunque non voglio strappare al figlio del re (Edoardo figlio di Edoardo IV) il diritto e la fortuna delle sue fauste stelle - the right and fortune oh his happy stars (171) che voi volete consegnare a me.

 

Mi sembra che the stealing hours of time lasci intravvedere la rapina di Riccardo e le happy stars il suo proposito di ammazzare i nipoti.

Torna in mente quando questo assassino dice tra sé a proposito del fratello Clarence mandato nella torre perché venga ucciso da due sicari: “I do love thee so that I will shortly send thy soul to Heaven (I, 1, 118 - 119), ti voglio bene al punto che presto manderò in cielo la tua anima.

 

Buckingham replica con una serie di ingiurie contro Elisabetta, la vedova di Edoardo IV e la madre del principe Edoardo che non deve diventare Edoardo V. Il re dunque aveva scartato due precedenti fidanzate tra cui Bona sorella del re di Francia, quando venne sedotto da questa poor petitioner, misera postulante, già carica di figli, bellezza al tramonto, vedova in lutto - even in afternoon of her best days - (185) ormai nel pomeriggio dei suoi giorni migliori. Questo figlio del re morto dunque è un illegittimo che per cortesia chiamiamo principe e non dico nemmeno tutto : “I give a sparing limit to my tongue” (193) , do un limite di riservatezza alla mia lingua. Quindi rivolge ina supplica a Riccardo perché porti la sua nobile stirpe fuori dalla corruzione in cui fu deviata.

Il sindaco si unisce a queta preghiera. Quindi anche Catesby vi si associa.

Riccardo continua a fingere protestando e affettando modestia: “I am unfit for state and majesty” (204), non sono adatto alla maestà del trono.

Buckingham al colmo della sua recita servile arriva al punto di fingere una minaccia: se Riccardo frenato da un rimorso dolce, gentile, femmineo, rimarrà riluttante alla necessità di deporre il fanciullo figlio del fratello - loath to depose the child, the brother’s son (208), loro non accetteranno mai quel ragazzo indegno e metteranno sul trono qualcun altro.

Quindi fa il gesto di andare via, di non pregare più.

Catesby allora prega Riccardo di richiamarlo

Riccardo replica: will you enforce me to a world of cares? (222) volete costringermi a un mondo di affanni? Poi però aggingecall them again, I am not made of stones – Cf. Gk. stiva - a stone - stiva è una piccola pietra.(III. 7. 223),richiamatelo, io non sono fatto di sasso.

Buckingham rientra e Riccardo dice “io mi sobbarco”: “I must have patience to endure the load”, devo avere pazienza e sostenere il peso visto che volete affibbiarmelo. Ma Dio sa quanto io sia lontano dal desiderarlo: “How far I am from the desire of this” 235.

Il sindaco lo benedice e Buckingham lo proclama re. Riccardo verrà incoronato il giorno dopo

Il nuovo re esce di scena dicendo: “come, let us to our holy work - e[rgon - again (III, 7, 245), via torniamo ai nostri santi esercizi.

Farewell, my cousin, farewell gentle friends.

 

 

Riccardo III di Shakespeare settima parte.

 

Aggiunta dopo una rilettura in vista dell’inizio del corso.

Fromm asserisce che la storia della cosiddetta civiltà è un documento di sadismo e distruttività. Come mai questa catena di genocidi non ha avuto un termine in millenni di storia?

Perché i crimini dei vinti vengono giustamente esecrati, mentre i delitti dei vincitori sono sistematicamente santificati e fatti passare come difese della civiltà, addirittura della vite umane. Questo mi dissero quando ero fanciullo e chiedevo quale fosse la ragione delle bombe atomiche sulle città giapponesi.

Se tutti i genocidi venissero maledetti, anche quelli dei vincitori, come accade nelle Troiane di Euripide dove Ecuba accusa i Greci distruttori di Troia e assassini pure dei bambini dicendo che i veri barbari sono loro, e dove Cassandra evidenzia le sciagure di tutti quelli che fanno le guerre, forse questo documento di sadismo e distruttività avrebbe termine.

I giuramenti che non vanno fatti. La storia come mattatoio

 

All’inizio del IV atto troviamo la madre di Riccardo, duchessa di York, la regina Elisabetta vedova di Edoardo IV e madre dei loro due figli Edoardo erede legittimo e Riccardo, il marchese di Dorset, figlio di primo letto della regina vedova e di John Grey, poi Anne che Riccardo il protagonista ha sposato ed è diventata duchessa di Gloucester e con lei la figlia di Clarence fatto ammazzare nella torre

La madre di Riccardo saluta Anne e la nipote Plantageneta (my nice Plantagenet, IV, 1, 1), la figlia di Clarence

Nello stemma del fondatore della dinastia Goffredo il Bello ( 1113 - 1151) conte d’Angiò e duca di Normandia era raffigurata una ginestra. Goffredo sposò Matilde figlia di Enrico I d’Inghilterra e il loro figlio sarà Enrico II re di Inghilterra nel 1154. I Plantagenti regnarono fino a Riccardo III morto nel 1485. Seguono i Tudor: Richmond figlio di Edmondo Tudor sconfigge Riccardo e sposa Elisabetta, figlia di Edoardo IV. Diviene Enrico VII padre di Enrico VIII e nonno di Elisabetta I.

Anne dice che è diretta alla torre per salutare i principini.

Poi entra Brakenbury il luogotenente della torre

Elisabetta gli domanda come stanno i suoi figli. Il luogotenente risponde right well, dear madam (IV, 1, 15) però aggiunge: “By your patience - I may not suffer yiou to visit them”, abbiate pazienza, non posso permettervi di visitali. Il re l’ha rigorosamente vietato ( 16 - 17)

Elisabetta sapeva che il re doveva essere suo figlio Edoardo, quale legittimo erede, e domanda: “chi sarebbe il re?”

Il luogotenente si corregge: I mean Lord Protector (19), intendo il Lord Protettore

La regina vedova e la madre di Riccardo, la nonna e la mamma dei bambini, dicono che vogliono vederli e ne hanno diritto.

Alla richiesta si associa Anne dicendo “sono secondo legge la loro zia e mi prendo la responsabilità”.

Ma il luogotenente dice”I am bound by oath; and therefore pardon me” (27), sono legato da un giuramento e perciò scusatemi.

Il giuramento non dovrebbe essere vincolante quando si giura di compiere un crimine.

 

Lo dice Cicerone ricordato poi da Dante.

L’Arpinate scrive che Agamennone non avrebbe dovuto tenere fede al voto fatto a Diana di consacrarle la creatura più bella nata nel suo regno in quell’anno: “promissum potius non faciendum quam tam taetrum facinus admittendum fuit” (De officiis, III, 95), non avrebbe dovuto fare la promessa piuttosto che commettere un delitto tanto ripugnante.

Dante scrive: “Non prendan li mortali voto a ciancia:/siate fedeli, e a ciò far non bieci,/come Ieptè alla sua prima mancia;/cui più si convenìa dicer ‘Mal feci’/che, servando, far peggio; e così stolto/ritrovar puoi il gran duca de’Greci,/onde pianse Ifigenia il suo bel volto,/ e fe’ pianger di sé i folli e i savi/ch’udir parlar di così fatto colto” (Paradiso, V, 64 - 70)

Entrambi, per mantenere un voto sconsideratamente fatto, sacrificarono una figlia. Jeftè l’unica figlia che aveva.

 

Quindi entra Stanley conte di Derby.

Dice ad Anne che deve andare a Westmister per essere incoronata regina

Elisabetta capisce che per i suoi figli è finita e chiede che le slaccino il vestito perché è vicina a svenire. Il figlio di pimo letto Dorset la incoraggia

Ma la madre lo spinge a fuggire al di là del mare andando da Richmond.

Questo è il conte di Tudor che sconfiggerà Riccardo III nel 1485 e diverrà re Enrico VII.

 Elisabetta prega il figlio di fuggire da quel mattatoio –slaughter house per non accrescere il numero dei morti (43 - 44) .

Nel Macbeth, dopo l’assassinio del re Duncam, i due figli ne parlano. Sospettano già di Macbeth e Malcolm dice che andrà in Inghilterra, quindi Donalbain gli risponde: io in irlanda “where we are, there’s daggers in mens’s smile; the near in blood, the nearer bloody” (II, 3) qui dove siamo ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini; il vicino nel sangue è il sanguinario più vicino.

 

La storia come mattatoio

 “Di questa sequela di crimini sfuggono le motivazioni nonché le ragioni della sua ininterrotta durata, sicché la storia nel suo complesso si configura, per dirla con Hegel, come un “mattatoio” di dimensioni planetarie[19] ovvero come un insondabile mysterium iniquitatis. A questo punto - possiamo osservare con Gramsci - “irrazionale” e “mostruoso” ci appare il “passato” in quanto tale: la storia nel suo complesso si configura come una “grottesca vicenda di mostri”, come “teratologia”[20][21].

 

Fromm assimila il genocidio di Cartagine perpetrato dai Romani ad altri scempi commessi dai vincitori nei confronti dell’umanità: “The history of civilization, from the destruction of Carhage and Jerusalem to the destruction of Dresden, Hiroshima, and the people, soil, and trees of Vietnam, is a tragic record of sadism and destructiveness” (The anatomy of human destructiveness, p. 192), la storia della “civiltà” dalla distruzione di Cartagine e Gerusalemme, alla distruzione di Dresda, Hiroshima, e del popolo, del suolo, degli alberi del Vietnam, è un documento tragico di sadismo e distruttività. Aggiungerei i bombardamenti israeliano - palestinesi di questi giorni

 

 

Riccardo III di Shakespeare parte ottava

 

Riflessioni seguite a una rilettura: il letto

 

Il letto è uno degli oggetti più carichi di significati, una di quelle presenze "epifaniche" le quali manifestano un'anima e una storia.

 

Tra Odisseo e Penelope è il segno certo (shvmat' ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di riconoscimento che convince la dubitosa Penelope.

 

Per le donne abbandonate come Medea, o trascurate come Deianira nelle Trachinie, il letto è un luogo di offesa e dolore, talora, come nel caso della sposadi Eracle, perfino di suicidio.

Nel Primo episodio della tragedia di Euripide, Medea dice che l'offesa fatta alla femmina umana nel letto, ossia nella sfera sessuale, la rende sanguinaria: la donna, afferma la nipote del Sole, nelle altre cose è piena di paura, e vile nella lotta e a vedere un'arma; ma quando si trova ad essere offesa nel letto ( ej" eujnh;n hjdikhmevnh, v. 265; cfr. v. 26) non c'è altro cuore più sanguinario ( oujk e[stin frh;n miaifonwtevra, v. 266).

Bisogna dire che le donne possono infuriarsi pure per l'offesa sessuale da loro stesse arrecata nel letto o fuori dal letto:" must be careful about women. Catch them once with their pants down. Never forgive you after” Bisogna stare attenti con le donne. Sorprendile una volta con le mutande abbassate. Non te la perdonano più"[22].

 

Guy de Maupassant in un suo divertente racconto erotico afferma l'importanza capitale del letto:"Tengo più al mio letto che a qualsiasi altra cosa. E' il santuario della vita. Gli affidiamo nuda la carne stanca, perché la rianimi e la riposi nel candore delle lenzuola e nel calduccio delle piume. E' là che troviamo le ore più dolci dell'esistenza, le ore dell'amore e del sonno. Il letto è sacro. Dobbiamo rispettarlo, venerarlo; amarlo come quanto abbiamo di migliore e di più dolce sulla terra"[23].

 

Oppure: “ Il letto è un luogo selvaggio, una foresta vergine fitta di sorprese e di imprevisti, un ambiente torrido, carico degli effluvi micidiali di fiori stranissimi, un groviglio inestricabile di liane, pieno di belve dagli occhi fiammeggianti che strisciano nell’ombra, le fiere del desiderio e della passione, sempre pronte a balzare sulla preda. Il letto è anche questo, in un certo senso. E’ una giungla. E’ penombra. Strani suoni giungono da lontano e tu non sai se è il grido di un essere umano azzannato alla gola da una bestia feroce presso una sorgente o se a urlare è stata la natura stessa, che è al contempo umana, animale, e disumana”[24].

 

 

Donne che maledicono il letto delle loro nozze.

La parola è un’arma a doppio taglio.

L’assassino uccide anche il proprio sonno

 

La duchessa di York, madre di Riccardo, maledice il proprio ventre, letto di morte - O my accursed womb, the bed of death che ha portato al mondo un basilisco il cui occhio inevitabile è assassino (IV, 1 - 53 - 55)

 

Nel nono libro della Pharsalia di Lucano trovo una descrizione del basiliscus - basivlisko", il reuccio dei serpenti - il quale “sibilaque effundens cunctas terrentia pestes (724) poi emette sibili che atterriscono tutti gli altri portatori di morte, ante venena nocens (725) nuoce ancora prima del veleno, late sibi summovet omne - vulgus et in vacua regnat basiliscus harena (725 - 726), si fa largo spazio tra ogni folla e regna sulla sabbia desolata.

Un soldato di Catone, Murro, trafigge un basilisco con la lancia ma il veleno risale lungo l’arma invaditque manum (VIII, 830). Il soldato la taglia poi la guarda morire staccata dal braccio

Ricordo vagamente che nei primi anni Sessanta la regista Wertmüller fece un film intitolato I basilischi.

 

Anne si augura di morire unta con veleno mortale prima che qualcuno possa dire God save the queen (61 - 62) Dio salvi la regina.

Quando il re è infernale, non c’è salvezza per nessuno.

Quindi Anne rievoca la scena della popria seduzione stupidamente avvenuta quando Riccardo, pur da lei aborrito per l’assassinio dell’ angelico marito, tuttavia riuscì a far cadere il cuore di donna pigioniero delle sue parole mielate - captive to his honey words L. verbum - (79)

 

La parola è un'arma potentissima, e dal doppio taglio.

 Sentiamo Gorgia:"lovgo" dunavsth" mevga" ejstivn, o{" smikrotavtw/ swvmati kai; ajfanestavtw/ qeiovtata e[rga ajpotelei' "[25], la parola è un gran signore che, con un corpo piccolissimo e invisibile, compie opere assolutamente sovrumane.

Queste opere possono essere divine ma anche diaboliche.

L'apostolo Giacomo mette in rilievo la parte direttiva del parlare come aveva fatto l'Odisseo del Filottete:" se uno non inciampa nel parlare, questo è un uomo perfetto (tevleio" ajnhvr), capace di guidare tutto il corpo. La lingua dunque è un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;n mevlo" kai; megavvla aujcei'). Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo" th'" ajdikiva" ) e contamina tutto il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma dalla Gehenna (kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh") … Ogni specie di fiere e di uccelli e rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana, ma la lingua nessuno degli uomini può domarla, è un male inquieto, pieno di veleno mortifero (N. T. Epistola di Giacomo, 3, 2 - 8). La mancanza della lingua è un grave handicap, ma la lingua ingannevole produce il male e la morte.

Lo scita Anacarsi che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e amico di Solone, interrogato che cosa fosse insieme bene e male per gli uomini, rispose “la lingua”[26].

 

Anne prima di cedere imprecò contro la donna che Riccardo avrebbe sposato, quindi tali imprecaziono sono cadute su lei stessa poiché nel letto di Riccardo non ha ancora goduto per un’ora dell’aurea rugiada del sonno - “for never yet one hour in his bed –did I enjoy the golden dew of sleep” (82 - 83) in quanto svegliata dai suoi sogni atterriti.

 

Il tiranno criminale uccide il sonno

“Invece del sonno stilla davanti al cuore

un’angoscia memore delle sciagure” (Eschilo, Agamennone, 179 - 180)

Nel Macbeth l’assassino del re crede di sentire una voce che grida (II, 2): «Sleep no more! Macbeth does murder sleep», “non dormire più, Macbeth uccide il sonno”, «The death of each day’s life, sore labour’s bath, balm of hurt minds», “la morte di ciascun giorno della vita, bagno ristoratore dei travagli della vita, balsamo per le anime afflitte”.

 

 

Riccardo III di Shakespeare parte nona.

 

Aggiunte fatte in seguito alla rilettura del 24 giugno

 

Pochissimi sono gli scrittori che osano svelare alle genti di che lacrime grondi e di che sangue lo scettro dei regnatori.

 

I crimini di Riccardo non pongono fine alla catena dei delitti.

Il vincitore Richmond viene santificato (sarà EnricoVII dal 1485 al 1509) e suo figlio Enrico VIII glorificato come padre di Elisabetta dal dramma (1513) di Shakespeare e Fletcher.

 Ma Enrico VIII che regnò dal 1509 al 1547 non fu meno sanguinario di Riccardo. Fece uccidere (1535) l’umanista Tommaso Moro autore di Utopia (1516) per il suo rifiuto di accettare l'Atto di Supremazia del re sulla Chiesa in Inghilterra e di disconoscere il primato del Papa, poi fece ammazzare Edward Buckingham, figlio di Henry complice e traditore di Riccardo che lo fece decapitare, e condannò a mote Thomas Cromwell il suo primo ministro che lo aiutò a liberarsi di Anna Bolena, fatta ammazzare anche lei dal re.

La figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona regnò dal 1553 al 1558 è ricordata come Bloody Mary siccome fece giustiziare molti oppositori al suo disegno di restaurare il cattolicesimo romano. Tra le sue vittime Thomas Cranmer il fondatore della Chiesa anglicana.

Questa sanguinaria era cugina di Carlo V (imperatore dal 1519 - al 1555) e moglie di suo figlio Filippo II.

Carlo V era figlio di Giovanna la Pazza, sorella di Caterina d’Aragona, madre della sanguinaria Maria.

Legami di sangue e confraternita delittuosa.

 

Richard in pomp, crowned (IV, 2) e la vanità degli orpelli.

 

Le donne vittime di Riccardo si compatiscono a vicenda.

La duchessa di York dice I go to my grave (94) vado alla mia tomba dove mi aspettano pace e riposo. Poi misura i suoi oltre ottanta anni di vita con il metro del dolore e della gioia: “ each hour’s joy wrack’d with a week of teen” (IV, 1, 96), ogni ora di gioia è stata rovinata con una settimana di pena.

 

Nel VII capitolo del romanzo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (Luglio 1883) , il principe don Fabrizio “faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane prima del suo matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in occasione della nascita di Paolo, quando sentì l’orgoglio di aver prolungato di un rametto l’albero della casa Salina” (p. 169).

E, già nel secondo capitolo (Agosto 1860): “l’amore. Certo l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva lui cos’era l’amore. ..e Tancredi poi, davanti al quale le donne sarebbero cadute come pere cotte” (p. 49)

 

Ma torniamo a Shskespeare. Nella chiusura di questa prima scena del IV atto del Riccardo III, la regina vedova Elisabetta rivolge una preghiera alle pietre della torre dove sono imprigionati i suoi figli:”Pity, you ancient stones, those tender babes - whom envy L. invidia - have immur’d L.im (=in , in; murus wall) within your walls” (98 - 99), abbiate pietà, voi antiche pietre di questi teneri bambini che l’invidia ha murato nelle vostre pareti.

L’invidia degli dèi di Erodoto qui è laicizzata nell’invidia di chi brama il potere.

 

 Si apre la seconda scena: enter Richard in pomp, crowned, entra Riccardo vestito sfarzosamente, incoronato e accompagnato da diversi nobili: Buckingham il principale sodale nei delitti e altri, tutti suoi complici.

 

Tomaso Montanari nella sua rubrica del venerdì di Repubblica del 21 maggio commenta un olio su tela di Francisco Goya del 1815 che ritrae Ferdinando VII sul campo militare. Si trova nel Museo del Prado di Madrid.

 

 Il re di Spagna è pure lui in pomp.

“E’ il grande ballo in maschera del potere, che già Blaise Pascal, in pieno secolo barocco, demistificava così: “I nostri magistrati hanno ben capito questo mistero. Le loro toghe rosse, i loro ermellini di cui s’ammantano come gatti villosi…e se i medici non avessero palandrane e pantofole, e i dottori non avessero la berretta a quattro pizzi…se quelli possedessero la vera giustizia e se i medici sapessero la vera arte per guarire, non saprebbero che farsene di quelle berrette a quattro pizzi”

Quindi Montanari cita Virginia Woolf che associa l’abito vistoso alla guerra: “il loro costoso e presumibilmente non troppo igienico splendore è stato in parte inventato per imprimere nello spettatore il senso della maestà della funzione militare, in parte per indurre i giobvani, facendo leva sulla loro vanità, a fare i soldati”.

 

Alcuni autori considerano la sontuosa pompa militare addirittura un segno che preannuncia l’insuccesso.

 

Nell’Amphitruo di Plauto i Teleboi “ex oppido - legiones educunt suas nimi ‘ pulchris armis praeditas” ( vv. 217 - 218), tirano fuori dalla fortezza le proprie truppe dotate di armi pur troppo belle. Ebbene, questi guerrieri dal cultus icercato verranno sconfitti dai Tebani di Anfitrione

 

Nelle Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo l’ateniese Caridemo osa dire parole di critica a Dario III che perderà la guerra e l’impero: questo esercito splendente di porpora e di oro, brillante nelle armi può essere temibile solo per i tuoi vicini “finitimis potest esse terribilis: nitet purpura auroque, fulget armis” (III, 2, 12).

Viceversa Alessandro che sconfiggerà il grande re , come giunse a Tarso, la capitale della Cilicia volle fare un bagno nel fiume Cidno . Et tunc aestas erat (l’estate de 333) e il re accaldato si spogliò fiero di mostrare ai suoi levi ac parabili cultu corporis se esse contentum (III, 5, 2) che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile.

 

Tacito ricorda che i veterani trasferiti dalla Siria in Armenia nell’esercito di Corbulone erano nitidi et quaestuosi (Annales XIII, 35 ), eleganti e avidi di guadagno. Corbulone congedò quegli ignavi, arruolò nuovi soldati e diede l'esempio: ipse cultu levi, capite intecto, agmine, in laboribus frequens adesse, laudem strenuis, solacium invalidis, exemplum omnibus ostendere, il comandante in persona con abiti leggeri, a capo scoperto, era sempre presente nelle marce e nelle fatiche, rendeva elogi ai valorosi, conforto agli infermi, ed era di esempio a tutti.

 

 Nel mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e fastosi animali da sacrificio, andavano su e giù per la città"[27].

 

Nei Saggi di Pascal (III libro, capitolo 9) troviamo anche una citazione tratta da Quintiliano che consiglia la forma più semplice come quella che meglio si addice e conviene ai soldati: “simpliciora militares decent” Institutio oratoria, XI, 1, 32.

Concludo citando Sofocle che denuncia la vanità degli orpelli del potere.

"La prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede./La gara benefica per la città,/prego dio di non/interromperla mai;/dio non cesserò mai di averlo patrono" (Edipo re, vv. 873 - 882).

 

 

Riccardo III di Shakespeare parte decima.

 Sangue vuole e chiama sangue

 

Aggiunta: L’oro e l’età del ferro.

Oro corrente - running gold (IV, 2, 9) è il delitto. La moneta cattiva ha scacciato la moneta vecchia e buona dello scambio di affetto, generosità, umanità. Quando l’oro diventa prevalente e preponderante, siamo entrati, paradossalmente, nell’età del ferro: quella della totale peccaminosità dove il più forte schiaccia il più debole.

 

Riccardo sale sul trono aiutato da Buckingham.

Ma il re non è tranquillo e domanda al cortigiano favorito per quanto tempo potrà indossare gli emblemi della regalità

 Buckingham risponde: “ for ever let them last” (IV, 2, 7) , che durino per sempre!

L’usurpatore però teme il legittimo erede, il bambino Edoardo, figlio di suo fratello Edoardo IV il re morto da poco, e ha deciso di ammazzarlo con l’altro principino Riccardo.

Riccardo mette alla prova il cugino complice: “Ah Buckingham, now I do play the touch –to try if thou be current - L. currere to run - gold indeed ” (8 - 9), ora voglio saggiarti per provare se tu sei davvero oro corrente.

 

Due note: una che la parola germanica ha spesso un sinonimo neolatino oppure un altro termime neolatino dal significato analogo

La seconda considerazione è che l’oro corrente è quello capace di delitti.

 

Si ricordi il già citato Timone di Atene (IV, 3, 35 - 45) e il commento che ne fa

K. Marx scrivendo che nel denaro il grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità visibile, la trasformazione di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione universale e l'universale rovesciamento delle cose"[28]..

 

Riccardo dunque rivela la propria intenzione criminale in forma di facilissimo indovinello coperta: “Young Edward lives - think now what I would speak - (10), il giovane Edoardo è vivo, pensa ora che cosa intendo dire.

Buckingham finge di non capire che Riccardo vuole il nipote morto, anzi voule morti entrambi i figli del re già defunto.

 L’usurpatore avverte il cortigiano di cui ha cominciato a diffidare: “cousin, thou wast not wont to be su dull (17), cugino non eri solito essere così ottuso.

Quindi Riccardo si scopre del tutto e dichiara quanto vuole: “I wish the bastards dead” (18), voglio i bastardi morti. La sua passione del potere non si ferma nemmeno davanti all’uccisione di due bambini.

 

Nei Fratelli Karamazov Ivan ricorda le sofferenze dei bambini e sostiene che per evitarle si deve rinunciare anche all’armonia: “ sta bene che debbano soffrire tutti, per comperare a prezzo di sofferenze l’armonia futura; ma dimmi, che c’entrano i bambini? Dimmelo per piacere! E’assolutamente incomprensibile che debbano soffrire anche loro e acquistare a prezzo delle loro sofferenze questa armonia (…) Hanno valutato troppo cara quell’armonia e non abbiamo mezzi per pagarne a tal prezzo l’ingresso. E perciò mi affretto a restituire il mio biglietto d’ingresso. E se sono un uomo onesto, devo restituirlo al più presto possibile[29].

 

Riccardo vuole una risposta concisa e precisa dal suo complice. Ma Buckingham rimane sul generico: Your Grace may do your pleasure (21), Vostra Grazia può fare quello che vuole

Ma il re lo accusa di freddezza: "Tut, tut, thou art all ice, thy kindness freezes" (22), va là, va là, tu sei tutto ghiaccio, la tua gentilezza gela.

 

E' una frase quale può dire un amante deluso che non sia stato accolto con sufficiente calore dall'amata e ne sospetta un tradimento.

