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Corso di giugno - luglio
nell’Università Primo Levi di Bologna - telefono 051 - 249868.
Il corso inizierà
martedì 29 giugno e proseguirà fino a martedì 20 luglio. Ogni incontro sarà di
due ore: dalle 18 alle 20.
Sto rileggendo il
percorso cui apporto delle aggiunte.
Shakespeare Riccardo III del 1592. parte prima
Riccardo
III
(1452 – 1485) fu l'ultimo sovrano d'Inghilterra appartenente alla casa di York,
un ramo dei Plantageneti, e regnò dal 1483 al 1485.
In molti casi indico
la parentela etimologica delle parole inglesi con quelle latine e certe volte
la parentela più indiretta con parole greche.
L’inglese è “lingua d’origine
germanica profondamente latinizzata”[1]
Parte prima. La
deformità somatica e mentale di Riccardo. La paura della donna. Metus mulieris genitivo soggettivo: la
donna incute paura ai deformi brutti e matti.
La
svalutazione e sottomissione della donna appartiene a diverse religioni e
culture, non solo a quella islamica
Riccardo si presenta
come deform’d - deformis (de= away; forma=
shape) , unfinish’d - finis - finire - (I, 1, 20) deforme, incompiuto …and so lamely and unfashionable that dogs
bark at me, as I halt - Cf. Latin claudus,
lame - by them (I, 1, 22 - 23) e
così claudicante e goffo che I cani mi abbaiano quando arranco vicino a loro
Cfr. La zoppia di
Edipo piede gonfio - oijdevw e oijdavw - pouv" - e la tirannide come monarchia claudicante.
Riccardo duca di Gloucester dice al fratello
Giorgio duca di Clarence: Why, this it is
when men are rul’ed - regula - regere - by women (I, 1, 62), ecco che cosa
succede quando gli uomini sono governati dalle donne.
We are not safe, Clarence, we are not safe (I, 1, 70), non siamo sicuri, Clarence, non
siamo sicuri.
Vuole fargli credere
che il re loro fratello, Edoardo IV , lo perseguita in quanto messo su dalla
moglie, la regina Elisabetta. Mentre è Riccardo stesso che maneggia il male con
metodo.
Riccardo utilizza la
diffidenza e la paura atavica nei confronti della donna.
La paura della donna
Catone il Vecchio si
opponeva al lusso e alla libertas femminile
da lui intesa già come licentia [2].
E' la paura della
donna a suggerire al Catone di Tito Livio alcune parole sulla necessaria
sottomissione della femina al fine di tenere sotto controllo una natura
altrimenti riottosa .
Così si esprime il
censore quando parla, nel
Sentiamo anche il
lunatico Re Lear (1605) di Shakespeare:" Guardate quella signora che
sorride in modo affettato, la cui faccia fa presagire neve dove il corpo si
biforca whose face between her forks -
furca - presages presagium - snow, che affètta virtù that minces virtue (lat. minutia
e virtus) e scuote il capo and does
shake the head a sentir nominare
il piacere to hear - ajkouvw - of pleasure’s
- placēre - name - latino nomen,
greco o[noma - ;
la puzzola e il
cavallo nutrito d'erba fresca non vanno là (alla lussuria) con un appetito più
sfrenato with a more riotous appetite - appetitus
- latino appĕtere.
Sotto la vita esse
sono centauri, sebbene donne nella parte superiore (down from the waist they are
centaurs, though women all above); solo fino alla cintola esse sono eredi
degli dèi but to the girdle do the gods inherit
(lat. heres); sotto è tutta del
demonio beneath is all the fiend’s :
lì c'è l'inferno, lì ci sono le tenebre there’s
hell, - allied to cell small
room, latino cella, stanzuccia - there’s dark, lì c'è il pozzo solforoso the sulphourous pit - latino puteus che
brucia, che scotta, c'è il fetore (stench),
c'è la consunzione" (King Lear, IV, 6).
Questa
svalutazione e svilimento del corpo femminile, necessario a chi voglia
liberarsi dall'irrazionale soggezione alla libidine erotica, si trova nel Secretum del Petrarca quando Agostino
che vuole liberare l'animo di Francesco dai due errori più pericolosi, l'amore
per la gloria e l'amore per Laura, mette in guardia il poeta dai pericoli
connessi alla bellezza delle donne, effimera e ingannevole se non addirittura
inesistente:"Pauci enim sunt qui, ex
quo semel virus illud illecebrose voluptatis imbiberint, feminei corporis feditatem
de qua loquor, sat viriliter, ne dicam satis constanter, examinent "
(III, 68), sono pochi quelli che, da quando una volta sola abbiano assorbito
quel noto veleno del piacere seducente, possono considerare abbastanza
energicamente, per non dire con sufficiente costanza, la laidezza del corpo
femminile.
Come
si vede la svalutazione e sottomissione della donna appartiene a diverse
religioni e culture, non solo a quella islamica.
Crudele ironia
shakespiriana quando Riccardo dice tra sé a proposito del fratello Clarence mandato
nella torre perché venga ucciso da due sicari: “I do love thee so that I will shortly send thy soul to Heaven (I, 1,
118 - 119), ti voglio bene al punto che presto manderò in cielo la tua anima.
La brama del potere
spinge a odiare e uccidere persino i fratelli. Si può pensare a Eteocle e Polinice,
a Romolo e Remo.
Riccardo III di Shakespeare seconda parte
Riflessione aggiunta
con questa rilettura: I classici parlano di noi, delle esperienze più
importanti della nostra vita e ce ne chiariscono il significato. Inoltre ci
suggeriscono le parole per descriverle.
Il sapere si invera
nel viverlo.
I corteggiamenti di
Riccardo e di Cielo d’Alcamo.
L’ appendice
sfacciata racconta corteggiamento di chi scrive. Potete saltarlo: non farà
parte del corso di giugno - luglio
Lady Anne si rivolge
a Riccardo il quale le ha ucciso il suocero Enrico VI Lancaster, altro ramo dei
Plantageneti, (1471) e il marito Edoardo principe di Galles: “Foul devil, for God’s sake hence, and trouble
- tuvrbh - turba us not , diavolo immondo, vattene e non ci
disturbare for thou hast made the happy earth
- greco e[ra, terra - thy
hell, (I, 2, 50 - 51) tu che hai fatto della terra felice il tuo inferno.
Cfr. "Fecimus
coelum nocens" ( Seneca, Oedipus, v. 36), io ho reso colpevole il
cielo[6].
Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto quando il re di
danimarca Claudio, assassino del re suo fratello, dice:"Oh, my offence
is rank, it smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e
manda fetore fino al cielo.
Poco dopo Amleto[7],
parlando con la madre, paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria
salubre (III, 4).
Riccardo ha fermato
il funerale di Enrico VI per corteggiare lady Anne che segue il feretro in
lutto.
Pima la chiama sweet saint, dolce santa poi le
rinfaccia l’ignoranza delle regole della carità che rende bene per il male e
benedizioni - lady, you know no rules - latin. regula - of charity - latino caritas, carus - - which renders - Lat. reddere to give back - good for bad , blessings for curses (I,
2, 68 - 69).
Segue uno scambio di
battute a contrasto tra i due.
Riccardo trova meravigliosa pure la collera di
quella donna - angelo “more wonderful
when angels are so angry” (I, 2,
74) e la definisce - divine perfection of
woman (I, 2, 75) divina perfezione di donna, e Anne che lo maledice
chiamandolo –diffus’d infection - L. infectus incompiuto inficio - of man -
(78) uomo totalmente infetto.
Vengono in mente i
contrasti presenti nella poesia provenzale e nella scuola siciliana con Rosa fresca aulentissima di Cielo d’Alcamo
(databile ta il 1231 e il 1250)
Riccardo chiede a
lady Anne di accordargli con pazienza qualche agio per scusarsi: “let me have - some patient leisure to excuse
myself (81 - 82).
La donna risponde che l’unica giustificazione
accettabile da parte sua, uomo turpe, è impiccarsi: “thou canst make - no excuse current but to hang thyself (83 - 84).
Sentiamo la risposta
meno dura ma altrettanto decisa della rosa aulentissima di Cielo al suo
corteggiatore:
“Se di meve
trabàgliti , follia lo ti fa fare
lo mar potresti
arompere (arare), e venti asemenare
l’abère d’esto
secolo tutto quanto asembrare (radunare, provenzale asembrar)
Avere me non pòteri
a esto monno;
avanti li capelli
m’aritonno (mi taglio i capelli e mi faccio monica)
Eppure Riccardo
riesce a sedurre la donna che ha reso vedova. Lady Anne gli dice “thou are unfit for any place but hell”
(I, 2, 111), tu non sei adatto ad altro luogo che all’inferno, e lui le
risponde di essere invece adatto for your bed - chamber (114) per la vostra
camera da letto
Seguono diverse
altre battute di un contrasto che via via si attenua
Vediamone alcune
utilizzabili anche nelle nostre vite.
Riccardo dice che è
stata Anne a spingerlo a uccidere il marito, con la bellezza di lei : it is my day, my life (134) essa - bellezza
- è la mia luce, la mia vita.
Riccardo aggiunge
che l’ha privata di un marito per dargliene uno migliore - to a better husband - 143.
Quante volte
l’abbiamo detto a mogli non del tutto contente!. Mi viene in mente quando
Helena mi disse che ero intelligente e io le domandai, provocatoriamente, se lo
era anche il suo compagno, e lei rispose quanto speravo: “lui crede di
esserlo”. Compresi che c’era verso.
I classici parlano
di noi, delle esperienze più importanti della nostra vita e ce ne chiariscono
il significato
Anne sputa addosso a
Riccardo e lui le domanda perché l’abbia fatto: “Why dost thou spit at me?” (148)
E lei: “would it were mortal poison for thy sake,
vorrei che fosse veleno al tuo gusto (149)
E lui: “never came poison from so sweet a place”
(150), mai è scaturito del veleno da una fonte tanto dolce.
E lei: “never hung poison on a fouler toad” 151,
mai è rimasto appeso a un rospo più immondo.
Riccardo insiste con
i complimenti e lei continua a rilancarglieli rovesciati in ingiurie . Il
corteggiatore non si lascia smontare e torna a dire che ha ucciso istigato
dalla bellezza di lei.
Poi la mossa estrema
di consegnarle la sua spada dicendo alla bella di ucciderlo e inginocchiandosi
davanti a lei. Anne non lo fa, anzi lascia cadere la spada e lo fa rialzare,
quindi gli dice di mettere via l’arma e infine quando Riccardo le porge un
anello non lo rifiuta e per non cedere subito del tutto, gli dice: “to take is not to give” (I, 2, 205),
prendere non è dare. Ma ormai è solo ritrosetta e per Riccardo è fatta.
Sentiamo il corteggiamento
di Cielo che convince la rosa profumatissima
“Cercat’ajo
Calabria, Toscana e Lombardia,
Puglia,
Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonia
e tutta Barberia:
donna non ci trovai
tanto cortese
per che sovrana di
meve te prese”
Anche la rosa viene
a patti con l’indefesso corteggiatore
“ Poi tanto
trabagliàsti, faccioti meo pregheri
Che tu vada
adomànnimi a mia mare e a mon peri
Se dare mi ti
degnano , menami a lo mosteri,
e sposami davanti de
la jente
e poi farò le tuo
comannamente”.
giovanni ghiselli 17
maggio
p. s
Appendice dove ricordo un mio corteggiamento
felice, forse non esente dal ricordo di questa bella letteratura.
Il corteggiamento è
cosa santa. E’ una delle gioie della vita.
Dal
capitolo VII della storia di Kaisa
Poi
continuai: “Kaisa volentieri (1) morirei, piuttosto che rinunciare a
te”.
Intanto
stavo seduto con il braccio destro che pendeva, ingessato, verso il pavimento.
Con quel gesto di resa volevo mimare il topos gestuale della desolazione
ricorrente nelle arti figurative: risale a un sarcofago romano con la morte di
Meleagro e viene riusato da Raffaello nella Deposizione dove si
vede il braccio destro del Cristo esanime, abbandonato nell’impotenza della
morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie mani la
sinistra di Gesù (2).
Ero
deciso a recitare un’altra volta la commedia di credere che la bella sposa
immacolata non potesse essere disposta a commettere la trasgressione della
fedeltà coniugale. Dovevo dissimulare il fatto che ero convinto del contrario,
senza farle escludere del tutto, però, che speravo ardentemente di indurla a
trasgredire con me.
Sicché
dissi queste parole quasi ridicole;
“Ti
parlerò in modo ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla tua
persona. Ho riflettuto mentre scendevo poi risalivo le scale. Una catabasi non
proprio infernale e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te, amore
mio.
Ho
elaborato con il pensiero le percezioni impresse sui sensi.
Tu,
come un angelo mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata, e ora
quest’anima appena risorta alla luce non può procedere senza di te, ma rischia
di tornare ad aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto buio come
il Tartaro, compiendo, per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro che una
sinistra, inconcludente confusa congerie di gesti insensati.
Eppure
credo sia meglio soffocare nel petto questo sentimento d’amore, povero amore
mio chiuso nell’animo senza speranza, piuttosto che fare torto alla tua
immagine, senza dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa, fedele, cara
al marito, al figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. A me più di
tutti”.
Così
la adulavo senza decenza. E data la sua attenzione, non smettevo, anzi
rincaravo la dose fino al ridicolo.
La
provocavo per vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se mi
avrebbe chiesto di non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi
spalancati, un lieve sorriso enigmatico, e non parlava . Finché lei stava
zitta, e le sue orecchie offrivano un facile accesso alla mia voce, alle parole
mie, io non dovevo smettere.
“Sì,
preferisco fare del male a me stesso: soffocare la felicità immaginata solo
guardando i tuoi occhi azzurri pieni di vita, pieni di voli come questa sera
d’estate, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli luminosamente
neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di donna maritata
cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione speciale, religiosa,
quella riservata alle spose irreprensibili, benedette dai santi sacerdoti. Io
santo purtroppo non sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro
veneratore di Priapo e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia
sussurrato amen o alleluia, insomma ho menato una vita da briccone coribantico,
ma, da quando ti ho vista, sono diventato un pentito, un penitente, un
convertito dalla carne allo spirito, dal naturale al soprannaturale del quale
vedo un riflesso chiaro, meraviglioso nella tua icona veneranda”.
Quasi
credevo a quanto dicevo recitando forse neanche male. E quasi piangevo. O per
lo meno gli occhi mi si velavano di un liquido equivoco tra il sentimentale,
rossa umidità di cuore, e l’umidità fremente della libidine che, dentro di me,
nera, pelosa e massiccia, scalpitava davvero con furia impudica(3) e
tirava forte verso la pelle bianchissima, liscia di lei.
Certo
è che Kaisa lo capiva e la cosa non le dispiaceva, anche perché celebrando la
sua fedeltà, le toglievo comunque ogni timore di essere importunata: se avesse
risposto che il marito faceva bene a fidarsi di lei, poiché la amava del tutto
riamato, la preda agognata e mancata mi avrebbe fatto fuggire con la coda tra
le gambe e le orecchie abbassate. Sì come cane pieno di zecche, bastonato e
sciancato.
Invece
disse: “Tu non mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.
E
mi accarezzò la mano destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così
sperticati perché fino ad ora non hai trovato una donna del tuo stampo, della
tua levatura, capace di respirare cultura e bellezza, come sei solito fare tu”.
“Ce
l’ho fatta”, pensai, “l’esito non è più incerto: la bilancia inclina verso la
realtà dell’amore, verso la sua verità”.
Quindi
le dissi:
“Infatti
sentivo questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo tu potresti
colmare. Tu respiri il bello e me lo ispiri”. E aggiunsi: “se solo guardo te,
tutto il resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio
di gioia”.
RICCARDO III per il
corso di giugno - luglio. Terza parte.
Il potere è un
nucleo di mali
Nuova riflessione in seguito alla
rilettura di questo capitolo: il potere di comandare, di dare ordini agli altri
può essere un male, spesso lo è, comunque a me non piace. Però è bene avere il
potere di non subire ordini da altri.
Il nobile persiano Otane nel
dibattito costituzionale della Storia
di Erodoto popugna la democrazia contro l’oligarchia di Megabizo e la monarchia
di Dario che prevalse.
Allora Otane non entrò in lizza per
diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto
dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw"
(III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[8].
Il linguaggio
drammatico di Shakespeare suggerisce attraverso la parola scritta il gesto e il
tono che devono accompagnarla mentre viene detta[9].
Come quando Riccardo dopo avere conquistato Anne, dice: “Shine out, fair sun, till I have bought a glass, /That I may see my shadow
- greco skovtoς (oJ) - as I
pass - latino passus” (I, 2, 267 - 268), brilla bel
sole, finché mi sia comprato uno specchio, perché io possa vedere la mia ombra
mentre cammino.
L’attore non può non levare il capo verso il
sole indicando la sua ombra.
Riccardo parla con l’ex
regina Margherita, della quale ha ucciso il marito Enrico VI e il figlio Edoardo
e affètta ingenuità e rifiuto del potere: dice di essere troppo puerilmente
ingenuo per questo mondo too childish - foolish
for this world (I, 3, 142) e piuttosto che re I had rather be a pedlar! - Far be it from my heart, the thought
thereof, ( 149 - 150) preferirei essere un venditore ambulante, lontano dal
mio cuore un pensiero del genere!
Cfr.
Ifigenia in Aulide di Euripide
Agamennone
ha scritto una lettera ingannevole a Clitennestra , ed è pentito.
L’a[nax, “il gran
duca dei Greci”i nvidia un vecchio servo che passa una vita ajkivndunon , priva
di rischi, rimanendo ajgnw;~ ajklehv~ (v. 18) sconosciuto e oscuro.
Meno
invidiabile è la vita di chi sta ejn timai`~, tra gli onori.
Superiorità
della vita privata
Nelle
tragedie di Euripide ricorre spesso la fuga dai luoghi e dai tempi, insomma
dalla storia quale "favola mentita".
Il
drammaturgo prefigura il lavqe biwvsa~ di Epicuro.
Ione
sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al
potere che viene smontato[10]
:"del potere lodato a torto/l'aspetto è dolce, ma dentro il palazzo/c'è il
dolore (tajn
dovmoisi de; - luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e
guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn),
trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto
che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;" - zh'n a]n qevloimi
ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere
amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati " (Ione,
vv. 621 - 628).
Si
apre la strada all’Ellenismo[11]:
nel mito[12]
di Er della Repubblica di Platone, l'anima di Odisseo, capitata nel
sorteggio per ultima, dovendo scegliersi un'altra vita "guarita da ogni
ambizione per il ricordo degli antichi travagli, andò in giro a lungo cercando
la vita di un uomo privato e disimpegnato"( bivon ajndro;~ ijdiwvtou ajpravgmono~, 62Oc).
Agamennone del resto sceglierà di rinascere come aquila[13].
Il topos prosegue
con Seneca
"Il tema fondamentale di tutto il teatro
senecano…è che potere e regno, condizioni di illusoria felicità soggette a
rovinosi cambiamenti di sorte, coincidono con la frode, con l'Erinni familiare,
con il furor mentre l'unica salvezza è la obscura quies [14],
la serenità del proprio cantuccio, l'esser parte indistinguibile della folla.
L'avversione al regno ha come aspetto complementare l'esaltazione della
tranquillità di ogni piccolo uomo, uno qualsiasi della massa silenziosa: felix
mediae quisquis turbae, come canta un coro dell' Agamennone (v.
103).
Liceat in media mihi/latere turba (Thy.
533 sg,) afferma Tieste prima di cadere nelle lusinghe del potere e nella
trappola tesagli da Atreo"[15].
Nell'episodio di Erminia tra i pastori della Gerusalemme liberata
un vecchio, pentito delle "inique corti" e fattosi rusticus,
spiega a Erminia, giunta in fuga la notte precedente dall'accampamento
cristiano sulle rive del Giordano, in quale luogo sereno e lontano dalla guerra
si trovi:"O sia grazia del Ciel che l'umiltade/d'innocente pastor salvi e
sublime,/o che, sì come folgore non cade/in basso pian ma su l'eccelse
cime,/così il furor di peregrine spade/sol de' gran re l'altere teste
opprime,/né gli avidi soldati a preda alletta/la nostra povertà vile e
negletta.// Altrui vile e negletta, a me sì cara/che non bramo tesor né regal
verga,/né cura o voglia ambiziosa o avara/mai nel tranquillo del mio petto
alberga./Spengo la sete mia ne l'acqua chiara,/che non tem'io che di venen
s'asperga,/e questa greggia e l'orticel dispensa/cibi non compri a la mia parca
mensa"[16]. C'è una raccolta di tutti i motivi visti
sopra.
La regina Margherita maledice
Riccardo: “the worm - vermis probably
al lied to Greek rJovmoς tarlo - of
conscience - cum scire - still begnaw
thy soul - thy friends suspect - suspicio - for traitors –trado consegno, traditor - while thou liv’st (I, 3, 222 - 223) il tarlo della coscienza ti
roda continuamente l’anima, sospetta, finché vivi, dei tuoi amici come traditori.
Il tiranno non ha amici
Cicerone Haec enim est tyrannorum
vita nimīrum,
in qua nulla fides, nulla caritas, nulla stabilis benevolentiae potest esse
fiducia, omnia semper suspecta atque sollicita, nullus locus amicitiae (De
amicitia, 52)
Questa è infatti,
senza dubbio, la vita dei tiranni, ove non può esistere alcuna lealtà, alcun
affetto, alcuna fiducia di stabile benevolenza, ove tutto è sempre pieno di
sospetto e di ansia, e non c’è posto per l’amicizia.
Nell'Agamennone di Seneca, Egisto parlando
con Clitennestra fa questo rilievo:"non
intrat umquam regium limen fides" (v. 285), la lealtà non entra mai
nella soglia di una reggia.
La regina Margherita chiama Riccardo maiale grufolante, schiavo della
natura, calunnia della pancia incinta di tua madre, thou slander of thy,heavy mother womb (231) rag - the resemblance to Gk. rJavkoς, a shred of cloth, is accidental - of
honour, straccio dell'onore (I, 3, 233)
I, 4
Passiamo alla quarta scena del I atto.
Clarence rinchiuso nella torre racconta un sogno al Keeper il guardiano , un sogno
prolungato oltre la vita, un sogno che del futuro gli squarcia il velame: I pass'd methought, the melancholy - greco
melagcoliva
bile
nera, follia e latino melancholĭa - flood,
with that sour ferrymen which poets write of (I, 4, 45 - 46) mi sembrava di
passare il fiume malinconico, con l'arcigno tragettatore di cui parlano i poeti
Virgilio Eneide "Navita sed tristis nunc hos nunc accipit
illos" (VI, 315). Cfr. anche le Rane
di Aristofane e l'Inferno di Dante.
Brankbury, il luogotenente della torre, dice: "princes have but their titles - latino titulus - for their glories - i principi hanno da gloriarsi solo dei loro
titoli. An outward honour for
an inward toil - L. tud - as
in in tutŭdi past
tens of tundere to beat - un onore esterno per un rovello interno.
And for unfelt imaginations they often feel a world of restless care, e per
fantasie non provate, essi provano spesso un mondo di affanni incessanti (I, 4,
78 - 81).
Nella prima antistrofe del secondo stasimo
dell'Edipo re vediamo che tutte le
tirannidi sono zoppe come è zoppo (lamely,
I, 1) Riccardo : "la prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/ se
si è riempita invano di molti orpelli/ che non sono opportuni e non convengono
(mhde;
sumfevronta)
/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si
avvale di valido piede" e[nq j ouj podi; crhsivmw/ - crh'tai
"(vv. 873 - 879).
Non solo il tiranno è zoppo e
scivola, ma anche i suoi decreti. Antigone non obbedisce ai khruvgmata di
Creonte, ma alle leggi della coscienza e degli dèi che, viceversa, sono a[grapta kajsfalh' (Antigone, v. 454), non scritti e non
vacillanti.
Riccardo III di Shakespeare quarta parte
Aggiungo questo
pensiero dopo la rilettura.
Le madri nelle
tragedie, quelle scritte e quelle vissute, sono spesso nodi di dolore. Gli
uomini che arrivano al potere non possono più farne a meno
L’Antigone di Brecht
dice": chi beve il potere/beve acqua salsa, non può smettere, e seguita/per
forza a bere". E’ uno degli arcana
imperii.
Il potere fa gola a
molti che lottano per sostituire quanti lo detengono e questi usano tutti i
mezzi per conservarlo. “La Terra è una foresta di belve” scriveva Foscolo nelle
Ultime lettere di Iacopo Ortis.
Non tutto il mondo
ma quello del potere lo è.
Questo capitolo
evidenzia l’imbestiarsi del tiranno che prevale sugli altri animali feroci
finché
Il
protagomista del Macbeth identifica
il meccanismo del potere con una scala i cui gradini sono vite umane da
calpestare:"That is a step/On which
I must fall down, or else o'erleap / For
in my way it lies - " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo
cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada. Il gradino è
Malcolm, un figlio del re ucciso da Macbeth che deve uccidere anche il principe
se vuole regnare. Ma anche lui, come Riccardo, cadrà
Nella Torre di Londra dove Riccardo
ha mandato due servi prezzolati perché ammazzino suo fratello duca di Clarence,
questo prega il secondo sicario che ha qualche scrupolo: “a begging prince, what beggar pities not?” (I, 4, 258) quale
mendicante non ha compassione di un principe mendico?
Questo sicario dubitoso prima dice
che la sua coscienza si trova nella borsa del duca di Gloucester, cioè di
Riccardo che lo paga (I, 4, 122), poi dopo l’assassinio si pente e lascia tutto
il compenso all’altro sicario il quale pugnala Clarence poi lo finisce
annegandolo nella botte di malvasia che era nella torre
E il pentito:
take you the fee - pecus - , and tell him (a Riccardo) what
I say
For
I repent me - me poenitet - that the duke is slain (I, 4,
267 - 268), prendi tu il compenso e riferiscigli quello che dico, perché mi
pento dell’uccisione del duca.
Rodolphe il seduttore di Emma Bovary a un certo punto“Giudicò fuori
luogo ogni pudore. Trattò l’amante senza il minimo riguardo. La ridusse alla
più assoluta docilità, alla più convinta corruzione. Emma aveva per lui un
attaccamento idiota, ribollente d’ammirazione: ne ricavava una gran voluttà,
una beatitudine paralizzante: la sua anima si sprofondava in quell’ebbrezza, vi
si annegava, vi si annullava, come il duca di Clarence nella botte di Malvasia”[17].
La madre come nodo di dolore.
La duchessa di York ,
madre di Riccardo, di Edoardo IV e di Clarence, quando viene a sapere della
morte di Edoardo lamenta che gli è rimasto solo one false glass (II, 2, 53 - 54) ) uno specchio menzognero that grieves me when I see my shame in him,
che mi addolora quando vedo la mia vergogna in lui. Parla di Riccardo del quale
conosce i crimini e la perfidia
Quindi replica al
lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo: “Alas, I am the mother of these griefes - gravis:
- Their woes are parcell’d - particula - late latin particella - , mine is
general” (Riccardo III, II, 2),
ahimé, io sono la madre di questi lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio
li comprende tutti.
Simile nodo di
dolore è Ecuba che nelle Troiane di Seneca dice al nuntius il
quale è incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e
Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore:" quoscumque
luctus fleveris, flebis meos:/ sua quemque tantum, me omnium clades
premit;/mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv.
1061 - 1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il mio: la propria rovina
schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti gli affetti miei sono
morti; chiunque è un caro di Ecuba è infelice!
La complicità di
Buckingham con Riccardo. L’amicizia che rende identici.
Ricccardo chiama il
complice duca di Buckingham my other self,
un altro me stesso (II, 3, 151 - 152) concistoro dei miei segreti, mio oracolo,
mio profeta, mio caro cugino
Cfr.
Cicerone, De amicitia: Vero amico infatti
è chi è come un altro se stesso (verus
amicus…est enim is, qui est tamquam alter idem (80).
Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum
firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le medesime cose
costituisce precisamente la solida amicizia.
Curzio Rufo racconta
che Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (novembre 333) scusò le donne
del re sconfitto Dario III le quali avevano scambiato il suo più caro amico
Efestione con lui dicendo alla regina madre: “Non errasti…mater; nam et hic Alexander est” (Historiae Alexandri Magni, III, 12), non hai sbagliato, made;
difatti anche questo è Alessandro.
Un
cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i
fratelli della regina Elisabetta e se costoro non governassero ma fossero
governati "this sickly land might solace
- solacium - solor - as before " (II, 3), questa terra malata potrebbe
trovare ristoro come prima.
Non solo la terra ma
pure il cielo viene ammorbato dal capo malato che è il mivasma, la contaminazione, la fonte dell’inquinamento
Cfr.
quanto dice Tiresia a Edipo: “ Io ti ingiungo di attenerti /al bando che hai
proclamato e dal giorno/d'oggi non devi rivolgere la parola né a questi né a
me/poiché sei tu l'empio contaminatore di questa terra - wJ" o[nti gh`" th`sd j
ajnosivw/ miavstori - (Sofocle,
Edipo re, vv. 350 - 353).
Come tale si
riconosce da subitol’Edipo di Seneca: “fecimus
caelum nocens” (Oedipus, 36).
Altrettanto pensa il
re di Danimarca Claudio lo zio di Amleto che ha assassinato il fratello: “Oh, my offence is rank, it smells to heaven”
(Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine
è fetido, manda il puzzo fino al cielo.
La terra contaminata
e desolata diventa tutta una tomba come
La connessione
organica tra il re o la regina e la sua terra viene messa in rilievo già da
Omero e da Esiodo
La bestialità del re
efferato o comunque non rectus.
Riccardo
è chiamato the boar da Hastings, il
ciambellano che dice: to fly the boar
before the boar pursues lat sequor - , prosequor
- were to incense the boar to follow us, fuggire il cinghiale prima che il
cinghiale insegua sarebbe aizzare il cinghiale a inseguirci (III, 2, 27 - 28).
Nel Primo Stasimo dell’ Edipo
re di Sofocle, il colpevole ricercato, cioè Edipo viene identificato con
l'animale del sacrificio
Il
Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola
profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi
antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico
del mondo e lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.
:"Infatti
va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle
rupi (petrai'oς oJ tau'roς)
inutile con inutile piede (mevleoς melevw/ podiv) bandito in solitudine (vv. 477 - 479).
"quello di cui
la profetica ripe di Delfi disse: - ha compiuto infamie su infamie con mani
sporche di strage"(Edipo re,
vv.463 - 466); ovvero l'animale del sacrificio,"il toro delle
rupi"(v.478) destinato a divenire la "vittima massima"(cfr.
Virgilio, Georgiche, II,146 - 147:"et maxima taurus/victima ).
Aristofane nella
Parabasi delle Vespe (422) si pregia
di non essersela presa con gente dappoco ma con i potenti e da subito proprio
con la bestia dalle zanne aguzze (xusta;ς tw̃/ karcarovdonti, 1031).
E’ Cleone, il
demagogo che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni
immondi di Lamia[18]
e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou,
1035)
Riccardo III di Shakespeare quinta parte
L’ipocrisia del
potere. Riccardo di Shakespeare e Tiberio di Tacito.
Riflessione aggiunta
alla rilettura per far più bello il mio corso
Riccardo e prima di
lui Tiberio con i loro suspensa semper et
obscura verba fanno venire in mente alcuni capi politici della prima
repubblica italiana i quali erano dotati, se non di altro, della possibilità di
scegliere le parole che preferivano e convenivano.
L’ignoranza di
questi politicanti attuali consente loro solo di ripetere slogan imparati a
memoria.
Potete indicare
alcuni dei nostri politici, se volete
Hastings dice che
non darà il suo voto to bar - lat latin barra
- my master’s heirs - heres (III, 2, 53 - 54 ) per escludere gli eredi del
re Edoardo IV; non vorrà farlo a costo di morire to the death. Questa fedeltà infatti gli costerà la vita.
In effetti Riccardo
ha già detto a Buckingham che bisognerà tagliargli la testa - chop off his head - (III, 1, 193) se non
si arrende ai loro complotti.
Cfr. le
decapitazioni suggerite dai tiranni agli apiranti tiranni in Erodoto e Tito
Livio.
Riccardo chiama tongueless - old latin dingua - blocks
(III, 7, 42) pezzi di legno senza lingua i cittadini che non lo hanno
acclamato.
Pindaro qualifica
Aiace come a[glwssoς -
Nella Nemea VIII
il poeta tebano ricorda il torto subito da Aiace a[glwsso~ (v. 24), privo di eloquenza: sicché l’invidia poté mordere il suo
valore e prevalse l’odioso discorso ingannevole di Odisseo.
Tuttavia alla fine
Aiace ebbe giustizia: “a’ generosi/giusta di glorie dispensiera è morte;/né
senno astuto, né favor di regi/all’Itaco le spoglie ardue serbava,/ché alla
poppa raminga le ritolse/l’onda incitata dagl’inferni Dei” (Foscolo, Sepolcri, 220 ss.)
Buckingham che è complice
dei delitti di Riccardo è pure il regista della recita del principe il quale,
come Tiberio negli Annales finge di
recalcitrare davanti alla proposta di prendere il potere.
Il duca complice
dunque gli suggerisce di tenere in mano un libro di preghiere –get a prayer book in your hand (III, 7,
46) e di farsi affiancare da due uomini di chiesa - and stand between two churchmen - (48).
Il potere criminale
cerca spesso l’avallo della religione che non poche volte si presta. Si pensi
al sacrificio di Ifigenia in Eschilo (Agamennone),
Euripide (Ifigenia in Aulide) e
Lucrezio (De rerum natura) .
