Il comico può nascere dalla superiorità in cui viene a trovarsi il pubblico rispetto all'attore[1]: deriva dunque dalla differenza di significato che le parole hanno nella bocca e nelle intenzione di chi le pronuncia rispetto all'intellezione di chi le ascolta, più avanzato, siccome a maggiore conoscenza dei fatti. Il riso allora scaturisce dalla soddisfazione dello spettatore il quale si sente superiore ai personaggi .
Ma, tornando alla Poetica di Aristotele e alle origini della commedia, questa nacque da "coloro che dirigevano i canti fallici"(1449a).
I Dori rivendicano l'invenzione della commedia etimologizzandola con il vocabolo dorico kwvmh (villaggio, i): il nome sarebbe derivato dal fatto che gli attori passavano kata; kwvma", di villaggio in villaggio.
L'altra etimologia possibile, pur se scartata dai Dori, è quella che collega commedia con il verbo kwmavzw (faccio baldoria) e con il sostantivo kw'mo" (processione bacchica).
Ne risulta la probabile origine campagnola di un genere dai contenuti licenziosi e mordaci che sembra anticipare i Fescennini romani: "versibus alternis opprobria rustica ", insulti rustici in versi alterni, come li definisce Orazio (Epistole II, 1,146). Quindi il genere autoctono della satira.
Certo è il collegamento del dramma, sia comico sia tragico, con i riti della fertilità e con il culto di Dioniso, un dio la cui rinascita costituiva al tempo stesso una speranza di resurrezione per i suoi seguaci e un simbolo della vicenda delle messi o della vegetazione in genere connessa all'eterno alternarsi delle stagioni.
Cfr. Ammiano Marcellino sulle feste ad Antiochia per la morte di Adone quod in adulto flore sectarum est indicium frugum "(XXII, 9, 15) cosa che è il simbolo delle messi tagliate quando sono mature
“Nell’universo contadino Cristo è stato assimilato a uno dei mille adoni o delle mille proserpine esistenti: i quali ignoravano il tempo reale, cioè la storia. Il tempo degli dèi agricoli simili a Cristo era un tempo “sacro” o “liturgico” di cui valeva la ciclicità, l’eterno ritorno”[2]
Quanto ai primi autori di commedie, Aristotele ci fa i nomi di Epicarmo e Formide, entrambi vissuti a Siracusa nella prima metà del V secolo; quindi commenta:"perciò la commedia è venuta dalla Sicilia"(1449b). Era comunque una Sicilia greca e dorica, e ci viene in mente a proposito la Satira III di Giovenale dove il corrucciato moralista esprime la sua indignatio nei confronti dell'odiata stirpe dei Graeculi affermando:"natio comoeda est ", è una razza di commedianti (v. 100).
Di Epicarmo (524-435) ci restano titoli e frammenti con parodie mitologiche, una delle quali, appartenente al Busiride rappresenta quell'Eracle dorico, rude, gagliardo, formidabile nel divorare e nel bere che si trova pure (vv. 759 e sgg.) nell'Alcesti di Euripide:
"Se lo avessi visto mangiare saresti morto!
Tuona la gola, strepita la mascella,
rumoreggia il molare, stride il canino,
fischiano le narici, sventolano le orecchie (Busiride, fr. 21 Kaibel).
Probabilmente la perdita dell'opera di Epicarmo siracusano è un fatto grave per la letteratura: Platone nel Teeteto (152e) definisce il commediografo siciliano il miglior autore comico, Omero il tragico migliore (tw'n poihtw'n a[kroi th'ς poihvsewς eJkatevraς kwmw/divaς me;n J Epivcarmoς, tragw/divaς de; {{Omhroς).
Per noi sarebbe stato interessante studiarne quell'elemento mimico che prosperava nell'Occidente. Un aspetto che venne ulteriormente sviluppato da Sòfrone, siracusano pure lui, vissuto nel V secolo e autore di mimi anch'essi tenuti in alta considerazione da Platone che per primo li introdusse in Atene e conformò al suo stile alcuni caratteri. Una copia dei mimi fu trovata sotto il suo cuscino, secondo la notizia di Diogene Laerzio (Vite dei filosofi , III, 18).
I mimi erano dialoghi che imitavano (mimevomai) realisticamente scene di vita quotidiana: dai frammenti e dai titoli si può fare l'ipotesi che Sofrone abbia lasciato un segno sui mimi di Teocrito. Le donne che dicono di tirare giù dea (luna) può essere stato un modello per le le Incantatrici di Teocrito e Le donne alla festa dell’Istmo per le Siracusane.
Ci siamo soffermati un momento sui poeti sicilioti per suggerire possibili connessioni con forme predrammatiche italiche e italiote, come i già citati Fescennini, o come le Atellane , rozzi spettacoli originari di Atella, in Campania, basati su canovacci, trame schematiche e rudimentali, con maschere fisse, oppure i fliàci, (ijlarotragw/divai) ilarotragedie, parodie di tragedie, di argomento mitologico e popolare diffusi nella Magna Grecia dove vennero portati a dignità da Rintone di Taranto (fine del III sec. a. C.).
A tutte queste forme vengono attribuiti quei sapori forti, quell'italum acetum che contraddistingue la commedia letteraria di Plauto rispetto ai modelli Greci della Commedia nuova.
Ma tra questi autori italioti e sicilioti il più importante rimane Epicarmo del quale Orazio scrisse che fu un modello per Plauto:"Plautus ad exemplar Siculi properare Epicharmi ", Plauto si affretta dietro il modello del siciliano Epicarmo (Ep. II, 1, 58).
Aristotele (1448a) nomina Chionide e Magnete come autori attici più antichi, anche se più recenti di Epicarmo (Poetica 1448a).
Scene comiche del resto si trovano già in Omero: nell VIII cantodell’Odissea troviamo l’adulterio di Afrodite con Ares, la punizione degli amanti e il conseguente inestinguibile riso a[sbestoς gevlwς (VIII, 326) degli dèi; nel secondo dell’Iliade lggiamo di Tersite folkovς, strabico cwlo;ς d’ e{teron povda , zoppo di un piede (II, 217) foxo;ς kefalhvn, dalla testa aguzza e mezzo pelata (v. 219).
Costui parlava infamando Agamennone e Odisseo lo riempì di insulti, lo minacciò, quindi lo colpì con lo scettro sul petto e sul dorso. Tersite si contorse e pianse. Gli altri benché afflitti scoppiarono a ridere- gevlassan- II, 270-
giovanni ghiselli 24 luglio
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