 

Quando Anna Karènina scende dal treno a Pietroburgo e vede il marito che la aspetta prova una sentimento sgradevole: "In particolare la colpì la sensazione di scontentezza di sé che provava nell'incontrarsi con lui. Era una sensazione di vecchia data, ormai nota, simile allo stato di finzione che provava nei rapporti con il marito". Dopo avere conosciuto Vrònskij era diventata più cosciente di tale disposizione non buona verso Karènin.

Questo dunque saluta la moglie dichiarando di essere un marito affettuoso come nel secondo anno di matrimonio e aggiunge che bruciava dal desiderio di vederla. Ma lo disse: "con la sua voce lenta e sottile e con il tono che adoperava quasi sempre con lei, un tono di irrisione verso chi avesse parlato così per davvero".

quindi Anna domandò: "Serëža sta bene?"

E il marito: "E' questa tutta la ricompensa per il mio ardore? Sta bene, sta bene". (Anna Karenina, Parte I, capitolo 30).

Recitano entrambi e sbagliano i toni tutti e due: non è possibile che restino insieme.

 

Ha detto bene Cesare Pavese: "odiamo una persona quando questa sbaglia tono" (Il mestiere di vivere 11 agosto, 1940)

 

Buckingham chiede some little breath, a pause (24), un po' di respiro, una pausa prima di pronunciarsi definitivamente. Altro tono sbagliato. Quindi esce ma è già caduto in disgrazia.

Catesby nota The king is angry: see, he gnaws his lip, il re è arrabbiato: guardate si morde il labbro (27).

 

Infatti Riccardo è in collera verso l'ambizioso Buckingham che si è fatto guardingo e circospetto. Meglio frequentare dei giovani grulli e scervellati.

Il potere preferisce spesso circondarsi di stupidi e fa tagliare le teste pensanti come hanno notato Erodoto e Tito Livio.

Sicché Riccardo chiama un paggio e gli chiede di indicargli uno che l'oro corruttore - corrupting gold (34) - possa tentare a un'impresa di morte

Il paggio segnala Tyrrel a discontented gentleman (36), un gentiluomo malcontento per le sue umili condizioni discordanti con lo spirito altero: gold were as good as twenty orators (37), l'oro andrebbe bene come venti oratori. Riccardo lo manda a chiamare.

Quindi dice tra sé (aside, a parte) che Buckingham non sarà più il suo confidente.

Entra Stanley che dà a Riccardo la notizia della fuga di Dorset da Richmond.

A questo punto Riccardo decide di sbarazzarsi di Anne. Ordina a Catesby di spargere la voce che la regina sua moglie is very grievous sick (51) è assai gravemente malata.

Lui intanto la farà rinchiudere, poi farà sposare la figlia di Clarence a un gentiluomo oscuro e indigente.

 

Come fece Astiage, il re dei Medi, con la figlia Mandane facendole sposare Cambise, un persiano di rango non alto

Astiage fece due sogni inquietanti: nel primo vide la figlia che urinando sommergeva tutta l’Asia (Erodoto, I, 107), nel secondo che dalla vagina di Mandane da lui fatta sposare con il persiano Cambise nasceva una vite che occupava tutta l’Asia ( Erodoto, I, 108).

Già spaventato dal primo sogno e dall’interpretazione datane dai Magi, cioè che da un figlio di Mandane poteva derivargli un pericolo, Astiage diede alla figlia come marito Cambise, un persiano di mediocre condizione

Al tempo del secondo sogno Mandane era già incinta e predissero al nonno che il nascituro avrebbe regnato al suo posto. Quindi Astiage consegnò il bambino al cortigiano Arpago perché lo uccidesse. Arpago fece portare il neonato da un bovaro di nome Mitridate. Sua moglie di nome Kunwv lo tenne e lo allevò al posto del proprio figlio partorito morto. Il bambino era Ciro che poi sconfiggerà suo nonno e fonderà l’impero persiano.

 

Ricevuto l’ordine, Catesby esce e Riccardo dice a se stesso che deve sposare la figlia di suo fratello Edoardo IV, Elisabetta dopo averne assassinato i fratelli bambini,

Quindi constata di essersi inoltrato tanto nel sangue (I am in so far in blood) che un delitto ne tira fuori un altro e non c’è più posto per la pietà lacrimosa (IV, 2, 64 - 65).

 

Ricordo che Macbeth a sua volta identifica il meccanismo del potere con una scala i cui gradini sono vite umane da calpestare:"That is a step/On which I must fall down, or else o'erleap / For in my way it lies - " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada. Il gradino è Malcolm, un figlio del re ucciso.

Poi (III, 4): ci sarà ancora sangue: blood will have blood, sangue vuole sangue.

Quindi: “I am in blood –stepped in, so far, that, should I wade - latino vadum - no more, - returning were as tedious as go o’er” (Macbeth, III, 4) mi sono inoltrato tanto nel sangue che, se non passassi il guado, il tornare indietro sarebbe pericoloso come l’andare avanti.

 

 

Riccardo III di Shakespeare parte XI. La paura del tiranno.

 

Il corso inizierà domani 29 giugno alle 18

 

Aggiunta del 28 giugno. L’autocrate è una persona disturbata dalla paura che lo spinge al crimine preventivo.

Nelle Supplici[30] di Euripide Teseo è il Pericle in vesti eroiche il quale elogia la costituzione democratica dialogando con l'araldo mandato da Creonte re, anzi tiranno di Tebe.

Atene dunque non è comandata da un uomo solo, ma è una città libera (ejleuqevra povli" , v. 405). L'araldo di Creont ribatte che il governo di un solo uomo non è male: infatti esclude i demagoghi i quali gonfiando la folla con le parole la volgono di qua e di là a proprio profitto. Del resto chi lavora la terra non ha tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche:" oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou" - kreivssw divdwsi (vv. 419 - 420), è infatti il tempo che dà un sapere più forte invece della fretta.

Teseo non controbatte la critica ai demagoghi, che condivide, ma risponde che il tiranno è l'entità più ostile alla polis:" oujde;n turavnnou dusmenevsteron povlei" (v. 429). Egli infatti uccide i migliori, quelli dei quali considera la capacità di pensare, in quanto teme per il suo potere:"kai; tou;" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n - kteivnei, dedoikw;" th'" turannivdo" pevri" (vv. 444 - 445). Sicché la città si indebolisce: come potrebbe essere forte quando uno al comando miete i giovani come da un campo di primavera si porta via la spiga a colpi di falce? (vv. 447 - 449). Inoltre il despota si impossessa dei beni altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva acquistare ricchezze per i propri figli.

Per non parlare delle figlie che vuole rendere strumenti del suo piacere. l'Elettra di Euripide recitando il biasimo funebre di Egisto allude, con pudica e verginale aposiopesi, alle porcherie che il tiranno faceva con le donne:"ta; d j eij" gunai'ka", parqevnw/ ga;r ouj kalo;n - levgein, siwpw' " (Elettra, vv. 945 - 946).

 

Entra Tyrrel. Il sicario chiede di essere messo alla prova. E’ disposto a tutto. Riccardo dice di avere due nemici nel profondo “two deep enemies” L. inimicus - (71) avversi alla mia pace e turbatori del dolce sonno “foes to my rest - foes from weak grade *piq we have Gk. pikrovς, bitter - , and my sweet sleep’s disturber - Lat. disturbo, , IV, 2. 71 - 72). I mean those bastards in the Tower”, intendo quei bastardi nella Torre (74)

L’aggettivo e avverbio deep indica che questi nemici e la paura che gli incutono, sebbene siano solo due bambini, sono entrati profondamente nell’anima di Riccardo.

E’ poprio vero quanto scrive Costantinos Kavafis: “In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, - né in Nettuno irato incapperai - se non li porti dentro, - se l’anima non te li mette contro” (Itaca, vv. 9 - 12).

E’ sempre contro una parte di noi stessi che combattiamo.

Sentiamo anche Cesare Pavese:"Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone. Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi. Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte"[31].

 

L’imperatore Tiberio di Tacito temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo Stato (ex optimis periculum sibi, a pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales , I, 80), e Domiziano invidiava e odiava Agricola per i suoi successi in Britannia:"Id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli " ( Agricola [32] , 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse messo al di sopra di quello del principe.

 

 Nell’Oedipus di Seneca, Creonte fa notare al cognato che con il suo sistema si circonda di odio ma Edipo risponde che l'odio e la paura sono funzionali al potere:"Odia qui nimium timet/regnare nescit: regna custōdit metus" (Oedipus, vv. 703 - 704), chi teme troppo gli odi non sa regnare: la paura è la guardia dei regni.

 

Cfr. Il principe di Machiavelli il quale nel XVII capitolo si domanda” s’elli è meglio essere amato che temuto, o più tosto temuto che amato (…) Respondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma perché, elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ due” .

 

Nell’Oedipus Creonte ribatte che la paura diffusa dal tiranno torna su di lui:"Qui sceptra duro saevus imperio regit,/timet timentes; metus in auctorem redit" (vv. 705 - 706), chi impugna lo scettro crudelmente con dura tirannide teme quelli che lo temono; la paura torna su chi la provoca.

 

Nelle Tusculanae Cicerone racconta che Dionisio, tiranno di Siracusa dal 405 al 367, non si fidava nemmeno di porgere il collo al barbiere: “ne tonsori collum committeret, tondere filias suas docuit (…) et tamen ab iis ipsis, cum iam essent adultae, ferrum removit, instituitque ut candentibus iuglandium putaminibus barbam sibi et capillum adurerent (V, 58), per non affidare il collo al barbiere, insegnò alle sue figlie a radere (…) e non di meno, quando ormai furono adulte, tolse loro gli arnesi taglienti, e stabilì che gli bruciassero barba e capelli con gusci di noci ardenti.

 

Segue l’ esemplare aneddoto della spada di Damocle (Tusc. V, 61 - 62)

Cicerone aggiunge che Dionìsio giudicò egli stesso quanto fosse beato

 cum quidam ex eius adsentatoribus, Damocles, commemoraret in sermone copias eius, opes, maiestatem dominationis, rerum abundantiam, magnificentiam aedium regiarum, negaretque umquam beatiorem quemquam fuisse: "Cupisne igitur - inquit - o Damocles, quoniam te haec vita delectat, ipse eam degustare et fortunam experiri meam?" Cum ille se cupere dixisset, Dionysius collocari iussit hominem in aureo lecto, strato pulcherrimo textĭli stragulo, magnificis operibus picto, abacosque compluris ornavit argento auroque caelato.

Tum ad mensas servos delectos iussit consistere eosque nutum illius intuentes diligenter ministrare. Aderant unguenta, coronae; incendebantur odores, mensae conquisitissimis epulis extruebantur. Fortunatus sibi Damocles videbatur.

In hoc medio apparatu fulgentem gladium e lacunari saetā equinā aptum demitti iussit , ut impendēret illius beati cervicibus. Itaque nec pulchros ìllos mìnìstratores aspiciebat nec plenum artis argentum nec manum porrigebat in mensam, iam ipsae deflŭebant coronae; denique exoravit tyrannum, ut abire liceret, quod iam beatus nollet esse, Damocle uno dei suoi cortigiani un giorno ricordava in un discorso le sue ricchezze di Dionisio, la potenza, l’autorità della signoria, la dovizia di ogni cosa, la magnificenza dei palazzi del potere, e diceva che nessuno era mai stato più felice di lui. “ Desideri dunque Damocle–disse Dionisio - dal momento che questa vita ti piace, farne un assaggio e provare la mia sorte?” Avendo quello detto che lo desiderava, Dionisio ordinò che venisse messo su un divano d’oro ricoperto da un bellissimo drappo di stoffa, variegato da magnifici ricami, e fece coprire diversi tavolini con begli oggetti di argento e oro cesellato. Poi ordinò a schiavi scelti di stare presso la mensa e di servirlo con zelo osservando i suoi cenni. C’erano profumi, ghirlande, si bruciavano aromi, le mense venivano allestite con vivande squisite. Damocle si credeva fortunato. Nel mezzo di questi preparativi il tiranno ordinò che si facesse sospendere dal soffitto una spada risplendente attaccata a un crine di cavallo in modo che incombesse sul collo di quel tipo felice. Così non volgeva più lo sguardo a quei servitori belli né all’argenteria ricca di arte, né allungava le mani verso la mensa; tosto le corone cadevano da sole; infine pregò il tiranno che lo lasciasse andare via , perché non voleva più essere felice.

 

Tyrrel chiede un lasciapassare per la torre, poi promette “and soon I’ll rid you from the fear of them” (76) e vi libererò presto dalla paura di quelli.

Riccardo promette al sicario un generoso compenso

 

 

Riccardo III - Parte XII -

 

Il cortigiano preferito cade in disgrazia. Corso di giugno - luglio

Malvagità del potere non controllato.

 

Aggiunta del 28 giugno 2021

 

Il potere che non deve rendere conto a nessuno è soggetto però a un’inerzia che lo fa cadere nella megalomnia cui seguono spesso crimine e la rovina.

Un personaggio tragico che afferma l'insindacabilità del potere assoluto è lady Macbeth nella scena del sonnambulismo:"What need we fear who knows it, when none can call our power to account it?" (V, 1), perché dovremmo temere chi lo sappia, quando nessuno può chiamare la nostra potenza a renderne conto?

Adesso questo potere sta dentro tutte le case :"La televisione è diventato un potere incontrollato e qualsiasi potere non controllato è in contraddizione con i princìpi della democrazia"[33].

Gran parte delle trasmissioni televisive, come il tiranno, esige il livellamento delle teste. Quindi ci si pone il problema di come resistere a questa volontà di omologazione tentando salvare la propria autonomia di giudizio. Io mi difendo con l’aiuto dei classici, ma chi non li conosce rimane in balia della pubblicità e della propaganda.

 

Trovo nobile la scelta di non volere comandare né essere comandato. Tale volontà negativa si associa a quella positiva di volere aiutare il prossimo e purtroppo è molto rara.

 

Rientra Buckingham per scusarsi della sua indecisione e reclamare il compenso, ma Riccardo non lo considera.

Piuttosto si rivolge a Stanley la cui moglie è madre di Richmond, un’altra persona assai temuta dal re per delle previsioni che ha sentito sul conto del figliastro di Stanley. Dicevano che sarebbe diventato re .

La madre dunque non deve mandare lettere al figlio: se lo farà, ne risponderà Stanley. Intanto Buckingham insiste, ma Riccardo non gli risponde finché gli domanda: what’s o’ clock? (IV, 2, 106), che ore sono?

In tal mpdo esprime la massima indifferenza per le ripetute istanze del duca cortigiano il quale risponde: “Upon the stroke of ten” (111), stanno per suonare le dieci E Riccardo: “well, let it strike” , bene, lascia che suonino. La più totale noncuranza del cortigiano caduto in disgrazia.

Ma a Buckingham non basta e domanda il perché della risposta sprezzante: “Why let it strike?”

Riccardo lo umilia dell’altro dicendogli: perché come l’automa dell’orologio tu continui a battere betwixt thy begging and my meditation, tra il tuo mendicare e il mio meditare. Quindi: I am not in the giving vein latino vena - today, non sono in vena di regali oggi (114 - 116).

Risposte sprezzanti che preludono all’uccisione della persona spregiata.

 

Un altro caso.

Dopo la battaglia di Isso (333) Dario III offrì ad Alessandro impegnato nell’assedio di Tiro una proposta di pace con la quale gli cedeva l’impero fino all’Eufrate. Allora Parmenione disse che se fosse stato lui Alessandro avrebbe accettato. Il Macedone rispose che anche lui, se fosse stato Parmenione avrebbe fatto così. “kai; aujto;~ a]n, ei[per Parmenivwn h\n, ou{tw~ e[praxen 2, 25, 3), ma era Alessandro. Aggiunse che l’impero già comunque tutto suo. Parmenione verrà fatto ammazzare, come Buckingham.

 

Buckingham si umilia fino in fondo: “May it please you to resolve me in my suit?(116) volete compiacervi di soddisfare la mia istanza?

Il re lo liquida: Thou troublest –L. turba, Cf. Gk. tuvrbh, disorder - me, I am not in vein (117), tu mi secchi, non sono in vena.

Quindi Riccardo esce seguito da tutti tranne Buckingham che, rimasto solo, finalmente si avvede del disprezzo con cui il re lo ha trattato mal ripagando i favori da lui ricevuti: “And is it thus? Repays he my deep service - which such contempt? L. contemptus scorn - Made I him King for this?” (119 - 120), Ah è così? Ripaga i miei preziosi favori con tale disprezzo? L’ho fatto re per questo?

Come poteva pensare che potesse trovarsi della gratitudine nell’anima di un uomo che non aveva esitato a uccidere il poprio fratello e gli aveva proposto di ammazzare i nipoti bambini?

 

Excursus

Il potere assoluto non può essere buono

Nelle Storie di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone alla monarchia il potere del popolo che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn", poi non fa nulla di quanto perpetra l'autocrate: infatti esercita a sorte le magistrature ed ha un potere soggetto a controllo:" uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei"

(III, 80, 6). Erodoto attraverso Otane formula già la teoria, poi riproposta da Polibio, secondo la quale la monarchia degenera inevitabilmente in tirannide. Tra i sette nobili Persiani, quando ebbero parlato anche Megabizo, che propugnava l'oligarchia, quindi Dario, il quale sosteneva la monarchia e l'inevitabilità della degenerazione sia della democrazia sia dell'aristocrazia (III, 82) verso le rispettive forme deteriori, prevalse quest'ultimo con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca.

Allora Otane non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[34].

 Otane nel dibattito costituzionale del terzo libro usa l'espressione pa'san kakovthta che, secondo il nobile persiano fautore dell' ijsonomivh, è conseguenza dell' u{bri", la prepotenza, a sua volta originata dall'invidia e dai beni a disposizione del monarca ( "uJpo; tw'n parevontwn ajgaqw'n", III, 80, 3).

 

Dante individua la presenza del vizio dell'invidia soprattutto nei luoghi del potere:""La meretrice che mai dall'ospizio/di Cesare non torse li occhi putti,/ morte comune, delle corti vizio"[35]. -

 

La prima caratteristica del despota è l'insofferenza dell'opposizione.

La mania della distruzione delle intelligenze fa parte dalla mente autocratica: sappiamo da Erodoto che la scuola dei tiranni insegna a uccidere gli oppositori in generale, e prima di tutti chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza. Periandro di Corinto, quando era ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era scatenata, accolse il suggerimento di Trasibulo di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto..tou;" uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte i cittadini che si distinguevano ( Storie , V, 92 h) . Il despota esperto aveva dato il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato da Corinto a domandargli come si potesse governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe più alte di un campo di grano. Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua malvagità (" ejnqau'ta dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").

Tito Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il Superbo il quale indicò al figlio Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza parole:" rex velut deliberabundus in hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa papaverum capita dicitur baculo decussisse "( Storie, I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice che troncasse con un bastone le teste dei papaveri.

 Il tiranno è invidioso. Infatti L'Invidia personificata da Ovidio "exuritque herbas et summa papavera carpit" (Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei papaveri.

 

 

“Una forte tendenza al rifiuto di obbedire è spesso accompagnata da una tendenza altrettanto forte al rifiuto di dominare e di comandare”[36] .

Sentiamo Bertolt Brecht:

“Io son cresciuto figlio

di benestanti. I miei genitori mi hanno

messo un colletto, e mi hanno educato

nelle abitudini di chi è servito

e istruito nell’arte di dare ordini. Però

quando fui adulto e mi guardai intorno

non mi piacque la gente della mia classe,

né dare ordini né essere servito.

E io lasciai la mia classe e feci lega

Con la gente del basso ceto”[37].

 

Credo di avere riconosciuto un’eco di questa splendida affermazione nel film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere, sosia di Hynkel - Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un discorso che legittimi ed esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch - Goebbels. Ebbene il barbiere non rispetta la parte che gli hanno assegnato e dice: “I’m sorry, but I don’t want to be an emperor. That’s not my business. I don’t want tu rule or conquer anyone”, mi dispiace, ma io non voglio essere imperatore, non è il mio mestiere, io non voglio governare o conquistare nessuno.

E continua: “I should like to help everyone…greed has poisoned mens’s souls”, mi piacerebbe aiutare tutti…l’avidità ha avvelenato le anime umane.

Fine excursus

 

Alla fine della seconda scena del IV atto Buckingham ricorda la decapitazione di Hastings e decide di rifugiarsi nel castello avito di Brecknock nel Galles while my fearful head is on (121 - 122) finché la mia testa pericolante sta sul collo.

 

 

Discorsi contrapposti. Il tiranno buono e il tiranno pessimo. Corso di giugno - luglio

 

Riccardo III scena terza del quarto atto - XIII parte

Aggiunta del 29 giugno

I tiranni sono brutte persone: sadici e impotenti. Pisistrato fa eccezione: è stato un tiranno buono a detta di Aristotele, Valerio Massimo e Dante.

E’ dunque un ossimoro vivente come i falsi sciocchi Bruto e Amleto.

 

Entra Tyrrel inorridito

The tyrannous and bloody act is done” (IV, 3, 1), l’atto tirannico e sanguinario è compiuto.

Gli aggettivi sanguinario e tirannico costituiscono una specie di tautologia.

 

Il tiranno è quasi sempre sanguinario. Pisistrato fa eccezione .

Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi ricorda che Pisistrato amministrava gli affari della città con misura e politicamente piuttosto che tirannicamente – oj Peisivstrato" diw/vkei ta; peri; th;n povlin metrivw" kai; ma`llon politikw`" h] turannikw`", ed era umano e mite anche nei confronti di chi sbagliava filavnqrwpo" kai; pra`o" kai; toi`" ajmartavnousi (16, 2).

 

Valerio Massimo (I sec. d. C.) ricorda che la moglie lo esortava a far giustiziare un giovane che aveva osato baciare la loro figliola incontrata in pubblico. Ed egli rispose: “Si eos qui nos amant interficiemus, quid eis faciemus, quibus odio sumus? ” (Factorum et dictorum memorabilium libri, V, I, str. 2), se ammazzeremo chi ci ama, che cosa faremo a quelli che ci odiano?

 

Infine Dante presenta il mite tiranno di Atene come esempio di mansuetudine nella terza cornice del Purgatorio: quella degli iracondi.

La moglie gli disse:

“Se tu se’ sire de la villa

Del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,

e onde ogni scienza disfavilla,

vendica te di quelle braccia ardite

ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto”

E ‘l segnor mi parea, benigno e mite,

risponder lei con viso temperato:

“Che farem noi a chi mal ne disira,

se quei che ci ama è per noi condannato?” (Purgatorio, XV, 97, 105)

 

Il tiranno è quasi sempre pessimo come Riccardo III

 

La letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che esulta per la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal padre ignobile, a Platone che certamente non risparmia biasimi al turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov".. ejrwtikov".. melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e). Questa considerazione che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà sostiene che" l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere" (p. 144).

 

L’avidità della ricchezza e il potere sono occasioni per la malvagità.

 Come pure per per la stupidità: il Coro dell'Eracle di Euripide dopo la punizione del tiranno Lico afferma che l'oro, e il successo, spingono i mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere ingiusto:" oJ cruso;" a[ t j eujtuciva - frenw'n brotou;" ejxavgetai - duvnasin a[dikon ejfevlkwn" (vv. 774 - 776).

 

Su questa linea si trova anche Platone il quale chiama in causa Omero che ha rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn {Aidou to;n ajei; crovnon timwroumevnou""(Gorgia, 525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"") non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" ( Gorgia,, 526a) quelli malvagi assai.

 

 

Riccardo III. L’uccisione dei bambini e il re sanguinario.

Bambini uccisi, amori calpestati e fiori recisi

Il fiore reciso simboleggia la vita uccisa ante diem.

 

Torniamo al monologo di Tyrrel che all’inizio di questa scena svolge la medesima funzione del messo nella tragedia greca.

Riferisce quanto gli hanno raccontato i due sicari, gli autori della strage che ha destato perfino la pietà (the piteous massacre, IV, 3, 2) dei due incallititi assassini e cani sanguinari - flesh’d villains, bloody dogs (6).

Erano così inteneriti nel raccontare il loro stesso crimine che piangevano come due bambini - wept like two children -

 

Piangere dopo avere commesso un delitto non ne attenua l’efferatezza.

Un caso nella storia è il pianto di Alessando Magno dopo l’assassinio di Clito da lui perpetrato.

Nello scritto giovanile De Alexandri Magni fortuna aut virtute Peri; th'" jAlexavndrou tuvch" h] ajreth'" lovgoi, Plutarco sostiene che nel Macedone prevalse la virtù e la grandezza morale.

Nell’uccisione di Clito a Maracanda in Sogdiana, Uzbekistan (nel 328 a. C.) prevalse la sfortuna.

Arriano disapprova l'assassinio di Clito (Anabasi di Alessandro, 4, 9, 19). Una conseguenza della sua tendenza all'ira e all’ubriachezza ojrgh` te kai; paroiniva (4, 9, 1).

I crimini più gravi secondo giovenale sono quelli compiuti per avidità di denaro.

 

Giovenale sostiene che il delitto passionale è meno grave di quello compiuto per denaro: La pazzia con ira e rabies rendono meno esecrabili i crimini di Medea e Procne, assassine dei propri figli, rispetto ai delitti delle matrone romane perpetrati per denaro o per il potere:"et illae/grandia monstra suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. minor admiratio summis/ debetur monstris, quotiens facit ira nocentem /hunc sexum et rabie iecur incedente feruntur/praecipites… ( satira VI, vv. 644 - 649), anche quelle ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non per denaro. Meno stupore si deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è l'ira a rendere assassino questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio dalla rabbia furiosa che brucia il fegato.

 

Torniamo a Shakespeare. I carnefici ricordano che i due bambini poco prima di essere trucidati si cingevano a vicenda con le loo innocenti braccia di alabastro, their lips were four red roses on a stalk cf. Gk. stevleco", stem - (11 - 12), le loro labbra erano quattro rose rosse sul gambo, un gambo che viene reciso.

 Catullo che con il fiore tagliato simboleggia la propria sensibilità violentata da Lesbia:"nec meum respectet, ut ante, amorem/qui illius culpa cecidit velut prati/ultimi flos , praetereunte postquam/tactus aratro est ", e non si volti a guardare, come prima, il mio amore, che per colpa di lei è caduto come il fiore del ciglio del prato, dopo che è stato reciso dall'aratro che passa oltre ( è l’ultima strofa saffica (vv. 21 - 24) del carme 11).