Il consigliere
Buckingham dunque continua con il suo catechismo a Riccardo: “Play the maid’s part: still answer nay, and
take it” (III, 7, 50) recitate la parte della verginella: rispondete sempre
no, e prendete ciò che rifiutate.
Esce Riccardo ed entra il sindaco di Londra, the
Lord Mayor, con dei cittadini. Buckingham dice che sta facendo anticamera ma
teme che il duca non voglia dare udienza.
Si affaccia Catesby
un altro sostenitore di Riccardo e attore della commedia diretta da Buckingham
che gli domanda: “what says your lord to
my request?” (57) qual è la risposta del signore alla mia istanza?
Catesby risponde che
Riccardo non riceve perché si trova all’interno con due padri reverendissimi
piamente immerso in meditazioni e non vuole essere distolto from his holy exercise, dai suoi devoti
esercizi (63).
Buckingham gli
chiede di insistere perch lui stesso, il sindaco e degli assessori sono venuti
a conferire in matter of great moment - no
less importing than our general good (66 - 67) su materia di grande
momento, non meno importante che il nostro bene comune. Catesby esce.
Quindi Buckingham parla
al sindaco e agli altri presenti, dicendo : “questo principe non è un Edoardo (intendi
suo fratello il re Edoardo IV morto da poco), non è un lascivo che si sollazza
con le cortigiane, ma medita con due profondi teologi, non dorme to engross - L. grossus thick - his idle body (75) per ingrossare il suo corpo
ozioso, ma prega per arricchire la sua vigile anima.
Torna Catesby
ribadendo la ritrosia di Riccardo. Allora Buckingham rimanda Catesby dal
principe perché lo preghi di nuovo, quindi dice ai presenti che comprende la
tenacia del sant’uomo che non si lascia staccare delle preghiere e dalla
fervida contemplazione.
Subito dopo Riccardo
si affaccia sulla galleria tra due Vescovi
Vedremo che si farà
pregare a lungo prima di “lasciarsi costringere ad accettare a world of cares (III, 7, 222) un mondo di
affanni.
Una scena del genere
si trova negli Annales di Tacito. Alla
morte di Augusto (14 d. C.) i senatori asserviti rivolgono suppliche a Tiberio versae inde ad Tiberium preces (I, 11), ed egli varie disserebat de magnitudine imperii, sua
modestia, della grandezza dell’impero e della propria insufficienza; solam divi Augusti mentem tantae molis
capacem, solo la mente di Augusto era capace di reggere una mole tanto
grande.
Ma Tacito commenta plus in oratione tali dignitatis quam fidei
erat, in tali discorsi c’era più ostentazione che verità e pure quando non
voleva simulare suspensa semper et
obscura verba, Tiberio usava sempre parole vaghe e oscure , poi quando
voleva simulare in incertum et ambiguum
magis implicabantur, si avviluppavano sempre di più nell’indefinito e
nell’equivoco. Ricorda i politici della prima repubblica italiana i quali erano
dotati, se non di altro, della possibilità di scegliere i verba che
preferivano. L’ignoranza di questi attuali consente loro solo di ripetere
slogan imparati a memoria.
Riccardo III di Shakespeare sesta parte.
Corso che inizierà
martedì prossimo 29 giugno
Riccardo e Nerone.
Riccardo e la farsa che lo proclama re.
Una riflessione
aggiunta dopo la rilettura.
La commedia della
ritrosia di Riccardo con l’epilogo: “io mi sobbarco” .
Ora l’ipocrisia del
potere funziona in maniera diversa. L’avversario sconfitto non viene ammazzato,
anzi, il vincitore che durante la campagna elettorale lo aveva vituperato, si
rimangia le accuse, gli fa i complimenti e gli dice che è pronto a collaborare.
Il vinto prende questa mano che vien dal cielo. Nessuno deve essere escluso dal
gruppo dirigente,
Sono le regole della
casta: chi è dentro deve restarci, e chi è fuori deve rimanerci, anche se è
bravo, soprattutto se è molto bravo, e, qualora avesse maggiore possibilità di
essere riconosciuto da chi vota, costituirebbe una minaccia per quelli già
insediati sulle pltrone. Non c’è bisogno di uccidere quelli pericolosi per la
loro intelligenza e cultura: basta oscurarli.
Periandro di Corinto
e Tarquinio il Superbo consigliavano a quelli della loro casta o famiglia di
tagliare le teste più alte.
Oggi, invece di
tagliarle, si fa in modo che non possano mostrare le loro capacità nei luoghi
che contano per la casta
Quindi Buckingham si
rivolge a Riccardo chiedendogli perdono per avere interrotto il suo zelo
davvero cristiano: pardon us the
interruption –of thy devotion and right Christian zeal ” III, 7, 101 - 102).
Quel right
Christian fa pensare al contrassegno di ipocrisia contenuto nel “grazie
davvero”” detto da gente come Fazio.
Riccardo
naturalmente sta al gioco e si scusa a sua volta per il fatto che il suo zelo
nel servizio di Dio ha causato un ritardo nell’accoglienza degli amici.
Quindi il complice avverte
il principe dicendogli “your fault that
you resign - the supreme seat the throne majestical (116 - 117) ” la vostra mancanza che sta nel rinunciare
al supremo seggio, il trono augusto, in favore di una stirpe guasta, priva la
nobile isola dei suoi organi sani e lascia her
face defac’ d with scars of infamy - 125, la sua figura sfigurata dalle
cicatrici dell’infamia, in quanto il ceppo regale è innestato su ignobili
piante.
Allude a supposte
infedeltà della regina Elisabetta moglie del re Edoardo IV, fratello di
Riccardo e al fatto che i figli di lei sarebbero degli illegittimi.
In riparazione di
ciò vi sollecitiamo ad assumere il governo regale di questo paese not as Protector (132), non da
Protettore, o umile fattore a vantaggio di altro, ma come vostro diritto
innato.
Buckingham aggiunge
che al suo prego si uniscono i cittadini ossequienti e devoti amici
Ma Riccardo persiste
ancora nella commedia del diniego dicendo che gli si vuole imporre
insensatamente the golden yoke - zugovn
- iugum of
sovereignity, (145) l’aureo
giogo della sovranità.
I miei meriti
immeritevoli rifuggono dalla vostra alta istanza (154).
Secondo Svetonio, nei
primi tempi del suo principato Nerone si comportò da filantropo, al punto che
quando veniva costretto dalle leggi a firmare una condanna a morte esclamava: “quam
vellem, inquit, nescire litteras!” (Neronis vita, 10), come vorrei
non saper scrivere! Inoltre soppresse o abolì le imposte più gravose, salutava
i cittadini chiamandoli per nome, e al Senato che gli porgeva ringraziamenti
rispose: quando li avrò meritati. “ Agenti
senatui gratias espondit: Cum meruero”,
Ho riferito questo
dalla biografia di Svetonio ma non credo che nell’imperatore ancora adolescente
educato da Seneca ci fosse l’ipocrisia che sta mostrando in Riccardo. Del resto
la sua corte imperiale della dinastia Giulio - Claudia non era meno funestata
dai delitti rispetto a quella dei Plantageneti.
Riccardo continua a
schermirsi denunciando la propria inadeguatezza al compito che vogliono assegnargli:
“vorrei occultarmi alla grandezza che mi si propone - being a bark to brook to mighty sea” - (160 - 161) essendo una
barca troppo incapace di resistere ai possenti marosi.
Metafore e allegorie
nautiche sono frequenti nella poesia antica.
Faccio un esempio di
metafora tratto dall’Edipo re di
Sofocle
"la
città infatti, come anche tu stesso vedi, troppo/già ondeggia e non è più
capace di sollevare il capo dai gorghi del flutto insanguinato (vv.22 - 24) .
Aggiungo alcuni versi della la quattordicesima
ode del primo libro di Orazio:" O
navis, referent in mare te novi/ fluctus. O quid agis? fortiter occupa/portum
(vv. 1 - 3)...non tibi sunt integra
lintea (v. 9) ...Tu, nisi
ventis/debes ludibrium, cave (vv. 15 - 16) , o nave ti riporteranno in mare
nuovi flutti! O che fai? raggiungi il porto senza esitare...hai le vele
strappate...Tu stai attenta, se non vuoi diventare zimbello dei venti.
In questo caso si tratta tratta di un’allegoria
piuttosto che di una metafora: la nave in difficoltà significa lo Stato in
pericolo.
E' interessante la definizione che dà Quintiliano
dell'allegoria e l'interpretazione di questa:"Allegoria, quam inversionem interpretantur, aut aliud verbis aliud
sensu ostendit aut etiam interim contrarium. Prius fit genus plerumque continuatis translationibus, ut.... segue
la citazione delle parole citate sopra fino a portum , quindi l'interpretazione:"totusque ille Horatii locus, quo navem pro re publica, fluctus et
tempestates pro bellis civilibus, portum pro pace atque concordia dicit ".(Institutio oratoria , VIII, 6, 44), l'allegoria, che interpretano come
inversione, o mostra una cosa con le parole, un'altra con il significato
generale, o talora il contrario. Il primo genere avviene per lo più con
metafore continuate...e tutto quel passo di Orazio nel quale egli intende come
nave lo Stato, come flutti e tempeste le guerre civili, come porto la pace e la
concordia.
Non possiamo non ricordare l'invettiva all'Italia del Purgatorio di Dante:"Ahi serva
Italia, di dolore ostello,/nave senza nocchiere in gran tempesta,/non donna di
province, ma bordello!(VI, 76 - 78).
Riccardo conclude la sua falsa rinunzia al trono
dicendo che grazie a Dio non c’è bisogno di lui in quanto royal fruit (166), il frutto regale, il nipote che invero si appresta
a fare ammazzare, maturato dallo scorrere rapinoso del tempo - mellow’d by the stealing hours of time
(167) diventerà degno della maestà del trono. Dunque non voglio strappare al
figlio del re (Edoardo figlio di Edoardo IV) il diritto e la fortuna delle sue
fauste stelle - the right and fortune oh
his happy stars (171) che voi volete consegnare a me.
Mi sembra che the
stealing hours of time lasci intravvedere la rapina di Riccardo e le happy stars il suo proposito di
ammazzare i nipoti.
Torna in mente quando questo assassino dice tra sé a proposito del
fratello Clarence mandato nella torre perché venga ucciso da due sicari: “I do love thee so that I will shortly send
thy soul to Heaven (I, 1, 118 - 119), ti voglio bene al punto che presto
manderò in cielo la tua anima.
Buckingham replica con una serie di ingiurie contro Elisabetta, la
vedova di Edoardo IV e la madre del principe Edoardo che non deve diventare
Edoardo V. Il re dunque aveva scartato due precedenti fidanzate tra cui Bona
sorella del re di Francia, quando venne sedotto da questa poor petitioner, misera postulante, già carica di figli, bellezza
al tramonto, vedova in lutto - even in
afternoon of her best days - (185) ormai nel pomeriggio dei suoi giorni
migliori. Questo figlio del re morto dunque è un illegittimo che per cortesia
chiamiamo principe e non dico nemmeno tutto : “I give a sparing limit to my tongue” (193) , do un limite di
riservatezza alla mia lingua. Quindi rivolge ina supplica a Riccardo perché
porti la sua nobile stirpe fuori dalla corruzione in cui fu deviata.
Il sindaco si unisce a queta preghiera. Quindi anche Catesby vi si
associa.
Riccardo continua a fingere protestando e affettando modestia: “I am unfit for state and majesty” (204),
non sono adatto alla maestà del trono.
Buckingham al colmo della sua recita servile arriva al punto di fingere
una minaccia: se Riccardo frenato da un rimorso dolce, gentile, femmineo,
rimarrà riluttante alla necessità di deporre il fanciullo figlio del fratello -
loath to depose the child, the brother’s
son (208), loro non accetteranno mai quel ragazzo indegno e metteranno sul
trono qualcun altro.
Quindi fa il gesto di andare via, di non pregare più.
Catesby allora prega Riccardo di richiamarlo
Riccardo replica: will you enforce me to a world of cares? (222) volete costringermi a un mondo di
affanni? Poi però agginge “call them again, I am not made of stones
– Cf. Gk. stiva - a stone - stiva
è una piccola pietra.(III. 7. 223),richiamatelo, io non sono fatto di sasso.
Buckingham rientra e Riccardo dice “io mi sobbarco”: “I must have patience to endure the load”,
devo avere pazienza e sostenere il peso visto che volete affibbiarmelo. Ma Dio
sa quanto io sia lontano dal desiderarlo: “How
far I am from the desire of this” 235.
Il sindaco lo benedice e Buckingham lo proclama re. Riccardo verrà
incoronato il giorno dopo
Il nuovo re esce di
scena dicendo: “come, let us to our holy work - e[rgon - again
(III, 7, 245), via torniamo
ai nostri santi esercizi.
Farewell, my cousin,
farewell gentle friends.
Riccardo III di Shakespeare settima parte.
Aggiunta dopo una
rilettura in vista dell’inizio del corso.
Fromm asserisce che
la storia della cosiddetta civiltà è un documento di sadismo e distruttività.
Come mai questa catena di genocidi non ha avuto un termine in millenni di
storia?
Perché i crimini dei
vinti vengono giustamente esecrati, mentre i delitti dei vincitori sono
sistematicamente santificati e fatti passare come difese della civiltà,
addirittura della vite umane. Questo mi dissero quando ero fanciullo e chiedevo
quale fosse la ragione delle bombe atomiche sulle città giapponesi.
Se tutti i genocidi
venissero maledetti, anche quelli dei vincitori, come accade nelle Troiane di Euripide dove Ecuba accusa i
Greci distruttori di Troia e assassini pure dei bambini dicendo che i veri
barbari sono loro, e dove Cassandra evidenzia le sciagure di tutti quelli che
fanno le guerre, forse questo documento di sadismo e distruttività avrebbe
termine.
I giuramenti che non
vanno fatti. La storia come mattatoio
All’inizio del IV
atto troviamo la madre di Riccardo, duchessa di York, la regina Elisabetta
vedova di Edoardo IV e madre dei loro due figli Edoardo erede legittimo e
Riccardo, il marchese di Dorset, figlio di primo letto della regina vedova e di
John Grey, poi Anne che Riccardo il protagonista ha sposato ed è diventata
duchessa di Gloucester e con lei la figlia di Clarence fatto ammazzare nella
torre
La madre di Riccardo
saluta Anne e la nipote Plantageneta (my
nice Plantagenet, IV, 1, 1), la figlia di Clarence
Nello stemma del
fondatore della dinastia Goffredo il Bello ( 1113 - 1151) conte d’Angiò e duca
di Normandia era raffigurata una ginestra. Goffredo sposò Matilde figlia di
Enrico I d’Inghilterra e il loro figlio sarà Enrico II re di Inghilterra nel
1154. I Plantagenti regnarono fino a Riccardo III morto nel 1485. Seguono i
Tudor: Richmond figlio di Edmondo Tudor sconfigge Riccardo e sposa Elisabetta,
figlia di Edoardo IV. Diviene Enrico VII padre di Enrico VIII e nonno di
Elisabetta I.
Anne dice che è diretta
alla torre per salutare i principini.
Poi entra Brakenbury
il luogotenente della torre
Elisabetta gli
domanda come stanno i suoi figli. Il luogotenente risponde right well, dear madam (IV, 1, 15) però aggiunge: “By your patience - I may not suffer yiou to
visit them”, abbiate pazienza, non posso permettervi di visitali. Il re
l’ha rigorosamente vietato ( 16 - 17)
Elisabetta sapeva
che il re doveva essere suo figlio Edoardo, quale legittimo erede, e domanda:
“chi sarebbe il re?”
Il luogotenente si
corregge: I mean Lord Protector (19),
intendo il Lord Protettore
La regina vedova e
la madre di Riccardo, la nonna e la mamma dei bambini, dicono che vogliono
vederli e ne hanno diritto.
Alla richiesta si
associa Anne dicendo “sono secondo legge la loro zia e mi prendo la
responsabilità”.
Ma il luogotenente
dice”I am bound by oath; and therefore
pardon me” (27), sono legato da un giuramento e perciò scusatemi.
Il giuramento non dovrebbe
essere vincolante quando si giura di compiere un crimine.
Lo dice Cicerone
ricordato poi da Dante.
L’Arpinate scrive
che Agamennone non avrebbe dovuto tenere fede al voto fatto a Diana di
consacrarle la creatura più bella nata nel suo regno in quell’anno: “promissum potius non faciendum quam tam
taetrum facinus admittendum fuit” (De
officiis, III, 95), non avrebbe dovuto fare la promessa piuttosto che
commettere un delitto tanto ripugnante.
Dante scrive: “Non
prendan li mortali voto a ciancia:/siate fedeli, e a ciò far non bieci,/come
Ieptè alla sua prima mancia;/cui più si convenìa dicer ‘Mal feci’/che,
servando, far peggio; e così stolto/ritrovar puoi il gran duca de’Greci,/onde
pianse Ifigenia il suo bel volto,/ e fe’ pianger di sé i folli e i savi/ch’udir
parlar di così fatto colto” (Paradiso,
V, 64 - 70)
Entrambi, per
mantenere un voto sconsideratamente fatto, sacrificarono una figlia. Jeftè
l’unica figlia che aveva.
Quindi entra Stanley
conte di Derby.
Dice ad Anne che
deve andare a Westmister per essere incoronata regina
Elisabetta capisce
che per i suoi figli è finita e chiede che le slaccino il vestito perché è
vicina a svenire. Il figlio di pimo letto Dorset la incoraggia
Ma la madre lo
spinge a fuggire al di là del mare andando da Richmond.
Questo è il conte di
Tudor che sconfiggerà Riccardo III nel 1485 e diverrà re Enrico VII.
Elisabetta prega il figlio di fuggire da quel
mattatoio –slaughter house per non
accrescere il numero dei morti (43 - 44) .
Nel Macbeth, dopo
l’assassinio del re Duncam, i due figli ne parlano. Sospettano già di Macbeth e
Malcolm dice che andrà in Inghilterra, quindi Donalbain gli risponde: io in
irlanda “where we are, there’s daggers in
mens’s smile; the near in blood, the nearer bloody” (II, 3) qui dove siamo
ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini; il vicino nel sangue è il sanguinario
più vicino.
La storia come
mattatoio
“Di questa sequela di crimini sfuggono le
motivazioni nonché le ragioni della sua ininterrotta durata, sicché la storia
nel suo complesso si configura, per dirla con Hegel, come un “mattatoio” di
dimensioni planetarie[19]
ovvero come un insondabile mysterium
iniquitatis. A questo punto - possiamo osservare con Gramsci - “irrazionale”
e “mostruoso” ci appare il “passato” in quanto tale: la storia nel suo
complesso si configura come una “grottesca vicenda di mostri”, come
“teratologia”[20]”
[21].
Fromm assimila il
genocidio di Cartagine perpetrato dai Romani ad altri scempi commessi dai
vincitori nei confronti dell’umanità: “The
history of civilization, from the destruction of Carhage and Jerusalem to the
destruction of Dresden, Hiroshima, and the people, soil, and trees of Vietnam,
is a tragic record of sadism and destructiveness” (The anatomy of human
destructiveness, p. 192), la storia della “civiltà” dalla distruzione di
Cartagine e Gerusalemme, alla distruzione di Dresda, Hiroshima, e del popolo,
del suolo, degli alberi del Vietnam, è un documento tragico di sadismo e
distruttività. Aggiungerei i bombardamenti israeliano - palestinesi di questi
giorni
Riccardo III di Shakespeare parte ottava
Riflessioni seguite
a una rilettura: il letto
Il letto è uno degli
oggetti più carichi di significati, una di quelle presenze
"epifaniche" le quali manifestano un'anima e una storia.
Tra Odisseo e
Penelope è il segno certo (shvmat' ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di
riconoscimento che convince la dubitosa Penelope.
Per le donne
abbandonate come Medea, o trascurate come Deianira nelle Trachinie, il letto è un luogo di offesa e dolore, talora, come nel
caso della sposadi Eracle, perfino di suicidio.
Nel Primo episodio
della tragedia di Euripide, Medea dice che l'offesa fatta alla femmina umana
nel letto, ossia nella sfera sessuale, la rende sanguinaria: la donna, afferma
la nipote del Sole, nelle altre cose è piena di paura, e vile nella lotta e a
vedere un'arma; ma quando si trova ad essere offesa nel letto ( ej" eujnh;n
hjdikhmevnh, v. 265; cfr. v. 26)
non c'è altro cuore più sanguinario ( oujk e[stin frh;n
miaifonwtevra, v. 266).
Bisogna dire che le
donne possono infuriarsi pure per l'offesa sessuale da loro stesse arrecata nel
letto o fuori dal letto:" must be
careful about women. Catch them
once with their pants down. Never forgive you after” Bisogna stare
attenti con le donne. Sorprendile
una volta con le mutande abbassate. Non te la perdonano più"[22].
Guy de Maupassant in
un suo divertente racconto erotico afferma l'importanza capitale del
letto:"Tengo più al mio letto che a qualsiasi altra cosa. E' il santuario
della vita. Gli affidiamo nuda la carne stanca, perché la rianimi e la riposi
nel candore delle lenzuola e nel calduccio delle piume. E' là che troviamo le
ore più dolci dell'esistenza, le ore dell'amore e del sonno. Il letto è sacro.
Dobbiamo rispettarlo, venerarlo; amarlo come quanto abbiamo di migliore e di
più dolce sulla terra"[23].
Oppure: “ Il letto è
un luogo selvaggio, una foresta vergine fitta di sorprese e di imprevisti, un
ambiente torrido, carico degli effluvi micidiali di fiori stranissimi, un
groviglio inestricabile di liane, pieno di belve dagli occhi fiammeggianti che
strisciano nell’ombra, le fiere del desiderio e della passione, sempre pronte a
balzare sulla preda. Il letto è anche questo, in un certo senso. E’ una giungla.
E’ penombra. Strani suoni giungono da lontano e tu non sai se è il grido di un
essere umano azzannato alla gola da una bestia feroce presso una sorgente o se
a urlare è stata la natura stessa, che è al contempo umana, animale, e
disumana”[24].
Donne che maledicono
il letto delle loro nozze.
La parola è un’arma
a doppio taglio.
L’assassino uccide
anche il proprio sonno
La duchessa di York,
madre di Riccardo, maledice il proprio ventre, letto di morte - O my accursed womb, the bed of death che
ha portato al mondo un basilisco il cui occhio inevitabile è assassino (IV, 1 -
53 - 55)
Nel nono libro della Pharsalia di Lucano trovo una
descrizione del basiliscus - basivlisko", il reuccio dei serpenti - il quale “sibilaque effundens cunctas terrentia pestes
(724) poi emette sibili che atterriscono tutti gli altri portatori di morte, ante venena nocens (725) nuoce ancora
prima del veleno, late sibi summovet omne
- vulgus et in vacua regnat basiliscus harena (725 - 726), si fa largo
spazio tra ogni folla e regna sulla sabbia desolata.
Un soldato di
Catone, Murro, trafigge un basilisco con la lancia ma il veleno risale lungo
l’arma invaditque manum (VIII, 830).
Il soldato la taglia poi la guarda morire staccata dal braccio
Ricordo vagamente
che nei primi anni Sessanta la regista Wertmüller fece un film intitolato I basilischi.
Anne si augura di
morire unta con veleno mortale prima che qualcuno possa dire God save the queen (61 - 62) Dio salvi
la regina.
Quando il re è
infernale, non c’è salvezza per nessuno.
Quindi Anne rievoca
la scena della popria seduzione stupidamente avvenuta quando Riccardo, pur da
lei aborrito per l’assassinio dell’ angelico marito, tuttavia riuscì a far
cadere il cuore di donna pigioniero delle sue parole mielate - captive to his honey words L. verbum - (79)
La parola è un'arma
potentissima, e dal doppio taglio.
Sentiamo Gorgia:"lovgo"
dunavsth" mevga" ejstivn, o{" smikrotavtw/ swvmati kai;
ajfanestavtw/ qeiovtata e[rga ajpotelei' "[25],
la parola è un gran signore che, con un corpo piccolissimo e invisibile, compie
opere assolutamente sovrumane.
Queste opere possono
essere divine ma anche diaboliche.
L'apostolo Giacomo
mette in rilievo la parte direttiva del parlare come aveva fatto l'Odisseo del Filottete:"
se uno non inciampa nel parlare, questo è un uomo perfetto (tevleio" ajnhvr), capace di guidare tutto il corpo. La lingua
dunque è un piccolo membro e si vanta di grandi cose (mikro;n mevlo" kai; megavvla aujcei'). Eppure essa è un fuoco, è il mondo dell'iniquità (oJ kovsmo"
th'" ajdikiva" ) e
contamina tutto il corpo e incendia la ruota della nascita e trae la sua fiamma
dalla Gehenna (kai; flogizomevnh uJpo; th'" geevnnh") … Ogni specie di fiere e di uccelli e
rettili e animali marini si doma ed è stata domata dalla razza umana, ma la
lingua nessuno degli uomini può domarla, è un male inquieto, pieno di veleno
mortifero (N. T. Epistola di
Giacomo, 3, 2 - 8). La mancanza della lingua è un grave handicap, ma la
lingua ingannevole produce il male e la morte.
Lo scita Anacarsi
che andò ad Atene nel 591 e fu ospite e amico di Solone, interrogato che cosa
fosse insieme bene e male per gli uomini, rispose “la lingua”[26].
Anne prima di cedere
imprecò contro la donna che Riccardo avrebbe sposato, quindi tali imprecaziono
sono cadute su lei stessa poiché nel letto di Riccardo non ha ancora goduto per
un’ora dell’aurea rugiada del sonno - “for
never yet one hour in his bed –did I enjoy the golden dew of sleep” (82 - 83)
in quanto svegliata dai suoi sogni atterriti.
Il tiranno criminale
uccide il sonno
“Invece
del sonno stilla davanti al cuore
un’angoscia
memore delle sciagure” (Eschilo, Agamennone,
179 - 180)
Nel Macbeth l’assassino del re crede di
sentire una voce che grida (II, 2): «Sleep
no more! Macbeth does murder sleep», “non dormire più, Macbeth uccide il
sonno”, «The death of each day’s life,
sore labour’s bath, balm of hurt minds», “la morte di ciascun giorno della
vita, bagno ristoratore dei travagli della vita, balsamo per le anime
afflitte”.
Riccardo III di Shakespeare parte nona.
Aggiunte fatte in
seguito alla rilettura del 24 giugno
Pochissimi sono gli
scrittori che osano svelare alle genti di che lacrime grondi e di che sangue lo
scettro dei regnatori.
I crimini di
Riccardo non pongono fine alla catena dei delitti.
Il vincitore
Richmond viene santificato (sarà EnricoVII dal 1485 al 1509) e suo figlio
Enrico VIII glorificato come padre di Elisabetta dal dramma (1513) di
Shakespeare e Fletcher.
Ma Enrico VIII che regnò dal 1509 al 1547 non
fu meno sanguinario di Riccardo. Fece uccidere (1535) l’umanista Tommaso Moro
autore di Utopia (1516) per il suo
rifiuto di accettare l'Atto di Supremazia del re sulla Chiesa in
Inghilterra e di disconoscere il primato del Papa, poi fece ammazzare Edward
Buckingham, figlio di Henry complice e traditore di Riccardo che lo fece
decapitare, e condannò a mote Thomas Cromwell il suo primo ministro che lo
aiutò a liberarsi di Anna Bolena, fatta ammazzare anche lei dal re.
La figlia di Enrico
VIII e Caterina d’Aragona regnò dal 1553 al 1558 è ricordata come Bloody Mary siccome fece giustiziare
molti oppositori al suo disegno di restaurare il cattolicesimo romano. Tra le
sue vittime Thomas Cranmer il fondatore della Chiesa anglicana.
Questa sanguinaria
era cugina di Carlo V (imperatore dal 1519 - al 1555) e moglie di suo figlio Filippo
II.
Carlo V era figlio
di Giovanna
Legami di sangue e
confraternita delittuosa.
Richard in pomp, crowned
(IV, 2) e la vanità degli orpelli.
Le
donne vittime di Riccardo si compatiscono a vicenda.
La
duchessa di York dice I go to my grave
(94) vado alla mia tomba dove mi aspettano pace e riposo. Poi misura i suoi
oltre ottanta anni di vita con il metro del dolore e della gioia: “ each hour’s joy wrack’d with a week of teen”
(IV, 1, 96), ogni ora di gioia è stata rovinata con una settimana di pena.
Nel
VII capitolo del romanzo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (Luglio 1883) , il principe don Fabrizio “faceva il
bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso
mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici:
eccoli. Due settimane prima del suo matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in
occasione della nascita di Paolo, quando sentì l’orgoglio di aver prolungato di
un rametto l’albero della casa Salina” (p. 169).
E,
già nel secondo capitolo (Agosto 1860): “l’amore. Certo l’amore. Fuoco e fiamme
per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva lui cos’era l’amore. ..e Tancredi
poi, davanti al quale le donne sarebbero cadute come pere cotte” (p. 49)
Ma
torniamo a Shskespeare. Nella chiusura di questa prima scena del IV atto del Riccardo III, la regina vedova
Elisabetta rivolge una preghiera alle pietre della torre dove sono imprigionati
i suoi figli:”Pity, you ancient stones,
those tender babes - whom envy L. invidia
- have immur’d L.im (=in , in; murus
wall) within your walls” (98 - 99), abbiate pietà, voi antiche pietre di
questi teneri bambini che l’invidia ha murato nelle vostre pareti.
L’invidia
degli dèi di Erodoto qui è laicizzata nell’invidia di chi brama il potere.
Si apre la seconda scena: enter Richard in pomp, crowned,
entra Riccardo vestito sfarzosamente, incoronato e accompagnato da diversi
nobili: Buckingham il principale sodale nei delitti e altri, tutti suoi
complici.
Tomaso
Montanari nella sua rubrica del venerdì di Repubblica del 21 maggio commenta un
olio su tela di Francisco Goya del 1815 che ritrae Ferdinando VII sul campo
militare. Si trova nel Museo del Prado di Madrid.
Il re di
Spagna è pure lui in pomp.
“E’
il grande ballo in maschera del potere, che già Blaise Pascal, in pieno secolo
barocco, demistificava così: “I nostri magistrati hanno ben capito questo
mistero. Le loro toghe rosse, i loro ermellini di cui s’ammantano come gatti
villosi…e se i medici non avessero palandrane e pantofole, e i dottori non
avessero la berretta a quattro pizzi…se quelli possedessero la vera giustizia e
se i medici sapessero la vera arte per guarire, non saprebbero che farsene di
quelle berrette a quattro pizzi”
Quindi
Montanari cita Virginia Woolf che associa l’abito vistoso alla guerra: “il loro
costoso e presumibilmente non troppo igienico splendore è stato in parte
inventato per imprimere nello spettatore il senso della maestà della funzione
militare, in parte per indurre i giobvani, facendo leva sulla loro vanità, a
fare i soldati”.
Alcuni autori considerano
la sontuosa pompa militare addirittura un segno che preannuncia l’insuccesso.
Nell’Amphitruo di Plauto i Teleboi “ex oppido - legiones educunt suas nimi ‘
pulchris armis praeditas” ( vv. 217 - 218), tirano fuori dalla fortezza le
proprie truppe dotate di armi pur troppo belle. Ebbene, questi guerrieri dal cultus icercato verranno sconfitti dai
Tebani di Anfitrione
Nelle Historiae Alexandri Magni di Curzio Rufo l’ateniese Caridemo osa
dire parole di critica a Dario III che perderà la guerra e l’impero: questo
esercito splendente di porpora e di oro, brillante nelle armi può essere
temibile solo per i tuoi vicini “finitimis
potest esse terribilis: nitet purpura auroque, fulget armis” (III, 2, 12).
Viceversa
Alessandro che sconfiggerà il grande re , come giunse a Tarso, la capitale della
Cilicia volle fare un bagno nel fiume Cidno . Et tunc aestas erat (l’estate de 333) e il re accaldato si spogliò
fiero di mostrare ai suoi levi ac
parabili cultu corporis se esse contentum (III, 5, 2) che si accontentava
di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile.
Tacito
ricorda che i veterani trasferiti dalla Siria in Armenia nell’esercito di
Corbulone erano nitidi et quaestuosi (Annales XIII, 35 ),
eleganti e avidi di guadagno. Corbulone congedò quegli ignavi, arruolò nuovi
soldati e diede l'esempio: ipse cultu
levi, capite intecto, agmine, in laboribus frequens adesse, laudem strenuis,
solacium invalidis, exemplum omnibus ostendere, il comandante in persona
con abiti leggeri, a capo scoperto, era sempre presente nelle marce e nelle fatiche,
rendeva elogi ai valorosi, conforto agli infermi, ed era di esempio a tutti.
Nel
mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero
asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una
crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e
fastosi animali da sacrificio, andavano su e giù per la città"[27].
Nei Saggi di Pascal (III libro, capitolo 9)
troviamo anche una citazione tratta da Quintiliano che consiglia la forma più
semplice come quella che meglio si addice e conviene ai soldati: “simpliciora militares decent” Institutio oratoria, XI, 1, 32.
Concludo citando
Sofocle che denuncia la vanità degli orpelli del potere.
"La
prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/se è riempita invano di molti
orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi
altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido
piede./La gara benefica per la città,/prego dio di non/interromperla mai;/dio
non cesserò mai di averlo patrono" (Edipo
re, vv. 873 - 882).
Riccardo III di Shakespeare parte decima.
Sangue vuole e chiama sangue
Aggiunta: L’oro e
l’età del ferro.