Il poeta latino riprende Saffo dove i pastori calpestano il giacinto con i piedi e il fiore di porpora cade a terra (ta;n ujavkunqon ejn w[resi poivmeneς a[ndreς - povssi katasteivboisi, cavmai dev te povrfuron a[nqoς kavppese fr. 105 , 4 - 6, Lobel - Page)

Catullo è a sua volta ripreso da Virgilio per l’uccisione di Eurialo : purpureus veluti cum flos succisus aratro - languescit moriens (Aen, IX, 435 - 6), come il fiore purpureo quando reciso dall’aratro languisce morendo.

Le labbra dei bambini si baciavano prima che venissero assassinati

I due sicari hanno un momento di scrupolo, poi un attimo di rimorso per cui non finirono il racconto a Tyrrel e se ne andarono to bear this tidings to thr bloody king, a portare questa notizia al re sanguinario (IV, 3, 22)

 

 

Riccardo III. Il corteggiatore prima compunto, ora giulivo.

 

 Aggiunta Il corteggiamento (Ovidio) L’espropriazione più dolorosa è quella del tempo, il bene più grande nella nostra vita.

 

Entra Riccardo, e Tyrrel lo rassicura: “be happy then, for it is done” (IV, 3, 26) siate felice allora, siccome è stato fatto.

Questa felicità ga venire in mente quella degli imprenditori sanguinari che manifestarono la loro gioia per il terremoto dell’Aquila.

Riccardo promette laute ricompense per l’opera “buona” effettuata.

Tyrrel esce e il re sanguinario, parlando da solo, si compiace di quanto ha già fatto e di quello che sta per fare: il figlio di Clarence è rinchiuso, la figlia fatta sposare a un oscuro consorte (come fece Astiage con la figlia Mandane, si è già detto), i principi figli del re Edoardo IV riposano nel grembo di Abramo, la moglie Anne hath bid this world good night - 39 - ha dato la buona notte a questo mondo.

Gli resta da sposare la giovane nipote Elisabetta, figlia di Edoardo IV e della vecchia Elisabetta, per essere del tutto sicuro della corona.

To her go I, a jolly thriving wooer” (43), da lei vado, giulivo, prospero corteggiatore.

 

Corteggiare significa anche recitare. Quando corteggiava Anne in gramaglie Riccardo seguiva questo precetto di Ovidio maestro di corteggiamento: “est tibi agendus amans imitandaque vulnera verbis ( Ars amatoria 1, 609)", devi fare la parte dell'innamorato e con le parole simulare le ferite

Ora the bloody king si appresta a recitare in un altro ruolo, vedremo come.

 

Il corteggiamento è una prova di intelligenza, una delle prove pincipali una gara non facile , anzi ajgw;n mevgisto" (Euripide, Medea, v. 235), gara massima perché il premio del successo è l’amore.

Nel caso del desiderio veramente sentito Ovidio consiglia di non dissimularne la forza che nutre la facondia: è il rem tene verba sequentur di Catone trasferito in campo erotico:"fac tantum cupias, sponte disertus eris " (Ars Amatoria , I, 608), pensa solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo.

Mi sta a cuore l’argomento perché appartengo a una generazione di ex giovani che si sentivano in difetto se non corteggiavano ogni donna: dalla mamma a tutte le altre via via incontrate. Se la cosa veniva fatta con intelligenza, eleganza e delicatezza non dispiaceva a loro, alle donne, anzi. Ora corteggiare, come studiare come non ingozzarsi, non sprecare come ogni azione naturale e umana viene per lo meno biasimata.

 

Ma torniamo a Shakespeare.

Entra Ratcliff, precipitosamente, portando notizie non buone: Morton, il vescovo di Ely - quello delle fragole - è fuggito da Richmond e Buckingham spalleggiato da duri Gallesi sta mettendo insieme un esercito di ribelli.

Riccardo è più preoccupato della defezione del vescovo.

Decide di reagire subito: “Delay leads impotent and snail - pac’d beggary - (53), differire porta alla miseria impotente e dal passo di lumaca.

 

La burocrazia elefantiaca è progettata proprio per far perdere tempo alle persone comuni, i semplici cittadini, come si dice.

Il tempo è il bene più prezioso che abbiamo, come afferma più volte Seneca, e le persone di potere, togliendolo a chi potere non ha, accresce le distanze tra chi comanda e chi subisce. Negli ultimi anni del mio impiego nella scuola aumentavano sempre più gli impegni inutili ai fini dell’insegnamento, le ore sottratte allo studio di chi avrebbe dovuto, alcuni anche voluto, passare i pomeriggi imparando per sé e per gli allievi. Tutto calcolato al fine di degradare la scuola. Una degradazione, l’ho già detto più volte, che fa cadere le funivie, crollare i ponti, deragliare i treni, sbagliare le diagnosi.

I potenti non vogliono perdere tempo però vogliono farlo perdere ai sudditi.

 

 

Riccardo III. Il lamento di donne private di figli e mariti. XVI

 

Aggiunta

Il contrappasso. “Che cosa ti distrugge?” “La mente: perché so di avere compiuto cose terribili”.

Lo scioglilingua funenbre della regina Margherita alla duchessa di York: male su male si posa, assassnato su assassinato.

 

 

“Orbate - spose dal brando, e vergini - indarno fidanzate; - madri che i nati videro - trafitti impallidir ( Manzoni, Adelchi, secondo coro -

 

Inizia la IV scena del quarto atto

Entra la vecchia regina Margherita vedova del re Enrico VI e madre di Edoardo principe di Galles uccisi da Riccardo.

Dice che la prosperità comincia a invecchiare e a cadere disfacendosi nella bocca marcia della morte into the rotten mouth of death (IV, 4, 2) .

 

Si può dire lo stesso della vecchiaia di questo capitalismo che arricchisce i pochi già straricchi e riduce alla miseria i moltissimi poveri sempre più poveri.

E intanto avvelena il pianeta dove viviamo.

Se non rimedia a questo sfacelo dovrà fare i conti con la disperazione dei miserabili .

 

Margherita è rimasta nascosta per assistere al tramonto dei suoi nemici.

Spera di vederli cadere.

Quindi entrano la duchessa di York, la madre di Riccardo, e la regina Elisabetta, la vedova di Edoardo IV, altro figlio della duchessa, morto da poco.

Margherita si apparta.

Elisabetta compiange i figli Edoardo e Riccardo fatti ammazzare dal cognato il duca di York diventato re Riccardo III uccidendo il nipote Edoardo legittimo erede. I medesimi nomi ritornano, come gli stessi delitti.

La duchessa di York chiede ai nipoti morti - my unblow’d flowers - , i miei fiori non sbocciati (IV, 4, 10) di librarsi sopra di lei con le loro ali aeree e di ascoltare i suoi lamenti (IV; 4, 13 - 14)

Margherita, a parte, corregge questa preghiera suggerendo ai bambini morti di dire alla nonna che giustizia per giustizia - right for right L. rectus - (15) ha gettato il mattino della loro infanzia nell’oscurità di una notte antica.

I bambini erano innocenti ma probabilmente Shakespeare pensava al topos della ereditarietà della colpa. In queste stirpi maledette, i Plantageneti come i Pelopidi di Micene e i Labdacidi di Tebe, nessuno nasce esente da colpe.

 

A proposito dei Pelopidi sentiamo Seneca

Nel Thyestes Megera aizza l'ombra di Tantalo perché scateni l'ira tra i suoi discendenti e si crei la compiuta peccaminosità:"Nihil sit, ira quod vetitum putet:/fratrem expavescat frater, et gnatum parens/gnatusque patrem; liberi pereant male/peius tamen nascantur; immineat viro/infesta coniux; bella trans pontum vehant;/effusus omnes irriget terras cruor,/supraque magnos gentium exultet duces/libido victrix; impia stuprum in domo/levissimum sit fratris; et fas et fides/iusque omne pereat. Non sit a vestris malis/immune coelum" (vv.39 - 49), non ci sia niente che l'ira consideri vietato: il fratello tema il fratello, il padre il figlio, il figlio il padre; i figli muoiano e nascano anche peggio; la moglie ostile minacci il marito; portino guerre di là dal mare; il sangue sparso bagni tutte le terre, e la libidine vincitrice salti sopra ai grandi capi dei popoli; nell'empia famiglia l'incesto del fratello sia una lievissima colpa; e le leggi divine, la lealtà, ogni diritto umano perisca. Nemmeno il cielo sia esente dai vostri mali.

 

Lucrezio identifica l’età peggiore con il tempo delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.

L’età dei Plantageneti dunque è un’era di totale peccaminosità come l’età del ferro descritta da Esiodo Nelle Opere e giorni il poeta afferma che nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che invecchiano, useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d j ejn cersiv , v. 192) e se ne andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto e Pudore, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi sarà più scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).

 

Nell’ultima scena del Riccardo III, Richmond, il vincitore, dirà:

come abbiamo solennemente giurato

We will unite the white rose and the red., uniremo la rosa bianca e la rossa York e Lancaster furono divisi dall’odio : the brother - fravthr - frater - blindly shed - the brother’s blood; - the father pathvr - pater - rashly slaughter’d his own son - Gk. uiJovς - ;/the son compelled - Lat. compello - been butcher to the sire” (V, 5, 524 - 26) il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello, il padre ha sconsideratamente macellato il proprio figlio; il figlio è stato costretto a farsi macellaio del padre.

All this divided - divĭdo - divīsit York and Lancaster/ - in their dire - deinovς - dirus - division” (27 - 28) tutto questo divise York e Lancaster contrapposti nella loro crudele rivalità.

Lucrezio identifica l’età peggiore, quella della compiuta peccaminosità, con il tempo delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.

 

Ma torniamo alla quarta scena del quarto atto del Riccardo III. La duchessa madre di Riccardo e di Edoardo rimpiange il figlio (o il nipote) Edoardo Plantageneto.

Margherita dice, ancora a parte, che un Plantageneto ucciso salda il conto per l’assassinio di un altro Plantageneto ammazzato: Edward, for Edward pays a debt (21), Edoardo paga un debito per un Edoardo. Il secondo era un figlio di Margherita ammazzato da Riccardo.

 

E’ il contrappasso

Nell’Oreste di Euripide (vv. 395 - 396), a Menelao che gli domanda τί χρμα πάσχεις; τίς σ’ πόλλυσιν νόσος;, “che cosa soffri? quale malattia ti distrug­ge?”, il nipote risponde σύνεσις, τι σύνοιδα δείν’ εργασμένος, “l’intelligen­za, poiché sono consapevole di avere commesso cose terribili”. Oreste dunque è reso sofferente dalla propria σύνεσις (v. 396). Menelao gli ricorda la legge del contrappasso per cui deve soffrire (v. 413): ο δειν πάσχειν δειν τος εργασμένους, “non è terribile che patiscano conseguenze tremende quelli che hanno compiuto atrocità”. “Febo mi ha ordinato di ammazzare mia madre” si giustifica Oreste, “ma – replica Menelao – ignorando troppo il bene e la giusti­zia”. “Noi siamo servi degli dèi – fa il nipote (v. 418) – qualunque cosa siano gli dèi”, δουλεύομεν θεος, τι ποτ’ εσν ο θεοί.

Nell’Eracle di Euripide Anfitrione indirizza queste parole a Lico inconsapevolmente incammi­nato verso la morte (vv. 727 - 728): προσδόκα δ δρν κακς / κακόν τι πράξειν, “aspettati facendo del male di averne del male”.

 

Il contrappasso si trova anche nell’Orestea di Eschilo. Nel doloroso canto (kommós) che precede l’epilogo dell’Agamennone (vv. 1562 - 1564), il Coro dice queste parole: “paga chi uccide”, κτίνει δ’ καίνων, “rimane saldo, finché Zeus rimane sul trono, che chi ha fatto subisca: infatti è legge divina”, μίμνει δ μίμνοντος ν θρόνω/ Δις / παθεν τν ρξαντα· θέσμιον γάρ. C’è una ripresa di questo nel kommós delle Coefore (vv. 313 - 314): δράσαντα παθεν, / τριγέρων μθος τάδε φωνε, “subisca chi ha agito, un detto tre volte antico suona così”.

 

Elisabetta, la nonna dei bambini uccisi, rivendica come Ecuba nelle Troiane di Euripide di incarnare la somma del dolore, il sommo dolore e vorrebbe morire.

 

Subito dopo però Margherita chiede la priorità della pena antica per sé.

Dice alle altre due di contare di nuovo i loro dolori considerando i suoi.

Quindi eleva un lamento che sembra uno scioglilingua

““io avevo un Edoardo[38] finché un Riccardo non lo uccise, io avevo un marito finché un Riccardo non lo uccise; tu avevi un Edoardo finché un Riccardo non lo uccise, tu avevi un Riccardo[39] finché un Riccardo non lo uccise” (IV, 4, , 41 - 44).

E’ l’eterno lamento delle madri e delle mogli orbate di figli e mariti dalle guerre combattute per l’avere e per il potere.

 

Nella prima Ode del primo libro[40] Orazio si differenzia dai molti uomini cui piace la vita mililare e le guerre maledette dalle madri:" bellaque matribus/ detestata" (vv. 24 - 25).

 

 

Riccardo III - Riccardo quale cane, ragno, rospo. La rana lontana

Bestie malfamate e animali reputati. - XVII

 

L’ex regina Margherita parla in un delirio simile a quello di Cassandra nelle tragedie Agamennone di Eschilo e Agamennone di Seneca.

Si scaglia prima contro la madre di Riccardo: “dalla tana del tuo ventre - le dice - è sortito un cagnaccio infernale che dà a noi tutti una caccia mortale (IV, 4, 46 - 47) un cane che prima degli occhi ebbe i denti to worry lambs, and lap their gentle blood (50) per azzannare gli agnelli e lappare il loro dolce sangue.

Le dimore di queste mogli e madri di re grondano sangue come il palazzo di Agamennone dove Cassandra grida: “Venere fata. Sanguinem extremae dapes , - domini videbunt et cruor Baccho incidet” (Seneca, Agamennone, 885 - 886), il destino è arrivato. Le ultime portate vedranno il sangue del padrone e dal corpo cadrà sul vino.

Nell’Agamennone di Eschilo Cassandra condotta da Clitennestra alla dimora degli Atridi grida ajndrosfagei`on kai; pevdon rjanthvrion (1092) mattatoio di uomini e suolo bagnato di sangue.

 

Margherita prosegue chiamando Riccardo excellent grand tyrant of the earth (51) straordinario, grandioso tiranno della terra, turpe sfregiatore della creazione divina che venne sguinzagliato dal grembo della duchessa di York accusata quale madre di questo carnal cur (56) cagnaccio carnivoro che strazia la prole della madre così costretta a sedere sul banco dei lamenti accanto alle altre donne da lui orbate.

Il tiranno è un mostro anche nella storia (lo abbiamo indicato in Erodoto e Livio), nelle tragedie come p. e. Lico nell’Eracle di Euripide e in Platone.

 

Nella Repubblica di Platone, Er ricorda il grande (nel male) Ardieo ( jArdiai`o~ oJ mevga~, 615 c). Costui era diventato tiranno in una città della Pamfilia, mille anni prima, e aveva ucciso padre, fratello, non senza molte altre scelleratezze. Chi l’aveva incontrato disse che quell’orribile criminale non sarebbe mai arrivato nel prato del consesso festoso. Infatti era uno di quelli così inguaribilmente malvagi (ti~ tw`n ou{tw~ ajniavtw~ ejcovntwn eij~ ponhrivan, 615c) che non potevano mai risalire dal Tartaro. La maggior parte di questi incurabili erano tiranni. Quando si avvicinavno alla bocca d’uscita, questa emetteva un muggito (ejmuka`to). Allora intervenivano uomini a[grioi, diapuvroi ijdei`n (615 e) selvaggi, infuocati a vedersi che afferravano tali delinquenti e li portavano via. I pessimi come Ardieo , venivano legati mani, piedi e testa, buttati a terra, scorticati, trascinati fuori strada su piante spinose e rigettati nel Tartaro.

La duchessa chiede a Margherita di non esultare sugli affanni suoi perché ha pianto per quelli di lei.

Margherita le chiede di avere pazienza: “I am hungry for revenge” (61), sono affamata di vendetta. L’ybris presente nella stirpe dei Plantageneti ha prodotto messi di odio, dolore e lacrime.

Margherita torna a nominare vittime e carnefici dallo stesso nome - Edoardo - e dalla stessa sorte. Sono morti anche molti spettatori di tante uccisioni. Rimane però in vita Riccardo hell’s black ientelligencer (71) il tenebroso agente segreto dell’inferno. Si pensi alle stragi perpetrate in Italia. Lo hanno mandato sulla terra per comprare anime e spedirle laggiù.

Ma la terra già spalanca la bocca earth gapes - la bocca spalancata significa il Caos - cavskw=sto a bocca aperta - , l’inferno brucia, i diavoli ruggiscono, i santi pregano per la rimozione di questo demone dalla terra.

Cfr. il caso di Ardieo nel mito di Er citato sopra.

Margherita spera di vivere abbastanza da poter dire: “The dog is dead” (78), il cane è morto. Mi è congeniale il fatto di reputare male i cani che considero per lo meno fastidiosi e spesso pericolosi.

Voglio dunque supportare questa antipatia che mi rende antipatico ai cinofili citando anche un moderno.

In una tragedia dell’elisabettiano leggiamo una nenia funebre cantata da Cornelia "in vari modi di follia", sul cadavere del figlio Marcello, ucciso dal fratello Flaminio:" chiamate il pettirosso e lo scricciolo, che volano sopra i boschetti ombrosi, e con foglie e fiori coprono i corpi soli al mondo degli insepolti. Chiamate al suo lamento funebre la formica, il topo dei campi e la talpa, che levino mucchi di terra per tenerlo caldo e quando le ricche tombe vengono depredate non soffra danno: ma tenete lontano il lupo, che è nemico degli uomini, altrimenti con le sue unghie li dissotterrerà (But keep the wolf far hence, that's foe to men,/For with his nails he' ll dig them up again)"[41].

Devo aggiungere T. S. Eliot che ha inserito gli ultimi due versi - cambiando la parola "wolf" (lupo) in "dog" (cane), e la parola "foe" (nemico) in "friend" (amico) - nella prima parte di The Waste Land, (vv. 74 - 75).

Io credo invece che il cane grosso e male educato dal padrone ad aggredire gli uomini non sia amico dell’uomo più del lupo. Per lo meno non sono mai stato inseguito da lupi, da cani inferociti diverse volte. Ma Dio mi aiutò e mi salvò.

 

Vediamo alcune parole di Elisabetta, la moglie del re morto Edoardo IV. Vi compaiono due altri animali mal reputati. La cognata di Riccardo lo definisce that bottled spider, the foul bunch - back’d toad (IV, 4, 81), quel ragno tumefatto, quello schifoso rospo gobbo. I ragni non mi piacciono, ma non li ammazzo, mentre se avessi avuto una rivoltella mi sarei difeso con questa dai cani inseguitori inferociti e assetati del sangue mio preso per Atteone, il cugino di Penteo, sbranato, appunto, dai cani

Le rane invece mi sono simpatiche perché le associo alla stagione bella a una commedia di Aristofane, alla poesia di Teocrito, Leopardi e D’Annunzio. Poi perché come dicono questi poeti sono animali discreti, che rimangono lontani.

 

La rana lontana

Il coro secondario delle rane di Aristofane comincia a fare il suo verso, il canto libero della natura

Dioniso cerca di fare tacere il coax, ma quelle continuano come nei bei giorni di sole o quando feuvgonteς o[mbron (Rane, 246), fuggendo la pioggia nel fondo ejn buuqw'/ intonano un’acquatica aria di danza. Le rane stanno in fondo, lontane come la verità.

 

In Teocrito, la rana canta thlovqen da lontano (Idillio VII, Talisie 140)

 

Leopardi: “ascoltando il canto/della rana rimota alla campagna” (Le ricordanze 12 - 13)

 

In La pioggia nel pineto di D’Annunzio“la figlia/ del limo lontana/ la rana/ canta nell’ombra più fonda” 90 - 93

 

 

Riccardo III - Le due ex regine. XVIII

 Margherita a Elisabetta: regina dipinta.

Imagines fictae. Un’aggiunta tratta da La strada di Swann di Proust.

 

Quindi: madre per beffa, regina per burla, fatta per riempire la scena.

 

 

Segue una tirata dell’ex regina Margherita che annichilisce la regalità dell’ex regina Elisabetta. Ora sono due disgraziate ma pure da regine erano due povere donne

Ricordo che Margherita era la moglie di Enrico VI Lancaster che regnò fino al 1471 quando venne ucciso da Edoardo IV di York marito di Elisabetta e fratello di Riccardo che succedette al fratello uccidendone i figli maschi e regnò dal 1483 al 1485.

Margherita dunque chiama Elisabetta “poor shadow, painted L. pingere - picta - queen” (IV, 4, 83), povera ombra, regina dipinta.

 

Nell’Elettra di Euripide il coro, composto da contadine argive considera Elena regina di Sparta pollw`n kakw`n aijtivan (v. 213) causa di molti mali. Oreste ne svaluta pure bellezza: le carni vuote di intelletto, dice, sono ajgavlmat j ajgora`~ (v. 388), statue di piazza.

 

Margherita seguita ad annientare l’altra ex regina Elisabetta: “sei stata una sollevata in alto per essere buttata giù”.

Cfr. Seneca

Al culmine della sua carriera di a[nax Agamennone - il gran duca dei Greci - . mostra di avere coscienza della probabile caduta rovinosa per chi è salito in alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento obrui/ vincendo didici. Troia nos tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa cecidit " (Seneca, Troiane, vv. 258 - 266), nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura; e quanto più la Fortuna ha levato in alto la potenza umana, tanto più il fortunato fa bene a trattenersi e paventare le varie cadute temendo gli dèi che lo favoriscono troppo. Vincendo ho imparato che i grandi regni vengono sepolti in un attimo. Troia ci rende troppo superbi e spietati? Noi Danai stiamo in piedi nel luogo dal quale quella è caduta.

 

Troviamo un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57 - 58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro. Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (Agamennone, vv. 101 - 104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.

 

Altre parole di Magherita per annichilire la passata, presunta grandezza di Elisabetta: “a mother only mock’d with two fair babes (VI, 4, 87), madre solo per beffa di due bambini amabili, a dream of what thou wast (88) sogno di quello che fosti.

 

Del resto la vita di tutti noi mortali viene assimilata più volte a quella dei sogni.

Prospero afferma:" We are such stuff - as dreams are made on, and our little life - is rounded L. rotundus with a sleep "(The tempest [42]IV, 1, 156 - 158), noi siamo fatti di una materia simile a quella dei sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno.

 

A volte mi chiedo se le storie d’amore che ho raccontate, in particolare, le tre più felici, quelle con Elena, Kaisa, Päivi, non siano stati dei sogni. Belli assai ma solo dei sogni.

Le prime due in particolari perché non sono andate a male come tutte le rimanenti. Infatti se marcisce la regalità come altre cose umane anche tanti amori, soprattutto se fasulli, cadon nella bocca marcia della morte. into the rotten mouth of death (cfr. IV, 4, 2 citato sopra).

 

A questo popositto sentiamo Ovidio che di amori si intende

Il maturare o il marcire dell’amore

Se l'amore può diventare una malattia anche grave, bisogna capire presto quale legame diventerà deleterio e togliergli il tempo:"Nam mora dat vires: teneras mora percoquit uvas/et validas segetes, quae fuit herba, facit " (Remedia amoris, vv. 83 - 84), infatti il tempo fornisce le forze: il tempo fa maturare bene le uve acerbe e rende spighe rigogliose quella che era erba.

Il tempo porta a maturazione i frutti dei campi e pure quelli della sventura, dunque, prima di offrire il collo a un giogo amoroso bisogna prevederne gli sviluppi:"Quale sit quod amas, celeri circumspice mente,/et tua laesuro subtrahe colla iugo " (vv. 89 - 90), abbraccia con rapido sguardo la qualità di quello che ami, e togli via il collo da un giogo che potrà ferirti.

Cosa che lo Swann di Proust non fece: “Un’ora dopo ricevette un biglietto di Odette”.

Aveva cercato di imporre “una parvenza di disciplina a certi caratteri informi che per occhi meno parziali avrebbero forse notato il disordine della mente, l’insufficienza della educazione, la mancanza di franchezza e di volontà. Swann aveva scordato da Odette il suo portasigarette: “aveste scordato anche il vostro cuore, non vi avrei lasciato riprenderlo” (La strada di Swann, Parte seconda, Un amore di Swann, p. 237)

 

Margherita continua: a queen in jest, only to fill the scene (91) regina per scherzo, solo per riempire la scena.

 

 Quanti cosiddetti o presunti pofessori, studiosi, intellettuali, registi, giornalisti, scrittori sino tali? Tanti, davvero tanti.

Nel Macbeth (1606) il protagonista afferma:"Life's but a walking shadow; a poor player , - that struts and frets his hour upon the stage, - and then is heard no more: it is a tale - told by an idiot, full of sound and fury - signifying nothing " (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sul palcoscenico nella sua ora, e poi non se ne parla più, è una storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e foga, che non significa nulla.

Cfr. anche Misura per misura (1603) dove il duca suggerisce a Claudio di rivolgersi alla vita dicendole: “thou art death’s fool” (III, 1, 11) tu sei lo zimbello della morte, quindi “Thou hast nor youth nor age; - but, as it were, an after - dinner sleep - dreaming on both” ( III, 1, 32 - 34), tu non hai giovinezza né vecchiaia, ma è come se dormissi dopo pranzo sognando entrambe queste età.

T. S. Eliot ha impiegato queste parole come epigrafe preposta a Gerontion

Infine Amleto dichiara che l’uomo considerato da molti a piece of work per lui è quintessence of dust (II, 2) quintessenza di polvere.

 

Torniamo alla demolizione di Elisabetta da parte di Margherita

Tutti i suoi privilegi di regina si sono rovesciati: mentre ricevevi suppliche, ora devi umilmente supplicare (IV, 4, 100), eri temuta da molti e ora temi uno solo. “thus hath the course of justice whirl’d about” (105), così ha virato il corso della giustizia e ti ha ridotta a preda del tempo.

Nella prima scena di Love’s Labour’ s lost[43], Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.

 

Dopo avere usurpato il mio posto non usurpi ora la giusta parte del mio dolore (IV, 4, 109 - 110) seguita Margherita. Ora il pesante giogo del dolore grava sui colli di entrambe, Margherita però vuole lasciarne tutto il carico a Elisabetta, leave the burden of it all on thee e recarsi a sorriderne in Francia

Elisabetta le chiede restare un poco e insegnarle a maledire i suoi nemici, esperta com’è in maledizioni

O thou, well skill’d in curses, stay awhile - and teach - Allied to Gk. deivknumi - me how to curse mine enemies. (116 - 117)

 

 

Shakespeare Riccardo III .