Oro corrente - running gold (IV, 2, 9) è il delitto. La
moneta cattiva ha scacciato la moneta vecchia e buona dello scambio di affetto,
generosità, umanità. Quando l’oro diventa prevalente e preponderante, siamo
entrati, paradossalmente, nell’età del ferro: quella della totale peccaminosità
dove il più forte schiaccia il più debole.
Riccardo sale sul
trono aiutato da Buckingham.
Ma il re non è
tranquillo e domanda al cortigiano favorito per quanto tempo potrà indossare
gli emblemi della regalità
Buckingham risponde: “ for ever let them last” (IV, 2, 7) , che durino per sempre!
L’usurpatore però
teme il legittimo erede, il bambino Edoardo, figlio di suo fratello Edoardo IV
il re morto da poco, e ha deciso di ammazzarlo con l’altro principino Riccardo.
Riccardo mette alla
prova il cugino complice: “Ah Buckingham,
now I do play the touch –to try if thou be current - L. currere to run - gold indeed ” (8 - 9), ora voglio
saggiarti per provare se tu sei davvero oro corrente.
Due note: una che la
parola germanica ha spesso un sinonimo neolatino oppure un altro termime
neolatino dal significato analogo
La seconda
considerazione è che l’oro corrente è quello capace di delitti.
Si ricordi il già
citato Timone di Atene (IV, 3, 35 - 45)
e il commento che ne fa
K. Marx scrivendo che nel denaro il
grande drammaturgo inglese rileva:"la divinità visibile, la trasformazione
di tutte le caratteristiche umane e naturali nel loro contrario, la confusione
universale e l'universale rovesciamento delle cose"[28]..
Riccardo dunque rivela la propria
intenzione criminale in forma di facilissimo indovinello coperta: “Young Edward lives - think now what I would
speak - (10), il giovane Edoardo è vivo, pensa ora che cosa intendo dire.
Buckingham finge di non capire che
Riccardo vuole il nipote morto, anzi voule morti entrambi i figli del re già defunto.
L’usurpatore avverte il cortigiano di cui ha
cominciato a diffidare: “cousin, thou
wast not wont to be su dull (17), cugino non eri solito essere così ottuso.
Quindi Riccardo si scopre del tutto
e dichiara quanto vuole: “I wish the
bastards dead” (18), voglio i bastardi morti. La sua passione del potere
non si ferma nemmeno davanti all’uccisione di due bambini.
Nei Fratelli Karamazov Ivan ricorda le sofferenze dei bambini e
sostiene che per evitarle si deve rinunciare anche all’armonia: “ sta bene che
debbano soffrire tutti, per comperare a prezzo di sofferenze l’armonia futura;
ma dimmi, che c’entrano i bambini? Dimmelo per piacere! E’assolutamente
incomprensibile che debbano soffrire anche loro e acquistare a prezzo delle
loro sofferenze questa armonia (…) Hanno valutato troppo cara quell’armonia e
non abbiamo mezzi per pagarne a tal prezzo l’ingresso. E perciò mi affretto a
restituire il mio biglietto d’ingresso. E se sono un uomo onesto, devo
restituirlo al più presto possibile”[29].
Riccardo vuole una risposta concisa e precisa dal suo complice. Ma
Buckingham rimane sul generico: Your
Grace may do your pleasure (21), Vostra Grazia può fare quello che vuole
Ma il re lo accusa di freddezza: "Tut, tut, thou art all ice, thy kindness freezes" (22), va là,
va là, tu sei tutto ghiaccio, la tua gentilezza gela.
E' una frase quale può dire un amante deluso che non sia stato accolto
con sufficiente calore dall'amata e ne sospetta un tradimento.
Quando Anna Karènina scende dal treno a Pietroburgo e vede il marito
che la aspetta prova una sentimento sgradevole: "In particolare la colpì
la sensazione di scontentezza di sé che provava nell'incontrarsi con lui. Era
una sensazione di vecchia data, ormai nota, simile allo stato di finzione che
provava nei rapporti con il marito". Dopo avere conosciuto Vrònskij era
diventata più cosciente di tale disposizione non buona verso Karènin.
Questo dunque saluta la moglie dichiarando di essere un marito
affettuoso come nel secondo anno di matrimonio e aggiunge che bruciava dal
desiderio di vederla. Ma lo disse: "con la sua voce lenta e sottile e con
il tono che adoperava quasi sempre con lei, un tono di irrisione verso chi
avesse parlato così per davvero".
quindi Anna domandò: "Serëža sta bene?"
E il marito: "E' questa tutta la ricompensa per il mio ardore? Sta
bene, sta bene". (Anna Karenina,
Parte I, capitolo 30).
Recitano entrambi e sbagliano i toni tutti e due: non è possibile che
restino insieme.
Ha detto bene Cesare Pavese: "odiamo una persona quando questa
sbaglia tono" (Il mestiere di vivere
11 agosto, 1940)
Buckingham chiede some little
breath, a pause (24), un po' di respiro, una pausa prima di pronunciarsi
definitivamente. Altro tono sbagliato. Quindi esce ma è già caduto in
disgrazia.
Catesby nota The king is angry:
see, he gnaws his lip, il re è arrabbiato: guardate si morde il labbro (27).
Infatti Riccardo è in collera verso l'ambizioso Buckingham che si è
fatto guardingo e circospetto. Meglio frequentare dei giovani grulli e
scervellati.
Il potere preferisce spesso circondarsi di stupidi e fa tagliare le
teste pensanti come hanno notato Erodoto e Tito Livio.
Sicché Riccardo chiama un paggio e gli chiede di indicargli uno che
l'oro corruttore - corrupting gold (34)
- possa tentare a un'impresa di morte
Il paggio segnala Tyrrel a
discontented gentleman (36), un gentiluomo malcontento per le sue umili
condizioni discordanti con lo spirito altero: gold were as good as twenty orators (37), l'oro andrebbe bene come
venti oratori. Riccardo lo manda a chiamare.
Quindi dice tra sé (aside, a
parte) che Buckingham non sarà più il suo confidente.
Entra Stanley che dà a Riccardo la notizia della fuga di Dorset da
Richmond.
A questo punto Riccardo decide di sbarazzarsi di Anne. Ordina a Catesby
di spargere la voce che la regina sua moglie is very grievous sick (51) è assai gravemente malata.
Lui intanto la farà rinchiudere, poi farà sposare la figlia di Clarence
a un gentiluomo oscuro e indigente.
Come fece Astiage, il re dei Medi, con la figlia Mandane facendole
sposare Cambise, un persiano di rango non alto
Astiage fece due
sogni inquietanti: nel primo vide la figlia che urinando sommergeva tutta
l’Asia (Erodoto, I, 107), nel secondo che dalla vagina di Mandane da lui fatta sposare
con il persiano Cambise nasceva una vite che occupava tutta l’Asia ( Erodoto, I,
108).
Già spaventato dal
primo sogno e dall’interpretazione datane dai Magi, cioè che da un figlio di
Mandane poteva derivargli un pericolo, Astiage diede alla figlia come marito Cambise,
un persiano di mediocre condizione
Al tempo del secondo
sogno Mandane era già incinta e predissero al nonno che il nascituro avrebbe
regnato al suo posto. Quindi Astiage consegnò il bambino al cortigiano Arpago
perché lo uccidesse. Arpago fece portare il neonato da un bovaro di nome
Mitridate. Sua moglie di nome Kunwv lo
tenne e lo allevò al posto del proprio figlio partorito morto. Il bambino era
Ciro che poi sconfiggerà suo nonno e fonderà l’impero persiano.
Ricevuto
l’ordine, Catesby esce e Riccardo dice a se stesso che deve sposare la figlia
di suo fratello Edoardo IV, Elisabetta dopo averne assassinato i fratelli
bambini,
Quindi constata di essersi
inoltrato tanto nel sangue (I am in so
far in blood) che un delitto ne tira fuori un altro e non c’è più posto per
la pietà lacrimosa (IV, 2, 64 - 65).
Ricordo
che Macbeth a sua volta identifica il
meccanismo del potere con una scala i cui gradini sono vite umane da
calpestare:"That is a step/On which
I must fall down, or else o'erleap / For
in my way it lies - " (I, 4), questo è un gradino sul quale devo
cadere oppure scavalcarlo poiché si trova sulla mia strada. Il gradino è
Malcolm, un figlio del re ucciso.
Poi
(III, 4): ci sarà ancora sangue: blood
will have blood, sangue vuole sangue.
Quindi:
“I am in blood –stepped in, so far, that,
should I wade - latino vadum - no
more, - returning were as tedious as go o’er” (Macbeth, III, 4) mi sono inoltrato tanto nel sangue che, se non
passassi il guado, il tornare indietro sarebbe pericoloso come l’andare avanti.
Riccardo III di Shakespeare parte XI. La paura del
tiranno.
Il corso inizierà
domani 29 giugno alle 18
Aggiunta del 28
giugno. L’autocrate è una persona disturbata dalla paura che lo spinge al
crimine preventivo.
Nelle Supplici[30]
di Euripide Teseo è il Pericle in vesti eroiche il quale elogia la
costituzione democratica dialogando con l'araldo mandato da Creonte re, anzi
tiranno di Tebe.
Atene dunque non è
comandata da un uomo solo, ma è una città libera (ejleuqevra povli"
, v. 405). L'araldo di Creont ribatte che il governo di un solo uomo non è
male: infatti esclude i demagoghi i quali gonfiando la folla con le parole la
volgono di qua e di là a proprio profitto. Del resto chi lavora la terra non ha
tempo né per imparare né per dedicarsi alle faccende pubbliche:" oJ ga;r crovno" mavqhsin ajnti; tou' tavcou" - kreivssw
divdwsi (vv. 419 - 420), è
infatti il tempo che dà un sapere più forte invece della fretta.
Teseo non
controbatte la critica ai demagoghi, che condivide, ma risponde che il tiranno
è l'entità più ostile alla polis:" oujde;n turavnnou dusmenevsteron povlei" (v. 429). Egli infatti uccide i
migliori, quelli dei quali considera la capacità di pensare, in quanto teme per
il suo potere:"kai; tou;" ajrivstou" ou{" a]n hJgh'tai fronei'n - kteivnei,
dedoikw;" th'" turannivdo" pevri" (vv. 444 - 445). Sicché la città si indebolisce: come potrebbe
essere forte quando uno al comando miete i giovani come da un campo di
primavera si porta via la spiga a colpi di falce? (vv. 447 - 449). Inoltre il
despota si impossessa dei beni altrui rendendo vane le fatiche di chi voleva
acquistare ricchezze per i propri figli.
Per non parlare
delle figlie che vuole rendere strumenti del suo piacere. l'Elettra di Euripide
recitando il biasimo funebre di Egisto allude, con pudica e verginale
aposiopesi, alle porcherie che il tiranno faceva con le donne:"ta; d j eij"
gunai'ka", parqevnw/ ga;r ouj
kalo;n - levgein, siwpw' "
(Elettra, vv. 945 - 946).
Entra Tyrrel. Il
sicario chiede di essere messo alla prova. E’ disposto a tutto. Riccardo dice
di avere due nemici nel profondo “two
deep enemies” L. inimicus - (71) avversi
alla mia pace e turbatori del dolce sonno “foes
to my rest - foes from weak grade
*piq we have Gk. pikrovς, bitter - ,
and my sweet sleep’s disturber - Lat. disturbo, , IV, 2. 71 - 72). I mean those bastards in the Tower”,
intendo quei bastardi nella Torre (74)
L’aggettivo
e avverbio deep indica che questi
nemici e la paura che gli incutono, sebbene siano solo due bambini, sono
entrati profondamente nell’anima di Riccardo.
E’
poprio vero quanto scrive Costantinos Kavafis: “In Ciclopi e Lestrigoni, no
certo, - né in Nettuno irato incapperai - se non li porti dentro, - se l’anima
non te li mette contro” (Itaca, vv. 9
- 12).
E’
sempre contro una parte di noi stessi che combattiamo.
Sentiamo anche Cesare
Pavese:"Il mito greco insegna che si combatte sempre contro una parte di
sé, quella che si è superata, Zeus contro Tifone, Apollo contro il Pitone.
Inversamente, ciò contro cui si combatte è sempre una parte di sé, un antico se
stesso. Si combatte soprattutto per non essere qualcosa, per liberarsi.
Chi non ha grandi ripugnanze, non combatte"[31].
L’imperatore Tiberio
di Tacito temeva dai migliori un pericolo per sè, dai peggiori disonore per lo
Stato (ex optimis periculum sibi, a
pessimis dedĕcus publicum metuebat , Annales
, I, 80), e Domiziano invidiava e odiava Agricola per i suoi successi in
Britannia:"Id sibi maxime
formidolosum, privati hominis nomen supra principem attolli " ( Agricola [32]
, 39), gli faceva paura soprattutto il fatto che il nome di un suddito fosse
messo al di sopra di quello del principe.
Nell’Oedipus
di Seneca, Creonte fa notare al
cognato che con il suo sistema si circonda di odio ma Edipo risponde che l'odio
e la paura sono funzionali al potere:"Odia qui nimium timet/regnare
nescit: regna custōdit metus" (Oedipus, vv. 703 - 704), chi teme troppo
gli odi non sa regnare: la paura è la guardia dei regni.
Cfr. Il principe di Machiavelli il quale nel
XVII capitolo si domanda” s’elli è meglio essere amato che temuto, o più tosto
temuto che amato (…) Respondesi, che si vorrebbe essere l’uno e l’altro; ma
perché, elli è difficile accozzarli insieme, è molto più sicuro essere temuto
che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ due” .
Nell’Oedipus Creonte ribatte che la paura
diffusa dal tiranno torna su di lui:"Qui sceptra duro saevus imperio
regit,/timet timentes; metus in auctorem redit" (vv. 705 - 706), chi
impugna lo scettro crudelmente con dura tirannide teme quelli che lo temono; la
paura torna su chi la provoca.
Nelle Tusculanae Cicerone racconta che Dionisio, tiranno di Siracusa dal
405 al 367, non si fidava nemmeno di porgere il collo al barbiere: “ne tonsori collum committeret, tondere
filias suas docuit (…) et tamen ab
iis ipsis, cum iam essent adultae, ferrum removit, instituitque ut candentibus
iuglandium putaminibus barbam sibi et capillum adurerent (V, 58), per non
affidare il collo al barbiere, insegnò alle sue figlie a radere (…) e non di
meno, quando ormai furono adulte, tolse loro gli arnesi taglienti, e stabilì
che gli bruciassero barba e capelli con gusci di noci ardenti.
Segue l’ esemplare
aneddoto della spada di Damocle (Tusc.
V, 61 - 62)
Cicerone aggiunge che
Dionìsio giudicò egli stesso quanto fosse beato
cum
quidam ex eius adsentatoribus, Damocles, commemoraret in sermone copias eius,
opes, maiestatem dominationis, rerum abundantiam, magnificentiam aedium
regiarum, negaretque umquam beatiorem quemquam fuisse: "Cupisne igitur - inquit
- o Damocles, quoniam te haec vita delectat, ipse eam degustare et fortunam
experiri meam?" Cum ille se cupere dixisset, Dionysius collocari iussit hominem
in aureo lecto, strato pulcherrimo textĭli stragulo, magnificis operibus picto,
abacosque compluris ornavit argento auroque caelato.
Tum ad mensas servos delectos iussit consistere eosque nutum illius
intuentes diligenter ministrare. Aderant unguenta, coronae; incendebantur
odores, mensae conquisitissimis epulis extruebantur. Fortunatus sibi Damocles
videbatur.
In hoc medio apparatu fulgentem gladium e lacunari saetā equinā aptum
demitti iussit , ut impendēret illius beati cervicibus. Itaque nec pulchros
ìllos mìnìstratores aspiciebat nec plenum artis argentum nec manum porrigebat
in mensam, iam ipsae deflŭebant coronae; denique exoravit tyrannum, ut abire
liceret, quod iam beatus nollet esse, Damocle uno dei suoi cortigiani un
giorno ricordava in un discorso le sue ricchezze di Dionisio, la potenza,
l’autorità della signoria, la dovizia di ogni cosa, la magnificenza dei palazzi
del potere, e diceva che nessuno era mai stato più felice di lui. “ Desideri
dunque Damocle–disse Dionisio - dal momento che questa vita ti piace, farne un
assaggio e provare la mia sorte?” Avendo quello detto che lo desiderava,
Dionisio ordinò che venisse messo su un divano d’oro ricoperto da un bellissimo
drappo di stoffa, variegato da magnifici ricami, e fece coprire diversi tavolini
con begli oggetti di argento e oro cesellato. Poi ordinò a schiavi scelti di
stare presso la mensa e di servirlo con zelo osservando i suoi cenni. C’erano
profumi, ghirlande, si bruciavano aromi, le mense venivano allestite con
vivande squisite. Damocle si credeva fortunato. Nel mezzo di questi preparativi
il tiranno ordinò che si facesse sospendere dal soffitto una spada risplendente
attaccata a un crine di cavallo in modo che incombesse sul collo di quel tipo
felice. Così non volgeva più lo sguardo a quei servitori belli né all’argenteria ricca di arte, né allungava le mani
verso la mensa; tosto le corone cadevano da sole; infine pregò il tiranno che
lo lasciasse andare via , perché non voleva più essere felice.
Tyrrel chiede un
lasciapassare per la torre, poi promette “and
soon I’ll rid you from the fear of them” (76) e vi libererò presto dalla
paura di quelli.
Riccardo promette al
sicario un generoso compenso
Riccardo III - Parte XII -
Il cortigiano preferito cade in disgrazia. Corso di giugno - luglio
Malvagità del potere
non controllato.
Aggiunta del 28
giugno 2021
Il potere che non
deve rendere conto a nessuno è soggetto però a un’inerzia che lo fa cadere nella
megalomnia cui seguono spesso crimine e la rovina.
Un personaggio
tragico che afferma l'insindacabilità del potere assoluto è lady Macbeth
nella scena del sonnambulismo:"What need we fear who knows it, when
none can call our power to account it?" (V, 1), perché dovremmo temere
chi lo sappia, quando nessuno può chiamare la nostra potenza a renderne conto?
Adesso
questo potere sta dentro tutte le case :"La televisione è diventato un
potere incontrollato e qualsiasi potere non controllato è in contraddizione con
i princìpi della democrazia"[33].
Gran parte delle
trasmissioni televisive, come il tiranno, esige il livellamento delle teste.
Quindi ci si pone il problema di come resistere a questa volontà di
omologazione tentando salvare la propria autonomia di giudizio. Io mi difendo
con l’aiuto dei classici, ma chi non li conosce rimane in balia della pubblicità
e della propaganda.
Trovo nobile la
scelta di non volere comandare né essere comandato. Tale volontà negativa si
associa a quella positiva di volere aiutare il prossimo e purtroppo è molto
rara.
Rientra Buckingham
per scusarsi della sua indecisione e reclamare il compenso, ma Riccardo non lo
considera.
Piuttosto si rivolge
a Stanley la cui moglie è madre di Richmond, un’altra persona assai temuta dal
re per delle previsioni che ha sentito sul conto del figliastro di Stanley.
Dicevano che sarebbe diventato re .
La madre dunque non
deve mandare lettere al figlio: se lo farà, ne risponderà Stanley. Intanto
Buckingham insiste, ma Riccardo non gli risponde finché gli domanda: what’s o’ clock? (IV, 2, 106), che ore
sono?
In tal mpdo esprime
la massima indifferenza per le ripetute istanze del duca cortigiano il quale
risponde: “Upon the stroke of ten”
(111), stanno per suonare le dieci E Riccardo: “well, let it strike” , bene, lascia che suonino. La più totale
noncuranza del cortigiano caduto in disgrazia.
Ma a Buckingham non
basta e domanda il perché della risposta sprezzante: “Why let it strike?”
Riccardo lo umilia
dell’altro dicendogli: perché come l’automa dell’orologio tu continui a battere
betwixt thy begging and my meditation,
tra il tuo mendicare e il mio meditare. Quindi: I am not in the giving vein latino vena - today, non sono in
vena di regali oggi (114 - 116).
Risposte sprezzanti
che preludono all’uccisione della persona spregiata.
Un altro caso.
Dopo
la battaglia di Isso (333) Dario III offrì ad Alessandro impegnato nell’assedio
di Tiro una proposta di pace con la quale gli cedeva l’impero fino all’Eufrate.
Allora Parmenione disse che se fosse stato lui Alessandro avrebbe accettato. Il
Macedone rispose che anche lui, se fosse stato Parmenione avrebbe fatto così. “kai; aujto;~ a]n,
ei[per Parmenivwn h\n, ou{tw~ e[praxen 2, 25, 3), ma era Alessandro. Aggiunse
che l’impero già comunque tutto suo. Parmenione verrà fatto ammazzare, come
Buckingham.
Buckingham si
umilia fino in fondo: “May it please you
to resolve me in my suit?” (116) volete compiacervi di soddisfare la
mia istanza?
Il
re lo liquida: Thou troublest –L. turba, Cf. Gk. tuvrbh,
disorder - me, I am not in vein (117), tu mi secchi, non sono in vena.
Quindi
Riccardo esce seguito da tutti tranne Buckingham che, rimasto solo, finalmente
si avvede del disprezzo con cui il re lo ha trattato mal ripagando i favori da
lui ricevuti: “And is it thus? Repays he
my deep service - which such contempt? L. contemptus scorn - Made I him King
for this?” (119 - 120),
Ah è così? Ripaga i miei preziosi favori con tale disprezzo? L’ho fatto re per
questo?
Come
poteva pensare che potesse trovarsi della gratitudine nell’anima di un uomo che
non aveva esitato a uccidere il poprio fratello e gli aveva proposto di
ammazzare i nipoti bambini?
Excursus
Il
potere assoluto non può essere buono
Nelle Storie di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile
persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone alla
monarchia il potere del popolo che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn", poi non fa nulla di quanto perpetra
l'autocrate: infatti esercita a sorte le magistrature ed ha un potere soggetto
a controllo:" uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei"
(III, 80, 6). Erodoto attraverso Otane formula già la teoria, poi
riproposta da Polibio, secondo la quale la monarchia degenera inevitabilmente
in tirannide. Tra i sette nobili Persiani, quando ebbero parlato anche
Megabizo, che propugnava l'oligarchia, quindi Dario, il quale sosteneva la
monarchia e l'inevitabilità della degenerazione sia della democrazia sia
dell'aristocrazia (III, 82) verso le rispettive forme deteriori, prevalse
quest'ultimo con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca.
Allora Otane non entrò in lizza per
diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto
dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw"
(III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato[34].
Otane nel dibattito costituzionale del terzo
libro usa l'espressione pa'san
kakovthta
che, secondo il nobile persiano fautore dell' ijsonomivh, è conseguenza dell' u{bri", la prepotenza, a
sua volta originata dall'invidia e dai beni a disposizione del monarca ( "uJpo; tw'n parevontwn ajgaqw'n", III, 80, 3).
Dante
individua la presenza del vizio dell'invidia soprattutto nei luoghi del
potere:""La meretrice che mai
dall'ospizio/di Cesare non torse li occhi putti,/ morte comune, delle corti
vizio"[35]. -
La prima
caratteristica del despota è l'insofferenza dell'opposizione.
La
mania della distruzione delle intelligenze fa parte dalla mente autocratica: sappiamo
da Erodoto che la scuola dei tiranni insegna a uccidere gli oppositori in
generale, e prima di tutti chiunque dia segni di intelligenza e indipendenza. Periandro
di Corinto, quando era ancora tiranno apprendista e la sua malvagità non si era scatenata, accolse il
suggerimento di Trasibulo di Mileto il quale:"oiJ uJpetivqeto..tou;"
uJperovcou" tw'n ajstw'n foneuvein", gli consigliava di mettere a morte
i cittadini che si distinguevano ( Storie , V, 92 h) . Il despota esperto aveva dato
il consiglio criminale in maniera simbolica: mostrandosi a un araldo, mandato
da Corinto a domandargli come si potesse
governare la città nella maniera più sicura e bella, mentre recideva le spighe
più alte di un campo di grano. Periandro comprese e allora rivelò tutta la sua
malvagità (" ejnqau'ta
dh; pa'san kakovthta ejxevfaine").
Tito
Livio attribuisce lo stesso gesto di Trasibulo, con le stesse intenzioni, al re Tarquinio il Superbo il quale indicò al figlio
Sesto cosa fare degli abitanti di Gabi con un'analoga risposta senza
parole:" rex velut deliberabundus in
hortum aedium transit sequente nuntio filii; ibi inambulans tacitus summa
papaverum capita dicitur baculo decussisse "( Storie, I, 54), il re quasi meditabondo passò nel giardino della
reggia seguito dall'inviato del figlio; lì passeggiando in silenzio, si dice
che troncasse con un bastone le teste dei papaveri.
Il tiranno è invidioso. Infatti L'Invidia personificata
da Ovidio "exuritque herbas et summa papavera carpit"
(Metamorfosi, II, 792), dissecca le erbe e stacca le cime dei papaveri.
“Una forte tendenza al rifiuto di obbedire è spesso
accompagnata da una tendenza altrettanto forte al rifiuto di dominare e di
comandare”[36]
.
Sentiamo Bertolt Brecht:
“Io son cresciuto figlio
di benestanti. I miei genitori mi hanno
messo un colletto, e mi hanno educato
nelle abitudini di chi è servito
e istruito nell’arte di dare ordini. Però
quando fui adulto e mi guardai intorno
non mi piacque la gente della mia classe,
né dare ordini né essere servito.
E io lasciai la mia classe e feci lega
Con la gente del basso ceto”[37].
Credo di avere
riconosciuto un’eco di questa splendida affermazione nel film di Chaplin The great dictator (1940): il barbiere,
sosia di Hynkel - Hitler, scambiato per il grande dittatore deve fare un
discorso che legittimi ed esalti la prepotenza del tiranno, presentato alla
folla come il futuro imperatore del mondo dal ministro della propaganda Garlitsch
- Goebbels. Ebbene il barbiere non rispetta la parte che gli hanno assegnato e
dice: “I’m sorry, but I don’t want to be
an emperor. That’s not my business. I don’t want tu rule or conquer anyone”,
mi dispiace, ma io non voglio essere imperatore, non è il mio mestiere, io non
voglio governare o conquistare nessuno.
E continua: “I should like to help everyone…greed has
poisoned mens’s souls”, mi piacerebbe aiutare tutti…l’avidità ha avvelenato
le anime umane.
Fine
excursus
Alla
fine della seconda scena del IV atto Buckingham ricorda la decapitazione di
Hastings e decide di rifugiarsi nel castello avito di Brecknock nel Galles while my fearful head is on (121 - 122) finché la mia testa
pericolante sta sul collo.
Discorsi
contrapposti. Il tiranno buono e il tiranno pessimo. Corso di giugno - luglio
Riccardo
III
scena terza del quarto atto - XIII parte
Aggiunta
del 29 giugno
I
tiranni sono brutte persone: sadici e impotenti. Pisistrato fa eccezione: è
stato un tiranno buono a detta di Aristotele, Valerio Massimo e Dante.
E’
dunque un ossimoro vivente come i falsi sciocchi Bruto e Amleto.
Entra
Tyrrel inorridito
“The tyrannous and bloody act is done”
(IV, 3, 1), l’atto tirannico e sanguinario è compiuto.
Gli
aggettivi sanguinario e tirannico costituiscono una specie di tautologia.
Il
tiranno è quasi sempre sanguinario. Pisistrato fa eccezione .
Aristotele
nella Costituzione degli Ateniesi ricorda
che Pisistrato amministrava gli affari della città con misura e politicamente
piuttosto che tirannicamente – oj Peisivstrato" diw/vkei ta; peri; th;n povlin metrivw" kai;
ma`llon politikw`" h] turannikw`", ed era umano e mite anche nei
confronti di chi sbagliava filavnqrwpo" kai; pra`o" kai; toi`"
ajmartavnousi (16, 2).
Valerio
Massimo (I sec. d. C.) ricorda che la moglie lo esortava a far giustiziare un
giovane che aveva osato baciare la loro figliola incontrata in pubblico. Ed
egli rispose: “Si eos qui nos amant interficiemus,
quid eis faciemus, quibus odio sumus? ” (Factorum et dictorum memorabilium libri, V, I, str. 2), se
ammazzeremo chi ci ama, che cosa faremo a quelli che ci odiano?
Infine
Dante presenta il mite tiranno di Atene come esempio di mansuetudine nella
terza cornice del Purgatorio: quella degli iracondi.
La
moglie gli disse:
“Se
tu se’ sire de la villa
Del
cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
e
onde ogni scienza disfavilla,
vendica
te di quelle braccia ardite
ch’abbracciar
nostra figlia, o Pisistràto”
E
‘l segnor mi parea, benigno e mite,
risponder
lei con viso temperato:
“Che
farem noi a chi mal ne disira,
se
quei che ci ama è per noi condannato?” (Purgatorio,
XV, 97, 105)
Il
tiranno è quasi sempre pessimo come Riccardo III
La letteratura greca
è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che esulta per la morte di
Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n kakopatrivdan"( fr.
L’avidità
della ricchezza e il potere sono occasioni per la malvagità.
Come pure per per la stupidità: il Coro dell'Eracle
di Euripide dopo la punizione del tiranno Lico afferma che l'oro, e il
successo, spingono i mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere
ingiusto:" oJ
cruso;" a[ t j eujtuciva - frenw'n brotou;" ejxavgetai - duvnasin
a[dikon ejfevlkwn"
(vv. 774 - 776).
Su
questa linea si trova anche Platone il quale chiama in causa Omero che ha
rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn {Aidou to;n ajei; crovnon timwroumevnou""(Gorgia, 525e), puniti nell'Ade per
sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia
stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"")
non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più
fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" ( Gorgia,, 526a) quelli malvagi assai.
Riccardo
III. L’uccisione
dei bambini e il re sanguinario.
Bambini
uccisi, amori calpestati e fiori recisi
Il
fiore reciso simboleggia la vita uccisa ante
diem.
Torniamo
al monologo di Tyrrel che all’inizio di questa scena svolge la medesima
funzione del messo nella tragedia greca.
Riferisce
quanto gli hanno raccontato i due sicari, gli autori della strage che ha
destato perfino la pietà (the piteous
massacre, IV, 3, 2) dei due incallititi assassini e cani sanguinari - flesh’d villains, bloody dogs (6).
Erano
così inteneriti nel raccontare il loro stesso crimine che piangevano come due
bambini - wept like two children -
Piangere
dopo avere commesso un delitto non ne attenua l’efferatezza.
Un
caso nella storia è il pianto di Alessando Magno dopo l’assassinio di Clito da
lui perpetrato.
Nello
scritto giovanile De Alexandri Magni fortuna aut virtute Peri; th'" jAlexavndrou
tuvch" h] ajreth'" lovgoi, Plutarco sostiene che nel Macedone prevalse la virtù e la grandezza
morale.
Nell’uccisione di
Clito a Maracanda in Sogdiana, Uzbekistan (nel
Arriano disapprova
l'assassinio di Clito (Anabasi di
Alessandro, 4, 9, 19). Una conseguenza della sua tendenza all'ira e
all’ubriachezza ojrgh`
te kai; paroiniva (4, 9, 1).
I
crimini più gravi secondo giovenale sono quelli compiuti per avidità di denaro.
Giovenale
sostiene che il delitto passionale è meno grave di quello compiuto per denaro: La
pazzia con ira e rabies rendono meno esecrabili i crimini di
Medea e Procne, assassine dei propri figli, rispetto ai delitti delle matrone
romane perpetrati per denaro o per il potere:"et illae/grandia monstra
suis audebant temporibus, sed/non propter nummos. minor admiratio summis/
debetur monstris, quotiens facit ira nocentem /hunc sexum et rabie iecur
incedente feruntur/praecipites… ( satira VI, vv. 644 - 649), anche quelle
ai loro tempi osavano grandi mostruosità, ma non per denaro. Meno stupore si
deve alle mostruosità somme, tutte le volte che è l'ira a rendere assassino
questo sesso ed esse sono trascinate a precipizio dalla rabbia furiosa che
brucia il fegato.
Torniamo
a Shakespeare. I carnefici ricordano che i due bambini poco prima di essere
trucidati si cingevano a vicenda con le loo innocenti braccia di alabastro, their lips were four red roses on a stalk
cf. Gk. stevleco", stem - (11
- 12), le loro labbra erano quattro rose rosse sul gambo, un gambo che viene
reciso.
Catullo che con il fiore tagliato simboleggia la propria sensibilità violentata da
Lesbia:"nec meum respectet, ut ante,
amorem/qui illius culpa cecidit velut prati/ultimi flos , praetereunte postquam/tactus aratro est ",
e non si volti a guardare, come prima, il mio amore, che per colpa di lei è caduto
come il fiore del ciglio del prato, dopo che è stato reciso dall'aratro che
passa oltre ( è l’ultima strofa saffica (vv. 21 - 24) del carme 11).
Il
poeta latino riprende Saffo dove i pastori calpestano il giacinto con i piedi e
il fiore di porpora cade a terra (ta;n ujavkunqon ejn w[resi poivmeneς a[ndreς - povssi
katasteivboisi, cavmai dev te povrfuron a[nqoς kavppese fr. 105 , 4 - 6, Lobel - Page)
Catullo
è a sua volta ripreso da Virgilio per l’uccisione di Eurialo : purpureus veluti cum flos succisus aratro - languescit
moriens (Aen, IX, 435 - 6), come
il fiore purpureo quando reciso dall’aratro languisce morendo.
Le
labbra dei bambini si baciavano prima che venissero assassinati
I
due sicari hanno un momento di scrupolo, poi un attimo di rimorso per cui non
finirono il racconto a Tyrrel e se ne andarono to bear this tidings to thr bloody king, a portare questa notizia
al re sanguinario (IV, 3, 22)
Riccardo
III. Il
corteggiatore prima compunto, ora giulivo.