Madri che maledicono il proprio parto. XIX

La duchessa di York e Medea.

The clamorous report della guerra, il suo rimbombo assordante, deve coprire le voci del dissenso come oggi quello della pubblicità

 

Le due ex regine Elisabetta e Margherita cercano parole taglienti, non ottuse - dull - , per maledire gli assassini.

Interviene la terza donna anziana orbata dei figli, la duchessa di York madre del maximus sceleratus Riccardo, e domanda:

Why should calamity L. acc. calamitatem misfortune - be full of words? (Shakespeare, Riccardo III, IV, 4, 126) perché la calamità dovrebbe essere piena di parole?

Bravo nel parlare e nello scrivere si associa a brevis, insegna Orazio: quidquid praecipies esto brevis, ut cito dicta - percipiant animi dociles teneantque fideles (Ars poetica, 335 - 336), qualunque cosa vorrai comunicare, sii breve, affiché le menti disposte a imparare apprendano presto quanto hai detto e lo mantengano fedelmente.

 Ora si fanno chiacchiere infinite su problemi veri e pure falsi senza risolverne alcuno. Fiumi di parole inconcludenti su tragedie orribili e su sciocchezze irrilevanti affinché nulla cambi.

 

Elisabetta replica che la verbosità può servire ad alleviare il cuore.

Credo che coloro i quali parlano in continuazione non sopportano il prossimo, non vogliono ascoltarlo, né sopportano se stessi: le vuote ciance servono a tenersi lontano dalle persone, dai problemi reali e dalle poprie sventure.

 

La duchessa dà ragione a Elisabetta e le chiede di dare fiato alla tromba e non lesinare invettive: be copious in exclaims (135) contro my damned son (134) il figlio mio maledetto.

 

Entra Riccardo con il suo seguito. Vengono avanti con tamburi e trombe

Il re usurpatore domanda chi è che cerca di arrestare la sua marcia.

La duchessa che l’ha messo al mondo risponde che è quella stessa che avrebbe dovuto arrestare la tua marcia strangolandoti nel suo ventre maledetto - by strangling - L. strangulare. - Gk. straggaluvein, straggalivzein - thee in her accursed womb” 138 in modo che avrebbe sbarrato la via a tutte le stragi commesse dallo sciagurato wretch (IV, 4, 139.

.

La maternità fallita suscita in questa donna come in Medea l’ira contro il proprio ventre

Medea pensa di incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la propria femminilità:"Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis, anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris pelle femineos metus (Seneca, Medea, vv.40 - 43) attraverso le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa mentalmente il Caucaso inospitale.

 

E più avanti, quando Giasone la supplica di risparmiare almeno il secondo figlio, Medea risponde:

se nel mio ventre materno si nasconde ancora qualche pegno "scrutabor ense viscera, et ferro extraham" (v. 1011 - 1012), mi frugherò le viscere con la spada e con il ferro lo tirerò fuori.

 

Le donne ora non fanno figli anche per i troppi orrori cui assistono. A questi potrebbe porre freno solo una cultura diversa, impartita dalla scuola e dalla televisione ma si continua a insegnare che quello che davvero conta è soltanto il denaro per comprare di tutto anche quanto avvelena l’umanità e il pianeta.

 

Elisabetta domanda a Riccardo se creda con la corona di nascondere i segni di infamia che dovrebbero essere impressi sulla sua fronte.

La madre gli chiede dove sono Clarence e il figlio di lui Edward Plantageneto, poi dov’è Hastings. Solo alcune delle sue vittime.

 

Riccardo non risponde ma ordina di suonare le trombe e colpire i tamburi: let not the heavens hear these tell - tale women - (150) non permettete che i cieli odano queste donne chiacchierone mentre inveiscono contro l’unto del signore.

Vuole annegare gli improperi sotto il rimbombo assordante della guerra.

Durante le trasmissioni televisive, quando una rara avis prova a muovere critiche ragionate a questo sistema, viene interrotto dal conduttore che ha ricevuto l’ordine di mandare in onda the clamorous report (153) il rimbombo assordante della pubblicità che è comunque una guerra: alla sobrietà alla temperanza, allo stile, alla bellezza, alla cultura

 

 

Riccardo III. Il colloquio di Riccardo con la madre. XX

Le sofferenze del parto. L’affitto del ventre materno

 

Aggiunta del 30 giugno 2021 What bloody man is that? (Macbeth, I, 2, 1), chi è quell’uomo insanguinato?

Quindi la duchessa di York a suo figlio Riccardo III: “Bloody thou art, bloody will be thy end” (Riccardo III, IV, 4, 195 ), sanguinario tu sei, sanguinaria sarà la tua fine.

E Clitennestra a Egisto: “hjmatwvmeqa”, siamo coperti di sangue (Eschilo, Agamennone, 1658)

Infine Ecuba :"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (Euripide, Ecuba, v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.

 

Dedicato alle ragazze barbaramente uccise da ragazzi del tutto carenti di umanità e di educazione anche scolastica sostituita dalla mala educazione pubblicitaria al consumo di tutto. Il consumo smisurato si associa alla distruzione, alla guerra, alla morte.

 

La duchessa di York pone a Riccardo una domanda che per lo meno dal punto di vista biologico è retorica: “Art thou my son?” (IV, 4, 155), sei tu mio figlio?

Sembra preludere a una richiesta di rispetto. Vedremo da questo dialogo che la propria madre è la persona più rispettata da Riccardo. Questo fatto lo fa assomigliare un poco a Coriolano.

Riccardo in effetti risponde: “Ay, I thank God, my father, and yourself” (156), sì grazie a Dio, a mio padre e a voi stessa.

Il ringraziamento a Dio e ai genitori per la propria vita viene fatto quando la vita pare arridere.

La madre chiede al figlio di ascoltare con pazienza la sua impazienza. Non prende la mano che il figlio le ha teso.

Riccardo cerca ancora una conciliazione con sua madre facendole notare che è simile a lei: “Madam, I have a touch of your condition, - that cannot brook the accent of reproof” (158 - 159), Signora, ho un tratto del vostro carattere, che non può sopportare il tono del rimprovero.

Ma la madre è dura quanto lui, ancora di più, e vuole, appunto, rimproverarlo

O let me speak”, oh, lasciami parlare.

Riccardo capisce che sta per dirgli non bona dicta e ribatte “parlate allora, ma non vi ascolterò” (160)

La duchessa promette: “I will be mild and gentle in my words” (161), sarò mite e gentile nelle mie parole. L’attrice dovrà fare questa battuta con il tono del sarcasmo, lasciando intendere “per quanto è possibile con il demonio”. Lo ricavo dalle parole successive della duchessa di York.

Ma prima Riccardo dice: And brief, good mother, for I am in haste (162) e breve, buona madre, perché ho fretta.

Con questa battuta dà un altro segno di essere simile a sua madre che poco prima aveva biasimato il fatto che la calamità fosse piena di parole - full of words (126 citato sopra).

La duchessa risponde polemicamente al figlio facendogli notare l’ingratitudine della sua fretta mentre lei lo ha aspettato, dio sa con quanto tormento e angoscia. Penso che si riferisca al parto e ai nove mesi che lo precedono. Le madri almeno in letteratura lo fanno spesso.

 

Olimpiade scriveva male di Antipatro cercando di screditarlo agli occhi di Alessandro il quale diceva che la madre esigeva un affitto pesante (baru; dh; to; ejnoivkion tw'n devka mhnw'n, Arriano, 7, 12, 6) per i nove mesi nei quali lo aveva tenuto in grembo.

 

 Le sofferenze del parto

La Medea di Euripide afferma di preferire la guerra al parto inaugurando un tovpo" che arriva alle soldatesse di oggi.

Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre loro combattono con la lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo/ preferirei stare che partorire una volta sola. ( Medea, vv. 248 - 251).

 

Ennio (239 - 169 a. C.) traduce i versi di Euripide quando fa dire alla sua Medea exul :"nam ter sub armis malim vitam cernere/quam semel parĕre”, infatti preferirei decidere la vita sotto le armi tre volte che partorire una volta sola.

 

Le sofferenze del parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì:"oujk i[son kamw;n ejmoi; - luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531 - 532). Qui il seminare conta meno del partorire, diversamente dalle Eumenidi di Eschilo.

 

Più avanti Clitennestra viene a sapere che Oreste è morto in una gara di carri. La notizia è falsa ma la madre la crede vera. Quindi chiede a Zeus che cosa significhi questo - tiv tau'ta; 766 ,

 Se sia una fortuna o una cosa tremenda, ma utile (povteron eujtuch' legw - h] deina; me;n, kevrdh dev; 766 - 7677). Comunque è penoso se mi salvo la vita a prezzo dei miei lutti commenta (768).

Il pedagogo le domanda perché sia così turbata e Clitennestra risponde

deino;n to; tivktein ejstivn ( Sofocle, Elettra, 770), partorire è tremendo, e di fatto neppure a quella che subisce del male sopravviene odio per i figli che ha partorito oujde; ga;r kakw'" - pavsconti mi'so" wn tevkh/ prosgivgnetai (771)

 

Nelle Fenicie di Euripide la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di' wjdivnwn gonaiv, - kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355 - 356), sono terribili per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche modo amante dei figli.

Giocasta lo è stata anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.

 

Nell' Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola, ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga - pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917 - 918), tremendo è partorire e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.

Partorire dunque è una delle cose tremende (ta; deinav).

 

Tanto più perché il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus di Seneca, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388 - 389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.

 

Torniamo a Shakespeare.

Riccardo domanda, forse con ironia, ma non ne sono tanto sicuro: “and came I not at last to comfort you?” (165) e non sono venuto dopo tutto a consolarvi?

 

Sentiamo ora la tirata ella duchessa contro il figlio

Gli dice “sei venuto sulla terra per farne il mio inferno: to make the earth my hell (167). Quindi ne rievoca la vita tutta piena di affanni per lei e per chiunque stesse vicino a Riccardo: la sua nascita fu a grievous burden (168) un penoso fardello per la madre, l’infanzia capricciosa e ribelle, gli anni di scuola paurosi, sfrenati, selvaggi, furiosi, la prima giovinezza ardita, temeraria, avventurosa. Fin qui la madre è quasi elogiativa con il figliolo. Ricorda le prime parti dei sette atti della vita ( Cfr. As you like it II, 7),

Più negativa diventa la maturità: “Thy age confirmì’ d, proud, subtle, sly, and bloody (172), la tua età matura orgogliosa, subdola, scaltra e sanguinaria; più quieta, ma più nociva e gentile nell’odio.

Quale ora di consolazione dunque può esserci stata nella sua compagnia?

Riccardo risponde da loico: onestamente nessuna, ma se sono così privo di grazia agli occhi vostri, signora, lasciate che prosegua la mia marcia senza offendervi.

La madre chiede al figlio di ascoltarla ancora per poco. Poi non si vedranno più

Duchess: Hear me a word, for I shall never speak to thee again.

Richard: So (IV, 4, 181 - 182)

Riccardo le fa notare che parla too bitterly (180) troppo amaramente

Sembra chiedere aiuto alla madre, una sua benedizione.

 

Invece la duchessa lo maledice: “take with thee my most grievious curse (188), prendi su di te la mia maledizione più pesante: che il giorno della battaglia ti stanchi più dell’armatura che porti.

Dice che le sue preghiere saranno alleate dei nemici di Riccardo, come le piccole anime dei nipotini uccisi

Bloody thou art, bloody will be thy end

Shame serves thy life and doth thy death attend (195 - 196), sanguinario sei tu e insanguinata sarà la tua fine. La vergogna scorta la tua vita e accompagni la tua morte

 

 La mano sporca di sangue non si lava.

 

Versare il sangue a terra è un peccato irredimibile

Il coro dell'Agamennone nel terzo stasimo canta:"una volta caduto a terra - to; ga;r ejpi; ga'n peso;n a[pax) , nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019 - 1021).

Una domanda retorica che afferma la sacralità della vita umana e trova un correlativo cristiano in questa del Manzoni che mette in evidenza la mano:" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica, VII)

 

Nella Parodo delle Coefore il Coro canta:" Tutti i canali convogliati in un'unica via, bagnando la strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente a purificarla"(vv.72 - 74). Nella lamentazione funebre che conclude il primo episodio, Oreste ribadisce :"infatti se uno versa tutti i libami in cambio di una sola goccia di sangue, vano è il travaglio: così è il detto" ( Coefore, vv. 520 - 521).

 

Nel Macbeth il protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'Oceano del grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare facendo del verde un unico rosso (II, 2).

 

Il modello di questo passo si trova nella Fedra di Seneca dove Ippolito, sentendosi contaminato dalla matrigna, dice:" quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o silvae, o ferae! " (vv.715 - 718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre con tutto l'Oceano potrebbe purificare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!

 

Lady Macbeth in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal misfatto:"A little water clears us of this deed " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia di Shakespeare[44].

Più avanti la stessa donna che, aizzando il marito al tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa malata dal crimine sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten this little hand ", tutti i balsami d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1). Fa il gesto di lavarsi le mani che non si nettano mai: “yet here’s a spot (…) Out damned spot!”, via macchia maledetta

E il dottore: “unnatural deeds do breed unnatural troubles” (V, 3) atti contro natura producono turbamenti innaturali

 

 

Riccardo III . Un nuovo corteggiamento .

 

Riccardo corteggia la vecchia ex regina Elisabetta per sposarne la figlia, la giovane Elisabetta

 

Elogi della semplicità (Euripide, Orazio, Nietzsche)

Aggiunta del 30 giugno 2021.

Capitolo con una divagazione del resto documentata e rivolta contro gli sproloqui della gente che, vaga di ciance, parla in continuazione senza dire mai alcunché di significativo e accrescitivo.

 

La madre di Riccardo esce. Accenna a uscire anche Elisabetta ma Riccardo la ferma dicendo che deve palarle.

La cognata gli risponde che non ha altri figli maschi che lui possa trucidare. Quanto alle figlie “they shall be praying nuns, not weeping queens” (I, 4, 202) esse saranno monache oranti, non regine piangenti, quindi non devi mirare a ucciderle.

A questo punto inizia il cortggiamento indiretto in stile stilnovistico: “voi avete una figlia di nome Elisabetta virtuous and fair, royal and gracious (205) virtuosa e bella, regale e gentile”.

Ragazzavirtuosa come poi nella Ricerca di Proust, in tanta letteratura e nella testa di molti uomini significa prima di tutto “che non fa sesso”. Quindi amabile e addirittura sposabile

La madre per ora non abbocca: “deve morire per questo?” Aggiunge che per salvarle la vita corromperà i suoi costumi e la coprirà d’infamia. Sembra un paradosso. Dirà che non è figlia di Edoardo dato che i figli del re sono stati ammazzati.

Riccardo risponde: “at their birth good stars were opposite” 216, alla loro nascita erano opposte le stelle buone. Si improvvisa astrologo.

No, to their lives ill friends were contrary (217), no, alle loro vite erano contrari malvagi amci, ribatte Elisabetta.

A questo ossimoro Riccardo, il genio del male che in questo momento si finge stupido quindi è un ossimoro vivente, risponde da fatalista dicendo

all unavoided is the doom of destiny” 218 del tutto inevitabile è il decreto del destino. E’ stata la forza ineluttabile della ncessità dunque ad armare le mani assassine.

 

Nel terzo stasimo dell’Alcesti di Euripide, il coro commenta i fatti dicendo kreivsswn oujde;n j Anavgkaς hu\ron (965 - 966), niente ho trovato più forte della Necessità. Cfr anche Eschilo, Agamennone :"to; mevllon h{xei" (v. 1240), il futuro verrà. Lo dice Cassandra.

 

Elisabetta risponde che il destino di morte dei figli è stato decretato da chi è stato rinnegato dalla grazia. Il disgraziato assassino

Riccardo nega di avere ucciso i nipoti.

Elisabetta fa un gioco di parole tra cousins - cugini e nipoti - e cozen’d, spogliati di tutto. Poi continua: se la mano assassina fu quella dei sicari, fu la mente di Riccardo a guidarla.

Pensate alle tante stragi le cui menti rimangono nascoste, spesso protette. I segreti di Stato servono anche a questo.

Segue una metafora degna di quelle di Eschilo: no doubt the murd’ rous knife was dull and blunt (227) il pugnale omicida era senza dubbio ottuso e smussato - till it was whetted on thy stone - hard herat ( 228) finché non venne affilato sul tuo cuore di pietra dura.

L’abitudine al dolore doma anche quello più selvaggio, altrimenti ti caverei gli occhi.

Segue una serie di metafore marine: e io in un così disperato golfo di morte, simile a un misero vascello che ha perso le vele e le sartie mi fracasserei sul tuo petto di scoglio.

Faccio l’ esempio di una sequenza polimetaforica dei Persiani di Eschilo dove l’u{bri~ è congiunta all' a[th :" u{bri" ga;r ejxanqou's j ejkavrpwse stavcun - - a[th", o{qen pagklauvton ejxama'/ qevro"" ( vv.821 - 822) la prepotenza infatti fiorendo dà per frutto una spiga di/ acciecamento, da dove falcia una messe tutta di lacrime.

 

Nelle Rane di Aristofane il personaggio Euripide critica la sovraccarica poesia di Eschilo dicendo che il tragediografo rivale, arrivato a metà dramma, faceva dire dodici parole grosse come buoi (rJhvmat j boveia dwvdeka 924) con tanto di sopracciglio e cimiero, spauracchi incomprensibili agli spettatori mormorwpa; a[gnwta toi'ς qewmevnoiς (Mormwv è la strega, lo spauracchio ).

Il personaggio Eschilo risponde dicendi oi[moi tavlaς (926), povero me!

Shakespere è ottimo ma non utilizza sempre la forza della sintesi, esemplare in Sofocle e in Orazio

Sentiamo Nietzsche

Shakespeare paragonato con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo1..

I versi di Sofocle si distinguono per la loro densità: ognuno di essi potrebbe essere commentato con un libro.

“La poesia fonda la sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le cose dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto, catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”2.

Per quanto riguarda Orazio di cui ho già citato esto brevis, aggiungo

simplex munditiis, semplice nell'eleganza a proposito di Pirra (Orazio, Ode I, 5, 5).

Nell’Ars poetica Orazio suggerisce: “ carmen reprehendite quod non/ multa dies et multa litura coercuit atque/ praesectum decies non castigavit ad unguem” (vv. 292 - 294), biasimate la poesia che né un lungo tempo né molte cancellature hanno rifinito né dopo averlo sfrondato una decina di volte non ha corretto fino alla perfezione.

 Infine Nietzsche "Non ho mai provato, fino ad oggi, in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin dal principio, un'ode di Orazio. In certe lingue quel che lì è raggiunto non lo si può neppure volere. Questo mosaico di parole in cui ogni parola come risonanza, come posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a sinistra e sulla totalità, questo minimum nell'estensione e nel numero dei segni, questo maximum , in tal modo realizzato, nell'energia dei segni - tutto ciò è romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence . Tutto il resto della poesia diventa in paragone qualcosa di troppo popolare - nent'altro che loquacità sentimentale"3

1]Umano, troppo umano II vol. , parte prima Opinioni e sentenze diverse, 162.

 [2] Hilman, La forza del carattere, p. 70.

 [3] Crepuscolo degli idoli, Quel che debbo agli antichi, 1.

 

 

Riccardo III. XXIII Continua il corteggiamento alla madre per irretire la figlia

Amore e odio vengono spesso associati.

 

Aggiunta del 30 giugno 2021. Ma è un’associazione incongrua quindi improduttiva di vita e produttrice invece di morte come può essere l’accoppiamento tra un leone e un cerbiatto.

Basta un gesto, una frase, perfino una sola parola a significare l’incompatibilità. Allora bisogna troncare. Subito.

Faccio un esempio. Una sera stavo portando una tale a cena dopo un concubitus. Durante il tragitto in automobile colei deplorava la strada quasi accusandomi del fatto che era piena di curve. Non dissi niente ma fuit haec sapientia mea: concubitu pohibere vago, quella di escludere tale accoppiamento instabile, mal fondato. Credo che le vittime delle prepotenze siano in qualche maniera complici di quanto subiscono. A una persona che rispetta se stessa deve bastare un solo sgarbo per cambiare aria. Il fatto è che pochissimi sono capaci di stare soli.

 

Riccardo promette a Elisabetta che se avrà successo nella guerra sanguinosa che va ad affrontare farà a lei e ai suoi beni più grandi del danno che hanno ricevuto da lui.

La donna domanda quale bene possa farle del bene (IV, 4, 240 - 241)

Si sente così avvolta dal male da avere perduto la vista e la nozione di ogni bene.

Riccardo promette “l’elevazione della vostra prole, nobile signora”.

La donna con figli gradisce sempre molto l’attenzione che il corteggiatore dedica a questi. E’ una mossa giusta

Ma Elisabetta resiste ancora alle lusinghe e risponde con sarcasmo: “up to some scaffold, there to lose their heads” (IV, 4, 243), (elevazione) fino a qualche patibolo dove perdere le loro teste. Torna la commistione di amore e morte: il corteggiatore propone amore e la donna replica evocando e rinfacciando la morte, come aveva fatto Lady Anne nella seconda scena del I atto di questo dramma.

 

Elisabetta continua a fare domande che sembrano escludere ogni fiducia in quanto promette Riccardo il quale ricorre al mito classico che fa sempre presa in chi abbia un poco di educazione. Dice alla cognata che deve annegare (drown) nel Lete del suo animo adirato - in the Lethe of thy angry - anger, collera, Lat. angor - soul” - il mesto ricordo dei torti che ella pensa siano stati arrecati da lui.

Ricorrere al mito significa allontanare il dolore e universalizzarlo

Murray commenta il V stasimo della Medea di Euipide dove il Coro ricorda altri bambini uccisi da un’altra madre, Ino precedente Medea.

“Il pianto di morte non è più un grido udito nella stanza accanto. E’ l’eco di molti pianti di bambini dall’inizio del mondo, bambini che ora sono in pace e la cui sofferenza antica è diventata in parte mistero, in parte musica. La Mermoria - quella Memoria che era la madre delle Muse - ha compiuto la sua opera. Noi vediamo qui la giustificazione dell’alto formalismo e delle convenzione della tragedia greca. Essa può toccare, senza indietreggiare qualunque orrore di vita tragica, senza mancare di sincerità e senza guastare la sua normale atmosfera di bellezza. Essa porta le cose sotto la grande magia di qualche cosa cui è difficile dare un nome, ma che io ho tentato di indicare in queste pagine; qualche cosa che noi possiamo pensare come eternità o l’universale o forse perfino come Memoria. Perché Memoria, usata in questo modo, ha un potere magico[45]”.

 

Elisabetta lascia parlare Riccardo che le giura di amarne la figlia from my soul ( 256) con tutta l’anima mia. La cognata prova a rinfacciargli la morte dei fratelli della fanciulla e Riccardo replica la dichiarazione d’amore aggiungendo che vuole fare di Elisabetta iunior la regina d’Inghilterra. Quindi chiede alla suocera designata di insegnargli a corteggiare la figlia dato che la conosce bene.

Elisabetta senior torna a ricordargli il sangue versato: Riccardo potrebbe inviare alla donna che ama un fazzoletto intriso del sangue del fratello e invitarla ad asciugarsi le lacrime con questo.

Viene in mente la pezza che Ipazia arrossò con il suo sangue mestruale e mostrò a un suo allievo innamorato di lei. C’è ancora il contrasto tra amore e morte e la loro vicinanza.

Elisabetta continua dicendo al cognato che può anche ricordare a sua figlia come le abbia ucciso lo zio paterno Clarence, lo zio materno Rivers e la zia acquisita Anne

Riccardo reagisce dicendo di sentirsi beffato da questi consigli, poi prova a recuperarli proponendosi di dire che ha ucciso tanti congiunti per amore di Elisabetta.

Ma la madre dissocia l’amore dal sangue associando questo piuttosto all’odio. Noi però sappiamo che odio e amore vengono spesso associati.

Almeno quanto amore e morte

Facciamo qualche esempio

Molto noto è l'epigramma di Catullo:"Odi et amo . Quare id faciam, fortasse requiris./Nescio, sed fieri sentio et excrucior ." (85), odio e amo. L'ossimòro condensa la contraddizione lacerante del poeta che dissocia l'amare dal bene velle: la componente sensuale da quella affettiva, come chiarisce bene il distico finale del carme 72 :"Qui potis est?, inquis. Quod amantem iniuria talis/ cogit amare magis, sed bene velle minus "(vv. 7 - 8), come può essere?, chiedi. Poiché una tale offesa costringe l'amante ad amare di più ma a voler bene di meno.

 "E' la conflittualità catulliana fra sesso e amore"[46]. Si trova anche in Senilità di Svevo:"Aveva posseduto la donna che odiava, non quella ch'egli amava. Oh, ingannatrice!"[47].

Su questa linea Paolo Silenziario, autore che si colloca tra la tarda antichità e l'inizio della cultura bizantina (VI sec. d. C), in uno dei suoi circa ottanta epigrammi rimasti nell' Antologia Palatina considera l'oltraggio della donna che gli ha sbattuto la porta in faccia, aggiungendo parole ingiuriose, come una forma di u{bri" che eccita ancora di più il suo folle amore:"u{bri" ejmh;n ejrevqei ma'llon ejrwmanivhn" (V, 256)

 

Secondo Ovidio, oltre essere turpe odiare chi abbiamo amato, non è produttivo, e non è indicativo di emancipazione dall'amore:"Saepe reas faciunt et amant" (Remedia amoris, v. 661), spesso le accusano e amano. Senza contare le relazioni e i matrimoni che finiscono in tribunale con danni di tutti i generi:"Tutius est aptumque magis discedere pace/nec petere a thalamis litigiosa fora./Munera, quae dederas, habeat sine lite iubeto;/esse solent magno damna minora bono" (vv. 669 - 672), è più sicuro e più conveniente separarsi in pace, e non passare dal talamo ai processi del foro. I doni che le avevi fatto, lascia che se li tenga senza contesa; di solito le perdite sono inferiori a un bene grande.

 La Chauchat poteva essere solo un’avventura estiva che non doveva trovare approvazione davanti al tribunale della ragione: era una donna ammalata, fiacca, febbricitante e bacata nell’animo, circostanza connessa con gli aspetti equivoci della sua esistenza complessiva.

Per questo Hans provava anche sentimenti di prudente distacco

(T. Mann, La montagna incantata, capitolo IV)

In D'Annunzio la donna non poche volte è la nemica, come Ippolita Sanzio lo è di Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte (del 1894) di cui cito la conclusione :" Fu una lotta breve e feroce come tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell'ora nel profondo dell'anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti".

Cito anche, per dare un esempio meno noto, alcuni versi di una poesia, di uno dei massimi autori ungheresi del Novecento, Endre Ady (1877 - 1919):" Sono le nostre ultime nozze:/Ci strappiamo la carne a colpi di becco/e cadiamo sul fogliame d'autunno" ( Nozze di falchi sul fogliame secco) [48].

Fa rabbrividire, forse perché non è del tutto falsa, una sentenza tragica del misogino suicida C. Pavese "Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco"[49]. E pure, con un pessimismo meno esteso ma più personalizzato:"Sono tuo amante, perciò tuo nemico"[50].

 

 

Riccardo III. Il potere non è potenza. XXIII

Aggiunta del 30 giugno 2021. Così come il sapere non è la sapienza - to; sofo;n d j ouj sofiva (Baccanti, 395)

Il vocabolo femminile può generare la vita, quello maschile o neutro non riesce a farlo.

 

Segue una lunga suasoria di Riccardo a Elisabetta. E’ inficiata da contraddizioni e luoghi comuni. E pure dall’illusione che il potere sia una cosa grande. Voglio smontare subito questa chimera citando un verso delle Baccanti di Euripide che verranno rappresentate a Siracusa in luglio e agosto. Spero di poterci andare dopo avere concluso questo corso

fr. Euripide, Baccanti, 310: “ ajll j ejmoiv, Penqeu` , pivqou - mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein

Via Penteo, da’ retta a me, non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini.

E’ Tiresia che parla cercando di salvare Penteo, il re di Tebe, che per propria disgrazia non gli dà retta. Finirà male anche lui

 

Riccardo prova anche a scusarsi: Quello che è stato fatto sconsigliatamente non può più essere corretto oramai - what is done cannot be now amended L. emendare - (291).

E’ possibile però pentirsi degli errori. E si possono trovare compensi per i danneggiati. Ho portato via il regno ai vostri figli: “To make amends I’ll give it to your daughter” (295), per fare ammenda lo darò a vostra figlia. E’ evidente la contraddizione tra i versi 291 e 295.

Chi entra in contraddizione nel parlare o non sa quello che vuole e quello che dice oppure lo sa ma vuole confondere, cioè imbrogliare.

Il regno, continua Riccardo, andrà comunque alla discendenza di Elisabetta. I suoi nipoti saranno come figli suoi.

Se i figli da voi partoriti sono stati un tormento per la vostra giovinezza vexation to your youth 305 , i miei saranno un conforto della vostra vecchiaia - a comfort to your age - 306.

Ora Riccardo ricorre a un vieto luogo comune, il che fa pensare che non c’è nulla di autentico in quanto dice.

Torna ancora la parola amend e di nuovo in contraddizione con la ricorrenza precedente: “I cannot make you what amends I would” (309), non posso darvi le riparazioni che vorrei, dunque accettate i benefici che posso offrirvi. Dorset, il figlio di Elisabetta, verrà richiamato in patria e colmato di onori. Era fuggito in Francia da Richmond per non essere ammazzato da Riccardo come i suoi fratellastri.

 

Le liquide gocce delle lacrime the liquid drops of tears - Cf. O. Lat. dacruma L. lacrima, Gk. davkru, davkruma - versate torneranno a voi trasformate in fulgide perle.

Un’altra trasfomazione del dolore in gioielli se non in gioia si trova in The tempest

Ariel canta che il padre di Ferdinando, il re di Napoli Alonso, giace in fondo al mare in seguito al naufragio

Full fandom five thy father lies

Of his bones are coral –corallum - koravllion - made

Those are pearls that were his eyes:

Nothing of him that doth fade - vapidus - svanito -

But doth suffer a sea - change - cambio - are

Into something rich - unless the Teut. Base rik - is merely borrowed fom the Celic rīg - Cf L.rex - and strange - extraneus

Sea - nymphs hourly ring is knell

 (I, 2, 399 - 405),

almeno a cinque braccia tuo padre giace,

dalle sue ossa si sono formati coralli,

sono perle quelli che erano i suoi occhi:

nulla di lui muore ma subisce un cambiamento marino

in qualche cosa di prezioso e raro,

le ninfe marine a ogni ora suonano la sua campana.

 

Riccardo continua a promettere felicità in seguito al matrimonio della giovane Elisabetta . Spinge la madre della ragazza che vuole sposare, chiamandola addirittura madre mia, di andare dalla figlia¨

Go then, my mother; to thy daughter go, 325, le chiede di metterle nel cuore la fiamma ambiziosa dell’aurea sovranità e di informarla sulle dolci ore silenziose delle gioie coniugali.

Abbiamo già visto alcune smontature dell’aurea sovranità in diversi autori

Ne aggiungo un paio da Seneca

Nel primo coro dell’Agamennone le donne di Micene si rivolgono alla fallax Fortuna che inganna i re facendo girare precipitosamente le loro sorti (praecipites regum casus/ Fortuna rotat (71 - 72) , i quali metui cupiunt metuique timent (72), vogliono essere temuti e ne hanno paura. La notte non offre ai potenti il suo placido seno né il sonno che placa le cure scioglie il loro animo dagli affanni - non curarum somnus domitorpectora solvit” 75 - 76)

 

Nella Fedra il quarto coro asserisce: minor in parvis Fortuna furit - leviusque ferit leviora deus; - servat placidos obscura quies - praebetque senes casa securos (1124 - 1127), meno infuria la Sorte sugli umili, dio colpisce più debolmente le forze più deboli; una quiete senza notorietà conserva le persone nella pace, e una capanna presenta vecchi senza preoccupazioni. Sono parole di cittadini ateniesi.

Riccardo si accinge a punire il meschino ribelle e ottuso dull - brain’d - Buckingham; quindi tornerà cinto di corone trionfali guidando la figlia di Elisabetta to a conqueror’s bed (334) nel letto del conquistatore, in più sensi, dove le farà il resoconto delle vittorie – and she shall be sole victoress, Caesar, s Caesar (IV, 4 4, 366) ed essa sarà la sola vincitrice: il Cesare di Cesare

Ricordate cosa dice Cleopatra a Carmiana e Iras ? Se no, ve lo rammento io

:‘Tis poltry to be Caesar; - not being Fortune, he’ s but Fortune’s knave, - a minister of her will - (V, 2, 2 - 3), è una miseria essere Cesare; non essendo egli la Fortuna, è solo il servo della fortuna, un ministro del suo volere.

Abbiamo visto quanto Cleopatra Tolemaica fosse più bella, fine e intelligente di Riccardo Plantageneto

 

 

 

 

 

Riccardo III - Varium et mutabile semper femina. XXIV.

Aggiunta del 30 giugno 2021.

Girano interpretazioni psicologistiche sul delitto di Monteveglio.

Chiacchiere per lo più interpretazini ricamate che coprono la causa più vera e meno chiarita a parole di questo crimine atroce. L’ajlhvqeia che è non latenza e non deve rimanere celata è che la gente ricorre alla violenza quando difetta di parole per esprimere le proprie ragioni. Questo non viene detto né scritto in maniera chiara e diretta perché significherebbe mettere sotto accusa la cattiva educazione che guasta e rovina le menti

 

Continua la schermaglia tra Elisabetta e Riccardo.

Alla fine il malvagio prevale sulla donna che cede e si arrende.

Le battute di Riccardo promettono ogni bene alla futura sposa e alla loro terra. Si sa che da un re buono ridonda ogni bene sul suo paese.

Elisabetta ribatte colpo su colpo rinfacciando a Riccardo i suoi tanti delitti anche su i consanguinei.

Vediamo le parole più significative secondo me, e più facili a commentarsi da parte mia

Riccardo chiede be eloquent to her siate eloquente con lei, la figlia, in my behalf nel mio interesse 357

Elisabetta individua in questa richiesta il raggiro del parlare retoricamente e risponde: “Plain and not honest is too harsh a style” (360) semplice e non onesto è uno stile troppo stridente.

 

La semplicità infatti si associa alla bellezza e all’onestà

Nel logos epitafios il Pericle di Tucidide dice:"filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[51] kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.

Più avanti Tucidide indica la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà partecipa:"kai; to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n hjfanivsqh" (III, 83, 1).

In questo contesto la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).

Nelle Fenicie[52] di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e con la verità:"aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[53] e[fu, - kouj poikivlwn dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469 - 470), il discorso della verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato dentro, ha bisogno di rimedi artificiosi:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).

 

Al ripetersi del rinfacciamento dei bambini uccisi, Riccardo risponde : “Harp not on that string, madam: that is past” (364), non arpeggiate su quella corda signora; quello è il passato.

Una metafora musicale che mi fa venire in mente due versi della Parodo dei Sette a Tebe di Eschilo:

dia; dev toi genu'n iJppivwn

kinuvrontai fovnon calinoiv. (vv. 122 - 123), attraverso le mascelle equine le briglie arpeggiano strage.

 

Riccardo vuole giurare ma Elisabetta continua a ricordargli i crimini che annullano ogni intenzione buona. L’inesauribile corteggiatore continua a prospettarle il tempo a venire dato che il passato è proprio passato.

Quindi ricorre all’extrema ratio di giurare sulla pericolosa impresa che sta per affrontare: invoca su di sé e sul proprio successo la maledizione del cielo if with dear heart’s love, - immaculate devotion, holy thoughts, - I tender not thy beauteous, princely daughter” (403 - 405) se con pieno amore del cuore, immacolata devozione, santi pensieri, io non mi offro alla tua bella, principesca figliola.

Elisabetta sta cedendo: chiede se debba lasciarsi tentare dal demonio, dimenticare chi sia lei e scordare che Riccardo ha ucciso i suoi figli

Riccardo fa la battuta risolutiva tra il macabro e l’erotico. Ancora amore e morte

But in your daughter womb I bury them

Where, in that nest of spicery, they will breed

Selves of rhemselves, to your recomforture” (423 - 425),

Ma io li seppellisco nel grembo di vostra figlia dove, in quel nido di spezie profumate, essi genereranno altri se stessi per vostra consolazione.

Non manca l’incesto. D’altra parte Riccardo è lo zio, il fratello del padre della ragazza che vuole sposare. Cfr. Claudio e Agrippina iunior.

infine Elisabetta si muove per sottomettere la figlia al volere di Riccardo cui dice di scriverle quanto pima: lei risponderà facendogli sapere come è disposta la ragazza. Riccardo bacia la futura suocera dicendole di trasmettere quel bacio alla fidanzata. Ma appena la donna è uscita dice:

Relenting fool, and shallow, changing woman! 430, si è intenerita la sciocca, superficiale, volubile donna!

varium et mutabile semper/femina ", aveva già sentenziato Virgilio attraverso Mercurio (Eneide , IV, 569 - 570).

 

 

Riccardo III - Si avvicina la resa dei conti. - –XXV

La bilancia del destino

 

Arrivano notizie non buone per Riccardo

Entra per primo sir Richard Ratcliff che annuncia l’arriva di una gagliarda flotta sulla costa occidentale. Sulle spiagge si affollano molti che dovrebbero stare dalla parte del re ma sono amici dubbi e non ben risoluti a respingere il nemico. L’ammiraglio della flotta è Richmond e Buckingham è già pronto ad accoglierlo.

Entra anche sir William Catesby e Riccardo gli ordina di correre dal duca di Norfolk. A Ratcliff di andare a Salisbury.

Catesby non si affretta e Riccardo lo insulta: “dull unmindfull villain”, ottuso furfante smemorato (445) poi gli domanda perché non corra da Norfolk

Catesby risponde che aspettava l’ordine del re da riferire al duca di Norfolk.

Riccardo si rimangia l’offesa appena lanciata “O, true, good Catesby!” e gli dice di portargli l’ordine di raccogliere forze il più possibile numerose e potenti, poi di andare a Salisbury.

Si vede che Riccardo sta perdendo l’equilibrio perché sente calare il piatto della bilancia dove sta il suo destino. Il nostro equilibrio dipende spesso da come ci sentiamo collocati nella bilancia fatale ovvero da come procediamo sul filo del rasoio del destino.

Entra poi Stanley conte di Derby, fortemente sospettato da Riccardo.

Dice che non ha notizie buone ma nemmeno tanto cattive che non possano essere riferite. In queste parole si sente il timore del cortigiano che avverte il pericolo della propria caduta in disgrazia.

Riccardo infatti lo biasima subito: Hoyday, a riddle! Neither good nor bad! (459), ma guarda un indovinello, né buone né cattive. Quindi gli chiede di parlare in modo diretto. Certo è che non è facile essere diretti con un tiranno che non ha mai parlato in modo veritiero né retto perché non è un rex rectus, ma appunto un tiranno.

Se si pone mente al latino rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw, "tendo, stendo". "La radice deriva dall'indoeuropeo *reg - che ha dato come esito in greco ojreg - (con protesi di oj - ) in latino reg - "[54] da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto. Quindi "in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto"[55]. Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri ludentes 'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [56]. Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere contorto. Nemmeno la virtù può esserlo: “et haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.

Altrettanto la verità che è pure “non latenza”

Nell’Antigone il messo in procinto di raccontare la catastrofe di Antigone e di Emone, avverte la regina Euridice che non la blandirà con menzogne: “ojrqo;n aJlhvqei j ajeiv” (v. 1195), la verità è sempre una cosa dritta.

 

Stanley deve dare la pur brutta notizia: Richmond is on the seas (462).

Riccardo lancia una maledizione: There let him sink, and be the seas on him (463) che ci affondi e il mare gli stia sopra.

Il naufragio è già pronto per Riccardo e a dire la verità intera il naufragio riguarda tutti prima o poi.

 

Nel Satyricon il vecchio poeta Eumolpo dice:"si bene calculum ponas, ubique naufragium est " (115, 17), se fai bene i conti, il naufragio è dappertutto. Marìa Zambrano afferma che l'uomo, da quando ha memoria e storia, ha sempre avuto nel fondo dell'animo il sentimento del naufragio e ricorda che il suo maestro Ortega y Gasset nei suoi corsi su "La razòn vital" descriveva "la condizione di "naufragio" come la più umana della vita umana"[57].

 

Stanley aggiunge che Richmond punta sull’Inghilterra to claim the crown (468) per rivendicarne la corona.

 In effetti Enrico Richmond Tudor diverrà Enrico VII e sposerà Elisabetta la figlia di Edoardo IV ambita da Riccardo sconfitto nel 1485.

Riccardo fa notare che il trono non è vacante e che il re è lui: Riccardo III è l’erede del grande York. Dunque che cosa fa Richmond nel mare?

Stanley risponde che se non è per quanto ha detto (to claim the crown) non sa congetturare I cannot guess (474).

Questa risposta accresce la diffidenza di Riccardo verso Stanley che viene investito da domande relative alle sue truppe. In effetti sono lontane, nel nord, mentre la minaccia viene dal sud. Stanley chiede di avere permesso di radunarle per combattere con il re, ma Riccardo ribadisce la sua sfiducia: thou wouldst be gone, to join - L. iungere Gk. zeugnuvnai - with Richmond - but I’ll not trust thee (490 - 491), tu vorresti andare per unirti a Richmond, però io di te non mi fido.

 Nei rappoti di potere come in quelli amorosi prima o poi entrano il sospetto e la diffidenza. Il potere e l’amore, come la ricchezza, la salute, la bellezza, per alcuni anche la cultura contribuiscono all’identità e questa deve essere difesa con ogni mezzo e a qualunque costo.

Stanley cerca di assicurare la propria lealtà - I never was, nor never will be, false L. falsus (483), non sono mai stato né sarò mai sleale.

Una scusa enfatica, esagerata: mi fa pensare al “grazie davvero” delle persone fallaci.

Riccardo lo capisce e lo lascia andare ma gli ordina di lasciargli il figlio in ostaggio minacciandone la testa in caso di tradimento del padre.

Quando scoppiano conflitti tra coniugi, l’ostaggio sacrificabile è il figlio

Entrano tre messi che riferiscono al sovrano di altre defezioni.

Riccardo reagisce gridando: “out on you, owls! - L. ulula allocco. Nothing but songs of death? (IV, 4, 507), via gufi! Nient’altro che canti di morte?

Quindi colpisce il terzo messo e gli fa. Prendi questo, finché non porterai notizie migliori.

Il III messo allora gli dà una buona notizia: Buckingham’s army is dispers’d and scatter’d G K. skedavnnumi - (511) , l ‘esercito di Buckingham è disperso e sparpagliato ed egli stesso si aggira da solo e nessuno sa dove

Riccardo si scusa e gli dà del denari to cure the blow of thine (514) perché lo curi dalla percossa. Il messo aggiunge che è stato proclamato un bando che promette una mercede a chi arresta il traditore

Entra un quarto messo con un’ altra notizia buona: che nemmeno Richmond si è fidato di Buckingham e ha levato le vele per tornare in Bretagna

Riccardo confortato esorta a narciare: march on, march on, per andare a schiacciare these rebels L. rebellis renewing war=. re - again ; bellum war, here at home, questi nostri ribelli nostrani

Rientra Catesby con due notizie una buona: Buckingham is taken, è stato preso, e una cattiva: che Richmond è sbarcato a Milford with a mighty power, con un esercito potente

Riccardo ordina ls marcia verso Salisbury dove dovrà essere tradotto Buckingham (535 - 538).

Finisce qui la IV scena del IV atto

 

 

Riccardo III Atto quarto, ultima scena, la quinta. XXVI

Facciamo capolino su Amleto e La tempesta

 

Aggiunta del primo luglio 2021.

Ieri ho compianto Chiara e ho pure pianto per lei.

Oggi voglio ricordare Sana la ragazza pakistana, un’altra creatura deliziosa. Spero ancora che non sia morta.

Comunque aggiungo che non sono state le due religioni mononeistiche a decretare queste persecuzioni e gli avvoltoi che volano sopra le teste di tutti dovrebbero evitare tali macabre speculazioni.

Sono i costumi imposti dall’ignoranza, non contrastata dalla lettura di libri buoni e, anzi, incentivata spesso da certe trasmissioni, a seminare la mala pianta della violenza.

 

Stanley chiede a sir Christopher di far sapere a Richmond che il proprio figliolo Giorgio è rinchiuso nel porcile del cinghiale implacabile - in the sty of the most deadly boar - (V, 5, 2).

 

 Il tiranno è un uomo imbestiato che fa vittime e finisce per diventare la maxima victima lui stesso come abbiamo già rilevato.

 

Stanley sa che la testa del figlio salterà se lui, il padre, si rivolta: "If I revolt, - L. revolvere to roll back - off goes young George's head (3).

Il "rotolare indietro" del padre è associabile al rotolare giù della testa del figlio. Si ricordino le storie già menzionate di Periandro di Corinto, Policrate di Samo e dei due Tarquini: re e pincipe di Roma.

Richmond deve anche sapere che la vedova di Edoardo IV ha consentito al mantrimonio della figlia con Riccardo.

Intanto questo vendicatore invero misterioso è sbarcato nel Galles. Christopher elenca alcuni nomi di nobili in rivolta tra cui sir William Stanley and many other of great name and worth (16) e molti altri di grande nome e valore.

 

Sappiamo che la rinomanza e la fama di valore sono spesso usurpate ma in guerra una grande reputazione anche se falsa, qualora sia convincente, può contribuire alla vittoria. Lo sapeva bene Alessandro Magno che si spacciava per figlio di Zeus . Diceva che anche se non era vero, conveniva farlo credere.

Famā enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni VIII, 8, 15), le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.

 

I nemici di Riccardo dunque puntano su Londra

Stanley conte di Derby fa fretta a Christopher perché torni da Richmond e gli dica che gli bacia la mano “I kiss his hand”.

A un padrone se ne sostituirà un altro, non necessariamente migliore.

Alla fine di questo dramma, come del Macbeth, il nuovo re insedia i suoi amici e parenti sui seggi dai quali sono stati gettati nella fossa gli sconfitti.

Si combatte per una tomba come ci ha insegnato Lucano.

Le ultime parole della tragedia Amleto (1600 - 1602) sono di Fortebraccio, principe di Norvegia, il quale dice: take up the bodies: such a sight as this - becomes the field. But here shows much amiss - Go, bid the soldiers shoot, togliete i cadaveri. Uno spettacolo come questo si addice al campo di battaglia. Ma qui è assai fuori luogo.

Andate, ordinate ai soldati di sparare.

Jan Kott lascia un interrogativo: “Chi è questo giovane principe norvegese? Non lo sappiamo. Shakespeare non ce lo dice. Che cosa deve rappresentare? Il destino cieco, l’assurdità del mondo o il trionfo della giustizia? Gli shakespearologi hanno difeso a turno ciascuna di queste tre interpretazioni. E’ il regista che deve decidere. Fortebraccio è un uomo giovane, forte, splendente. Arriva e dice: “Portate via questi cadaveri. Amleto era un buon ragazzo, ma è morto. Adesso il vostro re sono io. Torna tutto benissimo, perché mi sono ricordato che ho dei diritti su questa corona”. Dopodichè sorride ed è soddisfatto di sé”

Mi fa pensare al deus ex machina, per esempio Apollo alla fine dell’Oreste di Euripide o i Dioscuri alla fine dell’Elena di Euripide.

“Ed ecco alla fine arriva un giovanotto sano e vigoroso e con un affascinante sorriso dice: “Portate via questi cadaveri. Adesso il vostro re sono io”[58].

 Take up the bodies

Lo stesso deus ex machina è Richmond nel Riccardo III. Ma la storia si ripete senza rinnovarsi

Ogni gradino che separa Riccardo III , poi Rchmond dal trono è una vita umana.

I re sono a turno ora carnefice ora vittima. Gli uomini che creano la storia ne cadono vittime, altri credono di crearla e ne cadono vittime, altri non la creano né credono di crearla ma ne cadono vittime lo stesso.

Alcuni capitoli del Principe di Machiavelli sono fatti dramma da Shakespeare.

 

L’ultimo dramma di Shakespeare, La tempesta (1610) si svolge in un’isola sperduta tra persone finite lì schivando a malapena la morte per acqua.

Tra loro si ripetono i malefici che abbiamo visto nelle corti.

Alla fine del dramma Prospero mostra ad Alonso re di Napoli i loro figlioli: Ferdinando e Miranda che giocano a scacchi

Miranda vede i personaggi del dramma e dice: Oh meraviglia, quante buone creature sono qui! Come è bello il genere umano! Oh magnifico nuovo mondo che contiene tali abitatori!

Invero sono un branco di farabutti.

A Prospero, duca di Milano spodestato da suo fratello, bastano 4 brevi parole per smentire quanto ha detto sua figlia Miranda: ‘Tis new to thee. È nuovo per te (V, 1)

Prospero pronuncia la parola disperazione: and my ending is dispair.

Per Shakespeare il potere è un nucleo di male, come per Seneca.

Ma questo lo abbiamo già detto.

 

 

Riccardo III. Il contrappasso nella fine di Buckingham. XVIII

 

Aggiunta del primo luglio 2021. Il contrappasso c’è per tutti quelli che fanno patire il prossmo come mostrano le tragedie di Shakespeare che hanno spesso una base storica. Anche noi negli anni di questa nostra vita mortale, brevissima comunque per tutti, abbiamo visto tanti personaggi pomposi e supponenti cadere in molti casi dal piedistallo nella polvere, o nel fango, o nel letame.

 

Il quinto atto si apre con Buckingham led to execution condotto all’esecuzione. Riccardo non vuole ascoltarlo e il condannato a morte si rivolge alle tante vittime fatte morire dall’usurpatore con il suo contributo immaginando che le loro anime corrucciate discontented souls (V, 1, 7) osservino dal cielo la scena presente e for revenge mock my destruction (9) per vendetta irridano alla sua rovina.

La morte di questo duca è il primo contrappasso dei delitti, il secondo sarà la rovina e la morte di Riccardo.

 

Contrappasso è subire il male inflitto agli altri. “Così s’osserva in me lo contrappasso” (XXVIII, 142) dice Bertram del Bornio nell’Inferno di Dante. Questo dannato tiene in mano i capelli dai quali pende la propria testa staccata dal busto come punizione del fatto che mise Enrico III d’Inghilterra contro il padre Enrico II: “Io feci il padre e il figlio in sé ribelli” (XXVIII, 136) .

Una storia non tanto diversa da quelle raccontate da Shakespeare a proposito della scala del potere che porta all’abisso. Come poeta fu un trovatore del XII secolo, cantore di guerre e di stragi

 

Buckingham chiede se quello sia il giorno dei morti All - Souls day, is it not? (10)

Avuta risposta affermativa dallo sceriffo, il condannato dice il giorno dei Morti è il my body’s doomsday il giorno del giudizio del mio corpo.

Insomma il dies irae per lui

 

Mi vengono in mente alcuni versi attribuiti a Tommaso da Celano (XIII secolo)

Judex ergo cum sedebit,
Quidquid latet apparebit,
Nil inultum remanebit.

 

A Buckingham invece tornano in mente le proprie malefatte considerate cause del male che sta cadendo addosso a lui

Dice che questo del proprio supplizio è il giorno augurato a se stesso quando giurò a Edoardo IV che non avrebbe mai tradito i suoi congiunti.

Ora i suoi torti –wrongs (18) - gli tornano addosso.

Allora non parlai sul serio ma quel supremo Onniveggente - that high All - seer di cui mi feci beffe, ha ritorto l’auspicio sul mio capo

and given in earnest what I begg’d in jest” (22) mi ha dato sul serio quello che ho chiesto per burla.

 

In molti testi antichi l’essere celeste che vede tutto è il Sole che quindi non può essere ingannato

Nell' Iliade Agamennone pregando Elio, gli attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto:" jHevliov" q j , o{" pant j ejfora'/" kai; pavnt j ejpakouvei"" (III, 277) ; una formula che torna un poco variata nell’ Odissea (XI, 109) :" jHelivou, o{" pavnt j ejfora'/ kai; pavnt j ejpakouvei"

Si tratta della profezia di Tiresia che Odisseo ha evocato dal mondo dei morti.

 

Nel Prometeo incatenato di Eschilo il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto vede.