Aggiunta Il corteggiamento (Ovidio)
L’espropriazione più dolorosa è quella del tempo, il bene più grande nella
nostra vita.
Entra
Riccardo, e Tyrrel lo rassicura: “be
happy then, for it is done” (IV, 3, 26) siate felice allora, siccome è
stato fatto.
Questa
felicità ga venire in mente quella degli imprenditori sanguinari che manifestarono
la loro gioia per il terremoto dell’Aquila.
Riccardo
promette laute ricompense per l’opera “buona” effettuata.
Tyrrel
esce e il re sanguinario, parlando da solo, si compiace di quanto ha già fatto
e di quello che sta per fare: il figlio di Clarence è rinchiuso, la figlia
fatta sposare a un oscuro consorte (come fece Astiage con la figlia Mandane, si
è già detto), i principi figli del re Edoardo IV riposano nel grembo di Abramo,
la moglie Anne hath bid this world good
night - 39 - ha dato la buona notte a questo mondo.
Gli
resta da sposare la giovane nipote Elisabetta, figlia di Edoardo IV e della
vecchia Elisabetta, per essere del tutto sicuro della corona.
“To her go I, a jolly thriving wooer”
(43), da lei vado, giulivo, prospero corteggiatore.
Corteggiare
significa anche recitare. Quando corteggiava Anne in gramaglie Riccardo seguiva
questo precetto di Ovidio maestro di corteggiamento: “est
tibi agendus amans imitandaque vulnera verbis ( Ars
amatoria 1, 609)", devi fare la parte dell'innamorato e con le parole
simulare le ferite
Ora the bloody king si appresta a recitare
in un altro ruolo, vedremo come.
Il corteggiamento è
una prova di intelligenza, una delle prove pincipali una gara non facile , anzi
ajgw;n
mevgisto" (Euripide, Medea, v. 235),
gara massima perché il premio
del successo è l’amore.
Nel
caso del desiderio veramente sentito Ovidio consiglia di non dissimularne la
forza che nutre la facondia: è il rem
tene verba sequentur di Catone trasferito in campo erotico:"fac tantum cupias, sponte disertus eris
" (Ars Amatoria , I, 608), pensa
solo a desiderarla, e sarai facondo senza sforzo.
Mi
sta a cuore l’argomento perché appartengo a una generazione di ex giovani che
si sentivano in difetto se non corteggiavano ogni donna: dalla mamma a tutte le
altre via via incontrate. Se la cosa veniva fatta con intelligenza, eleganza e
delicatezza non dispiaceva a loro, alle donne, anzi. Ora corteggiare, come
studiare come non ingozzarsi, non sprecare come ogni azione naturale e umana
viene per lo meno biasimata.
Ma torniamo a
Shakespeare.
Entra Ratcliff,
precipitosamente, portando notizie non buone: Morton, il vescovo di Ely - quello
delle fragole - è fuggito da Richmond e Buckingham spalleggiato da duri Gallesi
sta mettendo insieme un esercito di ribelli.
Riccardo è più
preoccupato della defezione del vescovo.
Decide di reagire
subito: “Delay leads impotent and snail -
pac’d beggary - (53), differire porta alla miseria impotente e dal passo di
lumaca.
La burocrazia
elefantiaca è progettata proprio per far perdere tempo alle persone comuni, i
semplici cittadini, come si dice.
Il tempo è il bene
più prezioso che abbiamo, come afferma più volte Seneca, e le persone di potere,
togliendolo a chi potere non ha, accresce le distanze tra chi comanda e chi subisce.
Negli ultimi anni del mio impiego nella scuola aumentavano sempre più gli
impegni inutili ai fini dell’insegnamento, le ore sottratte allo studio di chi
avrebbe dovuto, alcuni anche voluto, passare i pomeriggi imparando per sé e per
gli allievi. Tutto calcolato al fine di degradare la scuola. Una degradazione,
l’ho già detto più volte, che fa cadere le funivie, crollare i ponti,
deragliare i treni, sbagliare le diagnosi.
I potenti non
vogliono perdere tempo però vogliono farlo perdere ai sudditi.
Riccardo III. Il lamento di donne private di figli e
mariti. XVI
Aggiunta
Il contrappasso.
“Che cosa ti distrugge?” “La mente: perché so di avere compiuto cose
terribili”.
Lo scioglilingua
funenbre della regina Margherita alla duchessa di York: male su male si posa,
assassnato su assassinato.
“Orbate - spose dal
brando, e vergini - indarno fidanzate; - madri che i nati videro - trafitti
impallidir ( Manzoni, Adelchi,
secondo coro -
Inizia
Entra la vecchia
regina Margherita vedova del re Enrico VI e madre di Edoardo principe di Galles
uccisi da Riccardo.
Dice che la
prosperità comincia a invecchiare e a cadere disfacendosi nella bocca marcia
della morte into the rotten mouth of
death (IV, 4, 2) .
Si può dire lo
stesso della vecchiaia di questo capitalismo che arricchisce i pochi già straricchi
e riduce alla miseria i moltissimi poveri sempre più poveri.
E intanto avvelena
il pianeta dove viviamo.
Se non rimedia a
questo sfacelo dovrà fare i conti con la disperazione dei miserabili .
Margherita è rimasta
nascosta per assistere al tramonto dei suoi nemici.
Spera di vederli
cadere.
Quindi entrano la
duchessa di York, la madre di Riccardo, e la regina Elisabetta, la vedova di
Edoardo IV, altro figlio della duchessa, morto da poco.
Margherita si
apparta.
Elisabetta compiange
i figli Edoardo e Riccardo fatti ammazzare dal cognato il duca di York
diventato re Riccardo III uccidendo il nipote Edoardo legittimo erede. I
medesimi nomi ritornano, come gli stessi delitti.
La duchessa di York
chiede ai nipoti morti - my unblow’d
flowers - , i miei fiori non sbocciati (IV, 4, 10) di librarsi sopra di lei
con le loro ali aeree e di ascoltare i suoi lamenti (IV; 4, 13 - 14)
Margherita, a parte,
corregge questa preghiera suggerendo ai bambini morti di dire alla nonna che
giustizia per giustizia - right for right
L. rectus - (15) ha gettato il
mattino della loro infanzia nell’oscurità di una notte antica.
I bambini erano
innocenti ma probabilmente Shakespeare pensava al topos della ereditarietà
della colpa. In queste stirpi maledette, i Plantageneti come i Pelopidi di
Micene e i Labdacidi di Tebe, nessuno nasce esente da colpe.
A proposito dei
Pelopidi sentiamo Seneca
Nel Thyestes Megera aizza l'ombra di Tantalo perché scateni
l'ira tra i suoi discendenti e si crei la compiuta peccaminosità:"Nihil
sit, ira quod vetitum putet:/fratrem expavescat frater, et gnatum
parens/gnatusque patrem; liberi pereant male/peius tamen nascantur; immineat
viro/infesta coniux; bella trans pontum vehant;/effusus omnes irriget terras
cruor,/supraque magnos gentium exultet duces/libido victrix; impia stuprum in
domo/levissimum sit fratris; et fas et fides/iusque omne pereat. Non sit a
vestris malis/immune coelum" (vv.39 - 49), non ci sia niente che l'ira
consideri vietato: il fratello tema il fratello, il padre il figlio, il figlio
il padre; i figli muoiano e nascano anche peggio; la moglie ostile minacci il
marito; portino guerre di là dal mare; il sangue sparso bagni tutte le terre, e
la libidine vincitrice salti sopra ai grandi capi dei popoli; nell'empia
famiglia l'incesto del fratello sia una lievissima colpa; e le leggi divine, la
lealtà, ogni diritto umano perisca. Nemmeno il cielo sia esente dai vostri
mali.
Lucrezio identifica
l’età peggiore con il tempo delle guerre intestine, della lotta spietata di
tutti contro tutti: quando gli uomini, credendo di sfuggire al terrore della
morte, gonfiano gli averi col sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze,
accumulando strage su strage, godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque
" (De rerum natura , III, 73) e
odiano e temono le mense dei consanguinei.
L’età dei
Plantageneti dunque è un’era di totale peccaminosità come l’età del ferro
descritta da Esiodo Nelle Opere e giorni il poeta afferma che
nell'ultima fase dell' empia età ferrea gli uomini nasceranno con le tempie
bianche (poliokrovtafoi, v. 181) oltraggeranno i genitori che
invecchiano, useranno il diritto del più forte, la giustizia starà nelle mani (divkh d j ejn
cersiv , v. 192) e se ne
andranno Cavri" , Gratitudine, Aijdwv" Rispetto e Pudore, Nevmesi" , lo Sdegno; quindi non vi sarà più
scampo dal male "kakou' d j oujk e[ssetai ajlkhv" (v. 201).
Nell’ultima scena del Riccardo III, Richmond, il vincitore,
dirà:
come abbiamo solennemente giurato
We will unite the white rose and the red., uniremo la rosa bianca e la rossa York e
Lancaster furono divisi dall’odio : the brother
- fravthr - frater - blindly shed - the brother’s blood; - the father pathvr - pater - rashly slaughter’d his own son - Gk.
uiJovς - ;/the
son compelled - Lat. compello - been butcher to the sire”
(V, 5, 524 - 26) il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello, il
padre ha sconsideratamente macellato il proprio figlio; il figlio è stato
costretto a farsi macellaio del padre.
All this divided - divĭdo - divīsit York and Lancaster/ - in
their dire - deinovς - dirus - division” (27 - 28) tutto questo divise York e
Lancaster contrapposti nella loro crudele rivalità.
Lucrezio identifica
l’età peggiore, quella della compiuta peccaminosità, con il tempo delle guerre
intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli uomini,
credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col sangue
civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage, godono crudeli
dei tristi lutti fraterni "et
consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e temono le mense dei
consanguinei.
Ma torniamo alla
quarta scena del quarto atto del Riccardo
III. La duchessa madre di Riccardo e di Edoardo rimpiange il figlio (o il
nipote) Edoardo Plantageneto.
Margherita dice,
ancora a parte, che un Plantageneto ucciso salda il conto per l’assassinio di
un altro Plantageneto ammazzato: Edward,
for Edward pays a debt (21), Edoardo paga un debito per un Edoardo. Il
secondo era un figlio di Margherita ammazzato da Riccardo.
E’ il contrappasso
Nell’Oreste di Euripide (vv. 395 - 396), a
Menelao che gli domanda τί χρῆμα πάσχεις; τίς σ’ ἀπόλλυσιν νόσος;, “che cosa soffri? quale malattia ti
distrugge?”, il nipote risponde ἡ σύνεσις, ὅτι σύνοιδα δείν’ εἰργασμένος, “l’intelligenza,
poiché sono consapevole di avere commesso cose terribili”. Oreste dunque è reso
sofferente dalla propria σύνεσις (v. 396). Menelao gli ricorda la legge del
contrappasso per cui deve soffrire (v. 413): οὐ
δεινὰ πάσχειν δεινὰ τοὺς εἰργασμένους, “non è terribile che patiscano conseguenze
tremende quelli che hanno compiuto atrocità”. “Febo mi ha ordinato di ammazzare
mia madre” si giustifica Oreste, “ma – replica Menelao – ignorando troppo il
bene e la giustizia”. “Noi siamo servi degli dèi – fa il nipote (v. 418) –
qualunque cosa siano gli dèi”, δουλεύομεν θεοῖς,
ὅτι ποτ’ εἰσὶν οἱ θεοί.
Nell’Eracle di Euripide Anfitrione indirizza
queste parole a Lico inconsapevolmente incamminato verso la morte (vv. 727 - 728):
προσδόκα δὲ δρῶν κακῶς / κακόν τι πράξειν,
“aspettati facendo del male di averne del male”.
Il
contrappasso si trova anche nell’Orestea
di Eschilo. Nel doloroso canto (kommós) che precede l’epilogo dell’Agamennone (vv. 1562 - 1564), il Coro
dice queste parole: “paga chi uccide”, ἐκτίνει δ’ ὁ καίνων, “rimane saldo, finché Zeus rimane sul trono, che
chi ha fatto subisca: infatti è legge divina”, μίμνει δὲ μίμνοντος ἐν θρόνω/ Διὸς / παθεῖν τὸν ἔρξαντα· θέσμιον γάρ. C’è una
ripresa di questo nel kommós delle Coefore
(vv. 313 - 314): δράσαντα παθεῖν, / τριγέρων μῦθος τάδε φωνεῖ, “subisca chi ha agito, un
detto tre volte antico suona così”.
Elisabetta, la nonna
dei bambini uccisi, rivendica come Ecuba nelle Troiane di Euripide di incarnare la somma del dolore, il sommo
dolore e vorrebbe morire.
Subito dopo però
Margherita chiede la priorità della pena antica per sé.
Dice alle altre due
di contare di nuovo i loro dolori considerando i suoi.
Quindi eleva un
lamento che sembra uno scioglilingua
““io avevo un
Edoardo[38]
finché un Riccardo non lo uccise, io avevo un marito finché un Riccardo non lo
uccise; tu avevi un Edoardo finché un Riccardo non lo uccise, tu avevi un
Riccardo[39]
finché un Riccardo non lo uccise” (IV, 4, , 41 - 44).
E’ l’eterno lamento
delle madri e delle mogli orbate di figli e mariti dalle guerre combattute per
l’avere e per il potere.
Nella prima Ode del
primo libro[40]
Orazio si differenzia dai molti uomini cui piace la vita mililare e le guerre
maledette dalle madri:" bellaque
matribus/ detestata" (vv. 24
- 25).
Riccardo III - Riccardo
quale cane, ragno, rospo. La rana lontana
Bestie malfamate e
animali reputati. - XVII
L’ex regina
Margherita parla in un delirio simile a quello di Cassandra nelle tragedie Agamennone di Eschilo e Agamennone di Seneca.
Si scaglia prima
contro la madre di Riccardo: “dalla tana del tuo ventre - le dice - è sortito
un cagnaccio infernale che dà a noi tutti una caccia mortale (IV, 4, 46 - 47)
un cane che prima degli occhi ebbe i denti to
worry lambs, and lap their gentle blood (50) per azzannare gli agnelli e
lappare il loro dolce sangue.
Le dimore di queste
mogli e madri di re grondano sangue come il palazzo di Agamennone dove
Cassandra grida: “Venere fata. Sanguinem
extremae dapes , - domini videbunt et cruor Baccho incidet” (Seneca, Agamennone, 885 - 886), il destino è
arrivato. Le ultime portate vedranno il sangue del padrone e dal corpo cadrà
sul vino.
Nell’Agamennone di Eschilo Cassandra condotta
da Clitennestra alla dimora degli Atridi grida ajndrosfagei`on kai; pevdon rjanthvrion (1092) mattatoio di uomini e suolo bagnato
di sangue.
Margherita prosegue
chiamando Riccardo excellent grand tyrant of the earth (51) straordinario,
grandioso tiranno della terra, turpe sfregiatore della creazione divina che
venne sguinzagliato dal grembo della duchessa di York accusata quale madre di
questo carnal cur (56) cagnaccio
carnivoro che strazia la prole della madre così costretta a sedere sul banco dei
lamenti accanto alle altre donne da lui orbate.
Il tiranno è un
mostro anche nella storia (lo abbiamo indicato in Erodoto e Livio), nelle
tragedie come p. e. Lico nell’Eracle
di Euripide e in Platone.
Nella Repubblica di Platone, Er ricorda il
grande (nel male) Ardieo ( jArdiai`o~ oJ mevga~, 615 c). Costui era diventato tiranno in una città della Pamfilia,
mille anni prima, e aveva ucciso padre, fratello, non senza molte altre
scelleratezze. Chi l’aveva incontrato disse che quell’orribile criminale non
sarebbe mai arrivato nel prato del consesso festoso. Infatti era uno di quelli
così inguaribilmente malvagi (ti~ tw`n ou{tw~ ajniavtw~ ejcovntwn eij~ ponhrivan, 615c) che non potevano mai risalire dal
Tartaro. La maggior parte di questi incurabili erano tiranni. Quando si
avvicinavno alla bocca d’uscita, questa emetteva un muggito (ejmuka`to). Allora intervenivano uomini a[grioi, diapuvroi
ijdei`n (615 e) selvaggi,
infuocati a vedersi che afferravano tali delinquenti e li portavano via. I
pessimi come Ardieo , venivano legati mani, piedi e testa, buttati a terra,
scorticati, trascinati fuori strada su piante spinose e rigettati nel Tartaro.
La duchessa chiede a
Margherita di non esultare sugli affanni suoi perché ha pianto per quelli di
lei.
Margherita le chiede
di avere pazienza: “I am hungry for
revenge” (61), sono affamata di vendetta. L’ybris presente nella stirpe dei Plantageneti ha prodotto messi di
odio, dolore e lacrime.
Margherita torna a
nominare vittime e carnefici dallo stesso nome - Edoardo - e dalla stessa
sorte. Sono morti anche molti spettatori di tante uccisioni. Rimane però in
vita Riccardo hell’s black ientelligencer
(71) il tenebroso agente segreto dell’inferno. Si pensi alle stragi perpetrate
in Italia. Lo hanno mandato sulla terra per comprare anime e spedirle laggiù.
Ma la terra già
spalanca la bocca earth gapes - la
bocca spalancata significa il Caos - cavskw=sto a bocca aperta - , l’inferno brucia, i diavoli ruggiscono, i santi
pregano per la rimozione di questo demone dalla terra.
Cfr. il caso di
Ardieo nel mito di Er citato sopra.
Margherita spera di
vivere abbastanza da poter dire: “The dog
is dead” (78), il cane è morto. Mi è congeniale il fatto di reputare male i
cani che considero per lo meno fastidiosi e spesso pericolosi.
Voglio dunque
supportare questa antipatia che mi rende antipatico ai cinofili citando anche
un moderno.
In una tragedia
dell’elisabettiano leggiamo una nenia funebre cantata da Cornelia "in vari
modi di follia", sul cadavere del figlio Marcello, ucciso dal fratello
Flaminio:" chiamate il pettirosso e lo scricciolo, che volano sopra i
boschetti ombrosi, e con foglie e fiori coprono i corpi soli al mondo degli
insepolti. Chiamate al suo lamento funebre la formica, il topo dei campi e la
talpa, che levino mucchi di terra per tenerlo caldo e quando le ricche tombe
vengono depredate non soffra danno: ma tenete lontano il lupo, che è nemico
degli uomini, altrimenti con le sue unghie li dissotterrerà (But keep the
wolf far hence, that's foe to men,/For with his nails he' ll dig them up again)"[41].
Devo aggiungere T.
S. Eliot che ha inserito gli ultimi due versi - cambiando la parola
"wolf" (lupo) in "dog" (cane), e la parola "foe"
(nemico) in "friend" (amico) - nella prima parte di The Waste Land,
(vv. 74 - 75).
Io credo invece che
il cane grosso e male educato dal padrone ad aggredire gli uomini non sia amico
dell’uomo più del lupo. Per lo meno non sono mai stato inseguito da lupi, da
cani inferociti diverse volte. Ma Dio mi aiutò e mi salvò.
Vediamo alcune
parole di Elisabetta, la moglie del re morto Edoardo IV. Vi compaiono due altri
animali mal reputati. La cognata di Riccardo lo definisce that bottled spider, the foul bunch - back’d toad (IV, 4, 81), quel
ragno tumefatto, quello schifoso rospo gobbo. I ragni non mi piacciono, ma non
li ammazzo, mentre se avessi avuto una rivoltella mi sarei difeso con questa
dai cani inseguitori inferociti e assetati del sangue mio preso per Atteone, il
cugino di Penteo, sbranato, appunto, dai cani
Le rane invece mi
sono simpatiche perché le associo alla stagione bella a una commedia di
Aristofane, alla poesia di Teocrito, Leopardi e D’Annunzio. Poi perché come
dicono questi poeti sono animali discreti, che rimangono lontani.
La rana lontana
Il
coro secondario delle rane di Aristofane comincia a fare il suo verso, il canto
libero della natura
Dioniso
cerca di fare tacere il coax, ma quelle continuano come nei bei giorni di sole
o quando feuvgonteς o[mbron (Rane, 246), fuggendo la pioggia nel
fondo ejn
buuqw'/
intonano un’acquatica aria di danza. Le rane stanno in fondo, lontane come la
verità.
In
Teocrito, la rana canta thlovqen da lontano (Idillio VII, Talisie 140)
Leopardi:
“ascoltando il canto/della rana rimota alla campagna” (Le ricordanze 12 - 13)
In
La pioggia nel pineto di D’Annunzio“la
figlia/ del limo lontana/ la rana/ canta nell’ombra più fonda” 90 - 93
Riccardo III - Le
due ex regine. XVIII
Margherita a Elisabetta: regina dipinta.
Imagines fictae. Un’aggiunta tratta da La strada di Swann di Proust.
Quindi: madre per
beffa, regina
per burla, fatta per riempire la scena.
Segue una tirata
dell’ex regina Margherita che annichilisce la regalità dell’ex regina
Elisabetta. Ora sono due disgraziate ma pure da regine erano due povere donne
Ricordo che
Margherita era la moglie di Enrico VI Lancaster che regnò fino al 1471 quando
venne ucciso da Edoardo IV di York marito di Elisabetta e fratello di Riccardo
che succedette al fratello uccidendone i figli maschi e regnò dal 1483 al 1485.
Margherita dunque
chiama Elisabetta “poor shadow, painted L. pingere - picta - queen” (IV, 4, 83),
povera ombra, regina dipinta.
Nell’Elettra di Euripide il coro, composto da
contadine argive considera Elena regina di Sparta pollw`n kakw`n aijtivan (v. 213) causa di molti mali. Oreste ne svaluta pure bellezza: le carni vuote
di intelletto, dice, sono ajgavlmat j ajgora`~ (v. 388), statue di piazza.
Margherita seguita
ad annientare l’altra ex regina Elisabetta: “sei stata una sollevata in alto
per essere buttata giù”.
Cfr. Seneca
Al
culmine della sua carriera di a[nax Agamennone - il gran duca dei Greci - .
mostra di avere coscienza della probabile caduta rovinosa per chi è salito in
alto:"Violenta nemo imperia continuit diu,/moderata durant; quoque
Fortuna altius/evexit ac levavit humanas opes,/hoc se magis supprimere felicem
decet/variosque casus tremere metuentem deos/nimium faventes. Magna momento
obrui/ vincendo didici. Troia nos
tumidos facit/nimium ac feroces? Stamus hoc Danai loco,/unde illa
cecidit
" (Seneca, Troiane, vv. 258 - 266),
nessuno ha conservato a lungo il potere con la violenza, quello moderato dura;
e quanto più
Troviamo
un locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando
le donne di Micene notano che
Altre parole di
Magherita per annichilire la passata, presunta grandezza di Elisabetta: “a mother only mock’d with two fair babes
(VI, 4, 87), madre solo per beffa di due bambini amabili, a dream of what thou wast (88) sogno di quello che fosti.
Del resto la vita di
tutti noi mortali viene assimilata più volte a quella dei sogni.
Prospero afferma:"
We are such stuff - as dreams are made
on, and our little life - is rounded L.
rotundus with a sleep "(The
tempest [42]IV,
1, 156 - 158), noi siamo fatti di una materia simile a quella dei sogni, e la
nostra breve vita è circondata dal sonno.
A volte mi chiedo se
le storie d’amore che ho raccontate, in particolare, le tre più felici, quelle
con Elena, Kaisa, Päivi,
non siano stati dei sogni. Belli assai ma solo dei sogni.
Le prime due in
particolari perché non sono andate a male come tutte le rimanenti. Infatti se
marcisce la regalità come altre cose umane anche tanti amori, soprattutto se
fasulli, cadon nella bocca marcia della morte. into the rotten mouth of death (cfr. IV, 4, 2 citato sopra).
A questo popositto
sentiamo Ovidio che di amori si intende
Il
maturare o il marcire dell’amore
Se
l'amore può diventare una malattia anche grave, bisogna capire presto quale legame diventerà deleterio e togliergli il
tempo:"Nam mora dat vires: teneras mora percoquit uvas/et validas
segetes, quae fuit herba, facit " (Remedia
amoris, vv. 83 - 84), infatti il tempo fornisce le forze: il tempo fa
maturare bene le uve acerbe e rende spighe rigogliose quella che era erba.
Il tempo porta a
maturazione i frutti dei campi e pure quelli della sventura, dunque, prima di
offrire il collo a un giogo amoroso bisogna prevederne gli sviluppi:"Quale
sit quod amas, celeri circumspice mente,/et tua laesuro subtrahe colla iugo " (vv. 89 - 90), abbraccia
con rapido sguardo la qualità di quello che ami, e togli via il collo da un
giogo che potrà ferirti.
Cosa che lo Swann di
Proust non fece: “Un’ora dopo ricevette un biglietto di Odette”.
Aveva cercato di
imporre “una parvenza di disciplina a certi caratteri informi che per occhi
meno parziali avrebbero forse notato il disordine della mente, l’insufficienza
della educazione, la mancanza di franchezza e di volontà. Swann aveva scordato
da Odette il suo portasigarette: “aveste scordato anche il vostro cuore, non vi
avrei lasciato riprenderlo” (La strada di
Swann, Parte seconda, Un amore di Swann, p. 237)
Margherita continua:
a queen in jest, only to fill the scene (91) regina per scherzo, solo per
riempire la scena.
Quanti cosiddetti o presunti pofessori,
studiosi, intellettuali, registi, giornalisti, scrittori sino tali? Tanti,
davvero tanti.
Nel Macbeth (1606)
il protagonista afferma:"Life's but a walking shadow; a poor
player , - that struts and frets his hour upon the stage, - and then is heard
no more: it is a tale - told by an idiot, full of sound and fury - signifying
nothing " (V, 5), la vita è solo un'ombra che cammina; un povero
attore che si pavoneggia e si agita sul palcoscenico nella sua ora, e poi non
se ne parla più, è una storia raccontata da un idiota, piena di frastuono e
foga, che non significa nulla.
Cfr. anche Misura per misura (1603) dove il duca
suggerisce a Claudio di rivolgersi alla vita dicendole: “thou art death’s fool” (III, 1, 11) tu sei lo zimbello della morte,
quindi “Thou hast nor youth nor age; - but,
as it were, an after - dinner sleep - dreaming on both” ( III, 1, 32 - 34),
tu non hai giovinezza né vecchiaia, ma è come se dormissi dopo pranzo sognando
entrambe queste età.
T. S. Eliot ha
impiegato queste parole come epigrafe preposta a Gerontion
Infine Amleto
dichiara che l’uomo considerato da molti a piece
of work per lui è quintessence of
dust (II, 2) quintessenza di polvere.
Torniamo alla
demolizione di Elisabetta da parte di Margherita
Tutti i suoi
privilegi di regina si sono rovesciati: mentre ricevevi suppliche, ora devi
umilmente supplicare (IV, 4, 100), eri temuta da molti e ora temi uno solo. “thus hath the course of justice whirl’d
about” (105), così ha virato il corso della giustizia e ti ha ridotta a
preda del tempo.
Nella prima scena di
Love’s Labour’ s lost[43],
Ferdinando re di Navarra definisce il tempo “cormorant devouring Time” (I, 1), il cormorano che ci divora.
Dopo avere usurpato
il mio posto non usurpi ora la giusta parte del mio dolore (IV, 4, 109 - 110)
seguita Margherita. Ora il pesante giogo del dolore grava sui colli di
entrambe, Margherita però vuole lasciarne tutto il carico a Elisabetta, leave the burden of it all on thee e
recarsi a sorriderne in Francia
Elisabetta le chiede
restare un poco e insegnarle a maledire i suoi nemici, esperta com’è in maledizioni
O thou, well skill’d
in curses, stay awhile - and teach - Allied to Gk. deivknumi - me how to curse mine enemies. (116 - 117)
Shakespeare Riccardo III .
Madri che maledicono
il proprio parto. XIX
La duchessa di York
e Medea.
The clamorous report della guerra, il suo rimbombo assordante,
deve coprire le voci del dissenso come oggi quello della pubblicità
Le due ex regine
Elisabetta e Margherita cercano parole taglienti, non ottuse - dull - , per maledire gli assassini.
Interviene la terza
donna anziana orbata dei figli, la duchessa di York madre del maximus sceleratus Riccardo, e domanda:
Why should calamity L. acc. calamitatem misfortune - be full of
words? (Shakespeare, Riccardo III, IV, 4, 126) perché la
calamità dovrebbe essere piena di parole?
Bravo nel parlare e
nello scrivere si associa a brevis,
insegna Orazio: quidquid praecipies esto
brevis, ut cito dicta - percipiant animi dociles teneantque fideles (Ars poetica, 335 - 336), qualunque cosa
vorrai comunicare, sii breve, affiché le menti disposte a imparare apprendano
presto quanto hai detto e lo mantengano fedelmente.
Ora si fanno chiacchiere infinite su problemi
veri e pure falsi senza risolverne alcuno. Fiumi di parole inconcludenti su
tragedie orribili e su sciocchezze irrilevanti affinché nulla cambi.
Elisabetta replica
che la verbosità può servire ad alleviare il cuore.
Credo che coloro i
quali parlano in continuazione non sopportano il prossimo, non vogliono
ascoltarlo, né sopportano se stessi: le vuote ciance servono a tenersi lontano
dalle persone, dai problemi reali e dalle poprie sventure.
La duchessa dà
ragione a Elisabetta e le chiede di dare fiato alla tromba e non lesinare
invettive: be copious in exclaims
(135) contro my damned son (134) il
figlio mio maledetto.
Entra Riccardo con
il suo seguito. Vengono avanti con tamburi e trombe
Il re usurpatore
domanda chi è che cerca di arrestare la sua marcia.
La duchessa che l’ha
messo al mondo risponde che è quella stessa che avrebbe dovuto arrestare la tua
marcia strangolandoti nel suo ventre maledetto - by strangling - L.
strangulare. - Gk. straggaluvein,
straggalivzein - thee in her accursed womb” 138 in modo che avrebbe sbarrato la via a
tutte le stragi commesse dallo sciagurato wretch
(IV, 4, 139.
.
La maternità fallita
suscita in questa donna come in Medea l’ira contro il proprio ventre
Medea pensa di
incenerire l'istmo di Corinto e di assumere la ferocia massima negando la
propria femminilità:"Per viscera ipsa quaere supplicio viam,/si vivis,
anime, si quid antiqui tibi/remanet vigoris pelle femineos metus (Seneca, Medea, vv.40 - 43) attraverso
le viscere stesse cerca la via per il castigo, se sei vivo, animo, se ti rimane
qualche cosa dell'antico vigore; scaccia le paure femminili e indossa
mentalmente il Caucaso inospitale.
E più avanti, quando
Giasone la supplica di risparmiare almeno il secondo figlio, Medea risponde:
se nel mio ventre
materno si nasconde ancora qualche pegno "scrutabor ense viscera, et
ferro extraham" (v. 1011 - 1012), mi frugherò le viscere con la spada
e con il ferro lo tirerò fuori.
Le donne ora non
fanno figli anche per i troppi orrori cui assistono. A questi potrebbe porre
freno solo una cultura diversa, impartita dalla scuola e dalla televisione ma
si continua a insegnare che quello che davvero conta è soltanto il denaro per
comprare di tutto anche quanto avvelena l’umanità e il pianeta.
Elisabetta domanda a
Riccardo se creda con la corona di nascondere i segni di infamia che dovrebbero
essere impressi sulla sua fronte.
La madre gli chiede
dove sono Clarence e il figlio di lui Edward Plantageneto, poi dov’è Hastings.
Solo alcune delle sue vittime.
Riccardo non
risponde ma ordina di suonare le trombe e colpire i tamburi: let not the heavens hear these tell - tale
women - (150) non permettete che i cieli odano queste donne chiacchierone
mentre inveiscono contro l’unto del signore.
Vuole annegare gli
improperi sotto il rimbombo assordante della guerra.
Durante le
trasmissioni televisive, quando una rara
avis prova a muovere critiche ragionate a questo sistema, viene interrotto
dal conduttore che ha ricevuto l’ordine di mandare in onda the clamorous report (153) il rimbombo assordante della pubblicità
che è comunque una guerra: alla sobrietà alla temperanza, allo stile, alla
bellezza, alla cultura
Riccardo III. Il colloquio di Riccardo con la madre. XX
Le sofferenze del
parto. L’affitto del ventre materno
Aggiunta del 30
giugno 2021 What bloody man is that? (Macbeth, I, 2, 1), chi è quell’uomo
insanguinato?
Quindi la duchessa
di York a suo figlio Riccardo III: “Bloody
thou art, bloody will be thy end” (Riccardo
III, IV, 4, 195 ), sanguinario tu sei, sanguinaria sarà la tua fine.
E Clitennestra a
Egisto: “hjmatwvmeqa”, siamo coperti di sangue (Eschilo, Agamennone, 1658)
Infine Ecuba :"mhde; ktavnhte: tw'n
teqnhkovtwn a{li" " (Euripide, Ecuba,
v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Dedicato alle
ragazze barbaramente uccise da ragazzi del tutto carenti di umanità e di
educazione anche scolastica sostituita dalla mala educazione pubblicitaria al
consumo di tutto. Il consumo smisurato si associa alla distruzione, alla
guerra, alla morte.
La duchessa di York
pone a Riccardo una domanda che per lo meno dal punto di vista biologico è
retorica: “Art thou my son?” (IV, 4,
155), sei tu mio figlio?
Sembra preludere a
una richiesta di rispetto. Vedremo da questo dialogo che la propria madre è la
persona più rispettata da Riccardo. Questo fatto lo fa assomigliare un poco a
Coriolano.
Riccardo in effetti
risponde: “Ay, I thank God, my father,
and yourself” (156), sì grazie a Dio, a mio padre e a voi stessa.
Il ringraziamento a
Dio e ai genitori per la propria vita viene fatto quando la vita pare arridere.
La madre chiede al
figlio di ascoltare con pazienza la sua impazienza. Non prende la mano che il
figlio le ha teso.
Riccardo cerca
ancora una conciliazione con sua madre facendole notare che è simile a lei: “Madam, I have a touch of your condition, - that
cannot brook the accent of reproof” (158 - 159), Signora, ho un tratto del
vostro carattere, che non può sopportare il tono del rimprovero.
Ma la madre è dura
quanto lui, ancora di più, e vuole, appunto, rimproverarlo
“O let me speak”, oh, lasciami parlare.
Riccardo capisce che
sta per dirgli non bona dicta e
ribatte “parlate allora, ma non vi ascolterò” (160)
La duchessa
promette: “I will be mild and gentle in
my words” (161), sarò mite e gentile nelle mie parole. L’attrice dovrà fare
questa battuta con il tono del sarcasmo, lasciando intendere “per quanto è
possibile con il demonio”. Lo ricavo dalle parole successive della duchessa di
York.
Ma prima Riccardo
dice: And brief, good mother, for I am in
haste (162) e breve, buona madre, perché ho fretta.
Con questa battuta
dà un altro segno di essere simile a sua madre che poco prima aveva biasimato
il fatto che la calamità fosse piena di parole - full of words (126 citato sopra).
La duchessa risponde
polemicamente al figlio facendogli notare l’ingratitudine della sua fretta
mentre lei lo ha aspettato, dio sa con quanto tormento e angoscia. Penso che si
riferisca al parto e ai nove mesi che lo precedono. Le madri almeno in
letteratura lo fanno spesso.
Olimpiade scriveva
male di Antipatro cercando di screditarlo agli occhi di Alessandro il quale
diceva che la madre esigeva un affitto pesante (baru; dh; to; ejnoivkion tw'n devka mhnw'n, Arriano, 7, 12, 6) per i nove mesi nei
quali lo aveva tenuto in grembo.
Le sofferenze del parto
La Medea di Euripide
afferma di preferire la guerra al parto inaugurando un tovpo" che arriva alle soldatesse di oggi.
“Dicono di noi
che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre loro combattono con la
lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a uno scudo/ preferirei
stare che partorire una volta sola. ( Medea, vv. 248 - 251).
Ennio (239 -
Le sofferenze del
parto sono ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando
l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al
marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla
seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì:"oujk i[son kamw;n
ejmoi; - luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous'
ejgwv" ( vv. 531 - 532).
Qui il seminare conta meno del partorire, diversamente dalle Eumenidi di Eschilo.
Più avanti
Clitennestra viene a sapere che Oreste è morto in una gara di carri. La notizia
è falsa ma la madre la crede vera. Quindi chiede a Zeus che cosa significhi
questo - tiv
tau'ta; 766 ,
Se sia una fortuna o una cosa tremenda, ma
utile (povteron
eujtuch' legw - h] deina; me;n, kevrdh dev; 766 - 7677). Comunque è penoso se mi salvo
la vita a prezzo dei miei lutti commenta (768).
Il pedagogo le
domanda perché sia così turbata e Clitennestra risponde
“deino;n to; tivktein
ejstivn ( Sofocle, Elettra, 770), partorire è tremendo, e
di fatto neppure a quella che subisce del male sopravviene odio per i figli che
ha partorito oujde;
ga;r kakw'" - pavsconti mi'so" wn tevkh/ prosgivgnetai (771)
Nelle Fenicie
di Euripide la Corifea commenta la pena di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ
di' wjdivnwn gonaiv, - kai;
filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355 - 356), sono terribili per le
donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in qualche
modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata
anche troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
Nell' Ifigenia in
Aulide la Corifea comprende la pena di Clitennestra per la figliola, ricordando
quale prova terribile sia il parto:"deino;n to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga -
pa'sivn te koino;n w{sq' uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917 - 918), tremendo è partorire
e comporta una grande magia d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i
figli.
Partorire dunque è
una delle cose tremende (ta; deinav).
Tanto più perché il
parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus di
Seneca, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta
l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv.
388 - 389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il
parto vacilla.
Torniamo a
Shakespeare.
Riccardo domanda,
forse con ironia, ma non ne sono tanto sicuro: “and came I not at last to comfort you?” (165) e non sono venuto
dopo tutto a consolarvi?
Sentiamo ora la
tirata ella duchessa contro il figlio
Gli dice “sei venuto
sulla terra per farne il mio inferno: to
make the earth my hell (167). Quindi ne rievoca la vita tutta piena di
affanni per lei e per chiunque stesse vicino a Riccardo: la sua nascita fu a grievous burden (168) un penoso
fardello per la madre, l’infanzia capricciosa e ribelle, gli anni di scuola
paurosi, sfrenati, selvaggi, furiosi, la prima giovinezza ardita, temeraria,
avventurosa. Fin qui la madre è quasi elogiativa con il figliolo. Ricorda le
prime parti dei sette atti della vita ( Cfr. As you like it II, 7),
Più negativa diventa
la maturità: “Thy age confirmì’ d, proud,
subtle, sly, and bloody (172), la tua età matura orgogliosa, subdola, scaltra
e sanguinaria; più quieta, ma più nociva e gentile nell’odio.
Quale ora di
consolazione dunque può esserci stata nella sua compagnia?
Riccardo risponde da
loico: onestamente nessuna, ma se sono così privo di grazia agli occhi vostri,
signora, lasciate che prosegua la mia marcia senza offendervi.
La madre chiede al
figlio di ascoltarla ancora per poco. Poi non si vedranno più
Duchess: Hear me
a word, for I shall never speak to thee again.
Richard: So (IV, 4, 181 - 182)
Riccardo le fa
notare che parla too bitterly (180) troppo
amaramente
Sembra chiedere
aiuto alla madre, una sua benedizione.
Invece la duchessa
lo maledice: “take with thee my most
grievious curse (188), prendi su di te la mia maledizione più pesante: che
il giorno della battaglia ti stanchi più dell’armatura che porti.
Dice che le sue preghiere
saranno alleate dei nemici di Riccardo, come le piccole anime dei nipotini uccisi
Bloody thou art, bloody
will be thy end
Shame serves thy life and doth thy death
attend (195 - 196), sanguinario
sei tu e insanguinata sarà la tua fine. La vergogna scorta la tua vita e
accompagni la tua morte
La mano sporca di sangue non si lava.
Versare il sangue a terra è un peccato irredimibile
Il coro dell'Agamennone nel
terzo stasimo canta:"una volta caduto a terra - to; ga;r ejpi; ga'n
peso;n a[pax)
, nero/sangue mortale di quello che prima era un uomo chi/potrebbe farlo
tornare indietro cantando?"(vv. 1019 - 1021).
Una domanda retorica che afferma la
sacralità della vita umana e trova un correlativo cristiano in questa del Manzoni
che mette in evidenza la mano:" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano
del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica,
VII)
Nella Parodo delle Coefore
il Coro canta:" Tutti i canali convogliati in un'unica via, bagnando la
strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente a purificarla"(vv.72
- 74). Nella lamentazione funebre che conclude il primo episodio, Oreste
ribadisce :"infatti se uno versa tutti i libami in cambio di una sola
goccia di sangue, vano è il travaglio: così è il detto" ( Coefore,
vv. 520 - 521).
Nel Macbeth
il protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great
Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'Oceano del
grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto
questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare
facendo del verde un unico rosso (II, 2).
Il
modello di questo passo si trova nella Fedra di Seneca dove Ippolito, sentendosi contaminato dalla matrigna,
dice:" quis eluet me Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico
incumbens mari?/Non ipse toto magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o
silvae, o ferae! " (vv.715 - 718), quale Tanai mi laverà o quale
Meotide che con le barbare onde preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre
con tutto l'Oceano potrebbe purificare un delitto così enorme. O foreste, o
fiere!
Lady Macbeth
in un primo momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal
misfatto:"A little water clears us of this deed " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia
di Shakespeare[44].
Più avanti la stessa donna che,
aizzando il marito al tradimento e al delitto, era sembrata tanto salda, resa
malata dal crimine sospira:"All the perfumes of Arabia will not sweeten
this little hand ", tutti i balsami d'Arabia non basteranno a
profumare questa piccola mano (V,1). Fa il gesto di lavarsi le mani che non si
nettano mai: “yet here’s a spot (…) Out
damned spot!”, via macchia maledetta
E il dottore: “unnatural deeds do breed unnatural troubles” (V, 3) atti contro
natura producono turbamenti innaturali
Riccardo
III . Un nuovo corteggiamento .
Riccardo
corteggia la vecchia ex regina Elisabetta per sposarne la figlia, la giovane Elisabetta
Elogi
della semplicità (Euripide, Orazio, Nietzsche)
Aggiunta
del 30 giugno 2021.
Capitolo
con una divagazione del resto documentata e rivolta contro gli sproloqui della
gente che, vaga di ciance, parla in continuazione senza dire mai alcunché di
significativo e accrescitivo.
La
madre di Riccardo esce. Accenna a uscire anche Elisabetta ma Riccardo la ferma
dicendo che deve palarle.
La
cognata gli risponde che non ha altri figli maschi che lui possa trucidare.
Quanto alle figlie “they shall be praying
nuns, not weeping queens” (I, 4, 202) esse saranno monache oranti, non
regine piangenti, quindi non devi mirare a ucciderle.
A
questo punto inizia il cortggiamento indiretto in stile stilnovistico: “voi
avete una figlia di nome Elisabetta virtuous
and fair, royal and gracious (205) virtuosa e bella, regale e gentile”.
Ragazzavirtuosa
come poi nella Ricerca di Proust, in
tanta letteratura e nella testa di molti uomini significa prima di tutto “che
non fa sesso”. Quindi amabile e addirittura sposabile
La
madre per ora non abbocca: “deve morire per questo?” Aggiunge che per salvarle
la vita corromperà i suoi costumi e la coprirà d’infamia. Sembra un paradosso.
Dirà che non è figlia di Edoardo dato che i figli del re sono stati ammazzati.
Riccardo
risponde: “at their birth good stars were
opposite” 216, alla loro nascita erano opposte le stelle buone. Si
improvvisa astrologo.
No, to
their lives ill friends were contrary (217), no, alle loro vite erano
contrari malvagi amci, ribatte Elisabetta.
A
questo ossimoro Riccardo, il genio del male che in questo momento si finge
stupido quindi è un ossimoro vivente, risponde da fatalista dicendo
“all unavoided is the doom of destiny” 218 del tutto inevitabile è
il decreto del destino. E’ stata la forza ineluttabile della ncessità dunque ad
armare le mani assassine.
Nel terzo stasimo dell’Alcesti
di Euripide, il coro commenta i fatti dicendo kreivsswn oujde;n j Anavgkaς hu\ron (965 - 966), niente ho trovato più forte della
Necessità. Cfr anche Eschilo, Agamennone :"to; mevllon h{xei" (v. 1240), il futuro verrà. Lo dice
Cassandra.
Elisabetta risponde che il destino di morte dei figli è stato decretato
da chi è stato rinnegato dalla grazia. Il disgraziato assassino
Riccardo nega di avere ucciso i nipoti.
Elisabetta fa un gioco di parole tra cousins - cugini e nipoti - e cozen’d,
spogliati di tutto. Poi continua: se la mano assassina fu quella dei sicari, fu
la mente di Riccardo a guidarla.
Pensate alle tante stragi le cui menti rimangono nascoste, spesso
protette. I segreti di Stato servono anche a questo.
Segue una metafora degna di quelle di Eschilo: no doubt the murd’ rous knife
was dull and blunt (227) il pugnale omicida era senza dubbio ottuso e
smussato - till it was whetted on thy
stone - hard herat ( 228) finché non venne affilato sul tuo cuore di pietra
dura.
L’abitudine al dolore doma anche quello più selvaggio, altrimenti ti
caverei gli occhi.
Segue una serie di metafore marine: e io in un così disperato golfo di
morte, simile a un misero vascello che ha perso le vele e le sartie mi fracasserei
sul tuo petto di scoglio.
Faccio l’ esempio di
una
sequenza polimetaforica dei Persiani di
Eschilo dove l’u{bri~ è congiunta all' a[th :" u{bri" ga;r ejxanqou's j ejkavrpwse stavcun
- - a[th", o{qen pagklauvton ejxama'/ qevro"" (
vv.821 - 822) la prepotenza infatti fiorendo dà per frutto una spiga di/ acciecamento,
da dove falcia una messe tutta di lacrime.
Nelle
Rane di Aristofane il personaggio
Euripide critica la sovraccarica poesia di Eschilo dicendo che il tragediografo
rivale, arrivato a metà dramma, faceva dire dodici parole grosse come buoi (rJhvmat j boveia
dwvdeka 924)
con tanto di sopracciglio e cimiero, spauracchi incomprensibili agli spettatori
mormorwpa;
a[gnwta toi'ς qewmevnoiς (Mormwv è la
strega, lo spauracchio ).
Il
personaggio Eschilo risponde dicendi oi[moi tavlaς (926), povero me!
Shakespere
è ottimo ma non utilizza sempre la forza della sintesi, esemplare in Sofocle e
in Orazio
Sentiamo
Nietzsche
Shakespeare paragonato
con Sofocle, è come una miniera piena di un'immensità di oro, piombo e
ciottoli, mentre quello non è soltanto oro, ma oro anche lavorato nel modo più
nobile, tale da far quasi dimenticare il suo valore come metallo1..
I versi di Sofocle
si distinguono per la loro densità: ognuno di essi potrebbe essere commentato
con un libro.
“La poesia fonda la
sua potenza sulla compressione. Poeta in tedesco si dice Dichter, colui che rende le cose dicht (spesse, dense, compatte). L’immagine poetica comprime in
un’istantanea un momento particolare caratteristico di un insieme più vasto,
catturandone la profondità, la complessità, il senso e l’importanza”2.
Per quanto riguarda
Orazio di cui ho già citato esto brevis,
aggiungo
simplex munditiis, semplice nell'eleganza a proposito di Pirra
(Orazio, Ode I, 5, 5).
Nell’Ars poetica Orazio suggerisce: “ carmen reprehendite quod non/ multa dies et
multa litura coercuit atque/ praesectum decies non castigavit ad unguem”
(vv. 292 - 294), biasimate la poesia che né un lungo tempo né molte
cancellature hanno rifinito né dopo averlo sfrondato una decina di volte non ha
corretto fino alla perfezione.
Infine Nietzsche "Non ho mai provato,
fino ad oggi, in nessun poeta, lo stesso rapimento artistico che mi dette, fin
dal principio, un'ode di Orazio. In certe lingue quel che lì è raggiunto non lo
si può neppure volere. Questo mosaico di parole in cui ogni parola come
risonanza, come posizione, come concetto fa erompere la sua forza a destra, a
sinistra e sulla totalità, questo minimum nell'estensione e nel numero
dei segni, questo maximum , in tal modo realizzato, nell'energia dei
segni - tutto ciò è romano e, se mi si vuol credere, nobile par excellence
. Tutto il resto della poesia diventa in paragone qualcosa di troppo popolare -
nent'altro che loquacità sentimentale"3
1]Umano, troppo umano II vol.
, parte prima Opinioni e sentenze diverse, 162.
[2] Hilman, La forza del carattere, p. 70.
[3] Crepuscolo degli idoli, Quel
che debbo agli antichi, 1.
Riccardo III. XXIII Continua
il corteggiamento alla madre per irretire la figlia
Amore e odio vengono
spesso associati.
Aggiunta del 30
giugno 2021. Ma è un’associazione incongrua quindi improduttiva di vita e
produttrice invece di morte come può essere l’accoppiamento tra un leone e un
cerbiatto.
Basta un gesto, una
frase, perfino una sola parola a significare l’incompatibilità. Allora bisogna
troncare. Subito.
Faccio un esempio.
Una sera stavo portando una tale a cena dopo un concubitus. Durante il tragitto in automobile colei deplorava la
strada quasi accusandomi del fatto che era piena di curve. Non dissi niente ma fuit haec sapientia mea: concubitu pohibere vago, quella di
escludere tale accoppiamento instabile, mal fondato. Credo che le vittime delle
prepotenze siano in qualche maniera complici di quanto subiscono. A una persona
che rispetta se stessa deve bastare un solo sgarbo per cambiare aria. Il fatto
è che pochissimi sono capaci di stare soli.
Riccardo promette a
Elisabetta che se avrà successo nella guerra sanguinosa che va ad affrontare
farà a lei e ai suoi beni più grandi del danno che hanno ricevuto da lui.
La donna domanda
quale bene possa farle del bene (IV, 4, 240 - 241)
Si sente così
avvolta dal male da avere perduto la vista e la nozione di ogni bene.
Riccardo promette “l’elevazione
della vostra prole, nobile signora”.
La donna con figli
gradisce sempre molto l’attenzione che il corteggiatore dedica a questi. E’ una
mossa giusta
Ma Elisabetta
resiste ancora alle lusinghe e risponde con sarcasmo: “up to some scaffold, there to lose their heads” (IV, 4, 243),
(elevazione) fino a qualche patibolo dove perdere le loro teste. Torna la
commistione di amore e morte: il corteggiatore propone amore e la donna replica
evocando e rinfacciando la morte, come aveva fatto Lady Anne nella seconda
scena del I atto di questo dramma.
Elisabetta continua a fare domande che sembrano escludere ogni fiducia
in quanto promette Riccardo il quale ricorre al mito classico che fa sempre
presa in chi abbia un poco di educazione. Dice alla cognata che deve annegare (drown) nel Lete del suo animo adirato - in the Lethe of thy angry - anger, collera,
Lat. angor - soul” - il mesto ricordo dei torti che ella pensa siano stati
arrecati da lui.
Ricorrere al mito significa allontanare il dolore e universalizzarlo
Murray commenta il V
stasimo della Medea di Euipide dove
il Coro ricorda altri bambini uccisi da un’altra madre, Ino precedente Medea.
“Il pianto di morte
non è più un grido udito nella stanza accanto. E’ l’eco di molti pianti di
bambini dall’inizio del mondo, bambini che ora sono in pace e la cui sofferenza
antica è diventata in parte mistero, in parte musica. La Mermoria - quella Memoria
che era la madre delle Muse - ha compiuto la sua opera. Noi vediamo qui la
giustificazione dell’alto formalismo e delle convenzione della tragedia greca.
Essa può toccare, senza indietreggiare qualunque orrore di vita tragica, senza
mancare di sincerità e senza guastare la sua normale atmosfera di bellezza.
Essa porta le cose sotto la grande magia di qualche cosa cui è difficile dare
un nome, ma che io ho tentato di indicare in queste pagine; qualche cosa che
noi possiamo pensare come eternità o l’universale o forse perfino come Memoria.
Perché Memoria, usata in questo modo, ha un potere magico[45]”.
Elisabetta lascia
parlare Riccardo che le giura di amarne la figlia from my soul ( 256) con tutta l’anima mia. La cognata prova a
rinfacciargli la morte dei fratelli della fanciulla e Riccardo replica la
dichiarazione d’amore aggiungendo che vuole fare di Elisabetta iunior la regina
d’Inghilterra. Quindi chiede alla suocera designata di insegnargli a
corteggiare la figlia dato che la conosce bene.
Elisabetta senior
torna a ricordargli il sangue versato: Riccardo potrebbe inviare alla donna che
ama un fazzoletto intriso del sangue del fratello e invitarla ad asciugarsi le
lacrime con questo.
Viene in mente la
pezza che Ipazia arrossò con il suo sangue mestruale e mostrò a un suo allievo
innamorato di lei. C’è ancora il contrasto tra amore e morte e la loro
vicinanza.
Elisabetta continua
dicendo al cognato che può anche ricordare a sua figlia come le abbia ucciso lo
zio paterno Clarence, lo zio materno Rivers e la zia acquisita Anne
Riccardo reagisce
dicendo di sentirsi beffato da questi consigli, poi prova a recuperarli
proponendosi di dire che ha ucciso tanti congiunti per amore di Elisabetta.
Ma la madre dissocia
l’amore dal sangue associando questo piuttosto all’odio. Noi però sappiamo che odio
e amore vengono spesso associati.
Almeno quanto amore
e morte
Facciamo qualche
esempio
Molto noto è
l'epigramma di Catullo:"Odi et amo
. Quare id faciam, fortasse
requiris./Nescio, sed fieri sentio et excrucior ." (85), odio e amo.
L'ossimòro condensa la contraddizione lacerante del poeta che dissocia l'amare dal bene velle: la componente
sensuale da quella affettiva, come chiarisce bene il distico finale del carme
72 :"Qui potis est?, inquis. Quod
amantem iniuria talis/ cogit amare magis, sed bene velle minus "(vv. 7
- 8), come può essere?, chiedi. Poiché una tale offesa costringe l'amante ad
amare di più ma a voler bene di meno.
"E' la conflittualità catulliana fra
sesso e amore"[46].
Si trova anche in Senilità di Svevo:"Aveva posseduto la donna che
odiava, non quella ch'egli amava. Oh, ingannatrice!"[47].
Su questa linea
Paolo Silenziario, autore che si colloca tra la tarda antichità e l'inizio
della cultura bizantina (VI sec. d. C), in uno dei suoi circa ottanta epigrammi
rimasti nell' Antologia Palatina considera l'oltraggio della donna che
gli ha sbattuto la porta in faccia, aggiungendo parole ingiuriose, come una
forma di u{bri" che eccita ancora di più il suo folle
amore:"u{bri"
ejmh;n ejrevqei ma'llon ejrwmanivhn"
(V, 256)
Secondo Ovidio, oltre
essere turpe odiare chi abbiamo amato, non è produttivo, e non è indicativo di
emancipazione dall'amore:"Saepe reas faciunt et amant" (Remedia amoris, v. 661), spesso le
accusano e amano. Senza contare le relazioni e i matrimoni che finiscono in
tribunale con danni di tutti i generi:"Tutius est aptumque magis
discedere pace/nec petere a thalamis litigiosa fora./Munera, quae dederas,
habeat sine lite iubeto;/esse solent magno damna minora bono" (vv. 669
- 672), è più sicuro e più conveniente separarsi in pace, e non passare dal
talamo ai processi del foro. I doni che le avevi fatto, lascia che se li tenga
senza contesa; di solito le perdite sono inferiori a un bene grande.
“
Per questo Hans
provava anche sentimenti di prudente distacco
(T. Mann, La montagna incantata, capitolo IV)
In
D'Annunzio la donna non poche volte è la nemica, come Ippolita Sanzio lo è di
Giorgio Aurispa nel Trionfo della morte
(del 1894) di cui cito la conclusione :" Fu una lotta breve e feroce come
tra nemici implacabili che avessero covato fino a quell'ora nel profondo
dell'anima un odio supremo. E precipitarono nella morte avvinti".
Cito
anche, per dare un esempio meno noto, alcuni versi di una poesia, di uno dei
massimi autori ungheresi del Novecento, Endre Ady (1877 - 1919):" Sono le
nostre ultime nozze:/Ci strappiamo la carne a colpi di becco/e cadiamo sul
fogliame d'autunno" ( Nozze di
falchi sul fogliame secco) [48].
Fa rabbrividire,
forse perché non è del tutto falsa, una sentenza tragica del misogino suicida
C. Pavese "Sono un popolo nemico, le donne, come il popolo tedesco"[49].
E pure, con un pessimismo meno esteso ma più personalizzato:"Sono tuo
amante, perciò tuo nemico"[50].
Riccardo III. Il potere non è potenza. XXIII
Aggiunta del 30 giugno 2021. Così come il sapere non è la sapienza - to; sofo;n d j ouj
sofiva (Baccanti, 395)
Il vocabolo femminile può generare la vita, quello maschile o neutro
non riesce a farlo.
Segue una lunga suasoria di Riccardo a Elisabetta. E’ inficiata da
contraddizioni e luoghi comuni. E pure dall’illusione che il potere sia una
cosa grande. Voglio smontare subito questa chimera citando un verso delle Baccanti di Euripide che verranno
rappresentate a Siracusa in luglio e agosto. Spero di poterci andare dopo avere
concluso questo corso
fr. Euripide, Baccanti, 310: “ ajll j ejmoiv, Penqeu`
, pivqou - mh; to; kravto"
au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein”
Via Penteo, da’
retta a me, non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini.
E’ Tiresia che parla
cercando di salvare Penteo, il re di Tebe, che per propria disgrazia non gli dà
retta. Finirà male anche lui
Riccardo prova anche a scusarsi: Quello che è stato fatto
sconsigliatamente non può più essere corretto oramai - what is done cannot be now amended L. emendare - (291).
E’ possibile però pentirsi degli errori. E si possono trovare compensi
per i danneggiati. Ho portato via il regno ai vostri figli: “To make amends I’ll give it to your daughter”
(295), per fare ammenda lo darò a vostra figlia. E’ evidente la contraddizione
tra i versi 291 e 295.
Chi entra in contraddizione nel parlare o non sa quello che vuole e
quello che dice oppure lo sa ma vuole confondere, cioè imbrogliare.
Il regno, continua Riccardo, andrà comunque alla discendenza di
Elisabetta. I suoi nipoti saranno come figli suoi.
Se i figli da voi partoriti sono stati un tormento per la vostra
giovinezza vexation to your youth 305
, i miei saranno un conforto della vostra vecchiaia - a comfort to your age - 306.
Ora Riccardo ricorre a un vieto luogo comune, il che fa pensare che non
c’è nulla di autentico in quanto dice.
Torna ancora la parola amend e
di nuovo in contraddizione con la ricorrenza precedente: “I cannot make you what amends I would” (309), non posso darvi le
riparazioni che vorrei, dunque accettate i benefici che posso offrirvi. Dorset,
il figlio di Elisabetta, verrà richiamato in patria e colmato di onori. Era
fuggito in Francia da Richmond per non essere ammazzato da Riccardo come i suoi
fratellastri.
Le liquide gocce delle lacrime the
liquid drops of tears - Cf. O.
Lat. dacruma L. lacrima, Gk. davkru, davkruma - versate torneranno a voi trasformate in fulgide perle.
Un’altra trasfomazione del dolore in gioielli se non in gioia si trova
in The tempest
Ariel canta che il
padre di Ferdinando, il re di Napoli Alonso, giace in fondo al mare in seguito
al naufragio
Full fandom five thy
father lies
Of his bones are coral
–corallum - koravllion - made
Those are pearls that
were his eyes:
Nothing of him that
doth fade - vapidus - svanito -
But doth suffer a sea
- change - cambio - are
Into something rich -
unless the Teut. Base rik - is merely borrowed fom the Celic rīg - Cf L.rex - and strange - extraneus
Sea - nymphs hourly
ring is knell
(I, 2, 399 - 405),
almeno a cinque
braccia tuo padre giace,
dalle sue ossa si
sono formati coralli,
sono perle quelli
che erano i suoi occhi:
nulla di lui muore
ma subisce un cambiamento marino
in qualche cosa di prezioso
e raro,
le ninfe marine a
ogni ora suonano la sua campana.
Riccardo continua a
promettere felicità in seguito al matrimonio della giovane Elisabetta . Spinge
la madre della ragazza che vuole sposare, chiamandola addirittura madre mia, di
andare dalla figlia¨
Go then, my mother; to thy daughter go, 325, le chiede di metterle nel cuore la
fiamma ambiziosa dell’aurea sovranità e di informarla sulle dolci ore
silenziose delle gioie coniugali.
Abbiamo già visto
alcune smontature dell’aurea sovranità in diversi autori
Ne aggiungo un paio
da Seneca
Nel primo coro dell’Agamennone le donne di Micene si
rivolgono alla fallax Fortuna che
inganna i re facendo girare precipitosamente le loro sorti (praecipites regum casus/ Fortuna rotat (71
- 72) , i quali metui cupiunt metuique
timent (72), vogliono essere temuti e ne hanno paura. La notte non offre ai
potenti il suo placido seno né il sonno che placa le cure scioglie il loro
animo dagli affanni - non curarum somnus
domitor –pectora solvit” 75 - 76)
Nella Fedra il quarto coro asserisce: minor in parvis Fortuna furit - leviusque
ferit leviora deus; - servat placidos obscura quies - praebetque senes casa
securos (1124 - 1127), meno infuria
Riccardo
si accinge a punire il meschino ribelle e ottuso dull - brain’d - Buckingham; quindi tornerà cinto di corone trionfali
guidando la figlia di Elisabetta to a
conqueror’s bed (334) nel letto del conquistatore, in più sensi, dove le
farà il resoconto delle vittorie – and
she shall be sole victoress, Caesar, s Caesar (IV, 4 4, 366) ed essa sarà
la sola vincitrice: il Cesare di Cesare
Ricordate
cosa dice Cleopatra a Carmiana e Iras ? Se no, ve lo rammento io
:‘Tis poltry to be Caesar; - not being
Fortune, he’ s but Fortune’s knave, - a minister of her will - (V, 2, 2 - 3),
è una miseria essere Cesare; non essendo egli
Abbiamo
visto quanto Cleopatra Tolemaica fosse più bella, fine e intelligente di
Riccardo Plantageneto
Riccardo
III - Varium et mutabile semper femina.
XXIV.
Aggiunta
del 30 giugno 2021.
Girano
interpretazioni psicologistiche sul delitto di Monteveglio.
Chiacchiere
per lo più interpretazini ricamate che coprono la causa più vera e meno
chiarita a parole di questo crimine atroce. L’ajlhvqeia che è non latenza e non deve rimanere
celata è che la gente ricorre alla violenza quando difetta di parole per
esprimere le proprie ragioni. Questo non viene detto né scritto in maniera
chiara e diretta perché significherebbe mettere sotto accusa la cattiva
educazione che guasta e rovina le menti
Continua
la schermaglia tra Elisabetta e Riccardo.
Alla
fine il malvagio prevale sulla donna che cede e si arrende.
Le
battute di Riccardo promettono ogni bene alla futura sposa e alla loro terra.
Si sa che da un re buono ridonda ogni bene sul suo paese.
Elisabetta
ribatte colpo su colpo rinfacciando a Riccardo i suoi tanti delitti anche su i
consanguinei.
Vediamo
le parole più significative secondo me, e più facili a commentarsi da parte mia
Riccardo
chiede be eloquent to her siate eloquente con lei, la
figlia, in my behalf nel mio
interesse 357
Elisabetta
individua in questa richiesta il raggiro del parlare retoricamente e risponde:
“Plain and not honest is too harsh a
style” (360) semplice e non onesto è uno stile troppo stridente.
La
semplicità infatti si associa alla bellezza e all’onestà
Nel logos epitafios
il Pericle di Tucidide dice:"filokalou'mevn te ga;r met j eujteleiva"[51]
kai; filosofou'men a[neu malakiva"" (Storie, II, 40, 1) in
effetti amiamo il bello con semplicità e amiamo la cultura senza mollezza.
Più avanti Tucidide
indica la semplicità come il nutrimento di quell'anima nobile che venne negata
dalle guerre civili: a causa di queste ("dia; ta;" stavsei""), fu sancito ogni genere di malizia
nel mondo greco e sparì, derisa, la semplicità cui di solito la nobiltà
partecipa:"kai;
to; eu[hqe", ou| to; gennai'on plei'ston metevcei, katagelasqe;n
hjfanivsqh" (III, 83, 1).
In questo contesto
la semplicità è “bontà di carattere, bontà d’animo” (eu\ h\qo~).
Nelle Fenicie[52]
di Euripide, Polinice afferma la parentela della semplicità con la giustizia e
con la verità:"aJplou'" oJ mu'qo" th'" ajlhqeiva"[53]
e[fu, - kouj poikivlwn dei' ta[ndic' eJrmhneuavtwn" (vv. 469 - 470), il discorso della
verità è semplice, e quanto è conforme a giustizia non ha bisogno di
interpretazioni ricamate. Invece l' a[diko" lovgo" , il discorso ingiusto, siccome è malato
dentro, ha bisogno di rimedi artificiosi:"nosw'n ejn auJtw'/ farmavkwn dei'tai sofw'n" (v. 472).
Al ripetersi del
rinfacciamento dei bambini uccisi, Riccardo risponde : “Harp not on that string, madam: that is past” (364), non arpeggiate
su quella corda signora; quello è il passato.
Una metafora
musicale che mi fa venire in mente due versi della Parodo dei Sette a Tebe di Eschilo:
dia;
dev toi genu'n iJppivwn
kinuvrontai
fovnon calinoiv.
(vv. 122 -
123), attraverso le mascelle
equine le briglie arpeggiano strage.
Riccardo vuole
giurare ma Elisabetta continua a ricordargli i crimini che annullano ogni
intenzione buona. L’inesauribile corteggiatore continua a prospettarle il tempo
a venire dato che il passato è proprio passato.
Quindi ricorre
all’extrema ratio di giurare sulla pericolosa impresa che sta per affrontare:
invoca su di sé e sul proprio successo la maledizione del cielo if with dear heart’s love, - immaculate
devotion, holy thoughts, - I tender not thy beauteous, princely daughter”
(403 - 405) se con pieno amore del cuore, immacolata devozione, santi pensieri,
io non mi offro alla tua bella, principesca figliola.