 
E’ impossibile dunque nascondere le malefatte al Sole che vede tutto : questo dio non si lascia ingannare e non inganna: “Virgilio, nella Georgica Ia afferma la sincerità del sole nel dare segni:"Solem quis dicere falsum/audeat? " (463 - 464), il sole chi oserebbe chiamarlo falso?

 

Buckingham ricorda anche la maledizione di Margherita - Margaret’s curse - la quale was a prophetess (27) gli aveva vaticinato lo spezzamento del cuore dal dolore.

 

Finalmente il complice di Riccardo ha capito quanto sia vera l’ammonizione di Esiodo il primo profeta della Giustizia:

:“Appronta mali a se stesso , un uomo che li prepara per un altro

Oi| g j a uJtw`/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn

e il progetto cattivo è pessimo per chi lo ha progettato”

 hj de; kakh; boulh; tw`/ bouleusanti kakivsth)

Opere e giorni, 265 - 266).

Se i potenti leggessero di più palerebbero e si compoterebbero meglio.

 

Buckingham ha capito ma troppo tardi: sollecita lui stesso le guardie di menarlo to the block of shame, al ceppo della vergogna e finisce dicendo: “ wrong hath but wrong, and blame the due of blame (Riccardo IIII, V, 1, 28 - 29), il danno riceve solo danno e la vergogna il dovuto alla vergogna

 

 

Riccardo III. Richmond fiuta nell’aria la propria vittoria. XXVIII

 

L’obiettività epica della storiografia antica. La guerra civile è il più crudele dei conflitti.

 

Aggiunta del primo luglio 2021.

I segni che preannunciano la vittoria o la sconfitta prendono il loro significato più vero dalla forza o dalla debolezza di chi li nota.

Quando siamo indeboliti dentro, interpretiamo come negativi quei medesimi segni, del cielo o della terra, o pure vocali, che in stato di grazia avremmo considerato favorevoli. Il segno brutto dunque e anche quello bello, l’abbiamo dentro e quando lo sentiamo avverso, non dobbiamo competere.

 

Inizia la seconda scena del V atto

Siamo nel campo di Richmond che tiene ai capi e sottocapi del suo esercito un discorso come facevano gli antichi duci delle guerre antiche quali Alessandro Magno, Annibale, Scipione, per fare solo qualche esempio.

Ognuno tende a magnificare le proprie forze, a prevederne la vittoria .

Richard è molto virulento nei confronti del nemico esecrando,

l’ usurping boar (7), il cinghiale usurpatore .

Nelle guerre antiche i comandanti erano meno offensivi nei confronti dei duci nemici, talora anzi assumevano atteggiamenti perfino cavallereschi.

Durante la seconda guerra punica , nel 208, il console Marcello rimase ucciso in uno scontro tra Venosa e Locri. Era stato 5 volte console, tre volte si era fregiato delle spoglie opime tolte a un comandante ucciso di sua mano. Annibale fece rendere alla spoglia gli onori più alti.

 

Gli atti cavallereschi entrano nella categoria della cosiddetta “obiettività epica” della storiografia precristiana (Santo Mazzarino). Viene codificata dal proemio delle Storie di Erodoto: "Questa è l'esposizione della ricerca di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi scaturiti dall'attività umana con il tempo non diventino oscuri, né le imprese grandi e meravigliose - (e[rga megavla te kai; qwmastav - messe in luce alcune dagli Elleni altre dai barbari, rimangano prive di gloria, e tra le altre cose in particolare per quale causa combatterono tra loro" .

Per questo riconoscimento del valore dei nemici, Plutarco nel De Herodoti malignitate, Peri; th`~ JHrodovtou kakohqeiva~ ( 857a) accuserà questo storiografo di essere filobavrbaro".

 

Richmond invece riempie di impropèri Riccardo: “the wretched, bloody, and usurping boar - that spoil’d your summer fields and fruitful vines - swills your warm blood like wash, and makes his through - in your embowell’d bosoms - this foul swine (…) this foul swne ” (V, 2, 7 - 10), lo sciagurato, sanguinario cinghiale usurpatore, che ha spogliato i vostri campi estivi e le vigne fruttifere, tracanna come un pastone il vostro sangue caldo e insedia il suo truogolo nei vostri petti dilaniati (…) questo immondo maiale. Un’invettiva contro il nemico, per niente cavalleresca.

 

Vero è che le guerre civili sono sempre più feroci di quelle contro un nemico esterno: Tucidide riconosceva il valore degli Spartani ma non quelli dei nemici di classe della propria polis, come Cleone il demagogo beniamino del popolo odioso agli aristocratici.

Tuttavia lo storiografo della guerra del Peloponneso non arriva a raffigurarlo con tali e tanti insulti.

I latini tendono a evidenziare la crudeltà delle guerre civili

Svetonio, narrando gli avvenimenti dell’ anno 69 d. C., racconta che Vitellio questo principe più che cinquantenne, torpido e ghiottone, mentre visitava il campo di battaglia di Bedriaco dove aveva sconfitto Otone, a quelli del seguito che si rivoltavano inorriditi davanti ai caduti già in putrefazione, disse : “ il cadavere del nemico ha buon odore; ma quello dei cittadini è migliore” “optime olere occisum hostem, et melius civem” (Vitellio, 10)

 

“E anche per il popolo la guerra civile - quando non importi la privazione dei comodi più volgari - può essere motivo di squisito sollazzo” (Marchesi, Tacito, p. 257). In Hist. III, 83 Tacito racconta come entrarono in Roma i Flaviani vittoriosi sui vitelliani nel dicembre del 69 durante la festa dei Saturnali

Aderat pugnantibus spectator populus, utque in ludrĭco certamine, hos, rursus illos clamore et plausu fovebat”, la popolazione assisteva alla battaglia come ai giochi del circo: con acclamazioni e applausi assegnava il suo favore ora a questo ora a quello.

 - “saeva ac deformis urbe tota facies: alibi proelia et volnera, alibi balineae popinaeque: simul cruor et strues corporum, iuxta scorta et scortis similes” (Tacito, Historiae, III, 83) , crudele e orrendo lo spettacolo in tutta l’urbe, da una parte scontri e ferite, da un’altra bagni e osterie: nello stesso tempo sangue e mucchi di cadaveri, e vicino bagasce e bagascioni

“Una pace dissoluta, il saccheggio più bruto. Furore e gioia. Era già successo con Silla e con Cinna. C’era una disumana indifferenza - inhumana securitas - e la dissolutezza non ammetteva interruzioni e i piaceri non furono interrotti, come se ai Saturnali si fossero aggiunti altri spassi. Godevano per la sola allegrezza del pubblico male” (Marchesi, Tacito, p. 258)

 

Richmond chiama i suoi soldati courageous friends (14), amici coraggiosi, e il conte di Oxford aggiunge un elogio sperticato: “la coscienza di ogni uomo vale mille uomini (17) seguito da un annientamento del nemico anatemizzato –to fight against this guilty homicide (18) per combattere contro questo colpevole assassino.

Altri nobili ribelli notano l’isolamento dell’usurpatore: abbandonato da tutti tranne quelli che ne hanno paura. Si prospetta una finale simile a quello che si ripeterà della tragedia Macbeth (1605 - 1608) con il tiranno isolato e desolato.

La scena si chiude con Richmond che proclama: “All for our vantage; then in God’s name march” (22), tutto va a nostro vantaggio, marciamo dunque in nome di Dio.

E’ il “Dio con noi” - Got mit uns - di chi crede nella popria vittoria, non sempre a ragione.

Richmod aggiune uno svolazzo: “true hope is swift, and flies with swallow’s wings” (23), la speranza verace è veloce e vola con ali di rondine. Non bisogna però dimenticare che la rondine ha due lati di cui uno scuro e male ominoso, come abbiamo visto commentando Antonio e Cleopatra. Lo ripeto qui.

Poco prima della battaglia di Azio, sul conto Antonio ci furono brutti segni.

Tra gli altri: “la nave ammiraglia di Cleopatra si chiamava Antoniade e su questa apparve un segno terribile shmei`on de; peri; aujth;n deino;n ejfavnh (Vita, 60, 7) : delle rondini avevano fatto il nido sotto la poppa - celidovne" ga;r ujpo; th;n pruvnan ejneovtteusan, ma delle altre sopraggiunte scacciarono queste e ne uccisero i piccoli ( e[terai d j ejpelqou`sai kai; tauvta" ejxhvlasan kai; ta; neovttia dievfqeiran - (Plutarco, Vita di Antonio, 60, 7) . Il cattivo destino di Antonio dunque era già segnato.

Di fatto si era indebolito

I segni del resto segnalano vittoria ai più forti e sconfitta ai più deboli. Gli stessi segni. Il più forte che vede il segno negativo sa che questo è un brutto segno è per il più debole. Come Alessandro Magno quando vide l’eclissi di luna prima della battaglia decisiva di Gaugamela (331)

Il Macedone senza scomporsi, ad omnia interritus (Curzio Rufo, 4, 10, 4) assolutamente impavido, chiamò vati egiziani i quali pur conoscendo le vere cause dell’oscuramento, dissero che l’eclissi di luna era un brutto segno per i Persiani. Risposta suggerita dal figlio di Olimpiade.

 

Richmond conclude dicendo che la speranza tramuta i re in numi e uomini modesti in re. Sono le buone speranze che conseguono ai primi successi.

Viceversa si diventa ad omnia pavidi dopo gli insuccessi

 

 

Riccardo III V, 3.

I due schieramenti si preparano a combattere. XXIX

Ordine da una parte, confusione dall’altra.

 

Aggiunta del primo luglio 2021.

La confusione è si trova sulla strada regressiva del caos. Prende il bene come male e viceversa. Se non ci fosse confusione nelle teste dei più non si auspicherebbe l’apertura delle discoteche. C’è però della coerenza: le discoteche sono luoghi di confusione prossima al caos.

Chi non sopporta la popria lucidità e la propria vita tende al Caos: al tanto peggio tanto meglio.

 

Riccardo prepara la battaglia dando indicazioni ai suoi e facendosi coraggio.

Sostiene che la sue forze sono tre volte superiori a quelle del nemico.

Besides, the King’a name is a tower of strenghth” (V, 3, 12), inoltre il nome del re è una torre di forza.

Lo sarebbe se la torre non fosse pericolante e il re non avesse la zoppia che caratterizza molti tiranni, come abbiamo visto nei versi del secondo stasimo dell’ Edipo re di Sofocle citati sopra (873 - 879)

Il fatto è che il re malato e debole ammorba e indebolisce anche il suo popolo e la sua terra.

Riccardo invita a osservare la disciplina che non deve mancare come la puntualità - Let’s lack no discipline, make no delay - (17).

Anche Creonte, il tiranno dell’Antigone di Sofocle considera la disciplina, ossia l’obbedienza ai suoi ordini come indispensabile per la salvezza.

Traduco alcune parole che Sofocle gli attribuisce

“Non c'è male più grande dell'anarchia (ajnarciva" de; mei'zon oujk e[stin kakovn) ./Essa manda in rovina le città, questa ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/ le schiere dell'esercito in fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina (sw/vzei ta; polla; swvmaq j hJ peiqarciva)" ( vv. 672 - 675).

Si pensi anche al fatto che Virgilio, per compiacere Augusto, presenta i suoi personaggi ottemperanti - Enea e Aristeo - come vincenti pur se farabutti, mentre quelli che non stanno alle regole (Orfeo e Didone) sono vittime dei mascalzoni che prevalgono.

Riccardo e i suoi escono da una porta, mentre Richmond con il suo seguono entrano da un’altra.

Richmond ricava un buon presagio dalla scia luminosa del sole al tramonto.

 

Viceversa nel prologo dell’Oedipus di Seneca appare un sole che spunta incerto da una nuvola sporca

 Leggiamo i primi cinque versi della tragedia:"Iam nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar, /lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (Oedipus, vv. 1 - 5), già, cacciata la notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta cupo da una nuvola sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma luttuosa, osserverà le case desolate dall'avida peste, e la strage che la notte ha compiuto la farà vedere il giorno.

Il sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce afflitta (lumen triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica) significa il capovolgimento dei ritmi nella terra tebana appestata

 

"La luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto ciò ch'è buono e salutare. In tutte le religioni indica la eterna salvezza, mentre l'oscurità indica dannazione"[59].

 

Infatti all'inizio delle Metamorfosi [60] Ovidio mette in rilievo che durante l'epoca del Caos l'aria mancava di luce e le cose non avevano aspetto stabile:"lucis egens aër: nulli sua forma manebat " (I, v. 17)

 

Richmond dà le prime indicazioni ai suoi luogotenenti sulla disposizione delle schiere

Quindi li convoca nella sua tenda per tenere un consiglio sul da farsi in battaglia e tracciare una mappa dello schieramento.

Da questa parte c’è maggiore ordine e il capo non ha bisogno di invocare la disciplina che è già nel suo animo e la ispira agli altri.

 

Mi vengono in mente le varie e diverse fasi del mio lavoro di insegnante: ebbi il problema della disciplina solo nei primi anni, un paio, quando non ero abbastanza preparato da interessare completamente gli allievi parlando degli autori che non conoscevo abbastanza, non ne avevo la visione d’insieme, non sapevo collegarli tra loro e non li avevo capiti a fondo.

 

Escono Richmond e i suoi e rientra Riccardo accompagnato da Ratcliffe, Norfolk e Catesby.

Riccardo domanda What is’t o’ clock? (V, III, 58), che ora è?

Un segno di confusione e disordine mentale.

 

 

Riccardo salta la cena e chiede del vino. XXX

Il vino eccita o stordisce, secondo quanto se ne beve. Testimonianze letterarie

Aggiunta del primo luglio 2021 -

Il vino si associa alla guerra di Riccardo. Più spesso si associa al concubitus. Ho raccontato al festival dei filosofi lungo l’Oglio che la strada dell’amore è parallela e talora perfino tangenziale a quella della guerra.

 

Catesby rispnde che è ora di cena: sono le nove.

 

Un’ora plausibile, per la cena, come in Italia, da Roma in giù.

Pensavo che gli Europei non mediterranei, dalla pianura padana in su, cenassero tutti prima delle 20.

Quando insegnavo all’università di Bressanone, se arrivavo dopo le nove, trovavo tutto chiuso. Anche nell’università estiva di Debrecen si cenava alle 19, 30.

 

Riccardo però risponde che non cenerà. Chiede carta e inchiostro e pure l’armatura. L’ossessione della battaglia occupa tutta la sua persona e non lascia spazio per altro, nemmeno per il cibo.

Ordina che un araldo vada da Stanley a ordinargli di portare il suo reggimento prima che si levi il sole se non vuole che suo figlio cada nella cieca caverna della notte eterna - into the blind cave of eternal night - (V. 3, 63). La minaccia è la medesima di Creonte per Antigone. La caverna della notte contrapposta al sole.

Nel secondo stasimo dell’Antigone di Sofocle il coro di vecchi tebani canta questi versi che deplorano lo spengimento della luce salvifica

"Ora infatti sull'estrema/ radice si era distesa una luce nella casa di Edipo/ma poi la polvere macchiata di sangue/degli dei infernali la falcia,/e pazzia della parola ed Erinni della mente" (599 - 603).

 

Esce Catesby e Riccardo chiede una candela (64), poi di sellargli il bianco cavallo Surrey. Il cavallo di Riccardo è un animale famoso nella letteratura, quanto lo è il cane Argo dell’Odissea.

 

Riccardo poi chiede una coppa di vino - a bowl of wine - (73) il vino nell’Asino d’oro di Apuleio e pure in altri testi è un viatico per la strada del concubito.

Fotide promette a Lucio una notte di amore: “prima face cubiculum tuum adero. Abi ergo ac te compara, tota enim nocte tecum fortiter et ex animo proeliabor” (Metamorfosi, II, 10), appena farà notte verrò in camera tua. Vai dunque e preparati, per tutta la notte infatti io mi batterò con te fortemente e mettendocela tutta

 Quindi arriva del vino da parte di Birrena e Lucio aggiunge un elogio di questo propiziatore: Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro, ecco che arriva Libero in armi a spronare Venere. Vinum istud hodie sorbamus omne, quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alacrem vigorem libidinis incutiat (II, 11), beviamolo tutto oggi questo vino, che spenga in noi la viltà del pudore e ci infonda l’energico vigore del desiderio. Hac sitarchĭā navigium Veneris indiget solā, La barca di Venere ha bisogno di questa sola provvista (II, 11)

 

Sentiamo qualche altre occorrenze di questo topos

Euripide Baccanti (770 - 774)

Questo dio dunque chiunque egli sia, signore,

accoglilo in questa città: poiché per il resto è grande,

e questo dicono di lui, per come ne sento:

ha donato ai mortali la vite che fa cessare gli affanni.

E quando non c’è più il vino, non c’è Cipride oi[nou de; mhkevt j o[nto~ oujk estin Kuvpri~ -

né più alcun altro piacere per gli uomini oujd j a[llo terpno;n oujde;n ajnqrwvpoi~.                          E’ la conclusione del resoconto del messo sul comportamento delle menadi                             

 

Terenzio, Eunuco, 732: Sine Cerere et Libero friget Venus.

Bisogna però berlo con moderazione

Ovidio Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas - et stupeant multo corda sepulta mero” (Remedia, 807 - 8). A questo proposito vedi il film Un altro giro.

Macbeth “Much drink may be said to be an equivocator with lechery: makes him stand to and not stand to (II, 3).

Tacito Liber festos laetosque ritus posuit, Iudaeorum mos absurdus sordidusque (Historiae V, 5). Liber è un altro nome di Bacco.

 

Riccardo chiede che lo lascino solo. Ratcliffe dovrà andare a svegliarlo verso la mezzanotte e aiutarlo ad armarsi, and help to arm me. Leave me, I say (V, 3, 79)

 

 

Riccardo III La notte con i primi spettri - XXXI

 

Aggiunta del primo luglio 2021.

Dio talora viene invocato senza essere chiamato per nome in quannto tutto è pieno di dèi come affermò Talete.

 

Ora siamo nella tenda di Richmond dove entra Stanley, conte di Derby che è suo patrigno perché ne ha sposato la madre vedova.

I due si scambiano auguri e benedizioni. La tenebra friabile flaky darkness ( V, III. 87) si sta squamando a Oriente e l’ora fatale si avvicina. Arbitra sarà la guerra.

 

Stanley deve prendere tempo e giocare d’astuzia per evitare che suo figlio George ostaggio di Riccardo, venga ucciso dall’usurpatore sanguinario

Richmond lo fa accompagnare al suo reggimento e va “to take a nap - lest leaden slumber peise me down tomorrow” (105 - 106) ad appisolarsi per ervitare che il plumbeo sonno mi schiacci domani quando invece dovrei levarmi con ali di vittoria.

Il sonno fruito è balsamo delle anime ferite balm of hurt minds " come lo chiama Macbeth (già citato Macbeth, II, 2), mentre il sonno di chi non ha dormito è un peso plumbeo che grava sulla testa.

 

Gli altri escono e Richard si inginocchia per pregare

Invoca dio con un O Thou - 109 - o Tu, senza dargli un nome, come si fa nelle preghiere a Dio - chiunque egli sia o chiunque Tu sia.

Una preghiera di Edipo inizia con Quisquis deorum regna placatus vides (Seneca, Oedipus, 248), chiunque tu sia tra gli dèi che guardi il potere regale con occhio benevolo.

"Chiunque tu sia" è una formula liturgica che risale all'Odissea: Ulisse quando giunge naufrago e malridotto nell'isola dei Feaci rivolge una preghiera al fiume che lo ascolta, ferma la corrente e lo accoglie:"Klu'qi, a[nax, o{sti" ejssiv " (V, 445), ascolta signore, chiunque tu sia. E' l'uomo stremato che si abbandona a una forza della natura sapendo che "tutto è pieno di dèi"[61].

 Ritroviamo la formula nell'Agamennone di Eschilo ( Zeuv", o{sti" pot j ejstivn, Zeus chiunque mai sia, v.160);

 Nelle Troiane di Euripide, Ecuba dice: “ o{sti" pot j ei\ suv, dustovpasto" eijdevnai - Zeuv" , vv. 885 - 886 , chiunque mai tu sia, Zeus che non dai congetture dalle quali conoscerti, sostegno della terra che sulla terra hai sede (884), sia necessità di natura (ajnavgkh fuvsewς) sia mente dei mortali (nou'ς brotw'n, 886), io ti prego.

 

Richmond chiede a questo Dio cui dà del tu, un dio amico che guardi le sue forze con occhio benevolo - with a gracious eye (110) - che può far pensare al sole il quale vede tutto come si legge in diversi autoi greci e latini e pure in Shakespeare:"the all - seeing sun ne'er saw her match, since first the world begun " , il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, dice Romeo di Giulietta all’amico Benvolio[62].

Richmond poi prega Dio di mettere in mano i ferri della sua ira - irons of wrath (111) ai soldati che stanno dalla parte giusta.

 

Si è persa l’obiettività epica della storiografia classica: la storia da Paolo Orosio è diventata iudicium Dei adversus paganos, quindi adversus victos.

 

I vincitori saranno ministri della punizione divina.

Detto questo Richmond affida l’anima to Thee a Te, a questo dio Ignoto, senza nome, e va a chiudere le finestre degli occhi, chiedendo protezione nel sonno e nella veglia.

 

Tutt’altra è la situazione notturna di Riccardo il Malo.

Appaiono gli spettri delle sue vittime.

Prima quello del principe Edward figlio di re Edoardo IV.

All’usurpatore ricorda come venne da lui pugnalato e lo maledice con la formula che verrà ripetuta dagli altri morti ammazzati : despaire ad die (127, dispera e muori.

Invece Richmond riceve incoraggiamento e benedizioni dai medesimi spettri.

Segue re Enrico VI: “Think on the Tower and me: despair and die” (127), pensa alla torre e a me: dispera e muori.

A Richmod viceversa dice: “Virtuous and holy , be thou conqueror (127), vituoso e santo, sii vincitori.

Il male è tutto da una parte, il bene completamente nell’altra.

Mancano i dissoi; lovgoi i discorsi contrapposti della sofistica e della storiografia antica.

Quindi appare lo spettro del fratello Clarence con un altro tristo annunzio di futuro danno: andrà posarsi pesantemente sull’anima di Riccardo durante la battaglia.

Ricorda che morì immerso in un vino disgustoso.

In The Waste Land T. S. Eliot scrive “Fear death by water” (v.55), temete la morte per acqua. Clarence ha subito la morte per vino

La sua vita si era annegata, annullata, nella botte di Malvasia, come ricorda il seduttore di Emma Bovary[63].

 

Il fratello fatto assassinare augura a Riccardo che durante la battaglia la spada gli cada con il filo smussato. Quindi l’immancabile, dovuto: “despair and die” (136)

A Richmond che saluta quale “ offspring of the house of Lancaster” (137), progenie della casa di Lancaster, Clarence si presenta come uno tra the wronged heirs of York, gli eredi oltraggiati della casa di York che pregano per il loro vendicatore: “good angels guard thy battle, live and flourish” (139), angeli benefici proteggano le tue truppe: vivi e prospera.

 

 

Seconda parte degli incubi di Riccardo. XXXII

 

Aggiunta del primo luglio

Gli spettri che, dopo avere maledetto Riccardo, benedicono Richmond e la nuova era di pace e prosperità inaugurata da questo Tudor non dicono il vero, forse perché hanno “mala luce”, una vista cattiva come i dannati di Dante. Il figlio di Richmond - Enrico VII - ossia Enrico VIII farà scorrere nella sua corte non meno sangue di quello versato da Riccardo III.

 

Altri spettri le cui voci vengono a Riccardo dal senso di colpa e dalla percezione della propria debolezza

 

Continua la processione degli spettri che si aggirano nella tenda di Riccardo come lo spettro del comunismo per l’Europa all’inizio del Manifesto del Partito Comunista di Marx - Engels. Riccardo per giunta “assomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze infere da lui evocate”, come la “società borghese moderna” secondo Marx e il suo amico, cooperatore e mecenate Engels. Anche Riccardo “non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse”.

 

Compaiono lo spettro di Rivers, fratello della regina Elisabetta, quello di Grey, figlio di Elisabetta e di Sir Thomas Vaughan. Tutti rinfacciano a Riccardo i suoi crimini, lo maledicono e gli predicono la sconfitta mentre prevedono la vittoria di Richmond.

In alcune tragedie di Euripide (l’Ecuba e le Baccanti per esempio) si assiste a un capolgimento per cui il personaggio prepotente come Penteo o criminale come Polimestore, è odioso finché cade talmente in rovina e viene così duramente colpito dal contrappasso che, se pure non diventa simpatico, può suscitare della compassione.

 

Lo spettro di Hastings che abbiamo visto restare isolato nella riunione dentro la torre e condannato a morte per la sua onestà è efficace nell’imprecazione contro Riccardo.

Lo apostrofa con queste parole: “bloody and guilty - guiltily awake –and in a bloody battle end thy days (V, 3, 148 - 149), sanguinario e colpevole, svegliati con I sensi di colpa, e finisci i tuoi giorni in una battaglia cruenta.

Non c’è tregua allo scorrere del sangue in questi drammi sulla lotta per il potere.

 Clitennestra chiede a Egisto di non proseguire sulla via dei delitti:

“basta sciagure: non dare inizio a nulla: siamo già insanguinati hJ/matwvmeqa ( Agamennone, vv. 1657 - 1658).

Clitennestra vorrebbe spezzare la catena ma il loro delitto non sarà l'ultimo anello.

Come quelli di Riccardo nella corte reale inglese.

 

 

Quindi di nuovo despaire and die (149)

 

Richmond invece viene invocato da Hastings come “spirito tranquillo e sereno che deve vincere per amore della bella Inghilterra”.

Ci penserà suo figlio Enrico VIII ad avviare una niova catena di delitti dentro la corte.

 

Qundi gli spettri in coro rinfacciano a Riccardo i nipoti smothered in the Tower (152), soffocati nella torre: questo delitto per il contrappasso dovrà soffocare l’assassino pesando come piombo sul suo petto e schiacciandolo.

Non c’è alcuno spazio per il pentimento e il perdono.

A Richmond l’augurio di generare una stirpe felice di re.