Elisabetta sta
cedendo: chiede se debba lasciarsi tentare dal demonio, dimenticare chi sia lei
e scordare che Riccardo ha ucciso i suoi figli
Riccardo fa la
battuta risolutiva tra il macabro e l’erotico. Ancora amore e morte
“But in your
daughter womb I bury them
Where, in that nest
of spicery, they will breed
Selves of rhemselves,
to your recomforture” (423 - 425),
Ma io li seppellisco
nel grembo di vostra figlia dove, in quel nido di spezie profumate, essi
genereranno altri se stessi per vostra consolazione.
Non manca l’incesto.
D’altra parte Riccardo è lo zio, il fratello del padre della ragazza che vuole
sposare. Cfr. Claudio e Agrippina iunior.
infine Elisabetta si
muove per sottomettere la figlia al volere di Riccardo cui dice di scriverle
quanto pima: lei risponderà facendogli sapere come è disposta la ragazza.
Riccardo bacia la futura suocera dicendole di trasmettere quel bacio alla
fidanzata. Ma appena la donna è uscita dice:
Relenting fool, and shallow, changing woman! 430, si è intenerita la sciocca, superficiale,
volubile donna!
varium et mutabile semper/femina ", aveva già sentenziato Virgilio
attraverso Mercurio (Eneide , IV, 569
- 570).
Riccardo
III - Si avvicina la resa dei conti. - –XXV
La
bilancia del destino
Arrivano
notizie non buone per Riccardo
Entra
per primo sir Richard Ratcliff che annuncia l’arriva di una gagliarda flotta
sulla costa occidentale. Sulle spiagge si affollano molti che dovrebbero stare
dalla parte del re ma sono amici dubbi e non ben risoluti a respingere il
nemico. L’ammiraglio della flotta è Richmond e Buckingham è già pronto ad
accoglierlo.
Entra
anche sir William Catesby e Riccardo gli ordina di correre dal duca di Norfolk.
A Ratcliff di andare a Salisbury.
Catesby
non si affretta e Riccardo lo insulta: “dull
unmindfull villain”, ottuso furfante smemorato (445) poi gli domanda perché
non corra da Norfolk
Catesby
risponde che aspettava l’ordine del re da riferire al duca di Norfolk.
Riccardo
si rimangia l’offesa appena lanciata “O,
true, good Catesby!” e gli dice di portargli l’ordine di raccogliere forze
il più possibile numerose e potenti, poi di andare a Salisbury.
Si
vede che Riccardo sta perdendo l’equilibrio perché sente calare il piatto della
bilancia dove sta il suo destino. Il nostro equilibrio dipende spesso da come
ci sentiamo collocati nella bilancia fatale ovvero da come procediamo sul filo
del rasoio del destino.
Entra
poi Stanley conte di Derby, fortemente sospettato da Riccardo.
Dice
che non ha notizie buone ma nemmeno tanto cattive che non possano essere
riferite. In queste parole si sente il timore del cortigiano che avverte il
pericolo della propria caduta in disgrazia.
Riccardo
infatti lo biasima subito: Hoyday, a
riddle! Neither good nor bad! (459), ma guarda un indovinello, né buone né
cattive. Quindi gli chiede di parlare in modo diretto. Certo è che non è facile
essere diretti con un tiranno che non ha mai parlato in modo veritiero né retto
perché non è un rex rectus, ma
appunto un tiranno.
Se si pone mente al latino
rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw, "tendo, stendo". "La radice
deriva dall'indoeuropeo *reg - che ha dato come esito in greco ojreg - (con protesi di oj - ) in latino reg - "[54]
da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto. Quindi
"in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che
traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è
retto"[55].
Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti,
quando giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri ludentes 'Rex eris '
aiunt/ 'si recte facies" [56]. Insomma il rex deve dirigere sulla retta via. Il re allora non può essere
contorto. Nemmeno la virtù può esserlo: “et
haec recta est, flexuram non recipit ” (Seneca, Ep. 71, 20), anche questa è diritta, non ammette piegatura.
Altrettanto
la verità che è pure “non latenza”
Nell’Antigone il messo in procinto di
raccontare la catastrofe di Antigone e di Emone, avverte la regina Euridice che
non la blandirà con menzogne: “ojrqo;n aJlhvqei j ajeiv” (v. 1195), la verità è sempre una
cosa dritta.
Stanley
deve dare la pur brutta notizia: Richmond
is on the seas (462).
Riccardo
lancia una maledizione: There let him
sink, and be the seas on him (463) che ci affondi e il mare gli stia sopra.
Il
naufragio è già pronto per Riccardo e a dire la verità intera il naufragio
riguarda tutti prima o poi.
Nel Satyricon il vecchio poeta Eumolpo
dice:"si bene calculum ponas, ubique naufragium est " (115,
17), se fai bene i conti, il naufragio è dappertutto. Marìa Zambrano afferma
che l'uomo, da quando ha memoria e storia, ha sempre avuto nel fondo dell'animo
il sentimento del naufragio e ricorda che il suo maestro Ortega y Gasset nei
suoi corsi su "La razòn vital" descriveva "la condizione di
"naufragio" come la più umana della vita umana"[57].
Stanley
aggiunge che Richmond punta sull’Inghilterra to claim the crown (468) per rivendicarne la corona.
In effetti Enrico Richmond Tudor diverrà
Enrico VII e sposerà Elisabetta la figlia di Edoardo IV ambita da Riccardo
sconfitto nel 1485.
Riccardo
fa notare che il trono non è vacante e che il re è lui: Riccardo III è l’erede
del grande York. Dunque che cosa fa Richmond nel mare?
Stanley
risponde che se non è per quanto ha detto (to
claim the crown) non sa congetturare I
cannot guess (474).
Questa
risposta accresce la diffidenza di Riccardo verso Stanley che viene investito
da domande relative alle sue truppe. In effetti sono lontane, nel nord, mentre
la minaccia viene dal sud. Stanley chiede di avere permesso di radunarle per
combattere con il re, ma Riccardo ribadisce la sua sfiducia: thou wouldst be gone, to join - L. iungere Gk. zeugnuvnai
- with Richmond - but I’ll not trust
thee (490
- 491), tu vorresti andare per unirti a Richmond, però io di te non mi fido.
Nei rappoti di potere come in quelli amorosi prima
o poi entrano il sospetto e la diffidenza. Il potere e l’amore, come la
ricchezza, la salute, la bellezza, per alcuni anche la cultura contribuiscono
all’identità e questa deve essere difesa con ogni mezzo e a qualunque costo.
Stanley
cerca di assicurare la propria lealtà - I
never was, nor never will be, false L. falsus
(483), non sono mai stato né sarò mai sleale.
Una scusa
enfatica, esagerata: mi fa pensare al “grazie davvero” delle persone fallaci.
Riccardo
lo capisce e lo lascia andare ma gli ordina di lasciargli il figlio in ostaggio
minacciandone la testa in caso di tradimento del padre.
Quando
scoppiano conflitti tra coniugi, l’ostaggio sacrificabile è il figlio
Entrano
tre messi che riferiscono al sovrano di altre defezioni.
Riccardo reagisce gridando: “out on you, owls! - L. ulula allocco. Nothing but songs of death? (IV, 4, 507), via gufi! Nient’altro che canti
di morte?
Quindi colpisce il terzo messo e gli fa. Prendi questo, finché non
porterai notizie migliori.
Il III messo allora gli dà una buona notizia: Buckingham’s army is dispers’d and scatter’d G K. skedavnnumi - (511) , l ‘esercito di Buckingham è
disperso e sparpagliato ed egli stesso si aggira da solo e nessuno sa dove
Riccardo si scusa e gli dà del denari to cure the blow of thine (514) perché lo curi dalla percossa. Il
messo aggiunge che è stato proclamato un bando che promette una mercede a chi
arresta il traditore
Entra un quarto messo con un’ altra notizia buona: che nemmeno Richmond
si è fidato di Buckingham e ha levato le vele per tornare in Bretagna
Riccardo confortato esorta a narciare: march on, march on, per andare a schiacciare these rebels L. rebellis
renewing war=. re - again ; bellum war, here at home, questi nostri ribelli
nostrani
Rientra Catesby con due notizie una buona: Buckingham is taken, è stato preso, e una cattiva: che Richmond è
sbarcato a Milford with a mighty power, con un esercito potente
Riccardo ordina ls marcia verso Salisbury dove dovrà essere tradotto
Buckingham (535 - 538).
Finisce qui
Riccardo III Atto quarto, ultima scena, la quinta. XXVI
Facciamo capolino su Amleto e
La tempesta
Aggiunta del primo luglio 2021.
Ieri ho compianto Chiara e ho pure pianto per lei.
Oggi voglio ricordare Sana la ragazza pakistana, un’altra creatura
deliziosa. Spero ancora che non sia morta.
Comunque aggiungo che non sono state le due religioni mononeistiche a
decretare queste persecuzioni e gli avvoltoi che volano sopra le teste di tutti
dovrebbero evitare tali macabre speculazioni.
Sono i costumi imposti dall’ignoranza, non contrastata dalla lettura di
libri buoni e, anzi, incentivata spesso da certe trasmissioni, a seminare la
mala pianta della violenza.
Stanley chiede a sir Christopher di far sapere a Richmond che il
proprio figliolo Giorgio è rinchiuso nel porcile del cinghiale implacabile - in the sty of the most deadly boar - (V,
5, 2).
Il tiranno è un uomo imbestiato
che fa vittime e finisce per diventare la maxima
victima lui stesso come abbiamo già rilevato.
Stanley sa che la testa del figlio salterà se lui, il padre, si
rivolta: "If I revolt, - L. revolvere to roll back - off goes young
George's head (3).
Il "rotolare indietro" del padre è associabile al rotolare
giù della testa del figlio. Si ricordino le storie già menzionate di Periandro
di Corinto, Policrate di Samo e dei due Tarquini: re e pincipe di Roma.
Richmond deve anche sapere che la vedova di Edoardo IV ha consentito al
mantrimonio della figlia con Riccardo.
Intanto questo vendicatore invero misterioso è sbarcato nel Galles. Christopher
elenca alcuni nomi di nobili in rivolta tra cui sir William Stanley and many other of great name and worth
(16) e molti altri di grande nome e valore.
Sappiamo che la rinomanza e la fama di valore sono spesso usurpate ma
in guerra una grande reputazione anche se falsa, qualora sia convincente, può
contribuire alla vittoria. Lo sapeva bene Alessandro Magno che si spacciava per
figlio di Zeus . Diceva che anche se non era vero, conveniva farlo credere.
Famā enim bella constant, et saepe etiam, quod falso
creditum est, veri vicem obtinuit” (
Curzio Rufo, Historiae
Alexandri Magni VIII, 8, 15), le
guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e
spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.
I nemici di Riccardo
dunque puntano su Londra
Stanley conte di Derby
fa fretta a Christopher perché torni da Richmond e gli dica che gli bacia la
mano “I kiss his hand”.
A un padrone se ne
sostituirà un altro, non necessariamente migliore.
Alla fine di questo
dramma, come del Macbeth, il nuovo re
insedia i suoi amici e parenti sui seggi dai quali sono stati gettati nella
fossa gli sconfitti.
Si combatte per una tomba
come ci ha insegnato Lucano.
Le ultime parole della
tragedia Amleto (1600 - 1602) sono di
Fortebraccio, principe di Norvegia, il quale dice: take up the bodies: such a sight as this - becomes the field. But here shows much amiss - Go, bid the soldiers shoot, togliete i
cadaveri. Uno spettacolo come questo si
addice al campo di battaglia. Ma qui è assai fuori luogo.
Andate, ordinate ai
soldati di sparare.
Jan Kott lascia un
interrogativo: “Chi è questo giovane principe norvegese? Non lo sappiamo.
Shakespeare non ce lo dice. Che cosa deve rappresentare? Il destino cieco,
l’assurdità del mondo o il trionfo della giustizia? Gli shakespearologi hanno
difeso a turno ciascuna di queste tre interpretazioni. E’ il regista che deve
decidere. Fortebraccio è un uomo giovane, forte, splendente. Arriva e dice:
“Portate via questi cadaveri. Amleto era un buon ragazzo, ma è morto. Adesso il
vostro re sono io. Torna tutto benissimo, perché mi sono ricordato che ho dei
diritti su questa corona”. Dopodichè sorride ed è soddisfatto di sé”
Mi fa pensare al deus ex machina, per esempio Apollo alla
fine dell’Oreste di Euripide o i
Dioscuri alla fine dell’Elena di
Euripide.
“Ed ecco alla fine
arriva un giovanotto sano e vigoroso e con un affascinante sorriso dice:
“Portate via questi cadaveri. Adesso il vostro re sono io”[58].
“Take up
the bodies”
Lo stesso deus ex
machina è Richmond nel Riccardo III.
Ma la storia si ripete senza rinnovarsi
Ogni gradino che
separa Riccardo III , poi Rchmond dal trono è una vita umana.
I re sono a turno
ora carnefice ora vittima. Gli uomini che creano la storia ne cadono vittime,
altri credono di crearla e ne cadono vittime, altri non la creano né credono di
crearla ma ne cadono vittime lo stesso.
Alcuni capitoli del Principe di Machiavelli sono fatti
dramma da Shakespeare.
L’ultimo dramma di
Shakespeare, La tempesta (1610) si
svolge in un’isola sperduta tra persone finite lì schivando a malapena la morte
per acqua.
Tra loro si ripetono
i malefici che abbiamo visto nelle corti.
Alla fine del dramma
Prospero mostra ad Alonso re di Napoli i loro figlioli: Ferdinando e Miranda
che giocano a scacchi
Miranda vede i
personaggi del dramma e dice: Oh meraviglia, quante buone creature sono qui!
Come è bello il genere umano! Oh magnifico nuovo mondo che contiene tali
abitatori!
Invero sono un
branco di farabutti.
A Prospero, duca di
Milano spodestato da suo fratello, bastano 4 brevi parole per smentire quanto
ha detto sua figlia Miranda: ‘Tis new to
thee. È nuovo per te (V, 1)
Prospero pronuncia
la parola disperazione: and my ending is
dispair.
Per Shakespeare il
potere è un nucleo di male, come per Seneca.
Ma questo lo abbiamo
già detto.
Riccardo
III. Il contrappasso nella fine di Buckingham.
XVIII
Aggiunta del primo
luglio 2021. Il contrappasso c’è per tutti quelli che fanno patire il prossmo
come mostrano le tragedie di Shakespeare che hanno spesso una base storica.
Anche noi negli anni di questa nostra vita mortale, brevissima comunque per
tutti, abbiamo visto tanti personaggi pomposi e supponenti cadere in molti casi
dal piedistallo nella polvere, o nel fango, o nel letame.
Il quinto atto si apre
con Buckingham led to execution
condotto all’esecuzione. Riccardo non vuole ascoltarlo e il condannato a morte
si rivolge alle tante vittime fatte morire dall’usurpatore con il suo
contributo immaginando che le loro anime corrucciate discontented souls (V, 1, 7) osservino dal cielo la scena presente
e for revenge mock my destruction (9)
per vendetta irridano alla sua rovina.
La morte di questo duca
è il primo contrappasso dei delitti, il secondo sarà la rovina e la morte di
Riccardo.
Contrappasso è subire il
male inflitto agli altri. “Così s’osserva in me lo contrappasso” (XXVIII, 142)
dice Bertram del Bornio nell’Inferno
di Dante. Questo dannato tiene in mano i capelli dai quali pende la propria
testa staccata dal busto come punizione del fatto che mise Enrico III
d’Inghilterra contro il padre Enrico II: “Io feci il padre e il figlio in sé
ribelli” (XXVIII, 136) .
Una storia non tanto
diversa da quelle raccontate da Shakespeare a proposito della scala del potere
che porta all’abisso. Come poeta fu un trovatore del XII secolo, cantore di
guerre e di stragi
Buckingham chiede se
quello sia il giorno dei morti All - Souls
day, is it not? (10)
Avuta risposta
affermativa dallo sceriffo, il condannato dice il giorno dei Morti è il my body’s doomsday il giorno del giudizio del mio corpo.
Insomma il dies irae per lui
Mi vengono in mente
alcuni versi attribuiti a Tommaso da Celano (XIII secolo)
Judex ergo cum sedebit,
Quidquid latet apparebit,
Nil inultum remanebit.
A Buckingham invece
tornano in mente le proprie malefatte considerate cause del male che sta
cadendo addosso a lui
Dice che questo del
proprio supplizio è il giorno augurato a se stesso quando giurò a Edoardo IV
che non avrebbe mai tradito i suoi congiunti.
Ora i suoi torti –wrongs (18) - gli tornano addosso.
Allora non parlai sul
serio ma quel supremo Onniveggente - that
high All - seer di cui mi feci beffe, ha ritorto l’auspicio sul mio capo
“and given in earnest what I begg’d in jest” (22) mi ha dato sul
serio quello che ho chiesto per burla.
In molti testi antichi
l’essere celeste che vede tutto è il Sole che quindi non può essere ingannato
Nell' Iliade Agamennone pregando Elio, gli
attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto:" jHevliov" q j ,
o{" pant j ejfora'/" kai; pavnt j ejpakouvei"" (III, 277) ; una formula che torna un
poco variata nell’ Odissea (XI, 109)
:" jHelivou,
o{" pavnt j ejfora'/ kai; pavnt j ejpakouvei"
Si
tratta della profezia di Tiresia che Odisseo ha evocato dal mondo dei morti.
Nel Prometeo incatenato di Eschilo il titano
invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto
vede.
E’
impossibile dunque nascondere le malefatte al Sole che vede tutto : questo dio
non si lascia ingannare e non inganna: “Virgilio, nella Georgica Ia afferma la sincerità del sole nel dare segni:"Solem quis dicere falsum/audeat? "
(463 - 464), il sole chi oserebbe chiamarlo falso?
Buckingham
ricorda anche la maledizione di Margherita - Margaret’s curse - la quale was
a prophetess (27) gli aveva vaticinato lo spezzamento del cuore dal dolore.
Finalmente
il complice di Riccardo ha capito quanto sia vera l’ammonizione di Esiodo il
primo profeta della Giustizia:
:“Appronta mali a se
stesso , un uomo che li prepara per un altro
Oi|
g j a uJtw`/ kaka; teuvcei ajnh;r a[llw/ kaka; teuvcwn
e il progetto
cattivo è pessimo per chi lo ha progettato”
( hj de; kakh; boulh; tw`/ bouleusanti kakivsth)
Opere e giorni, 265 - 266).
Se i potenti
leggessero di più palerebbero e si compoterebbero meglio.
Buckingham
ha capito ma troppo tardi: sollecita lui stesso le guardie di menarlo to the block of shame, al ceppo della
vergogna e finisce dicendo: “ wrong hath
but wrong, and blame the due of blame (Riccardo IIII, V, 1, 28 - 29), il danno riceve solo danno e la vergogna
il dovuto alla vergogna
Riccardo
III. Richmond fiuta nell’aria la propria vittoria. XXVIII
L’obiettività
epica della storiografia antica. La guerra civile è il più crudele dei
conflitti.
Aggiunta
del primo luglio 2021.
I
segni che preannunciano la vittoria o la sconfitta prendono il loro significato
più vero dalla forza o dalla debolezza di chi li nota.
Quando
siamo indeboliti dentro, interpretiamo come negativi quei medesimi segni, del
cielo o della terra, o pure vocali, che in stato di grazia avremmo considerato
favorevoli. Il segno brutto dunque e anche quello bello, l’abbiamo dentro e
quando lo sentiamo avverso, non dobbiamo competere.
Inizia
la seconda scena del V atto
Siamo
nel campo di Richmond che tiene ai capi e sottocapi del suo esercito un
discorso come facevano gli antichi duci delle guerre antiche quali Alessandro
Magno, Annibale, Scipione, per fare solo qualche esempio.
Ognuno
tende a magnificare le proprie forze, a prevederne la vittoria .
Richard
è molto virulento nei confronti del nemico esecrando,
l’
usurping boar (7), il cinghiale
usurpatore .
Nelle
guerre antiche i comandanti erano meno offensivi nei confronti dei duci nemici,
talora anzi assumevano atteggiamenti perfino cavallereschi.
Durante la seconda
guerra punica , nel 208, il console Marcello rimase ucciso in uno scontro tra Venosa
e Locri. Era stato 5 volte console, tre volte si era fregiato delle spoglie
opime tolte a un comandante ucciso di sua mano. Annibale fece rendere alla
spoglia gli onori più alti.
Gli atti
cavallereschi entrano nella categoria della cosiddetta “obiettività epica”
della storiografia precristiana (Santo Mazzarino). Viene codificata dal proemio
delle Storie di Erodoto: "Questa
è l'esposizione della ricerca di Erodoto di Alicarnasso, perché gli eventi
scaturiti dall'attività umana con il tempo non diventino oscuri, né le imprese
grandi e meravigliose - (e[rga megavla te kai; qwmastav - messe in
luce alcune dagli Elleni altre dai barbari, rimangano prive di gloria, e tra le
altre cose in particolare per quale causa combatterono tra loro" .
Per
questo riconoscimento del valore dei nemici, Plutarco nel De Herodoti malignitate, Peri; th`~ JHrodovtou kakohqeiva~ ( 857a) accuserà
questo storiografo di essere filobavrbaro".
Richmond
invece riempie di impropèri Riccardo: “the
wretched, bloody, and usurping boar - that spoil’d your summer fields and
fruitful vines - swills your warm blood like wash, and makes his through - in
your embowell’d bosoms - this foul swine (…) this foul swne ” (V, 2, 7 - 10),
lo sciagurato, sanguinario cinghiale usurpatore, che ha spogliato i vostri
campi estivi e le vigne fruttifere, tracanna come un pastone il vostro sangue
caldo e insedia il suo truogolo nei vostri petti dilaniati (…) questo immondo
maiale. Un’invettiva contro il nemico, per niente cavalleresca.
Vero
è che le guerre civili sono sempre più feroci di quelle contro un nemico
esterno: Tucidide riconosceva il valore degli Spartani ma non quelli dei nemici
di classe della propria polis, come Cleone il demagogo beniamino del popolo
odioso agli aristocratici.
Tuttavia
lo storiografo della guerra del Peloponneso non arriva a raffigurarlo con tali
e tanti insulti.
I
latini tendono a evidenziare la crudeltà delle guerre civili
Svetonio, narrando
gli avvenimenti dell’ anno 69 d. C., racconta che Vitellio questo principe più
che cinquantenne, torpido e ghiottone, mentre visitava il campo di battaglia di
Bedriaco dove aveva sconfitto Otone, a quelli del seguito che si rivoltavano
inorriditi davanti ai caduti già in putrefazione, disse : “ il cadavere del
nemico ha buon odore; ma quello dei cittadini è migliore” “optime olere occisum hostem, et melius civem” (Vitellio, 10)
“E anche per il
popolo la guerra civile - quando non importi la privazione dei comodi più volgari
- può essere motivo di squisito sollazzo” (Marchesi, Tacito, p. 257). In Hist.
III, 83 Tacito racconta come entrarono in Roma i Flaviani vittoriosi sui
vitelliani nel dicembre del 69 durante la festa dei Saturnali
“Aderat pugnantibus spectator populus, utque
in ludrĭco certamine, hos, rursus illos clamore et plausu fovebat”, la
popolazione assisteva alla battaglia come ai giochi del circo: con acclamazioni
e applausi assegnava il suo favore ora a questo ora a quello.
- “saeva
ac deformis urbe tota facies: alibi proelia et volnera, alibi balineae
popinaeque: simul cruor et strues corporum, iuxta scorta et scortis similes”
(Tacito, Historiae, III, 83) ,
crudele e orrendo lo spettacolo in tutta l’urbe, da una parte scontri e ferite,
da un’altra bagni e osterie: nello stesso tempo sangue e mucchi di cadaveri, e
vicino bagasce e bagascioni
“Una pace dissoluta,
il saccheggio più bruto. Furore e gioia. Era già successo con Silla e con
Cinna. C’era una disumana indifferenza - inhumana
securitas - e la dissolutezza non ammetteva interruzioni e i piaceri non
furono interrotti, come se ai Saturnali si fossero aggiunti altri spassi.
Godevano per la sola allegrezza del pubblico male” (Marchesi, Tacito, p. 258)
Richmond
chiama i suoi soldati courageous friends
(14), amici coraggiosi, e il conte di Oxford aggiunge un elogio sperticato: “la
coscienza di ogni uomo vale mille uomini (17) seguito da un annientamento del
nemico anatemizzato –to fight against
this guilty homicide (18) per combattere contro questo colpevole assassino.
Altri
nobili ribelli notano l’isolamento dell’usurpatore: abbandonato da tutti tranne
quelli che ne hanno paura. Si prospetta una finale simile a quello che si
ripeterà della tragedia Macbeth (1605
- 1608) con il tiranno isolato e desolato.
La
scena si chiude con Richmond che proclama: “All
for our vantage; then in God’s name march” (22), tutto va a nostro
vantaggio, marciamo dunque in nome di Dio.
E’
il “Dio con noi” - Got mit uns - di
chi crede nella popria vittoria, non sempre a ragione.
Richmod
aggiune uno svolazzo: “true hope is
swift, and flies with swallow’s wings” (23), la speranza verace è veloce e
vola con ali di rondine. Non bisogna però dimenticare che la rondine ha due
lati di cui uno scuro e male ominoso, come abbiamo visto commentando Antonio e Cleopatra. Lo ripeto qui.
Poco prima della battaglia di Azio,
sul conto Antonio ci furono brutti segni.
Tra gli altri: “la nave ammiraglia
di Cleopatra si chiamava Antoniade e su questa apparve un segno terribile shmei`on de; peri;
aujth;n deino;n ejfavnh (Vita,
60, 7) : delle rondini avevano fatto il nido sotto la poppa - celidovne" ga;r
ujpo; th;n pruvnan ejneovtteusan, ma delle altre sopraggiunte scacciarono
queste e ne uccisero i piccoli ( e[terai d j ejpelqou`sai kai; tauvta" ejxhvlasan
kai; ta; neovttia dievfqeiran - (Plutarco, Vita di Antonio, 60, 7) . Il cattivo destino di Antonio dunque era
già segnato.
Di fatto si era indebolito
I segni del resto segnalano
vittoria ai più forti e sconfitta ai più deboli. Gli stessi segni. Il più forte
che vede il segno negativo sa che questo è un brutto segno è per il più debole.
Come Alessandro Magno quando vide l’eclissi di luna prima della battaglia
decisiva di Gaugamela (331)
Il Macedone senza scomporsi, ad
omnia interritus (Curzio Rufo, 4, 10, 4) assolutamente impavido, chiamò
vati egiziani i quali pur conoscendo le vere cause dell’oscuramento, dissero
che l’eclissi di luna era un brutto segno per i Persiani. Risposta suggerita
dal figlio di Olimpiade.
Richmond conclude dicendo che la
speranza tramuta i re in numi e uomini modesti in re. Sono le buone speranze
che conseguono ai primi successi.
Viceversa si diventa ad omnia pavidi dopo gli insuccessi
Riccardo III V, 3.
I due schieramenti si preparano a
combattere. XXIX
Ordine da una parte, confusione
dall’altra.
Aggiunta del primo luglio 2021.
La confusione è si trova sulla
strada regressiva del caos. Prende il bene come male e viceversa. Se non ci
fosse confusione nelle teste dei più non si auspicherebbe l’apertura delle
discoteche. C’è però della coerenza: le discoteche sono luoghi di confusione
prossima al caos.
Chi non sopporta la popria lucidità
e la propria vita tende al Caos: al tanto peggio tanto meglio.
Riccardo prepara la battaglia dando
indicazioni ai suoi e facendosi coraggio.
Sostiene che la sue forze sono tre
volte superiori a quelle del nemico.
“Besides, the King’a name is a tower of strenghth” (V, 3, 12),
inoltre il nome del re è una torre di forza.
Lo sarebbe se la torre non fosse
pericolante e il re non avesse la zoppia che caratterizza molti tiranni, come
abbiamo visto nei versi del secondo stasimo dell’ Edipo re di Sofocle citati sopra (873 - 879)
Il fatto è che il re malato e
debole ammorba e indebolisce anche il suo popolo e la sua terra.
Riccardo invita a osservare la
disciplina che non deve mancare come la puntualità - Let’s lack no discipline, make no delay - (17).
Anche Creonte, il tiranno dell’Antigone di Sofocle considera la
disciplina, ossia l’obbedienza ai suoi ordini come indispensabile per la
salvezza.
Traduco alcune parole che Sofocle
gli attribuisce
“Non c'è male più
grande dell'anarchia (ajnarciva" de; mei'zon oujk e[stin kakovn) ./Essa manda in rovina le città, questa
ribalta/le famiglie, questa nella battaglia spezza/ le schiere dell'esercito in
fuga; invece le molte vite/di quelli che vincono, le salva la disciplina (sw/vzei ta; polla;
swvmaq j hJ peiqarciva)" (
vv.
672 - 675).
Si
pensi anche al fatto che Virgilio, per compiacere Augusto, presenta i suoi personaggi
ottemperanti - Enea e Aristeo - come vincenti pur se farabutti, mentre quelli
che non stanno alle regole (Orfeo e Didone) sono vittime dei mascalzoni che
prevalgono.
Riccardo
e i suoi escono da una porta, mentre Richmond con il suo seguono entrano da
un’altra.
Richmond
ricava un buon presagio dalla scia luminosa del sole al tramonto.
Viceversa
nel prologo dell’Oedipus di Seneca
appare un sole che spunta incerto da una nuvola sporca
Leggiamo i primi cinque versi della tragedia:"Iam
nocte Titan dubius expulsa redit,/et nube moestum squalida exoritur iubar,
/lumenque flamma triste luctifica gerens/prospiciet avida peste solatas
domos,/stragemque, quam nox fecit, ostendet dies " (Oedipus, vv. 1 - 5), già, cacciata la
notte, torna un Titano incerto, e il suo splendore spunta cupo da una nuvola
sporca, e, portando una luce afflitta con fiamma luttuosa, osserverà le case
desolate dall'avida peste, e la strage che la notte ha compiuto la farà vedere
il giorno.
Il
sole incerto dallo splendore cupo (moestum iubar), la luce afflitta (lumen
triste) e la fiamma luttuosa (flamma luctifica) significa il
capovolgimento dei ritmi nella terra tebana appestata
"La
luce è la più rallegrante delle cose: è divenuta simbolo di tutto ciò ch'è
buono e salutare. In tutte le religioni indica la eterna salvezza, mentre
l'oscurità indica dannazione"[59].
Infatti
all'inizio delle Metamorfosi [60]
Ovidio mette in rilievo che durante l'epoca del Caos l'aria mancava di luce e
le cose non avevano aspetto stabile:"lucis egens aër: nulli sua
forma manebat " (I, v. 17)
Richmond dà le prime indicazioni ai
suoi luogotenenti sulla disposizione delle schiere
Quindi li convoca nella sua tenda
per tenere un consiglio sul da farsi in battaglia e tracciare una mappa dello
schieramento.
Da questa parte c’è maggiore ordine
e il capo non ha bisogno di invocare la disciplina che è già nel suo animo e la
ispira agli altri.
Mi vengono in mente le varie e
diverse fasi del mio lavoro di insegnante: ebbi il problema della disciplina
solo nei primi anni, un paio, quando non ero abbastanza preparato da
interessare completamente gli allievi parlando degli autori che non conoscevo
abbastanza, non ne avevo la visione d’insieme, non sapevo collegarli tra loro e
non li avevo capiti a fondo.
Escono Richmond e i suoi e rientra
Riccardo accompagnato da Ratcliffe, Norfolk e Catesby.
Riccardo domanda What is’t o’ clock? (V, III, 58), che
ora è?
Un segno di confusione e disordine
mentale.
Riccardo
salta la cena e chiede del vino. XXX
Il
vino eccita o stordisce, secondo quanto se ne beve. Testimonianze letterarie
Aggiunta
del primo luglio 2021 -
Il
vino si associa alla guerra di Riccardo. Più spesso si associa al concubitus. Ho raccontato al festival
dei filosofi lungo l’Oglio che la strada dell’amore è parallela e talora
perfino tangenziale a quella della guerra.
Catesby
rispnde che è ora di cena: sono le nove.
Un’ora
plausibile, per la cena, come in Italia, da Roma in giù.
Pensavo
che gli Europei non mediterranei, dalla pianura padana in su, cenassero tutti
prima delle 20.
Quando
insegnavo all’università di Bressanone, se arrivavo dopo le nove, trovavo tutto
chiuso. Anche nell’università estiva di Debrecen si cenava alle 19, 30.
Riccardo
però risponde che non cenerà. Chiede carta e inchiostro e pure l’armatura.
L’ossessione della battaglia occupa tutta la sua persona e non lascia spazio
per altro, nemmeno per il cibo.
Ordina
che un araldo vada da Stanley a ordinargli di portare il suo reggimento prima
che si levi il sole se non vuole che suo figlio cada nella cieca caverna della
notte eterna - into the blind cave of
eternal night - (V. 3, 63). La minaccia è la medesima di Creonte per
Antigone. La caverna della notte contrapposta al sole.
Nel secondo stasimo
dell’Antigone di Sofocle il coro di
vecchi tebani canta questi versi che deplorano lo spengimento della luce
salvifica
"Ora infatti
sull'estrema/ radice si era distesa una luce nella casa di Edipo/ma poi la
polvere macchiata di sangue/degli dei infernali la falcia,/e pazzia della
parola ed Erinni della mente" (599 - 603).
Esce
Catesby e Riccardo chiede una candela (64), poi di sellargli il bianco cavallo
Surrey. Il cavallo di Riccardo è un animale famoso nella letteratura, quanto lo
è il cane Argo dell’Odissea.
Riccardo
poi chiede una coppa di vino - a bowl of
wine - (73) il vino nell’Asino d’oro di
Apuleio e pure in altri testi è un viatico per la strada del concubito.