 

Sarà quella dei Tudor celebrata da Shakespeare nell’ Enrico VIII dramma del 1613 scritto in collaborazione con John Fletcher. Un altro re sanguinario la cui vittima più illustre, Thomas More, è appena nominato

 Alla fine del dramma viene santificata anche la piccola Elisabetta, la futura regina. La verità sarà sua nutrice: Truth shall nurse - nutrio - nutrix her (Enrico VIII, V, 4, 28), avrà come consiglieri pensieri santi e devoti e sarà amata e temuta she shall be loved and feared (30). Conclusa la sua vita perfetta in questo mondo di tenebre, Elisabetta sarà una stella in cielo, una stella fissa (47) dopo essere morta ancora vergine yet a virgin, a most unspotted lily - lilium (61), il più immacolato dei gigli. Il mondo intero prenderà il lutto per lei

Enriico VIII conclude che per la piccina renderà quel giorno un Holy - day, un giorno santo.

 

Torniamo al Riccardo III. Entra lo spettro di lady Anne, la moglie

Il contrappasso qui sta nel fatto che la donna corteggiata con le promesse ingannevoli che abbiamo visto, poi tenuta nell’ansia e nella paura nel letto matrimoniale dove non ha dormito un’ora tranquilla con il consorte, adesso nell’ora cruciale riempie il sonno del marito con l’angoscia: now fills thy sleep with perturbation (162)

Riccardo, al pari di Macbeth (II, 2), ha ucciso il sonno con i suoi delitti.

 

Durante la battaglia Anne tornerà in mente al marito assassino e gliela farà pagare

A Richmond invece Anne augura il successo.

 

Infine entra lo spettro di Buckingham il complice poi caduto in disgrazia, passato dalla parte dei ribelli, catturato e decapitato.

Gli augura di morire in terror of thy guiltiness (171) nel terrore della tua colpevolezza.

Il terrore delle nostre colpe non interviene prima della percezione della nostra debolezza.

"Il successo e la fortuna sono in noi. Noi dobbiamo tenerli: saldi, profondamente. Appena qua dentro qualche cosa comincia a cedere, a stancarsi, a perder forza, tutti intorno a noi si sentono liberi, si ribellano, recalcitrano, si sottraggono al nostro influsso. Allora un guaio viene dopo l'altro, batoste su batoste, e si è liquidati"[64].

 

Alessandro Magno che aveva fatto uccidere Filota e il padre di lui, il vecchio generale Parmenione luogotenente di Filippo II e probabilmente anche il proprio padre lo stesso Filippo, non si curava dei presagi finché sentiva la sua buona salute e il proprio demone favorevole.

Ma quando l'indovino Pitagora gli disse che aveva trovato nelle vittime sacrificali un fegato senza lobi h|par a[lobon (Plutarco, Vita, 73, 5), Alessandro disse: " papai; ijscuro;n to; shmei'on", ahi, un segno forte!

Plutarco nota che Alessandro era diventato taracwvde~ kai; perivfobo~ (75), incerto e pauroso da quando si era affidato ai segni divini. Lo storico commenta dicendo che se l’incredulità (ajpistiva) e il disprezzo (perifrovnhsi~) nei confronti del divino è terribile (deinovn), terribile d’altra parte è anche la superstizione (deinh; d j au\qi~ hJ deisidaimoniva) che come la pioggia cade sempre sul terreno depresso (divkhn u{dato~ ajei; pro;~ to; tapeinouvmenon, Vita, 75, 2)

 

 Poco prima di morire (inizio dell'estate del 323 a. C.) il Macedone si sentiva la morte addosso e non era più se stesso, perché questa volta non ebbe la forza di volgere il segno in proprio favore come aveva fatto prima della battaglia di Gaugamela (331 a. C.), per esempio

Dunque anche Riccardo pre - sente la propria morte e questi spettri sono voci della sua stessa anima.

A questo punto si sveglia di sobbalzo

 

 

Riccardo il criminale timorato. Forse ha sbagliato destino. XXXIII

 

Aggiunta del primo luglio 2021. La ripetizione ossessiva degli spettri che gli hanno gridato “despaire and die” ha funzionato come ora funziona il ripetersi ossessivo degli annunci pubblicitari.

 Tale iterazione martellante ha portato Riccardo a disperare appunto.

 

Negli Acarnesi di Aristofane (425 a. C.) c’è un rifiuto antico della pubblicità da parte del cittadino giusto, il protagonista Diceopoli che fa:

"guardo verso la campagna, sono desideroso di pace,

e odio la città mentre desidero il mio villaggio,

che mai disse: compra il carbone"

né l'aceto, né l'olio, e nemmeno conosceva quel "compra" privw"[65],

ma lui produceva tutto e il comprare che stanga non c'era"(32 - 36).

Diceopoli dunque non ci è cascato, Riccardo sì.

A proposito: il mio corso autunnale nella Primo Levi verterà sulla Commedia greca: l’antica di Aristofane e la nuova di Menandro. Ne garantisco la qualità.

 

 Riccardo si sveglia sconvolto.

Chiede un altro cavallo (V, 3, 178) prefigurando il grido finale (V,5, 7)

Grida anche: “Bind up my wounds!”, fasciatemi le ferite! (V, 3, 178).

Per ora sono quelle dell’anima la cui corazza si sta sgretolando, come sta cadendo la maschera di regale superiorità e invincibilità che Riccardo si era costruita aiutato dai successi.

Ma ormai questi sono finiti.

 

Lucrezio ci insegna che gli uomini si scoprono adversis in rebus, nell’avversa fortuna: allora finalmente erompono dal profondo del petto le vere voci, la maschera cade e rimane l’essenza

Nam verae voces tum demum pectore ab imo -

eliciuntur et eripitur persona, manet res (De rerum natura, III, 58 - 59).

 

Riccardo cerca di reagire dicendo “I did but a dream” 179, ho solo fatto un sogno. Quindi se la prende con la coscienza che aveva sepolto mummificata e si sta risvegliando: “ O coward conscience, how dost thou afflict me!”, (180) o coscienza vigliacca, come mi tormenti!

Più avanti dirà ai gentlemen del suo seguito che la coscienza è solo una parola che usano i vigliacchi, inventata per tenere in ansia i forti (V, 3, 310 - 311)

Ma intanto, finchè è solo, dice: “ cold fearful drops stand on my trembling flesh” (182), gocce fredde di spavento coprono la mia carne tremante.

 

Il fatto è che una parte del nostro animus non è controllabile dalla volontà e dalla ragione. Un conto sono le teorie, le idee che facciamo nostre dopo che ce le hanno inculcate, un altro l’emotività, ed è vero che spesso i nostri ragionamenti servono solo a travestire e mostificare i sentimenti. Si pensi allo qumov" preponderante diella Medea di Euripide (1079) e si ricordi quanto dice Fedra dnell'Ippolito di Euripide :"bisogna considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk ejkponou'men), alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto cattivo, (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza"(vv.379 - 385).

Anche Riccardo, come Macbeth è arrivato alla resa dei conti e comincia a essere stanco del sole, della vita, di se stesso.

Eppure cerca di reagire con quel darsi animo che T. S. Eliot considera come derivato a Shakespeare da Seneca la cui Medea ripudiata da Giasone dice "Medea superest " (Seneca, Medea, vv. 166 ), Medea c’è ancora. Conseguentemente nell’ Antonio e Cleopatra, Antonio fa:” I am Antony yet " ( III, 13, 92.) e nel Giulio Cesare il duce romano dice che personalmente non teme Cassio anche se Cassio è temibile for always I am Caesar ( I, 2, 211) dato che sono sempre Cesare
Ebbene, Riccardo dice; “Richard loves Richard, that is. I and I (V, 3, 184), Riccardo ama Riccardo, cioè, Io sono io.

E’ un Io comunque in contaddizione con se stesso: Riccardo dice di amarsi, poi di odiarsi: I love myself (188) poi O no, alas, I rather hate myself/for hateful deeds committed by myself (190 - 191), o no, piuttosto odio me stesso per gli odiosi misfatti che ho commesso.

Quindi “I am a villain, yet I lie, I am not” (191), sono uno scellerato, oppure mento, non lo sono. E’ un’identità caduta in crisi, sottoposta a giudizi duri quanto quelli dei suoi avversari.

Segue una unificazione negativa delle mille lingue diverse della coscienza: ciascuna racconta ua storia diversa and every tale condemns me for a villain (196) e ogni storia mi condanna come scellerato.

Tutti i suoi peccati si accalcano alla sbarra Throng to the bar , crying all, ‘Guilty. Guilty!’, e tutti gridano: ccolpevole, colpevole!”

Questa espressione è utilizzabile contro lo stiparsi che diffonde i contagi e l’infezione pure mentale del branco.

La conclusione davvero disperata di questo perdente che ora fa pena è che nessuno ha pietà di lui, nemmeno lui di se stesso.

“and if I die, no soul will pity me - and wherefore should they, since that I myself –find in myself no pity to myself? (202 - 204)

 

Questo succede quando diamo maggior credito al luogo comune sentito dire e ripetere –despaire and die nella fattispecie - che a tuttto il resto.

La ripetizione ossessiva è il metodo della pubblicità.

Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (Seneca, De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori del fatto di regolarci secondo il "si dice".

Quindi: “si ad naturam vives, numquam eris pauper; si ad opiniones, numquam eris dives” (ep. 16, 7), se vivrai secondo la natura, non sarai mai povero, se secondo i luoghi comuni, non sarai mai ricco.

 

La natura di Riccardo era quella dell’uomo malvagio, ma non era abbastanza salda da non lasciarsi impressionare dalle immagini oniriche che lo maledicevano. Ognuno dovrebbe sapere con chiarezza qual è il suo carattere che si identifica con il destino per non sbagliare destino e vivere quello di un altro.

 

 

Riccardo III. I preparativi della battaglia. - XXXIV

L’ansia di Riccardo. La fiducia di Richmond. Tutto come previsto.

Poche parole aggiunte il primo di luglio 2021

Alla fine delle guerre - e delle pandemie - i poveri sono più poveri di prima e gli speculatori già ricchi, più ricchi di prima.

 

Entra Ratcliffe e dice a Riccardo che the early village cock , il mattiniero gallo del villaggi ha già salutato l’alba due volte e i loro amici già indossano le armature.

 

Nel Satyricon il cantare del gallo viene considerato un cattivo presagio da Trimalchione.

Haec dicente eo gallus gallinaceus cantavit. qua voce confusus Trimalchio vinum sub mensa iussit effundi lucernamque etiam mero spargi. immo anulum traiecit in dexteram manum et:"non sine causa" inquit" hic bucinus signum dedit; nam aut incendium oportet fiat, aut aliquis in vicinia animam abiciat. longe a nobis! itaque quisquis hunc indicem attulerit, corollarium accipiet". dicto citius de vicinia gallus allatus est, quem Trimalchio iussit, ut aeno coctus fieret. laceratus igitur ab illo doctissimo coco, qui paulo ante de porco aves piscesque fecerat, in caccặbum est coniectus" (74, 1 - 4), mentre quello parlava così un gallo cantò. Trimalchione turbato da questo verso ordinò che si versasse del vino sotto la tavola e che anche la lucerna fosse spruzzata di vino. Per giunta fece passare l'anello[66] nella mano destra[67] e disse:"non senza motivo questo trombettiere ha dato il segnale; infatti ci deve essere un incendio o qualcuno nei dintorni deve lasciare la vita. Lungi da noi! Perciò chiunque porterà questo iettatore, riceverà una mancia". In men che non si dica fu portato un gallo dai paraggi e Trimalchione ordinò che venisse cotto in una casseruola. Tagliato dunque a pezzi da quel cuoco sapientissimo che poco prima aveva ricavato da un porco uccelli e pesci, fu gettato in pentola.

 

Riccardo si apre e confida con Ratcliffe. Gli dice del sogno spaventoso e gli domanda se rimarranno tutti fedeli i loro amici.

 

Torno a ricordare il già citato"non intrat umquam regium limen fides" (Seneca, Agamennone, v. 285), la lealtà non entra mai nella soglia di una reggia.

 

Tuttavia Ratcliffe ridponde: “no doubt, my lord ”(V, 3, 214)

Ma questa assicurazione non toglie la paura a Riccardo: “O Ratcliffe, I fear, I fear”. Il tiranno è spesso soggetto e oggetto di paura. Metus tyranni: il genitivo soggettivo e oggettivo.

Ratcliffe cerca di incoraggiarlo: “be not afraid of shadows” , non abbiate paura delle ombre. Ma l’ombra che spaventa Riccardo è quella della propria morte evocata dagli spettri che ha visto di notte. Il re infatti dice che quelle visioni oniriche lo hanno spaventato più di dieci mila soldati nemici armati di tutto punto. Poi aggiunge che vuole fare un giro a origliare vicino alle tende per vedere se qualcuno si prepara a fuggire.

 

Riccardo nella paura assume un atteggimento che è tipico dello schiavo: nelle Rane di Aristofane Xantia, il servo di Dioniso, e un servo di Plutone identificano il doulikovn (v. 743) gli atti degni di uno schiavo che li rendono felici; essi sono: mandare gli accidenti ai padroni, brontolare, essere ficcanaso, origliare quanto dicono i padroni (parakouvwn despotw'n a{tt j a}n lalw'si, v. 750) e andarlo a raccontare fuori.

 Nei drammi di Plauto ci sono diversi personaggi volgari che origliano: il Miles gloriosus , Pirgopolinice, bisbiglia: “Tace; subauscultemus ecquid de me fiat mentio" (v. 993), taci, ascoltiamo di nascosto se viene fatta menzione di me.

 

Riccardo e Ratcliffe escono.

 

Entrano i nobili nella scena e nella tenda di Richmond.

Gli chiedono come abbia dormito, e lui, che sta dalla parte giusta, risponde in modo prevedibile: “ho avuto il sonno più dolce e sogni di buon augurio”. Aggiunge un’altra battuta non inopinata: gli è parso che le anime dei corpi assassinati da Riccardo cantassero vittoria.

Riccardo ha minor forza militare ma le sue parole hanno maggior significato drammatico.

 

Segue l’orazione di Richmond ai soldati

C’è dentro il solito Dio è con noi. Non solo Dio ma le preghiere dei santi e delle anime offese.

A questa affermazione che Dio sostiene sempre la parte giusta, quindi da lui preferita, contrappongo quanto dice Giove nel dramma Cimbelino (1609) di Shakespeare; “Whom best I love,I cross: make my gift - the more delay’ d, delighted” (V, 4, 101 - 102), io crocifiggo chi amo di più per rendere più gradito il mio dono più atteso. Si pensi anche al Giobbe biblico. Cito anche alcune parole del De Providentia di Seneca

Omnia adversa exercitationes puta (2, 2)

Marcet sine adversario virtus (2, 4)

Ecce par deo dignum: vir fortis cum mala fortuna compositus, utĭque si et provocavit (2, 8).

 

Richmond procede con la denigrazione e demonizzazione del nemico “a bloody tyrant and a homicide” (247)

Di più: un’ignobile, immonda pietra resa preziosa solo dall’essere appoggiata sul trono d’Inghilterra, insomma one that hath ever been God’s enemy - (253) uno che è sempre stato nemico di Dio.

Dunque di nuovo: è giusto che Dio vi protegga come suoi soldati.

Soldati che saranno benedetti anche dalle mogli e dai figli.

Perciò combattete nel nome di Dio!

 

L’abbiamo sentito dire tante volte anche dai peggiori delinquenti

Pure Enea , quandoabbandona Didone nel modo più vile lo fa in nome di Dio

La figlia di Cimbelino Imogene, falsamente creduta infedele dice che molti uomini onesti vennero ritenuti falsi quando vennero interpretati tali quale era il falso Enea ( being heard like false Aeneas, Cimbelino, III, 4, 58 - 59)

Richmond infine promette che dopo la vittoria “l’ultimo di voi(the least of you, 269)) avrà parte degli acquisti dell’impresa”.

 

Sono piuttosto incline a credere nelle parole di Brecht

La guerra che verrà

Non è la prima. Prima ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima

C’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente

Faceva la fame. Fra i vincitori

Faceva la fame la povera gente egualmente (Poesie di Svendorg, del 1939).

 

Poi trombe e tamburi, Dio, San Giorgio e Richmond.

Sound, drums and trumpets boldly and cheerfully!

God and Saint George! Richmond and Victory! (V, 3, 270 - 271

Suonate arditi e lieti tamburi e trombe. Dio e San Giorgio, Richmond e vittoria!

 

 

Riccardo III cerca di darsi animo, poi segue il destino. XXXV.

 

Poche parole aggiunte il primo luglio 2021.

 

I legislatori antichi ricorrevano a Dio quale redattore o per lo meno ispiratore delle loro leggi.

 

Riccardo parla con Ratcliffe e nota che il sole disdains to shine (V, 3, 279) non si degna di splendere e per qualcuno sarà una giornata nera - a black day will it be to somebody - (281)

Poi si fa coraggio dicendo che se non splende il sole non è un brutto segno riservato a se stesso: lo stesso cielo accigliato con me guarda con occhio triste anche lui , Richmond: “ the self - same heaven –that frowns on me looks sadly upon him (287 - 288).

Riccardo non è ancora rassegnato alla sconfitta e prova a interpretare i segni in maniera non male augurante.

 

Alessandro giovanissimo si fece profeta di se stesso, dando, non prendendo gli auspici sul suo destino.

Nella biografia di Plutarco "Volendo poi consultare il dio sulla spedizione andò a Delfi e poiché per caso erano giorni nefasti, nei quali non è in uso dare oracoli, dapprima mandava a chiamare la sacerdotessa". -

Poiché quella si rifiutava e metteva avanti la norma, egli stesso, salito, la trascinava a forza nel tempio, ed ella come vinta dalla risolutezza disse:"sei invincibile, figliolo” (Vita 13, 6) .

 

Così pure Cesare "Ne religione quidem ulla a quoquam incepto absterritus umquam vel retardatus est. Cum immolanti aufugisset hostia, profectionem adversus Scipionem et Iubam non distulit. Prolapsus etiam in egressu navis, verso ad melius omine, Teneo te, inquit, Africa "(Svetonio, Caesaris Vita , 59), non si lasciò distogliere da qualsiasi impresa neppure da alcuno scrupolo religioso. Sebbene gli fosse sfuggita una vittima mentre sacrificava, non rimandò la spedizione contri Scipione e Giuba. Scivolato per giunta nell'uscira dalla nave, girato al positivo il presagio, disse:"Ti tengo, Africa!".

 

Riccardo dispone le truppe assecondato da Norfolk.

Quindi si fa altro coraggio

 

Dice che la coscienza è una parola usata dai codardi e inventata in origine per fare paura ai forti: “Conscience is but a word - lat. verbum - that cowards - lat. cauda probabily named from the bob - tailed hare, lepre dalla coda tagliata - use, devis’d a first to keep the strong—straggovς - tightly twisted, strettamente intrecciato (complesso) - in awe - timore e soggezione [acoς pena - (V, 3, 310 - 311).

 

La coscienza dunque come strumento di potere, al pari della religio.

 

 La religione contribuisce spesso a formare la coscienza.

E' la ragione già svelata da Crizia, sofista e tiranno sanguinario, (460 - 403 a. C.) nel dramma satiresco Sisifo che contiene la teoria razionalistica dell'utilità politica della religione la quale è un'invenzione geniale e valida a frenare i male intenzionati con la paura dei castighi poiché le leggi non bastavano a inceppare i malvagi quando agivano di nascosto:"mi sembra che prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i malvagi ci fosse uno spauracchio ("ti dei'ma") anche se fanno o parlano o pensano qualche cosa furtivamente ("lavqra/")[68].

 

 Il re Numa decise di infondere il timore degli dèi (“deorum metum iniciendum ratus est ” (Livio, I, 19, 4), cosa efficacissima per la massa ignorante e rozza di quei tempi.

 

Lo storico greco Polibio che visse a Roma nel circolo degli Scipioni (II sec. a. C.) fa queste osservazioni (VI, 56):" a me sembra che la superstizione (deisidaimoniva), biasimata presso altri popoli, tenga insieme lo Stato romano. Essa venne istituita pensando alla natura del volgo. In una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a tali mezzi, ma la moltitudine soggiace a sfrenata avidità, a ira violenta e bisogna trattarla con tali apparati e misteriosi timori. Il terrore degli dèi viene esagerato e drammatizzato nella vita pubblica e privata".

 

L'XI capitolo del I libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1517) di Machiavelli verte sulla religione dei Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi uomini romani disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei. Talché se si avesse a disputare a quale principe Roma fusse più obligata o a Romolo o a Numa credo più tosto Numa otterrebbe il primo grado: perché dove è religione facilmente si possono introdurre l'armi e dove sono l'armi e non religione con difficultà si può introdurre quella...E veramente mai fu alcuno ordinatore di leggi straordinarie in uno popolo che non ricorresse a Dio, perché altrimenti non sarebbero accettate". Quindi Machiavelli tra i legislatori che "ricorrono a Dio" nomina Licurgo e Solone. Infine tira le somme:"Considerato adunque tutto, conchiudo che la religione introdotta da Numa fu intra le prime cagioni della felicità di quella città, perché quella causò buoni ordini, i buoni ordini fanno buona fortuna, e dalla buona fortuna nacquero i felici successi delle imprese. E come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle repubbliche, così il dispregio di quello è cagione della rovina di esse. Perché dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' defetti della religione".

In effetti uno dei grandi errori dei capi dell’Unione Sovietica è stato il tentativo di sopprimere la religione in un popolo tradizionalmente pio.

 

Riccardo continua a darsi animo dicendo: our strong arms be our coscience, swords our law - (312). Le nostre forti armi siano la nostra coscienza, le spade la nostra legge.

Ognuno si riempie la coscienza, e pure buona parte dell’inconscio, anche con le esperienze della propria vita. Letture comprese. Questo corso che sto definendo e inizierò il 29 ha arricchito la mia coscienza.

Riccardo aggiunge un’affermazione di amor fati e segue il destino: “avanziamo, coraggiosamente uniti “if not to Heaven, then hand in hand to hell!” (314), se non verso il cielo, allora mano nella mano, verso l’inferno.

 

 

Riccardo, Mitridate, Calgaco e Budicca infamano il nemico. XXXVI

Poche parole aggiunte il primo luglio 2021

 

La civilizzazione esportata dai Romani consisteva in portici, bagni e conviti eleganti. La chiamavano humanitas ma era piuttosto pars servitutis

 

L’orazione di Riccardo all’esercito.

I nemici vengono denigrati come una masnada di vagabondi (vagabonds) mascalzoni (rascals) e fuggiaschi (runaways) . Sono contadini parassiti, una schiuma di Bretoni vomitati dal loro paese. Vengono qui a portare scompiglio guidati da un figuro spregevole mantenuto a lungo in Bretagna da nostro fratello. Sono straccioni –rags - di Francia, affamati accattoni stanchi di vivere - famish’d beggars, weary of their lives (V, 3, 330). Miseri ratti –poor rats - che se non fosse per questa impresa si sarebbero impiccati. Non potranno violentare le nostre spose e le figliole nostre. Quindi l’esortazione a combattere con tutta la forza.

 

Vediamo un’altra orazione di incoraggiamento alle truppe che devono combattere.

Quando fu sul Monginevro (ottobre 218 a. C.), Annibale fece vedere la pianura sottostante dicendo che stavano superando non le mura dell’Italia ma quelle di Roma: il resto sarebbe stato in discesa : “Italiam ostentat…moeniaque eos tum transcendere non Italiae modo, sed etiam urbis romanae; cetera plana, proclivia fore” (Livio, 21, 35).

 

La condanna più celebre del nemico, l’ imperialista romano è il discorso di Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli, ricostruito nell'Agricola[69] di Tacito:" Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant " (30), ladroni del mondo, dopo che alle loro devastazioni totali vennero meno le terre, frugano il mare: se il nemico è ricco, avidi, se povero, tracotanti, essi che né l'Oriente né l'Occidente potrebbe saziare: soli tra tutti bramano i mezzi e la loro mancanza con pari passione. Rubare, massacrare, rapire con nome falso chiamano impero e dove fanno il deserto lo chiamano pace.

Calgaco venne sconfitto nell’84 d. C. da Agricola nella battaglia presso il monte Graupio.

 

Non dice meno sull’avidità dei colonizzatori romani Mitridate che scrive al re dei Parti Arsace una lettera per metterlo in guardia :"Namque Romanis cum nationibus populis regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et divitiarum "( Sallustio, Historiae[70], Epistula Mithridatis, 2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4), come, non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?

Mitridate fece ammazzare 80 mila commercianti italici in Asia.

Venne sconfitto definitivamente da Pompeo nel 66 a. C.

 

Budicca l’eroina dei Britanni

Una svalutazione e sottovalutazione dei Romani come gente rammollita è quella fatta da Budicca la regina degli Iceni, una popolazione della Britannia che, guidata da questa ribelle, nel 61 d. C. mise a sacco Londinium e Verulanium e uccise 80 mila persone tra Romani e alleati. Aveva un’intelligenza superiore a quella solita delle donne, racconta Cassio Dione: mei'zon h] kata; gunai'ka frovnhma e[cousa” (62, 2, 2).

Anche l’aspetto non era usuale: era to; sw'ma megivsth, (62, 2, 3) grandissima di corpo, di aspetto terribile, di sguardo penetrante, e di voce aspra, aveva una chioma biondissima e foltissima che le scendeva fino alle natiche (mevcri tw'n gloutw'n, 62, 2, 4) e al collo portava una grossa collana d’oro. Si pensi all’ultima Elisabetta I cinematografica.

Mentre esortava i suoi brandiva una lancia (tovte de; kai; lovgchn labou'sa) con la quale incuteva soggezione a tutti.

Giulio Cesare nel 55 era stato respinto, giustamente, dice Budicca, poi i Romani erano stati fatti sbarcare. Ora veniamo calpestati e disprezzati da uomini che non sanno fare altro che depredare. I Romani appesantiti dalle armature non possono inseguire né fuggire: “ejkei'noi de; ou[te diw'xai uJpo; tou' bavrou~ ou[te fugei'n duvnantai (62, 5), e non sopportano come noi la fame né la sete né il freddo né il caldo ou[te limo;n ou[te divyo~, ouj yu'co~ ouj kau'ma uJpofevrousin w{sper hJmei'~, e muoiono, se non hanno coperte, vino e olio (kai; oi[nou kai; ejlaivou devontai); per noi invece pa'sa me;n pova kai; rivza si'tov~ ejsti, ogni erba e radice ci fa da pane (62, 5).

Ecco perché non era grassa.

Ogni succo è il nostro olio, ogni acqua è vino, ogni albero è dimora pa'n de; u{dwr oi\no~, pa'n de; devndron oijkiva. C’è uno stile di vita della semplicità e dell’anticonsumismo. Conosciamo il territorio e attraversiamo a nuoto i fiumi anche nudi. Quelli sono lepri e volpi (lagwoi; kai; ajlwvpeke~) che cercano di dominare dei cani e dei lupi. Quindi lasciò scappare una lepre dal suo vestito. Questa si mise a correre nel verso giusto per loro. Poi Budicca ringraziò la divinità femminile Andraste, da donna a donna, lei era una donna e una regina non come Nitocri o Semiramide, in quanto i loro sudditi non erano guerrieri.

 

Budicca esortò i suoi Britanni sminuendo i Romani come effemminati e comandati da femmine: Messalina e Agrippina che dà ordini a Nerone il quale o[noma me;n ajndro;~ e[cei, e[rgw/ de; gunhv ejsti: shmei'on de;, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai (62, 6, 3), ha nome da uomo, ma di fatto è una donna: i segni sono il fatto che canta e suona la cetra e si imbelletta.

Budicca invece regnava su uomini veri che non sanno coltivare la terra né produrre manufatti, ma conoscono l’arte della guerra e che considerano tutto bene comune, anche i bambini le donne le quali proprio per questo hanno lo stesso valore dei maschi: “ th;n aujth;n toi'~ a[rresin ajrethvn[71].

Budicca conclude l’esortazione chiedendo che questa Domizia Nerona (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più su di me né su di voi, ma tiranneggi, cantando, i Romani : “kai; ga;r a[xioi toiauvth/ gunaikiv douleuvein”, i quali infatti meritano di servire una tale donna.

Budicca compì una strage incredibile. Ai catturati in Londinium furono riservate torture orrende. Appesero nude le donne nobili, tagliarono loro i seni (tou;~ te mastou;~ aujtw'n perievtemon) e li cucirono sulle loro bocche (kai; toi'~ stovmasiv sfwn prosevrrapton), in modo che si vedessero mentre li mangiavano (62, 7, 2).

Il propretore Svetonio Paolino intanto aveva assoggettato Mona e navigò verso Londinium. Ma non affrontò subito la battaglia. Poi però fece un discorso incitando i soldati contro quella gente maledetta oiJ katavratoi ou|toi, 62, 11).

 Loro, i Romani, potevano contare sull’alleanza con gli dèi i quali appoggiano di solito le vittime dell’ingiustizia. Abbiamo esteso il nostro dominio sull’umanità intera. Vinceremo per la nostra dignità, poiché combattiamo contro i nostri schiavi. I Romani vinsero, racconta Cassio Dione e Budicca si ammalò e morì.

 

 

I Romani esportavano aspetti di una civiltà che era strumento di servitù

Tacito racconta che i Britanni cadevano nelle lusinghe dei vizi offerti da Agricola che sconfisse Calgago presso il monte Graupio nell’84:”frequens toga; paulatimque discessum ad delenimenta vitiorum porticus et balinea et conviviorum elegantiam. Idque apud imperitos humanitas vocabatur, cum pars servitutis esset (Agricola, XXI) , indossavano spesso la toga e a poco a poco si allontanavano dalla loro cultura per l’attrazione dei vizi: i portici, i bagni, l’eleganza dei conviti.

Quello che gli inesperti chiamavano civiltà era invece parte delle loro schiavitù.

 

Torniamo a Shakespeare. Entra un messo che riferisce a Riccardo il rifiuto di Stanley: “he doth deny to come

Riccardo ordina che il figlio venga decapitato “Off with his son George’s head”

Ma Norfolk fa prendere tempo al boia e al condannato: “George stanley muoia dopo la battaglia (347).

“Non si sa mai” come andrà a finire avrà pensato: può essere utile vantare dei meriti con il nemico se vincerà.

 

Riccardo lancia altri gridi di guerrra: “ bel San Giorgio!”,

Ci ispiri il furore di draghi infuocati!”, La vittoria è posata sui nostri elmi” (352).

E’ un grido di sconfitta e di morte perché San Giorgio è raffigurato da diversi artisti (Paolo Uccello, Raffaello) come l’uccisore del drago infuriato

 

 

Riccardo III - Il potere come male. Il grido di morte lanciato da Riccardo XXXVIII.

 

Atto V, scena 4

Entra Catesby che chiede soccorso a Norfolk dicendo: “The king enacts more wonders than a man (V, 4, 2) il re esegue prodigi più che umani. Riccardo è sempre stato estraneo al naturalmente umano.

 

Lo accosto a lady Macbeth quando è prossima a morire e il dottore dice: “unnatural deeds do breed unnatural troubles” (Macbeth, V, 3) atti contro natura producono turbamenti innaturali.

 

Il suo cavallo è stato ucciso ed egli si batte a piedi.

Il cavallo ha una funzione importante nella guerra di quel tempo, e più di tutti ha bisogno di servirsene un guerriero lamely claudicante quale si presenta Riccardo nella prima scena di questo dramma (I, 1, 22).

Riccardo è cladicante, come Edipo, e non si avvale di valido piede" j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai "(Sofocle, Edipo re, v.878 - 879).

 

Atto V scena 5

Entra in scena Riccardo III e lancia il grido A horse!a horse! My kingdom for a horse! (V, 5, 7). , un cavallo un cavallo! Il mio regno per un cavallo. Il regno che gli è costato tanti delitti vale meno di un cavallo. E’ un’altra smontatura del potere che non solo non è felicità ma nemmeno potenza.

Nelle tragedie di Shakespeare tali negazioni della felicità attribuita dalla gente comune, quella che non sa, ai potenti è frequente quanto nelle tragedie di Seneca. Nell’Enrico VIII scritta in collaborazione con John Fletcher 1613), Anne Bullen, Anna Bolena,dice:

I swear , ‘tis better to be lowly born - and range with humble livers in content, - than to be perked up in a glistering grief - and wear a golden sorrow” (II, 3, 19 - 22), lo giuro, è meglio essere di umili natali, e trovarsi contenti di vivere con gente umile, che essere elevato in uno sfavillio di dolore, e indossare un dispiacere dorato.

Queste parole sono dette da Anna per celare le sue reali intenzioni.

Ma poi si avvereranno. Nel gennaio del 1533 la Bolena verrà sposata e in settembre partorirà Elisabetta deludendo Enrico VIII che voleva un maschio e nel 1536 la farà decapitare.

In questo dramma viene decapitato il duca di Buckingham figlio del duca di Buckingham fatto decapitare da Riccardo III. Questo secondo Buckingham viene denunciato dal suo intendente comprato dal cardinale Wolsey suo mortale nemico. Il duca poco prima di venire ucciso mette in guardia chi lo ascolta dai presunti amici: “when they once perceive - the least rub in your fortunes, fall away - like water from ye, never found again - but where they mean to sink ye” (Enrico VIII, II, 1, 128 - 131), appena percepiscono la minima difficoltà nelle vostre fortune, scivolano via come acqua da voi, e non si fanno più trovare, a meno che intendano colarvi a picco. Il potere di Enrico VIII è più accorto ma non meno crudele di quello di Riccardo III.

 

Torniamo al Riccardo III.

Catesby gli consiglia la fuga ma Riccardo assume la veste dell’eroe il cui motto è “non cederò” - ouj lhvxw detto da Achille in Iliade , XIX, 423.

 

Riccardo dunque dice di avere puntato tutto su una sola giocata e accetterà il rischio del dado. Questo fa venire in mente l' alea jacta esto di Cesare (Svetonio, Vita, 32) e pure quanto dice Macbeth dopo l'uccisione del suo re Duncan. "there is nothing serious in mortality - all is but toys" (II, 3) non c'è niente di serio nella vita mortale, tutto si riduce a giocattoli.

Senza contare che i dadi del destino sono sempre truccati

In un frammento di Sofocle leggiamo: “ajei; ga;r eu\ pivptousin oiJ Dio;~ kuvboi”, i dadi di Zeus cadono sempre bene.

Per quanto riguarda l’alea di Cesare, Lucano scrive: placet alea fati (Pharsalia, VI, 8) gli piace correre rischi, abituato com’era a vincere, ma è di Zeus, o del Fato, la mano che lancia i dadi degli uomini, e il trucco non favorisce sempre la stessa persona, per quanto avventurata.

 

Del resto: non illuderti che il potere (kravto") sia potenza (duvnami"):“ mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein”, dice Tiresia a Penteo re di Tebe (Euripide, Baccanti, 310). Anche lui come Cesare, Pompeo e Riccardo e pure Richard e Anna Bolena combatte e si agita solo per una tomba :

“Et ducibus tantum de funere pugna”(Lucano, Pharsalia, VI, 811) pure i comandanti combattono solo per una tomba. Come noi tutti.

 

Quindi Riccardo ripete il suo verso di morte A horse!a horse! My kingdom for a horse! (13). Sono le sue ultime parole.

All’ultima scena è premessa la didascalia con la notizia che Riccardo si batte con Richmond e viene ucciso.

 

 

Riccardo III - Il (sospetto) lieto fine del dramma. XXXIX

Quindi entra in scena il vincitore con Stanley, conte di Derby, che tiene la corona in mano e altri nobili.

Richmond annuncia: “the bloody dog is dead” (V. 5, 2), il cane sanguinario è morto. Probabilmente anche l’uccisore di Riccardo sarà insanguinato.

What bloody man is that?, chi è quell’uomo insanguinato?, sono le prime parole umane, dopo quelle delle tre streghe, nel Macbeth (I, 2, 1). Le pronuncia Duncan, il re vedendo un suo ufficiale reduce dalla battaglia. E’ un segno: più avanti scorrerà il sangue di Duncan ucciso da Macbeth, poi quello dello stesso Macbeth.

 

Stanley porge a Richmond la corona regale che ha strappato dalla testa dell’usurpatore. Quindi gli dà la buona notizia che il proprio figliolo è al sicuro e nomina alcuni nobili caduti da una parte e dall’altra,

Richmond, il buon re, dotato di pietas, che succede al mostro spietato, ordina che tutti i nobili ricevano la sepoltura che spetta alla loro nascita.

Anche i riti funebri dunque sono classisti.

Inoltre Richmond ordina che si proclami un indulto a chi si sottometterà. Cfr. il mh; mnhsikakei`n (Senofonte, Elleniche, II, 4, 43), l’ astenersi dalle rappresaglie, seguito alla caduta dei Trenta tiranni, o anche a quello di Togliatti, caduto il fascismo. Una volta caduta la testa del capo, i suoi seguaci non sono più pericolosi: lo rinnegano sempre quasi tutti.

Segue il discorso che sancisce e santifica il lieto fine

Richmod manterrà il giuramento fatto di unire le due rose:

Il vincitore auspica una nuova età dell’oro: come aveva solennemente giurato

“We will - latino velle - unite - latino unire - the white rose - greco rJovdon, latino rosa - and the red - greco eJruqrov", latino ruber, uniremo la rosa bianca (York) e la rossa (Lancaster). 18 - 19

Il cielo che per tanto tempo ( trenta anni: 1455 - 1485) ha guardato accigliato la loro ostilità, ora può sorridere.

Il cielo nelle tragedie è spesso coinvolto nelle vicende umane

Ricordo il già citato :"Fecimus coelum nocens" ( Seneca, Oedipus, v. 36).

York e Lancaster furono divisi dall’odio e dal clima della totale ostilità : “the brother - greco fravthr - latino frater - blindly shed - orig. to separate - greco scivzw latino scindo - the brother’s blood; - the father - greco pathvr - latino pater - rashly slaughter’d his own son - greco uiJovς - ;/the son compelled - latino compello - spingo a forza - been butcher to the sire - is a variant of Old Frech senre<L. senior[72](24 - 26) il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello, il padre ha sconsideratamente macellato il proprio figlio, il figlio è stato costretto a farsi macellaio del padre.

All this divided - divĭdo - divīsit York and Lancaster/ - in their dire - greco deinovς - latino dirus - division” (28) tutto questo divise York e Lancaster nella loro crudele rivalità.

Durante questa guerra deprecata l’Inghilterra ha infierito contro se stessa e si è giunti a quella completa peccaminosità che caratterizza l’età del ferro. Il fratello ha ucciso il fratello, il padre il figlio, il figlio il padre.

Delitti che si sono in gran parte concentrati in Riccardo.

Enrico VIII, il figlio di Richmond, e le sue figlie, la Sanguinaria e la cosiddetta Vergine non saranno da meno.

 

Si ricordi il re buono che rende prospera la terra già nell’Odissea ( XIX, 108 - 114) e il capo cattivo che la intristisce e la rende desolata nelle Opere e i giorni (240 - 244) di Esiodo.

 

Anche Lucrezio identifica l’età peggiore, quella della compiuta peccaminosità, con il tempo delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei consanguinei.

 

Adesso l’odio è finito: “Richmond and Elisabeth the true - succeeders - latino succēdo - of each royal - latino regālis - House, autentici successori di ciascuna casa reale, by God’s fair ordinance conjoin - latino coniungo - together, si congiungano per fausto decreto di Dio, and their heirs - latino heres - ēdis, God, if Thy will - latino velle - be so - e il loro eredi, Dio, se tale è il tuo volere, enrich the time to come, with smooth - fac’d peace, arricchiscano l’avvenire con la pace dal volto disteso, with smiling - greco meidiavw - plenty - latino plenitas, plenus - greco - pivmmplhmi - plh'qoς - and fair prosperous - latino prosperus - days, con ridente abbondanza e radiosi giorni di prosperità (30 - 34)

 

Abate the edge - greco ajkivς - latino acies - of traitors graicious lord, smussa la lama dei traditori, grazioso signore that would - reduce - latino redūco - these bloody days again - and make poor England weep in streams of blood - che vorrebbero ricondurre quei giorni sanguinosi, e fare piangere torrenti di sangue alla povera Inghilterra (35 - 37) .

Il pericolo di una regressione c’è sempre nella storia come nella vita individuale.

Now civil - wounds are stopp’d - , peace lives again - that she may

 long live here. God say Amen (V, 5, 40 - 41) ora le ferite della guerra civile sono chiuse, torna a vivere la pace. Che possa vivere a lungo qui, Dio dica amen.

Sono le ultime parole del dramma. Poi la didascalia Exeunt

 

 

Breve appendice con lunghe note

 

Gli scrittori protetti celebrano sempre i vincitori

Richmond dopo la vittoria diviene re Enrico VII, padre di Enrico VIII e nonno delle regina Maria la Cattolica o la Sanguinaria, poi Elisabetta I

Con i tudor si dovrebbe tornare dall’età del ferro a quella dell’oro come nella IV Bucolica di Virgilio e nel Carmen saeculare di Orazio con Ottaviano.

 

Nell'Eneide la decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi delle ricchezze:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor[73] aetas/et belli rabies et amor successit habendi " (VIII, 324 - 327 è Evandro che racconta), i secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[74]: così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette un’età peggiore e scolorita e la furia di guerra, e l'amore del possesso.

 

 Ma l'età dell'oro, secondo la profezia di Anchise, ritornerà ovviamente con Augusto: “ Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata per arva/ Saturno quondam" (Eneide VI, vv. 792 - 794), Cesare Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui regnò nei campi arati un tempo Saturno.

 

 Già nel primo libro dell’Eneide Giove profetizza il rinnovamento dei tempi dovuto all’impero e senza fine e alla pace stabiliti da Augusto: “imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno (279)…. consilia in melius referet mecumque fovebit/Romanos rerum dominos gentemque togatam (281 - 282)… “(291)Aspera tum positis mitescent saecula bellis,/cana Fides et Vesta, Remo cum fratre Quirinus[75]/iura dabunt; dirae ferro et compagibus artis/claudentur Belli portae; Furor impius intus/saeva sedens super arma et centum vinctus aënis/post tergum nodis fremet horridus ore cruento” (Eneide, I, 279 sgg.), ho assegnato un impero senza fine. Anzi la dura Giunone volgerà in meglio i propositi e con me favorirà i Romani signori del mondo e la gente vestita di toga[76]…allora, deposte le guerre, diventeranno miti le età feroci, e la Fede veneranda e Vesta, e, con il fratello Remo, Quirino daranno le leggi; le atroci porte della guerra verranno chiuse con stretti serrami di ferro; l'empio Furore dentro, seduto sopra le armi crudeli, e legato dietro la schiena con cento nodi di bronzo, fremerà orribile nel volto insanguinato.

 

Sentiamo l’altro poeta protetto da Augusto

Orazio nel Carmen saeculare[77] celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet, apparetque beata pleno/Copia cornu"[78], già la Fede e la Pace e l'Onore e il Pudore antico e la Virtù messa da parte osa tornare, e appare felice l'Abbondanza con il corno pieno.

 

 

Aggiunta semiseria

 La morte si annuncia con il freddo agli arti inferiori

 La via più breve per scendere nell’Ade, dice Eracle a Dioniso che vuole andare negli inferi a recuperare Euripide è il suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la cicuta.

Dioniso: ma è gelata e intirizzisce gli stinchi (Rane, 125 - 126)

 Cfr. il Fedone 118 quello che gli aveva dato il veleno, risalendo con la mano dal piede al ventre, faceva vedere come Socrate si raffreddava e irrigidiva: “ejpedeivknuto o{ti yuvcoitov te kai; phvgnuto”.

 Cfr. Enrico V (1599) con la morte di Falstaff raccontata dall’ostessa: “So a’bade me lay more clothes on his feet - pouvς - pes: I put my hand - palma into the bed and felt them, and they were as cold - congeal - gelidus - as any stone - stiva - pietruzza; then I felt to his knees - govnu - genu - , and so upward, and upward, and all was as cold as any stone” (II, 3, 20 - 25).



[1] Tullio De Mauro, Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, Laterza, 2014, p. 39

[2] Livio, XXXIV, 2, 11 - 14.

[3] Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un cocchio a doppio traino di cavalli.

[4] Evidentemente la parità fa paura ai maschi. Lo aveva già detto Marziale (40 ca - 104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce, marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna diventano pari.

[5]Tito Livio, Storie , XXXIV, 3, 2.

[6] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).

[7] 1601

[8] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze.

[9] Cfr. C. Izzo, Storia della letteratura inglese, Nuova Accademia Editrice, Milano, 1961.

[10] Il potere verrà demonizzato del tutto da Seneca, " per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile di male - insieme fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia soggettiva" G. Paduano (a cura di), Edipo, p. 9.

[11] Mentre il Pericle di Tucidide aveva detto: “:"movnoi ga;r tovn te mhde;n tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica

[12] Il mito è sempre una "immagine concentrata del mondo" (Nietzsche, La nascita della tragedia, p. 151).

[13] L'anima sorteggiata per ventesima scelse la vita di un leone: ed era quella di Aiace Telamonio che rifuggiva dal nascere uomo ricordandosi del giudizio delle armi. L'anima dopo questa era quella di Agamennone: anche questa per avversione al genere umano a causa dei dolori sofferti prese in cambio la vita di un'aquila Repubblica, 620b

[14] Fedra 1127.

[15] Gianna Petrone, Il disagio della forma: la tragedia negata di Seneca, "Dioniso" 1981., p. 360.

[16] Gerusalemme liberata, VII, ottave 9 - 10.

[17] Flaubert, Madame Bovary, parte seconda capitolo XII (p. 156)

 

[18] Mostro che si ciba di carne umana.

[19] Hegel, Werke in zwanzig Bänden, a curadi E. Moldenhauer e K. M. Michel, Suhrkamp. Frankfurt a.. M. (1969 - 1979) vol. 12, p. 35.

[20] A. Gramsci, Quaderni dal carcere, edizione critica a cura di V. Gerratana, p. 1417.

[21] D. Losurdo, Stalin, p. 310.

[22] J. Joyce, Ulisse, Ade il funerale, p. 139.

[23] Le sorelle Rondoli , in Racconti d'amore, p. 256.

[24] S. Màrai, La donna giusta, p. 234.

[25] Gorgia, Encomio di Elena, fr. B11 Diels - Kranz.

[26] Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I, 8.

[27] Joseph Roth, La marcia di Radetzky , pp.115 e 125).

[28] Manoscritti economico - filosofici del 1844, p. 154.

[29] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov (v, 4) .

[30] Data probabile: 422 a. C.

[31]Il mestiere di vivere, 28 dicembre 1947.

[32] Del 98 d. C.

[33]K. R. Popper, J. Condry, Cattiva maestra televisione , p. 10.

[34] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi: non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~ ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte le circostanze.

[35] Inferno , XIII, vv. 64 - 66.

[36] Hannah Arendt, Sulla violenza, p. 41.

[37] Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.

[38] Principe di Galles, figlio di Margherita e di Enrico VI il re assassinato nella torre di Londra nel 1471. Il principe aveva sposato Anne che poi sposerà Riccardo III.

[39] Edoardo, Riccardo e Elisabetta di York sono i tre figli di Edoardo IV e della regina Elisabetta.

[40] I primi tre libri delle Odi uscirono nel 23 a. C.

[41] J. Webster, Il diavolo bianco (del 1612), I, 2.

[42] Del 1612.

[43] Del 1594 - 1595.

[44] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma musicato da Verdi diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e monde son" (Macbeth, I atto).

 

[45] G. Murray, Euripides and his age, pp. 242 - 243.

[46] A, Traina, Di fronte ai classici , p. 263.

[47] Senilità (del 1898), p. 155.

 95 Trad. it. Lerici, Milano, 1964.

[49]Il mestiere di vivere , 9 settembre 1946.

[50] Il mestiere di vivere ,18 novembre 1945.

[51] eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano volgarmente oggetti costosi.

Augusto dava un esempio di frugalità mangiando secundarium panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides ( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a mano, e fichi freschi.

 Giorgio Bocca commentò tale abitudine dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi. L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali. Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11

Senza risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando, per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola. In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me".

[52] Composte intorno al 410 a. C.

[53] Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’, ideoque illam implicari non oportet” (Ep. 49, 12), come dice quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è semplice”, e perciò non deve essere complicata.

[54] G. Ugolini, Lexis, p. 346.

[55] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , p. 295.

[56] Orazio, Epistulae I, 1, 59 - 60.

[57] L'uomo e il divino , p.65 n. 9.

[58] Jan Kott, Shakespeare nostro contemporaneo, Felrtinelli, 1976, p.70

[59]A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , p. 274.

[60] Poema epico di quindici libri in esametri. Narra la storia del mondo dall'origine all'età contemporanea attraverso racconti che hanno in comune il tema della metamorfosi. Fu composto fra l'1 e l'8 d. C.

[61] E' una massima panteistica (pavnta qew'n plhvrh) attribuita a Talete (Aristotele, Sull'anima, 411a 8.

[62] Romeo e Giulietta (I, 2). Quando il sole si accieca la scena assume "an atmosphere of Juliet's tomb"[62], un'atmosfera da tomba di Giulietta (T. S.Eliot, Portrait of a Lady, Ritratto di Signora, del 1917

 

[63] Flaubert, Madame Bovary, parte seconda capitolo XII (p. 156)

 

[64] T. Mann, I Buddenbrook, p. 276.

[65] Imperativo dell'aoristo III di privamai, "compro". pwlevw, vendo.

[66] Il secondo dei due descritti a 32, 3.

[67] Sono scongiuri.

 [68] Sono parole di un frammento (25 D. K.) del dramma satiresco, una quarantina di versi tramandati da Sesto Empirico, filosofo scettico della seconda metà del II secolo d. C. Viene attribuito a Crizia e pure a Euripide.

[69] Del 98 d. C.

[70] Le quali prendevano in esame il periodo 78 - 67 a. C. Furono composte fra il 40 e il 35. Ci sono giunti solo dei frammenti.

[71] Nota l’ allitterazione e la paronomasia o adnominatio.

[72] Walter Skeat Conciso dizionario etimologico della lingua ìnglese, Oxford 1984 I edizione1882

[73] Nell’Oedipus di Seneca la Tebe ammorbata dagli scelera del re è colpita dall’aridità, dalla siccità e pure dallo scolorimento che significano sterilità e morte:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirces; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inǒpi nuda vix undā vada "(Oedipus, vv.41 - 43), l'acqua ha lasciato i fiumi e il colore le erbe, è disseccata Dirce; l'Ismeno scorre vuoto, e con la povera onda bagna a stento i guadi nudi. La malattia toglie umore e colore alla vita prima di annientarla: "Il sole della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia" A. Camus, La peste, p. 87.

[74] Saturno (cfr. redeunt Saturnia regna di Bucolica IV, v. 6) che diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium, "his quoniam latuisset tutus in oris " (Eneide, 8, v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste contrade.

[75] Il fratricidio è rimosso. Posteriore alla IV ecloga ( scritta nel 40 a. C. anno della pace di Brindisi tra Ottaviano e Antonio e del consolato di Asinio Pollione) è l'Epodo 16 di Orazio composto probabilmente "dopo che Sesto Pompeo nel 38 ha ricominciato la sua guerra sul mare, minacciando di affamare l'Italia"[75]. Roma che i tanti nemici esterni non riuscirono a distruggere, prevede cupamente il poeta, "impia perdemus devoti sanguinis aetas "(v. 9), la distruggeremo noi, generazione empia nata da un sangue maledetto, con riferimento al fratricidio primigenio di Romolo. Anche la funzione della donna è ribaltata rispetto al messianico testo virgiliano dove la madre è rappresentata ridente: alle donne, con ricordo archilocheo che avrà un seguito in Tacito, si addice il luctus che il vir, cui si confà la virtus, deve evitare:"vos quibus est virtus, muliebrem tollite luctum " (v. 39), voi che avete coraggio virile togliete di mezzo il lamento da femmine. Si dovrà volare al di là dei lidi etruschi, verso le isole felici dell'Oceano. In quei luoghi la terra è generosa, gli animali produttivi, il clima mite, le donne pudiche poiché non hanno avuto il cattivo esempio di quella sporcacciona di Medea:"Non huc Argoo contendit remige pinus/neque impudica Colchis intulit pedem " (vv. 59 - 60), qua non ha diretto la rotta la nave con i rematori di Argo, né la svergognata donna di Colchide vi ha messo piede.

[76] La toga è la divisa del romano in pace, è "quell'indumento così fortemente marcato, dal punto di vista dell'identità e dell' "appartenenza" romana, da costituire una vera e propria "uniforme de la citoyennetè" (. F. Dupont, La vie quotidienne du citoyen romain sous la république, Hachette, Paris, 1989, p. 290) .La toga costruisce il corpo del cittadino alla maniera di una veste rituale…". (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 345).

[77] Del 17 a. C.

[78] Vv. 57 - 60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un adonio.

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