Fotide
promette a Lucio una notte di amore: “prima face cubiculum tuum adero. Abi
ergo ac te compara, tota enim nocte tecum fortiter et ex animo proeliabor”
(Metamorfosi, II, 10), appena farà notte verrò in camera tua. Vai dunque
e preparati, per tutta la notte infatti io mi batterò con te fortemente e
mettendocela tutta
Quindi
arriva del vino da parte di Birrena e Lucio aggiunge un elogio di questo
propiziatore: Veneris hortator et armĭger Liber advenit ultro, ecco che
arriva Libero in armi a spronare Venere. Vinum istud hodie sorbamus omne,
quod nobis restinguat pudoris ignaviam et alacrem vigorem libidinis incutiat (II,
11), beviamolo tutto oggi questo vino, che spenga in noi la viltà del pudore e
ci infonda l’energico vigore del desiderio. Hac sitarchĭā navigium Veneris
indiget solā, La barca di Venere ha bisogno di questa sola provvista (II,
11)
Sentiamo
qualche altre occorrenze di questo topos
Euripide
Baccanti (770 - 774)
Questo
dio dunque chiunque egli sia, signore,
accoglilo in questa
città: poiché per il resto è grande,
e questo dicono di
lui, per come ne sento:
ha donato ai mortali
la vite che fa cessare gli affanni.
E quando non c’è più
il vino, non c’è Cipride oi[nou de; mhkevt j o[nto~
oujk estin Kuvpri~ -
né più alcun altro
piacere per gli uomini oujd j a[llo terpno;n oujde;n
ajnqrwvpoi~. E’ la conclusione del
resoconto del messo sul comportamento delle menadi
Terenzio,
Eunuco, 732: Sine Cerere et Libero friget Venus.
Bisogna
però berlo con moderazione
Ovidio
Vina parant animum Veneri, nisi plurima
sumas - et stupeant multo corda sepulta mero” (Remedia, 807 - 8). A questo
proposito vedi il film Un altro giro.
Macbeth “Much drink may be said to be an equivocator
with lechery: makes him stand to and not stand to (II, 3).
Tacito Liber festos laetosque ritus posuit,
Iudaeorum mos absurdus sordidusque (Historiae
V, 5). Liber è un altro nome di Bacco.
Riccardo
chiede che lo lascino solo. Ratcliffe dovrà andare a svegliarlo verso la
mezzanotte e aiutarlo ad armarsi, and help
to arm me. Leave me, I say (V, 3, 79)
Riccardo III La notte con i primi spettri - XXXI
Aggiunta del primo luglio 2021.
Dio talora viene invocato senza essere chiamato per
nome in quannto tutto è pieno di dèi come affermò Talete.
Ora siamo nella tenda di Richmond dove entra Stanley,
conte di Derby che è suo patrigno perché ne ha sposato la madre vedova.
I due si scambiano auguri e benedizioni. La tenebra
friabile flaky darkness ( V, III. 87)
si sta squamando a Oriente e l’ora fatale si avvicina. Arbitra sarà la guerra.
Stanley deve prendere tempo e giocare d’astuzia per
evitare che suo figlio George ostaggio di Riccardo, venga ucciso
dall’usurpatore sanguinario
Richmond lo fa accompagnare al suo reggimento e va
“to take a nap - lest leaden slumber
peise me down tomorrow” (105 - 106) ad appisolarsi per ervitare che il
plumbeo sonno mi schiacci domani quando invece dovrei levarmi con ali di
vittoria.
Il sonno fruito è balsamo delle anime ferite balm of
hurt minds "
come lo chiama Macbeth (già citato Macbeth,
II, 2), mentre il sonno di chi non ha dormito è un peso plumbeo che grava sulla
testa.
Gli
altri escono e Richard si inginocchia per pregare
Invoca
dio con un O Thou - 109 - o Tu, senza
dargli un nome, come si fa nelle preghiere a Dio - chiunque egli sia o chiunque
Tu sia.
Una preghiera di
Edipo inizia con Quisquis deorum regna placatus vides (Seneca, Oedipus, 248), chiunque tu sia tra gli
dèi che guardi il potere regale con occhio benevolo.
"Chiunque tu
sia" è una formula liturgica che risale all'Odissea: Ulisse quando
giunge naufrago e malridotto nell'isola dei Feaci rivolge una preghiera al
fiume che lo ascolta, ferma la corrente e lo accoglie:"Klu'qi, a[nax,
o{sti" ejssiv " (V,
445), ascolta signore, chiunque tu sia. E' l'uomo stremato che si abbandona a
una forza della natura sapendo che "tutto è pieno di dèi"[61].
Ritroviamo la formula nell'Agamennone
di Eschilo ( Zeuv",
o{sti" pot j ejstivn, Zeus
chiunque mai sia, v.160);
Nelle Troiane di Euripide, Ecuba dice:
“ o{sti"
pot j ei\ suv, dustovpasto" eijdevnai - Zeuv" , vv. 885 - 886 , chiunque mai tu sia, Zeus
che non dai congetture dalle quali conoscerti, sostegno della terra che sulla
terra hai sede (884), sia necessità di natura (ajnavgkh fuvsewς) sia mente dei mortali (nou'ς brotw'n, 886), io ti prego.
Richmond
chiede a questo Dio cui dà del tu, un dio amico che guardi le sue forze con
occhio benevolo - with a gracious eye
(110) - che può far pensare al sole il quale vede tutto come si legge in
diversi autoi greci e latini e pure in Shakespeare:"the all - seeing
sun ne'er saw her match, since first the world begun " , il sole che
tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, dice
Romeo di Giulietta all’amico Benvolio[62].
Richmond
poi prega Dio di mettere in mano i ferri della sua ira - irons of wrath (111) ai soldati che stanno dalla parte giusta.
Si
è persa l’obiettività epica della storiografia classica: la storia da Paolo
Orosio è diventata iudicium Dei adversus
paganos, quindi adversus victos.
I
vincitori saranno ministri della punizione divina.
Detto
questo Richmond affida l’anima to Thee
a Te, a questo dio Ignoto, senza nome, e va a chiudere le finestre degli occhi,
chiedendo protezione nel sonno e nella veglia.
Tutt’altra
è la situazione notturna di Riccardo il Malo.
Appaiono
gli spettri delle sue vittime.
Prima
quello del principe Edward figlio di re Edoardo IV.
All’usurpatore
ricorda come venne da lui pugnalato e lo maledice con la formula che verrà
ripetuta dagli altri morti ammazzati : despaire
ad die (127, dispera e muori.
Invece
Richmond riceve incoraggiamento e benedizioni dai medesimi spettri.
Segue
re Enrico VI: “Think on the Tower and me:
despair and die” (127), pensa alla torre e a me: dispera e muori.
A
Richmod viceversa dice: “Virtuous and
holy , be thou conqueror (127), vituoso e santo, sii vincitori.
Il
male è tutto da una parte, il bene completamente nell’altra.
Mancano
i dissoi;
lovgoi
i discorsi contrapposti della sofistica e della storiografia antica.
Quindi
appare lo spettro del fratello Clarence con un altro tristo annunzio di futuro
danno: andrà posarsi pesantemente sull’anima di Riccardo durante la battaglia.
Ricorda
che morì immerso in un vino disgustoso.
In The Waste Land T. S. Eliot scrive “Fear death by water” (v.55), temete la
morte per acqua. Clarence ha subito la morte per vino
La sua vita si era annegata,
annullata, nella botte di Malvasia, come ricorda il seduttore di Emma Bovary[63].
Il
fratello fatto assassinare augura a Riccardo che durante la battaglia la spada
gli cada con il filo smussato. Quindi l’immancabile, dovuto: “despair and die” (136)
A
Richmond che saluta quale “ offspring of
the house of Lancaster” (137), progenie della casa di Lancaster, Clarence
si presenta come uno tra the wronged heirs of York, gli eredi
oltraggiati della casa di York che pregano per il loro vendicatore: “good angels guard thy battle, live and
flourish” (139), angeli benefici proteggano le tue truppe: vivi e prospera.
Seconda
parte degli incubi di Riccardo. XXXII
Aggiunta
del primo luglio
Gli
spettri che, dopo avere maledetto Riccardo, benedicono Richmond e la nuova era
di pace e prosperità inaugurata da questo Tudor non dicono il vero, forse
perché hanno “mala luce”, una vista cattiva come i dannati di Dante. Il figlio
di Richmond - Enrico VII - ossia Enrico VIII farà scorrere nella sua corte non
meno sangue di quello versato da Riccardo III.
Altri
spettri le cui voci vengono a Riccardo dal senso di colpa e dalla percezione
della propria debolezza
Continua
la processione degli spettri che si aggirano nella tenda di Riccardo come lo
spettro del comunismo per l’Europa all’inizio del Manifesto del Partito Comunista di Marx - Engels. Riccardo per
giunta “assomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze infere da
lui evocate”, come la “società borghese moderna” secondo Marx e il suo amico,
cooperatore e mecenate Engels. Anche Riccardo “non ha lasciato fra uomo e uomo
altro vincolo che il nudo interesse”.
Compaiono
lo spettro di Rivers, fratello della regina Elisabetta, quello di Grey, figlio
di Elisabetta e di Sir Thomas Vaughan. Tutti rinfacciano a Riccardo i suoi
crimini, lo maledicono e gli predicono la sconfitta mentre prevedono la
vittoria di Richmond.
In
alcune tragedie di Euripide (l’Ecuba e
le Baccanti per esempio) si assiste a
un capolgimento per cui il personaggio prepotente come Penteo o criminale come
Polimestore, è odioso finché cade talmente in rovina e viene così duramente
colpito dal contrappasso che, se pure non diventa simpatico, può suscitare
della compassione.
Lo
spettro di Hastings che abbiamo visto restare isolato nella riunione dentro la
torre e condannato a morte per la sua onestà è efficace nell’imprecazione
contro Riccardo.
Lo
apostrofa con queste parole: “bloody and
guilty - guiltily awake –and in a bloody battle end thy days (V, 3, 148 - 149),
sanguinario e colpevole, svegliati con I sensi di colpa, e finisci i tuoi
giorni in una battaglia cruenta.
Non
c’è tregua allo scorrere del sangue in questi drammi sulla lotta per il potere.
Clitennestra chiede a Egisto di non proseguire
sulla via dei delitti:
“basta sciagure: non
dare inizio a nulla: siamo già insanguinati hJ/matwvmeqa ( Agamennone, vv. 1657 - 1658).
Clitennestra vorrebbe
spezzare la catena ma il loro delitto non sarà l'ultimo anello.
Come quelli di
Riccardo nella corte reale inglese.
Quindi di nuovo despaire and die (149)
Richmond invece
viene invocato da Hastings come “spirito tranquillo e sereno che deve vincere
per amore della bella Inghilterra”.
Ci penserà suo
figlio Enrico VIII ad avviare una niova catena di delitti dentro la corte.
Qundi gli spettri in
coro rinfacciano a Riccardo i nipoti smothered
in the Tower (152), soffocati nella torre: questo delitto per il
contrappasso dovrà soffocare l’assassino pesando come piombo sul suo petto e
schiacciandolo.
Non c’è alcuno
spazio per il pentimento e il perdono.
A Richmond l’augurio
di generare una stirpe felice di re.
Sarà
quella dei Tudor celebrata da Shakespeare nell’ Enrico VIII dramma del 1613 scritto in collaborazione con John
Fletcher. Un altro re sanguinario la cui vittima più illustre, Thomas
More, è appena nominato
Alla fine del dramma viene santificata anche
la piccola Elisabetta, la futura regina. La verità sarà sua nutrice: Truth shall nurse - nutrio - nutrix her
(Enrico VIII, V, 4, 28), avrà come
consiglieri pensieri santi e devoti e sarà amata e temuta she shall be loved and feared (30). Conclusa la sua vita perfetta
in questo mondo di tenebre, Elisabetta sarà una stella in cielo, una stella
fissa (47) dopo essere morta ancora vergine yet
a virgin, a most unspotted lily - lilium (61), il più immacolato dei gigli.
Il mondo intero prenderà il lutto per lei
Enriico
VIII conclude che per la piccina renderà quel giorno un Holy - day, un giorno santo.
Torniamo
al Riccardo III. Entra lo spettro di
lady Anne, la moglie
Il
contrappasso qui sta nel fatto che la donna corteggiata con le promesse
ingannevoli che abbiamo visto, poi tenuta nell’ansia e nella paura nel letto
matrimoniale dove non ha dormito un’ora tranquilla con il consorte, adesso
nell’ora cruciale riempie il sonno del marito con l’angoscia: now fills thy sleep with perturbation
(162)
Riccardo, al pari di
Macbeth (II, 2), ha ucciso il sonno con i suoi delitti.
Durante la battaglia
Anne tornerà in mente al marito assassino e gliela farà pagare
A Richmond invece
Anne augura il successo.
Infine entra lo
spettro di Buckingham il complice poi caduto in disgrazia, passato dalla parte
dei ribelli, catturato e decapitato.
Gli augura di morire
in terror of thy guiltiness (171) nel
terrore della tua colpevolezza.
Il terrore delle
nostre colpe non interviene prima della percezione della nostra debolezza.
"Il successo e la fortuna sono in noi. Noi dobbiamo tenerli:
saldi, profondamente. Appena qua dentro qualche cosa comincia a cedere, a
stancarsi, a perder forza, tutti intorno a noi si sentono liberi, si ribellano,
recalcitrano, si sottraggono al nostro influsso. Allora un guaio viene dopo
l'altro, batoste su batoste, e si è liquidati"[64].
Alessandro Magno che
aveva fatto uccidere Filota e il padre di lui, il vecchio generale Parmenione
luogotenente di Filippo II e probabilmente anche il proprio padre lo stesso
Filippo, non si curava dei presagi finché sentiva la sua buona salute e il
proprio demone favorevole.
Ma quando l'indovino Pitagora gli disse che aveva trovato nelle vittime
sacrificali un fegato senza lobi h|par a[lobon (Plutarco, Vita, 73, 5), Alessandro
disse: " papai;
ijscuro;n to; shmei'on",
ahi, un segno forte!
Plutarco nota che Alessandro era
diventato taracwvde~
kai; perivfobo~
(75), incerto e pauroso da quando si era affidato ai segni divini. Lo storico
commenta dicendo che se l’incredulità (ajpistiva) e il disprezzo (perifrovnhsi~) nei
confronti del divino è terribile (deinovn), terribile d’altra parte è anche la
superstizione (deinh;
d j au\qi~ hJ deisidaimoniva) che come la pioggia cade sempre sul
terreno depresso (divkhn u{dato~ ajei; pro;~ to; tapeinouvmenon, Vita, 75, 2)
Poco prima di morire (inizio
dell'estate del
Dunque anche Riccardo pre - sente la propria morte e questi spettri
sono voci della sua stessa anima.
A questo punto si sveglia di sobbalzo
Riccardo
il criminale timorato. Forse ha sbagliato destino. XXXIII
Aggiunta
del primo luglio 2021. La ripetizione ossessiva degli spettri che gli hanno
gridato “despaire and die” ha funzionato
come ora funziona il ripetersi ossessivo degli annunci pubblicitari.
Tale iterazione martellante ha portato
Riccardo a disperare appunto.
Negli Acarnesi di Aristofane (
"guardo
verso la campagna, sono desideroso di pace,
e
odio la città mentre desidero il mio villaggio,
che
mai disse: compra il carbone"
né l'aceto, né l'olio, e nemmeno conosceva
quel "compra" privw"[65],
ma lui
produceva tutto e il comprare che stanga non c'era"(32 - 36).
Diceopoli
dunque non ci è cascato, Riccardo sì.
A
proposito: il mio corso autunnale nella Primo Levi verterà sulla Commedia
greca: l’antica di Aristofane e la nuova di Menandro. Ne garantisco la qualità.
Riccardo si sveglia sconvolto.
Chiede
un altro cavallo (V, 3, 178) prefigurando il grido finale (V,5, 7)
Grida
anche: “Bind up my wounds!”,
fasciatemi le ferite! (V, 3, 178).
Per
ora sono quelle dell’anima la cui corazza si sta sgretolando, come sta cadendo
la maschera di regale superiorità e invincibilità che Riccardo si era costruita
aiutato dai successi.
Ma
ormai questi sono finiti.
Lucrezio ci insegna
che gli uomini si scoprono adversis in rebus,
nell’avversa fortuna: allora finalmente erompono dal profondo del petto le vere
voci, la maschera cade e rimane l’essenza
Nam verae voces tum
demum pectore ab imo -
eliciuntur et eripitur persona, manet res (De
rerum natura, III, 58 - 59).
Riccardo cerca di
reagire dicendo “I did but a dream”
179, ho solo fatto un sogno. Quindi se la prende con la coscienza che aveva
sepolto mummificata e si sta risvegliando: “ O coward conscience, how dost thou afflict me!”, (180) o coscienza
vigliacca, come mi tormenti!
Più avanti dirà ai gentlemen del suo seguito che la
coscienza è solo una parola che usano i vigliacchi, inventata per tenere in
ansia i forti (V, 3, 310 - 311)
Ma intanto, finchè è
solo, dice: “ cold fearful drops stand on
my trembling flesh” (182), gocce fredde di spavento coprono la mia carne
tremante.
Il fatto è che una
parte del nostro animus non è
controllabile dalla volontà e dalla ragione. Un conto sono le teorie, le idee
che facciamo nostre dopo che ce le hanno inculcate, un altro l’emotività, ed è
vero che spesso i nostri ragionamenti servono solo a travestire e mostificare i
sentimenti. Si pensi allo qumov"
preponderante diella Medea di
Euripide (1079) e
si ricordi quanto dice Fedra dnell'Ippolito di Euripide :"bisogna
considerare questo:/il bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo
nella fatica (oujk
ejkponou'men),
alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche
altro piacere./ E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni,
l'ozio, diletto cattivo, (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza"(vv.379 - 385).
Anche Riccardo, come
Macbeth è arrivato alla resa dei conti e comincia a essere stanco del sole,
della vita, di se stesso.
Eppure cerca di
reagire con quel darsi animo che T. S. Eliot considera come derivato a
Shakespeare da Seneca la cui Medea ripudiata da Giasone dice "Medea
superest " (Seneca, Medea,
vv. 166 ), Medea c’è ancora. Conseguentemente nell’ Antonio e Cleopatra, Antonio fa:” I
am Antony yet " ( III, 13, 92.) e nel Giulio Cesare il duce romano dice che personalmente non teme Cassio
anche se Cassio è temibile for
always I am Caesar ( I, 2, 211) dato che sono sempre Cesare
Ebbene, Riccardo dice; “Richard loves Richard, that is. I and I (V, 3, 184), Riccardo ama Riccardo,
cioè, Io sono io.
E’ un Io comunque in
contaddizione con se stesso: Riccardo dice di amarsi, poi di odiarsi: I love myself (188) poi O no, alas, I rather hate myself/for hateful
deeds committed by myself (190 - 191), o no, piuttosto odio me stesso per
gli odiosi misfatti che ho commesso.
Quindi “I am a villain, yet I lie, I am not” (191),
sono uno scellerato, oppure mento, non lo sono. E’ un’identità caduta in crisi,
sottoposta a giudizi duri quanto quelli dei suoi avversari.
Segue una
unificazione negativa delle mille lingue diverse della coscienza: ciascuna
racconta ua storia diversa and every tale
condemns me for a villain (196) e ogni storia mi condanna come scellerato.
Tutti i suoi peccati
si accalcano alla sbarra Throng to the
bar , crying all, ‘Guilty. Guilty!’, e tutti gridano: ccolpevole,
colpevole!”
Questa espressione è
utilizzabile contro lo stiparsi che diffonde i contagi e l’infezione pure
mentale del branco.
La conclusione
davvero disperata di questo perdente che ora fa pena è che nessuno ha pietà di
lui, nemmeno lui di se stesso.
“and if I
die, no soul will pity me - and wherefore should they, since that I myself
–find in myself no pity to myself? (202
- 204)
Questo succede
quando diamo maggior credito al luogo comune sentito dire e ripetere –despaire and die nella fattispecie - che
a tuttto il resto.
La ripetizione
ossessiva è il metodo della pubblicità.
Seneca:"nulla res nos maioribus malis implicat quam
quod ad rumorem componimur " (Seneca, De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori
del fatto di regolarci secondo il "si dice".
Quindi: “si ad naturam vives, numquam eris pauper; si
ad opiniones, numquam eris dives” (ep.
16, 7), se vivrai secondo la natura, non sarai mai povero, se secondo i luoghi
comuni, non sarai mai ricco.
La natura di
Riccardo era quella dell’uomo malvagio, ma non era abbastanza salda da non
lasciarsi impressionare dalle immagini oniriche che lo maledicevano. Ognuno dovrebbe
sapere con chiarezza qual è il suo carattere che si identifica con il destino
per non sbagliare destino e vivere quello di un altro.
Riccardo III. I
preparativi della battaglia. - XXXIV
L’ansia di Riccardo.
La fiducia di Richmond. Tutto come previsto.
Poche parole
aggiunte il primo di luglio 2021
Alla fine delle
guerre - e delle pandemie - i poveri sono più poveri di prima e gli speculatori
già ricchi, più ricchi di prima.
Entra Ratcliffe e
dice a Riccardo che the early village
cock , il mattiniero gallo del villaggi ha già salutato l’alba due volte e
i loro amici già indossano le armature.
Nel Satyricon il cantare del gallo viene considerato un cattivo
presagio da Trimalchione.
Haec dicente eo gallus gallinaceus cantavit. qua voce confusus
Trimalchio vinum sub mensa iussit effundi lucernamque etiam mero spargi. immo
anulum traiecit in dexteram manum et:"non sine causa" inquit"
hic bucinus signum dedit; nam aut incendium oportet fiat, aut aliquis in
vicinia animam abiciat. longe a nobis! itaque quisquis hunc indicem attulerit,
corollarium accipiet". dicto citius de vicinia gallus allatus est, quem
Trimalchio iussit, ut aeno coctus fieret. laceratus igitur ab illo doctissimo
coco, qui paulo ante de porco aves piscesque fecerat, in caccặbum est
coniectus" (74, 1 - 4),
mentre quello parlava così un gallo cantò. Trimalchione turbato da questo verso
ordinò che si versasse del vino sotto la tavola e che anche la lucerna fosse
spruzzata di vino. Per giunta fece passare l'anello[66]
nella mano destra[67]
e disse:"non senza motivo questo trombettiere ha dato il segnale; infatti
ci deve essere un incendio o qualcuno nei dintorni deve lasciare la vita. Lungi
da noi! Perciò chiunque porterà questo iettatore, riceverà una mancia". In
men che non si dica fu portato un gallo dai paraggi e Trimalchione ordinò che
venisse cotto in una casseruola. Tagliato dunque a pezzi da quel cuoco
sapientissimo che poco prima aveva ricavato da un porco uccelli e pesci, fu
gettato in pentola.
Riccardo si apre e confida con Ratcliffe. Gli dice del sogno spaventoso
e gli domanda se rimarranno tutti fedeli i loro amici.
Torno a ricordare il già citato"non intrat umquam regium limen fides" (Seneca, Agamennone, v. 285), la lealtà non
entra mai nella soglia di una reggia.
Tuttavia Ratcliffe ridponde: “no
doubt, my lord ”(V, 3, 214)
Ma questa assicurazione non toglie la paura a Riccardo: “O Ratcliffe, I fear, I fear”. Il tiranno
è spesso soggetto e oggetto di paura. Metus
tyranni: il genitivo soggettivo e oggettivo.
Ratcliffe cerca di incoraggiarlo: “be
not afraid of shadows” , non abbiate paura delle ombre. Ma l’ombra che
spaventa Riccardo è quella della propria morte evocata dagli spettri che ha
visto di notte. Il re infatti dice che quelle visioni oniriche lo hanno spaventato
più di dieci mila soldati nemici armati di tutto punto. Poi aggiunge che vuole
fare un giro a origliare vicino alle tende per vedere se qualcuno si prepara a
fuggire.
Riccardo nella paura assume un atteggimento che è tipico dello schiavo:
nelle Rane di Aristofane Xantia, il
servo di Dioniso, e un servo di Plutone identificano il doulikovn (v. 743) gli atti degni di uno schiavo che
li rendono felici; essi sono: mandare gli accidenti ai padroni, brontolare,
essere ficcanaso, origliare quanto dicono i padroni (parakouvwn despotw'n
a{tt j a}n lalw'si, v. 750) e
andarlo a raccontare fuori.
Nei drammi di Plauto ci sono diversi
personaggi volgari che origliano: il Miles gloriosus , Pirgopolinice, bisbiglia: “Tace; subauscultemus
ecquid de me fiat mentio" (v. 993), taci, ascoltiamo di nascosto se viene fatta menzione
di me.
Riccardo e Ratcliffe
escono.
Entrano i nobili
nella scena e nella tenda di Richmond.
Gli chiedono come
abbia dormito, e lui, che sta dalla parte giusta, risponde in modo prevedibile:
“ho avuto il sonno più dolce e sogni di buon augurio”. Aggiunge un’altra
battuta non inopinata: gli è parso che le anime dei corpi assassinati da
Riccardo cantassero vittoria.
Riccardo ha minor
forza militare ma le sue parole hanno maggior significato drammatico.
Segue l’orazione di
Richmond ai soldati
C’è dentro il solito
Dio è con noi. Non solo Dio ma le preghiere dei santi e delle anime offese.
A questa
affermazione che Dio sostiene sempre la parte giusta, quindi da lui preferita,
contrappongo quanto dice Giove nel dramma Cimbelino
(1609) di Shakespeare; “Whom best I love,I cross: make my gift - the
more delay’ d, delighted” (V, 4, 101 - 102), io crocifiggo chi amo di più per
rendere più gradito il mio dono più atteso. Si pensi anche al Giobbe biblico.
Cito anche alcune parole del De
Providentia di Seneca
Omnia adversa exercitationes puta (2, 2)
Marcet sine adversario virtus (2, 4)
Ecce par deo dignum: vir fortis cum mala
fortuna compositus, utĭque si et provocavit (2, 8).
Richmond procede con
la denigrazione e demonizzazione del nemico “a bloody tyrant and a homicide” (247)
Di più: un’ignobile,
immonda pietra resa preziosa solo dall’essere appoggiata sul trono
d’Inghilterra, insomma one that hath ever
been God’s enemy - (253) uno che è sempre stato nemico di Dio.
Dunque di nuovo: è
giusto che Dio vi protegga come suoi soldati.
Soldati che saranno
benedetti anche dalle mogli e dai figli.
Perciò combattete
nel nome di Dio!
L’abbiamo sentito
dire tante volte anche dai peggiori delinquenti
Pure Enea , quandoabbandona
Didone nel modo più vile lo fa in nome di Dio
La figlia di
Cimbelino Imogene, falsamente creduta infedele dice che molti uomini onesti
vennero ritenuti falsi quando vennero interpretati tali quale era il falso Enea
( being heard like false Aeneas, Cimbelino, III, 4, 58 - 59)
Richmond infine
promette che dopo la vittoria “l’ultimo di voi(the least of you, 269)) avrà parte degli acquisti dell’impresa”.
Sono piuttosto
incline a credere nelle parole di Brecht
La
guerra che verrà
Non
è la prima. Prima ci sono state altre guerre.
Alla
fine dell’ultima
C’erano
vincitori e vinti.
Fra
i vinti la povera gente
Faceva
la fame. Fra i vincitori
Faceva
la fame la povera gente egualmente (Poesie
di Svendorg, del 1939).
Poi trombe e
tamburi, Dio, San Giorgio e Richmond.
Sound, drums and
trumpets boldly and cheerfully!
God and Saint George!
Richmond and Victory! (V,
3, 270 - 271
Suonate arditi e
lieti tamburi e trombe. Dio e San Giorgio, Richmond e vittoria!
Riccardo
III cerca di darsi animo, poi segue il destino. XXXV.
Poche
parole aggiunte il primo luglio 2021.
I
legislatori antichi ricorrevano a Dio quale redattore o per lo meno ispiratore
delle loro leggi.
Riccardo
parla con Ratcliffe e nota che il sole disdains
to shine (V, 3, 279) non si degna di splendere e per qualcuno sarà una
giornata nera - a black day will it be to
somebody - (281)
Poi si fa coraggio dicendo che se non splende il
sole non è un brutto segno riservato a se stesso: lo stesso cielo accigliato
con me guarda con occhio triste anche lui , Richmond: “ the self - same heaven –that frowns on me looks sadly upon him (287
- 288).
Riccardo non è ancora rassegnato alla sconfitta e prova a interpretare
i segni in maniera non male augurante.
Alessandro
giovanissimo si fece profeta di se stesso, dando, non prendendo gli auspici sul
suo destino.
Nella biografia di Plutarco "Volendo poi consultare il dio sulla
spedizione andò a Delfi e poiché per caso erano giorni nefasti, nei quali non è
in uso dare oracoli, dapprima mandava a chiamare la sacerdotessa". -
Poiché quella si rifiutava e
metteva avanti la norma, egli stesso, salito, la trascinava a forza nel tempio,
ed ella come vinta dalla risolutezza disse:"sei invincibile, figliolo” (Vita
13, 6) .
Così
pure Cesare "Ne religione quidem
ulla a quoquam incepto absterritus umquam vel retardatus est. Cum immolanti
aufugisset hostia, profectionem adversus Scipionem et Iubam non distulit.
Prolapsus etiam in egressu navis, verso ad melius omine, Teneo te, inquit, Africa
"(Svetonio, Caesaris Vita ,
59), non si lasciò distogliere da qualsiasi impresa neppure da alcuno scrupolo
religioso. Sebbene gli fosse sfuggita una vittima mentre sacrificava, non
rimandò la spedizione contri Scipione e Giuba. Scivolato per giunta nell'uscira
dalla nave, girato al positivo il presagio, disse:"Ti tengo,
Africa!".
Riccardo
dispone le truppe assecondato da Norfolk.
Quindi
si fa altro coraggio
Dice che la coscienza è una parola usata dai codardi e inventata in
origine per fare paura ai forti: “Conscience
is but a word - lat. verbum - that cowards - lat. cauda probabily named from
the bob - tailed hare, lepre dalla coda tagliata - use, devis’d a first to keep the strong—straggovς - tightly
twisted, strettamente
intrecciato (complesso) - in awe - timore
e soggezione – [acoς pena - (V, 3, 310 - 311).
La coscienza dunque
come strumento di potere, al pari della religio.
La religione contribuisce spesso
a formare la coscienza.
E' la ragione già
svelata da Crizia, sofista e tiranno sanguinario, (460 - 403 a. C.) nel
dramma satiresco Sisifo che contiene
la teoria razionalistica dell'utilità politica della religione la quale è
un'invenzione geniale e valida a frenare i male intenzionati con la paura dei
castighi poiché le leggi non bastavano a inceppare i malvagi quando agivano di
nascosto:"mi sembra che prima un uomo accorto e saggio di mente, inventò
per i mortali il terrore (devo") degli dei, affinché per i malvagi ci
fosse uno spauracchio ("ti dei'ma") anche se fanno o parlano o pensano
qualche cosa furtivamente ("lavqra/")[68].
Il re Numa decise di infondere il timore
degli dèi (“deorum metum iniciendum ratus
est ” (Livio, I, 19, 4), cosa efficacissima per la massa ignorante e rozza
di quei tempi.
Lo
storico greco Polibio che visse a Roma nel circolo degli Scipioni (II sec. a.
C.) fa queste osservazioni (VI, 56):" a me sembra che la superstizione (deisidaimoniva), biasimata presso altri popoli, tenga insieme lo Stato romano. Essa
venne istituita pensando alla natura del volgo. In una nazione formata da soli sapienti, sarebbe inutile ricorrere a
tali mezzi, ma la moltitudine soggiace a sfrenata avidità, a ira violenta e
bisogna trattarla con tali apparati e misteriosi timori. Il terrore degli dèi
viene esagerato e drammatizzato nella vita pubblica e privata".
L'XI
capitolo del I libro dei Discorsi sopra
la prima deca di Tito Livio (1517) di Machiavelli verte sulla religione dei
Romani: tra questi il re Numa "trovando un popolo ferocissimo, e volendolo
ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione
come cosa del tutto necessaria a volere mantenere una civiltà e la constituì in
modo che per più secoli non fu mai tanto timore di Dio quanto in quella
republica il che facilitò qualunque impresa che il Senato o quelli grandi
uomini romani disegnassero fare...E vedesi, chi considera bene le istorie
romane, quanto serviva la religione a comandare gli eserciti, ad animire
In
effetti uno dei grandi errori dei capi dell’Unione Sovietica è stato il
tentativo di sopprimere la religione in un popolo tradizionalmente pio.
Riccardo continua
a darsi animo dicendo: our strong arms be
our coscience, swords our law - (312). Le nostre forti armi siano la
nostra coscienza, le spade la nostra legge.
Ognuno
si riempie la coscienza, e pure buona parte dell’inconscio, anche con le
esperienze della propria vita. Letture comprese. Questo corso che sto definendo
e inizierò il
Riccardo
aggiunge un’affermazione di amor fati e segue il destino: “avanziamo,
coraggiosamente uniti “if not to Heaven,
then hand in hand to hell!” (314), se non verso il cielo, allora mano nella
mano, verso l’inferno.
Riccardo,
Mitridate, Calgaco e Budicca infamano il nemico. XXXVI
Poche parole aggiunte il primo luglio 2021
La civilizzazione esportata dai Romani consisteva in portici, bagni e
conviti eleganti. La chiamavano humanitas ma era piuttosto pars
servitutis
L’orazione
di Riccardo all’esercito.
I
nemici vengono denigrati come una masnada di vagabondi (vagabonds) mascalzoni (rascals)
e fuggiaschi (runaways) . Sono
contadini parassiti, una schiuma di Bretoni vomitati dal loro paese. Vengono
qui a portare scompiglio guidati da un figuro spregevole mantenuto a lungo in
Bretagna da nostro fratello. Sono straccioni –rags - di Francia, affamati accattoni stanchi di vivere - famish’d beggars, weary of their lives (V,
3, 330). Miseri ratti –poor rats - che
se non fosse per questa impresa si sarebbero impiccati. Non potranno violentare
le nostre spose e le figliole nostre. Quindi l’esortazione a combattere con
tutta la forza.
Vediamo
un’altra orazione di incoraggiamento alle truppe che devono combattere.
Quando fu sul
Monginevro (ottobre
La condanna più celebre del nemico, l’ imperialista romano è il
discorso di Calgaco, il capo dei Caledoni ribelli, ricostruito nell'Agricola[69] di Tacito:"
Raptores orbis, postquam cuncta vastantibus defuere terrae, mare scrutantur: si
locuples hostis est, avari, si pauper, ambitiosi, quos non Oriens, non Occidens
satiaverit: soli omnium opes atque inopiam pari adfectu concupiscunt. Auferre trucidare rapere falsis nominibus
imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant " (30),
ladroni del mondo, dopo che alle loro devastazioni totali vennero meno le
terre, frugano il mare: se il nemico è ricco, avidi, se povero, tracotanti, essi
che né l'Oriente né l'Occidente potrebbe saziare: soli tra tutti bramano i
mezzi e la loro mancanza con pari passione. Rubare, massacrare, rapire con nome
falso chiamano impero e dove fanno il deserto lo chiamano pace.
Calgaco venne
sconfitto nell’84 d. C. da Agricola nella battaglia presso il monte Graupio.
Non dice meno sull’avidità dei colonizzatori romani Mitridate che
scrive al re dei Parti Arsace una lettera per metterlo in guardia :"Namque Romanis cum nationibus populis
regibus cunctis una et ea vetus causa bellandi est, cupido profunda imperi et
divitiarum "( Sallustio, Historiae[70], Epistula
Mithridatis,
2), infatti i Romani hanno un solo e oramai vecchio e famoso motivo di fare
guerra a nazioni, popoli, re tutti: una brama senza fondo di dominio e di
ricchezze. Quindi aggiunge:" an ignoras Romanos, postquam ad Occidentem
pergentibus, finem Oceanus fecit, arma huc convortisse? neque quicquam a
principio nisi raptum habere, domum coniuges, agros imperium?" ( 4), come,
non sai che i Romani dopo che l'Oceano ha posto termine alla loro marcia verso
Occidente, hanno rivolto le armi da questa parte? E che fin dal principio non
hanno nulla, patria, mogli, terra, potenza, se non frutto di rapina?
Mitridate
fece ammazzare 80 mila commercianti italici in Asia.
Venne
sconfitto definitivamente da Pompeo nel
Budicca
l’eroina dei Britanni
Una svalutazione e
sottovalutazione dei Romani come gente rammollita è quella fatta da Budicca la
regina degli Iceni, una popolazione della Britannia che, guidata da questa
ribelle, nel 61 d. C. mise a sacco Londinium
e Verulanium e uccise 80 mila persone
tra Romani e alleati. Aveva un’intelligenza superiore a quella solita delle
donne, racconta Cassio Dione: mei'zon h] kata; gunai'ka frovnhma e[cousa” (62, 2, 2).
Anche l’aspetto non
era usuale: era to;
sw'ma megivsth, (62, 2, 3)
grandissima di corpo, di aspetto terribile, di sguardo penetrante, e di voce
aspra, aveva una chioma biondissima e foltissima che le scendeva fino alle
natiche (mevcri
tw'n gloutw'n, 62, 2, 4) e al collo portava una grossa collana d’oro. Si pensi all’ultima
Elisabetta I cinematografica.
Mentre esortava i suoi brandiva una lancia (tovte de; kai; lovgchn labou'sa) con la
quale incuteva soggezione a tutti.
Giulio Cesare nel 55 era stato respinto, giustamente, dice Budicca, poi
i Romani erano stati fatti sbarcare. Ora veniamo calpestati e disprezzati da
uomini che non sanno fare altro che depredare. I Romani appesantiti dalle
armature non possono inseguire né fuggire: “ejkei'noi de; ou[te diw'xai uJpo; tou' bavrou~ ou[te fugei'n duvnantai
(62, 5), e non sopportano come noi la fame né la sete né il freddo né il caldo ou[te limo;n ou[te divyo~, ouj yu'co~ ouj
kau'ma uJpofevrousin w{sper hJmei'~, e muoiono, se non hanno
coperte, vino e olio (kai; oi[nou
kai; ejlaivou devontai); per noi invece pa'sa me;n
pova kai; rivza si'tov~ ejsti, ogni erba e radice ci fa da
pane (62, 5).
Ecco perché non era grassa.
Ogni succo è il nostro olio, ogni acqua è vino, ogni albero è dimora pa'n de; u{dwr oi\no~, pa'n de; devndron
oijkiva. C’è uno stile di vita della semplicità e dell’anticonsumismo.
Conosciamo il territorio e attraversiamo a nuoto i fiumi anche nudi. Quelli
sono lepri e volpi (lagwoi; kai;
ajlwvpeke~) che cercano di dominare dei cani e dei lupi. Quindi lasciò scappare
una lepre dal suo vestito. Questa si mise a correre nel verso giusto per loro.
Poi Budicca ringraziò la divinità femminile Andraste, da donna a donna, lei era
una donna e una regina non come Nitocri o Semiramide, in quanto i loro sudditi
non erano guerrieri.
Budicca esortò i suoi Britanni sminuendo i Romani come effemminati e
comandati da femmine: Messalina e Agrippina che dà ordini a Nerone il quale o[noma me;n ajndro;~ e[cei, e[rgw/ de; gunhv
ejsti: shmei'on de;, a[/dei kai; kiqarivzei kai; kallwpivzetai (62, 6,
3), ha nome da uomo, ma di fatto è una donna: i segni sono il fatto che canta e
suona la cetra e si imbelletta.
Budicca invece regnava su uomini veri che non sanno coltivare la terra
né produrre manufatti, ma conoscono l’arte della guerra e che considerano tutto
bene comune, anche i bambini le donne le quali proprio per questo hanno lo
stesso valore dei maschi: “ th;n
aujth;n toi'~ a[rresin ajrethvn”[71].
Budicca conclude
l’esortazione chiedendo che questa Domizia Nerona (Nerwni;~ hJ Domitiva, 62, 6, 5) non regni più su di me né su di
voi, ma tiranneggi, cantando, i Romani : “kai; ga;r a[xioi toiauvth/ gunaikiv douleuvein”, i quali infatti meritano di servire una
tale donna.
Budicca compì una
strage incredibile. Ai catturati in Londinium
furono riservate torture orrende. Appesero nude le donne nobili, tagliarono
loro i seni (tou;~
te mastou;~ aujtw'n perievtemon)
e li cucirono sulle loro bocche (kai; toi'~ stovmasiv sfwn prosevrrapton), in modo che si vedessero mentre li mangiavano
(62, 7, 2).
Il propretore
Svetonio Paolino intanto aveva assoggettato Mona e navigò verso Londinium. Ma non affrontò subito la
battaglia. Poi però fece un discorso incitando i soldati contro quella gente
maledetta oiJ
katavratoi ou|toi, 62, 11).
Loro, i Romani, potevano contare sull’alleanza
con gli dèi i quali appoggiano di solito le vittime dell’ingiustizia. Abbiamo
esteso il nostro dominio sull’umanità intera. Vinceremo per la nostra dignità,
poiché combattiamo contro i nostri schiavi. I Romani vinsero, racconta Cassio
Dione e Budicca si ammalò e morì.
I Romani esportavano aspetti di una civiltà che era strumento di
servitù
Tacito racconta che i Britanni cadevano nelle lusinghe dei vizi offerti
da Agricola che sconfisse Calgago
presso il monte Graupio nell’84:”frequens
toga; paulatimque discessum ad delenimenta vitiorum porticus et balinea
et conviviorum elegantiam. Idque apud imperitos humanitas vocabatur, cum pars
servitutis esset (Agricola, XXI) , indossavano spesso la toga e a
poco a poco si allontanavano dalla loro cultura per l’attrazione dei vizi: i
portici, i bagni, l’eleganza dei conviti.
Quello che gli inesperti chiamavano civiltà era invece parte delle loro
schiavitù.
Torniamo
a Shakespeare. Entra un messo che riferisce a Riccardo il rifiuto di Stanley: “he doth deny to come”
Riccardo
ordina che il figlio venga decapitato “Off
with his son George’s head”
Ma
Norfolk fa prendere tempo al boia e al condannato: “George stanley muoia dopo
la battaglia (347).
“Non
si sa mai” come andrà a finire avrà pensato: può essere utile vantare dei
meriti con il nemico se vincerà.
Riccardo
lancia altri gridi di guerrra: “ bel San Giorgio!”,
Ci
ispiri il furore di draghi infuocati!”, La vittoria è posata sui nostri elmi”
(352).
E’
un grido di sconfitta e di morte perché San Giorgio è raffigurato da diversi
artisti (Paolo Uccello, Raffaello) come l’uccisore del drago infuriato
Riccardo
III - Il potere come male. Il grido di morte lanciato da Riccardo XXXVIII.
Atto
V, scena 4
Entra
Catesby che chiede soccorso a Norfolk dicendo: “The king enacts more wonders than a man (V, 4, 2) il re esegue
prodigi più che umani. Riccardo è sempre stato estraneo al naturalmente umano.
Lo accosto a lady Macbeth quando è
prossima a morire e il dottore dice: “unnatural
deeds do breed unnatural troubles” (Macbeth,
V, 3) atti contro natura producono turbamenti innaturali.
Il suo cavallo è stato ucciso ed
egli si batte a piedi.
Il cavallo ha una funzione
importante nella guerra di quel tempo, e più di tutti ha bisogno di servirsene
un guerriero lamely claudicante quale si presenta Riccardo nella prima scena di questo
dramma (I, 1, 22).
Riccardo è cladicante, come Edipo, e non si avvale di valido piede"
j ouj
podi; crhsivmw/ - crh'tai "(Sofocle, Edipo re, v.878 - 879).
Atto V scena 5
Entra in scena Riccardo III e lancia il grido A horse!a
horse! My kingdom for a horse! (V, 5, 7). , un cavallo un cavallo! Il mio
regno per un cavallo. Il regno che gli è costato tanti delitti vale meno di un
cavallo. E’ un’altra smontatura del potere che non solo non è felicità ma
nemmeno potenza.
Nelle tragedie di Shakespeare tali
negazioni della felicità attribuita dalla gente comune, quella che non sa, ai
potenti è frequente quanto nelle tragedie di Seneca. Nell’Enrico VIII scritta in collaborazione con John Fletcher 1613), Anne
Bullen, Anna Bolena,dice:
“I swear , ‘tis better to be lowly born - and range with humble livers
in content, - than to be perked up in a glistering grief - and wear a golden
sorrow” (II, 3, 19 - 22), lo giuro, è meglio essere di umili natali, e
trovarsi contenti di vivere con gente umile, che essere elevato in uno
sfavillio di dolore, e indossare un dispiacere dorato.
Queste parole sono dette da Anna
per celare le sue reali intenzioni.
Ma poi si avvereranno. Nel gennaio
del 1533
In questo dramma viene decapitato
il duca di Buckingham figlio del duca di Buckingham fatto decapitare da
Riccardo III. Questo secondo Buckingham viene denunciato dal suo intendente
comprato dal cardinale Wolsey suo mortale nemico. Il duca poco prima di venire
ucciso mette in guardia chi lo ascolta dai presunti amici: “when they once perceive - the least rub in
your fortunes, fall away - like water from ye, never found again - but where
they mean to sink ye” (Enrico VIII,
II, 1, 128 - 131), appena percepiscono la minima difficoltà nelle vostre
fortune, scivolano via come acqua da voi, e non si fanno più trovare, a meno
che intendano colarvi a picco. Il potere di Enrico VIII è più accorto ma non
meno crudele di quello di Riccardo III.
Torniamo al Riccardo III.
Catesby gli consiglia la fuga ma
Riccardo assume la veste dell’eroe il cui motto è “non cederò” - ouj lhvxw detto da Achille in Iliade , XIX,
423.
Riccardo dunque dice di avere puntato tutto su una sola giocata e
accetterà il rischio del dado. Questo fa venire in mente l' alea jacta esto di Cesare (Svetonio, Vita, 32) e pure quanto dice Macbeth
dopo l'uccisione del suo re Duncan. "there
is nothing serious in mortality - all is but toys" (II, 3) non c'è
niente di serio nella vita mortale, tutto si riduce a giocattoli.
Senza contare che i dadi del destino sono sempre truccati
In un frammento di
Sofocle leggiamo: “ajei; ga;r eu\ pivptousin oiJ Dio;~ kuvboi”, i dadi di Zeus cadono sempre bene.
Per quanto riguarda
l’alea di Cesare, Lucano scrive: placet
alea fati (Pharsalia, VI, 8) gli
piace correre rischi, abituato com’era a vincere, ma è di Zeus, o del Fato, la
mano che lancia i dadi degli uomini, e il trucco non favorisce sempre la stessa
persona, per quanto avventurata.
Del resto: non
illuderti che il potere (kravto") sia potenza (duvnami"):“ mh; to; kravto"
au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein”, dice Tiresia a Penteo re di Tebe (Euripide, Baccanti, 310). Anche lui come Cesare, Pompeo e Riccardo e pure
Richard e Anna Bolena combatte e si agita solo per una tomba :
“Et ducibus tantum de funere pugna”(Lucano, Pharsalia,
VI, 811) pure i comandanti combattono solo per una tomba. Come noi tutti.
Quindi Riccardo
ripete il suo verso di morte A horse!a horse! My kingdom
for a horse! (13).
Sono le sue ultime parole.
All’ultima
scena è premessa la didascalia con la notizia che Riccardo si batte con
Richmond e viene ucciso.
Riccardo
III - Il (sospetto) lieto fine del dramma. XXXIX
Quindi
entra in scena il vincitore con Stanley, conte di Derby, che tiene la corona in
mano e altri nobili.
Richmond
annuncia: “the bloody dog is dead”
(V. 5, 2), il cane sanguinario è morto. Probabilmente anche l’uccisore di
Riccardo sarà insanguinato.
What
bloody man is that?, chi è quell’uomo insanguinato?, sono le
prime parole umane, dopo quelle delle tre streghe, nel Macbeth (I, 2, 1). Le pronuncia Duncan, il re vedendo un suo
ufficiale reduce dalla battaglia. E’ un segno: più avanti scorrerà il sangue di
Duncan ucciso da Macbeth, poi quello dello stesso Macbeth.
Stanley
porge a Richmond la corona regale che ha strappato dalla testa dell’usurpatore.
Quindi gli dà la buona notizia che il proprio figliolo è al sicuro e nomina
alcuni nobili caduti da una parte e dall’altra,
Richmond,
il buon re, dotato di pietas, che
succede al mostro spietato, ordina che tutti i nobili ricevano la sepoltura che
spetta alla loro nascita.
Anche
i riti funebri dunque sono classisti.
Inoltre
Richmond ordina che si proclami un indulto a chi si sottometterà. Cfr. il mh; mnhsikakei`n (Senofonte,
Elleniche, II, 4, 43), l’ astenersi
dalle rappresaglie, seguito
alla caduta dei Trenta tiranni, o anche a quello di Togliatti, caduto il
fascismo. Una volta caduta la testa del capo, i suoi seguaci non sono più
pericolosi: lo rinnegano sempre quasi tutti.
Segue
il discorso che sancisce e santifica il lieto fine
Richmod
manterrà il giuramento fatto di unire le due rose:
Il vincitore auspica una nuova età
dell’oro: come aveva solennemente giurato
“We will - latino velle - unite - latino unire - the white rose - greco rJovdon, latino
rosa - and the red - greco eJruqrov", latino ruber, uniremo la rosa bianca (York) e la rossa (Lancaster).
18 - 19
Il
cielo che per tanto tempo ( trenta anni: 1455 - 1485) ha guardato accigliato la
loro ostilità, ora può sorridere.
Il
cielo nelle tragedie è spesso coinvolto nelle vicende umane
Ricordo
il già citato :"Fecimus
coelum nocens" ( Seneca, Oedipus, v. 36).
York e Lancaster furono divisi dall’odio e dal clima della totale
ostilità : “the brother - greco fravthr - latino
frater - blindly shed - orig. to separate - greco scivzw latino scindo - the
brother’s blood; - the father - greco pathvr - latino pater - rashly slaughter’d
his own son - greco uiJovς - ;/the
son compelled - latino compello - spingo a forza - been butcher to the sire - is a variant of
Old Frech senre<L. senior” [72](24
- 26) il fratello ha ciecamente versato il sangue del fratello, il padre ha
sconsideratamente macellato il proprio figlio, il figlio è stato costretto a
farsi macellaio del padre.
All this divided - divĭdo - divīsit York and Lancaster/ - in
their dire - greco deinovς - latino
dirus - division” (28) tutto questo divise York e Lancaster nella loro
crudele rivalità.
Durante questa
guerra deprecata l’Inghilterra ha infierito contro se stessa e si è giunti a
quella completa peccaminosità che caratterizza l’età del ferro. Il fratello ha
ucciso il fratello, il padre il figlio, il figlio il padre.
Delitti che si sono
in gran parte concentrati in Riccardo.
Enrico VIII, il
figlio di Richmond, e le sue figlie,
Si ricordi il re
buono che rende prospera la terra già nell’Odissea
( XIX, 108 - 114) e il capo
cattivo che la intristisce e la rende desolata nelle Opere e i giorni (240 - 244) di Esiodo.
Anche Lucrezio
identifica l’età peggiore, quella della compiuta peccaminosità, con il tempo
delle guerre intestine, della lotta spietata di tutti contro tutti: quando gli
uomini, credendo di sfuggire al terrore della morte, gonfiano gli averi col
sangue civile, e ammassano avidi le ricchezze, accumulando strage su strage,
godono crudeli dei tristi lutti fraterni "et consanguineum mensas odere timentque " (De rerum natura , III, 73) e odiano e
temono le mense dei consanguinei.
Adesso l’odio è
finito: “Richmond and Elisabeth the true
- succeeders - latino succēdo - of each royal - latino regālis - House, autentici successori di ciascuna casa reale,
by God’s fair ordinance conjoin - latino coniungo - together, si congiungano per
fausto decreto di Dio, and their heirs - latino
heres - ēdis,
God, if Thy will - latino velle - be so - e il loro eredi, Dio,
se tale è il tuo volere, enrich the time
to come, with smooth - fac’d peace, arricchiscano l’avvenire con la pace
dal volto disteso, with smiling - greco meidiavw - plenty
- latino plenitas, plenus - greco - pivmmplhmi - plh'qoς - and fair prosperous - latino prosperus
- days, con ridente abbondanza e radiosi giorni di prosperità (30 - 34)
Abate the edge - greco ajkivς - latino acies - of traitors
graicious lord, smussa la lama dei traditori, grazioso signore that would - reduce - latino redūco -
these bloody days again - and make poor England weep in streams of blood - che vorrebbero ricondurre quei giorni
sanguinosi, e fare piangere torrenti di sangue alla povera Inghilterra (35 - 37)
.
Il pericolo di una
regressione c’è sempre nella storia come nella vita individuale.
Now civil - wounds are stopp’d - , peace lives again - that she may
long live here. God say Amen (V, 5, 40 - 41) ora le ferite della guerra
civile sono chiuse, torna a vivere la pace. Che possa vivere a lungo qui, Dio
dica amen.
Sono le ultime parole del dramma. Poi la didascalia Exeunt
Breve appendice con lunghe note
Gli scrittori protetti celebrano sempre i vincitori
Richmond dopo la vittoria diviene re Enrico VII, padre di Enrico VIII e
nonno delle regina Maria
Con i tudor si
dovrebbe tornare dall’età del ferro a quella dell’oro come nella IV Bucolica di Virgilio e nel Carmen saeculare di Orazio con
Ottaviano.
Nell'Eneide la
decadenza delle età è collegata alla guerra e alla volontà di impossessarsi
delle ricchezze:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic
placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decŏlor[73]
aetas/et belli rabies et amor successit habendi " (VIII, 324 - 327
è Evandro che racconta), i secoli d'oro di cui si narra furono sotto quel re[74]:
così reggeva i popoli in placida pace, finché un poco alla volta succedette
un’età peggiore e scolorita e la furia di guerra, e l'amore del possesso.
Ma l'età dell'oro, secondo la profezia di
Anchise, ritornerà ovviamente con Augusto: “ Augustus Caesar, Divi genus,
aurea condet/saecula qui rursus Latio regnata per arva/ Saturno quondam"
(Eneide VI, vv. 792 - 794), Cesare
Augusto stirpe divina, che stabilirà di nuovo nel Lazio l'età dell'oro su cui
regnò nei campi arati un tempo Saturno.
Già nel primo libro dell’Eneide Giove profetizza il rinnovamento dei tempi dovuto all’impero
e senza fine e alla pace stabiliti da Augusto: “imperium sine fine dedi. Quin aspera Iuno (279)…. consilia in melius referet mecumque
fovebit/Romanos rerum dominos gentemque togatam (281 - 282)… “(291)Aspera tum positis mitescent saecula bellis,/cana Fides et Vesta, Remo
cum fratre Quirinus[75]/iura
dabunt; dirae ferro et compagibus artis/claudentur Belli portae; Furor impius
intus/saeva sedens super arma et centum vinctus aënis/post tergum nodis fremet
horridus ore cruento” (Eneide, I,
279 sgg.), ho assegnato un impero
senza fine. Anzi la dura Giunone volgerà in meglio i propositi e con me
favorirà i Romani signori del mondo e la gente vestita di toga[76]…allora,
deposte le guerre, diventeranno miti le età feroci, e
Sentiamo l’altro poeta
protetto da Augusto
Orazio
nel Carmen saeculare[77]
celebra il nuovo secolo di prosperità e virtù morali ritrovate:"Iam
Fides et Pax et Honor Pudorque/priscus et neglecta redire Virtus/audet,
apparetque beata pleno/Copia cornu"[78],
già
Aggiunta
semiseria
La morte si annuncia con il freddo agli arti
inferiori
La via più breve per scendere nell’Ade,
dice Eracle a Dioniso che vuole andare negli inferi a recuperare Euripide è il
suicidio: corda e sgabello per impiccati. Poi c’è to; kwvneion, la
cicuta.
Dioniso:
ma è gelata e intirizzisce gli stinchi (Rane,
125 - 126)
Cfr. il Fedone
118 quello che gli aveva dato il veleno, risalendo con la mano dal piede al
ventre, faceva vedere come Socrate si raffreddava e irrigidiva: “ejpedeivknuto o{ti
yuvcoitov te kai; phvgnuto”.
Cfr. Enrico V (1599) con la morte di Falstaff
raccontata dall’ostessa: “So a’bade me
lay more clothes on his feet - pouvς - pes: I put my hand - palma into the bed and felt
them, and they were as cold - congeal - gelidus - as any stone - stiva - pietruzza;
then I felt to his knees - govnu - genu - , and so upward, and upward, and all was as
cold as any stone” (II, 3, 20 - 25).
[1]
Tullio De Mauro, Storia linguistica
dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, Laterza, 2014, p. 39
[2]
Livio, XXXIV, 2, 11 - 14.
[3]
Vietava tra l'altro di indossare vesti multicolori o di girare per Roma su un
cocchio a doppio traino di cavalli.
[4]
Evidentemente la parità fa paura ai maschi.
Lo aveva già detto Marziale (40 ca - 104 d.C.) nella clausula di un suo epigramma:" Inferior matrona suo sit, Prisce,
marito:/non aliter fiunt femina virque pares " (VIII, 12, 3 - 4), la
moglie, Prisco, stia sotto il marito: non altrimenti l'uomo e la donna
diventano pari.
[5]Tito
Livio, Storie , XXXIV, 3, 2.
[6]
In La tragedia spagnola
( 1592) di Thomas Kyd il
nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo
è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza
di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1).
[7]
1601
[8] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a
proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi:
non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j
uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~
ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a
non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte
le circostanze.
[9] Cfr. C. Izzo, Storia
della letteratura inglese, Nuova Accademia Editrice, Milano, 1961.
[10] Il potere verrà demonizzato del tutto da Seneca,
" per questo uomo di potere…il potere è un nucleo irriducibile di male - insieme
fatto e subìto, avviluppato nelle rispondenze tra violenza oggettiva e angoscia
soggettiva" G. Paduano (a cura di), Edipo, p. 9.
[11] Mentre il Pericle di Tucidide aveva detto: “:"movnoi ga;r tovn te mhde;n
tw'nde metevconta oujk ajpravgmona, ajll j ajcrei'on nomivzomen" (Storie, II 40, 2), siamo i soli a
considerare non pacifico, ma inutile chi non partecipa alla vita politica
[12]
Il mito è sempre una "immagine concentrata del mondo" (Nietzsche, La
nascita della tragedia, p. 151).
[13]
L'anima sorteggiata per ventesima scelse la vita di un leone: ed era quella di
Aiace Telamonio che rifuggiva dal nascere uomo ricordandosi del giudizio delle
armi. L'anima dopo questa era quella di Agamennone: anche questa per avversione
al genere umano a causa dei dolori sofferti prese in cambio la vita di
un'aquila Repubblica, 620b
[14]
Fedra 1127.
[15]
Gianna Petrone, Il disagio della forma: la tragedia negata di Seneca,
"Dioniso" 1981., p. 360.
[16]
Gerusalemme liberata, VII, ottave 9 - 10.
[17]
Flaubert, Madame Bovary, parte
seconda capitolo XII (p. 156)
[18]
Mostro che si ciba di carne umana.
[19] Hegel, Werke in zwanzig Bänden, a curadi E. Moldenhauer e K. M.
Michel, Suhrkamp. Frankfurt a.. M. (1969 - 1979) vol. 12, p. 35.
[20]
A. Gramsci, Quaderni dal carcere,
edizione critica a cura di V. Gerratana, p. 1417.
[21]
D. Losurdo, Stalin, p. 310.
[22]
J. Joyce, Ulisse, Ade il funerale, p. 139.
[23]
Le sorelle Rondoli , in Racconti d'amore, p. 256.
[24]
S. Màrai, La donna giusta, p. 234.
[25]
Gorgia, Encomio di Elena, fr. B11 Diels - Kranz.
[26]
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi,
I, 8.
[27] Joseph Roth, La
marcia di Radetzky , pp.115 e 125).
[28]
Manoscritti
economico - filosofici del 1844, p. 154.
[29]
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov
(v, 4) .
[30]
Data probabile:
[31]Il
mestiere di vivere,
[32]
Del 98 d. C.
[33]K.
R. Popper, J. Condry, Cattiva maestra
televisione , p. 10.
[34] Diodoro Siculo racconta una cosa del genere a
proposito degli Indiani: essi hanno una bella usanza introdotto dai filosofi:
non ci sono schiavi e rispettano in tutti l’uguaglianza: “tou;~ ga;r maqovnta~ mhvq j
uJperevcein mhvq j uJpopivptein a[lloi~ kravtiston e{xein bivon pro;~ aJpavsa~
ta;~ peristavsei~” (Biblioteca storica, 2, 39, 5), poiché quelli che hanno imparato a
non prevalere e a non sottomettersi ad altri avranno una vita migliore in tutte
le circostanze.
[35]
Inferno , XIII, vv. 64 - 66.
[36]
Hannah Arendt, Sulla violenza, p. 41.
[37]
Scacciato per buone ragioni in Poesie di Svendborg del 1939.
[38]
Principe di Galles, figlio di Margherita e di Enrico VI il re assassinato nella
torre di Londra nel 1471. Il principe aveva sposato Anne che poi sposerà
Riccardo III.
[39]
Edoardo, Riccardo e Elisabetta di York sono i tre figli di Edoardo IV e della
regina Elisabetta.
[40]
I primi tre libri delle Odi uscirono nel
[41]
J. Webster, Il diavolo bianco (del 1612), I, 2.
[42]
Del 1612.
[43]
Del 1594 - 1595.
[44] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma
musicato da Verdi diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e
monde son" (Macbeth, I atto).
[45] G. Murray, Euripides and his age,
pp. 242 - 243.
[46] A, Traina, Di fronte ai
classici , p. 263.
[47] Senilità (del 1898), p. 155.
[49]Il mestiere di vivere , 9 settembre
1946.
[50]
Il mestiere di vivere ,18 novembre
1945.
[51]
eujtevleia è’ frugalità, parsimonia, è il basso prezzo facile da pagare (eu\, tevloς) per le cose necessarie, è la bellezza preferita dai
veri signori, quelli antichi, e incompresa dagli arricchiti che sfoggiano
volgarmente oggetti costosi.
Augusto
dava
un esempio di frugalità mangiando secundarium
panem et pisciculos minutos et caseum bubulum manu pressum et ficos virides
( Augusti Vita, 76), pane ordinario, pesciolini, cacio vaccino premuto a
mano, e fichi freschi.
Giorgio Bocca commentò tale abitudine
dell’autocrate con queste parole:“Oggi siamo a una tendenza da ultimi giorni di
Pompei. Un incanaglimento generale. Forse è il caso di rivolgersi, più che agli
uomini di buona volontà, a quelli di buon gusto, forse è il caso di tornare a
scrivere sulle buone maniere, sulla buona educazione, sui buoni costumi.
L’Augusto più ammirevole è quello che nel Palatino si ciba di fave e di
cicoria, da vero padrone del mondo” G. Bocca, Contro il lusso cafone, per motivi morali.
Ed estetici, Il venerdì di Repubblica, 27 giugno 2008, p. 11
Senza
risalire al 14 d. C., penso alla mia infanzia e alla mia adolescenza, quando,
per apprendere e capire, ascoltavo con avidità, alla radio, o anche andando a
vederli nella piazza del Popolo di Pesaro, i politici di razza di quel tempo
lontano, quali De Gasperi e Togliatti. Imparavo da loro più e meglio che a scuola.
In termini di idee, di parole e di stile. Mi è rimasta impressa la frase di De
Gasperi, rappresentante dell'Italia vinta: " Prendendo la parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne
la vostra personale cortesia, è contro di me".
[52]
Composte intorno al
[53]
Seneca cita questo verso traducendolo così: “ut ait ille tragicus ‘veritatis simplex oratio est’, ideoque illam
implicari non oportet” (Ep. 49,
12), come dice quel famoso poeta tragico “il linguaggio della verità è
semplice”, e perciò non deve essere complicata.
[54]
G. Ugolini, Lexis, p. 346.
[55]
E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , p. 295.
[56]
Orazio, Epistulae I, 1, 59 - 60.
[57]
L'uomo e il divino , p.65 n. 9.
[58]
Jan Kott, Shakespeare nostro
contemporaneo, Felrtinelli, 1976, p.70
[59]A.
Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione , p. 274.
[60]
Poema epico di quindici libri in esametri. Narra la storia del mondo
dall'origine all'età contemporanea attraverso racconti che hanno in comune il
tema della metamorfosi. Fu composto fra l'1 e l'8 d. C.
[61]
E' una massima panteistica (pavnta qew'n plhvrh) attribuita a Talete
(Aristotele, Sull'anima, 411a 8.
[62] Romeo e Giulietta (I, 2). Quando il sole si accieca
la scena assume "an atmosphere of Juliet's tomb"[62],
un'atmosfera da tomba di Giulietta (T.
S.Eliot, Portrait of a Lady, Ritratto di Signora, del 1917
[63]
Flaubert, Madame Bovary, parte
seconda capitolo XII (p. 156)
[64] T. Mann, I Buddenbrook, p. 276.
[65]
Imperativo dell'aoristo III di privamai,
"compro". pwlevw, vendo.
[66]
Il secondo dei due descritti a 32, 3.
[67]
Sono scongiuri.
[68]
Sono parole di un frammento (25 D. K.) del dramma satiresco, una quarantina di
versi tramandati da Sesto Empirico, filosofo scettico della seconda metà del II
secolo d. C. Viene attribuito a Crizia e pure a Euripide.
[69]
Del 98 d. C.
[70]
Le quali prendevano in esame il periodo 78 - 67 a. C. Furono composte fra il 40
e il 35. Ci sono giunti solo dei frammenti.
[71] Nota l’ allitterazione e la
paronomasia o adnominatio.
[72]
Walter Skeat Conciso dizionario
etimologico della lingua ìnglese, Oxford 1984 I edizione1882
[73] Nell’Oedipus
di Seneca
[74]
Saturno (cfr. redeunt Saturnia regna
di Bucolica IV, v. 6) che diede alla
terra dove si era rifugiato il nome di Latium, "his quoniam
latuisset tutus in oris " (Eneide,
8, v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste contrade.
[75] Il fratricidio è rimosso. Posteriore alla IV ecloga (
scritta nel
[76] La toga è la
divisa del romano in pace, è "quell'indumento così fortemente marcato, dal
punto di vista dell'identità e dell' "appartenenza" romana, da
costituire una vera e propria "uniforme de la citoyennetè" (. F.
Dupont, La vie quotidienne du citoyen romain sous la république,
Hachette, Paris, 1989, p. 290) .La
toga costruisce il corpo del cittadino alla maniera di una veste
rituale…". (M. Bettini, Le orecchie di Hermes, p. 345).
[77]
Del
[78]
Vv. 57 - 60. E' una strofe saffica formata da tre endecasillabi saffici e da un
adonio.
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