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Apollonio Rodio
Giasone, il capo degli Argonauti, diversamente da Odisseo è segnato dalla ajmhcaniva.
Nel primo libro Giasone prega Apollo ricordandogli che è lui il dio ejpaivtio~ ajevqlwn (I, 414), causa delle fatiche. La fiamma del sacrificio splende e l’indovino Idmone ne trae un augurio propizio. L’impresa avrà successo ma costerà infinite prove e fatiche infinite (ajpeirevsioi a[eqloi, I, 441). Idmone sa che dovrà morire ma parte lo stesso. Il banchetto degli altri è lieto, ma Giasone meditava tra sé, era cupo nel volto e non sapeva che fare: era ajmhvcano~ (I, 460).
Egli non ha la baldanza né gli entusiasmi dell'eroe, ma vive in un limbo di mediocrità e cautela, tormentato da indecisioni che quasi paralizzano l'azione.
Lo attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Il termine ajmhcaniva condensa la passività del protagonista. Questa è una parola chiave delle Argonautiche : molte scene sono dominate da atti mancati, come quella di Eracle sì e no avvistato da Linceo.
Cfr. il Giasone di Valerio Flacco[1]: “sed non sponte feror” (Argonautica, I, 200).
Nelle Argonautiche l'impresa è sentita fin dall'inizio come vuota di senso e fonte di angoscia : gli Argonauti desiderano tornare ancora prima di essere partiti.
Giasone dice a Issipile che su di lui incombono imprese penose ( lugroi; a[eqloi, I, 841) ed egli vuole solo la patria (I, 902).
Prima di recarsi dalle donne di Lemno, il seduttore si fa bello per la sua aristia erotica piuttosto che eroica: si mette addosso un mantello più splendido del sole nascente, rosso con bordi di porpora con sopra effigiati molti episodi. Segue l’e[kfrasi~ del mantello con i Ciclopi che fabbricano le folgori per Giove; quindi i figli di Antiope Anfione e Zeto che costruiscono le mura di Tebe: Zeto con la forza, Anfione con la musica trascinavano massi.
Con la destra il seduttore prese la lancia donata da Atalanta quando lo incontrò sul Menalo (I, 770)
La ragazza voleva seguirlo, ma Giasone non la volle temendo che scatenasse rivalità amorose tra gli Argonauti (I, 773)
L’uomo bellissimo mentre si avvicinava sembrava un astro fulgente che fa gioire la vergine innamorata di un uomo lontano. In città le donne lo guardano, ma lui tiene gli occhi bassi. Non ha ancora individuato il sumfevron , la preda utile.
Il suoi mezzi, le sue mhcanaiv, sono la parola retorica e la bellezza dell’aspetto, l’avvenenza e l’eleganza. Trova la complicità delle donne che lo aiutano prima a Lemno poi nella Colchide, però gli manca la complicità con il resto del reale.
Issipile, la principessa di Lemno, come lo vide arrossì e abbassò gli occhi, poi gli disse che dopo essere state neglette a lungo dai maschi, loro li avevano cacciati in Tracia. Non dice che li avevano massacrati.
Quindi lo invita a restare offrendogli anche il trono di suo padre Toante che ha fatto fuggire di nascosto.
Ma Giasone ringrazia e, come farà Enea con Didone, dice che il destino lo porta altrove, un fato angoscioso.
Giasone è spesso in preda a questo sentimento di inadeguatezza "ajmhcanevwn" (II, 885) anche con sconforto sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva. Nell’epica antica non c’era tanta sfiducia e riluttanza rispetto all’impresa da compiere.
Dopo avere sentito da Eeta a quali prove dovrà sottostare per avere il vello d’oro, Giasone fissava gli occhi per terra e restava muto ajmhcanevwn kakovthti (Argonautiche, III, 424) privo di mezzi davanti alla sua disgrazia
Quindi l’Esonide torna alla nave e racconta ai compagni quali sono le imposizioni del re dei Colchi. A tutti l’impresa sembrò impossibile ajnhvnutoς a[eqloς (, III, 502)-
Erano abbattuti dalla sventura e dall’impotenza-a[th/ ajmhcanivh/ te kathfeve" (504)-
Peleo allora disse che, se non se la sentiva Giasone, ci provava lui: la morte sarà il dolore più cane possibile qavnatoς to; kuvntaton e[ssetai a[lgoς (514). Non può capitare di peggio. Il padre di Achille conserva qualcosa dell’eroismo antico.
Argo, figlio di Calciope, interviene e menziona l’aiuto che può venire da sua madre e sua zia Medea la giovane che, istruita da Ecate nell’arte di tutti i filtri, sa fare portenti (III, 529).
L'impresa in effetti si compirà solo grazie a Medea.
giovanni ghiselli
Apollonio Rodio
Giasone, il capo degli Argonauti, diversamente da Odisseo è segnato dalla ajmhcaniva.
Nel primo libro Giasone prega Apollo ricordandogli che è lui il dio ejpaivtio~ ajevqlwn (I, 414), causa delle fatiche. La fiamma del sacrificio splende e l’indovino Idmone ne trae un augurio propizio. L’impresa avrà successo ma costerà infinite prove e fatiche infinite (ajpeirevsioi a[eqloi, I, 441). Idmone sa che dovrà morire ma parte lo stesso. Il banchetto degli altri è lieto, ma Giasone meditava tra sé, era cupo nel volto e non sapeva che fare: era ajmhvcano~ (I, 460).
Egli non ha la baldanza né gli entusiasmi dell'eroe, ma vive in un limbo di mediocrità e cautela, tormentato da indecisioni che quasi paralizzano l'azione.
Lo attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Il termine ajmhcaniva condensa la passività del protagonista. Questa è una parola chiave delle Argonautiche : molte scene sono dominate da atti mancati, come quella di Eracle sì e no avvistato da Linceo.
Cfr. il Giasone di Valerio Flacco[1]: “sed non sponte feror” (Argonautica, I, 200).
Nelle Argonautiche l'impresa è sentita fin dall'inizio come vuota di senso e fonte di angoscia : gli Argonauti desiderano tornare ancora prima di essere partiti.
Giasone dice a Issipile che su di lui incombono imprese penose ( lugroi; a[eqloi, I, 841) ed egli vuole solo la patria (I, 902).
Prima di recarsi dalle donne di Lemno, il seduttore si fa bello per la sua aristia erotica piuttosto che eroica: si mette addosso un mantello più splendido del sole nascente, rosso con bordi di porpora con sopra effigiati molti episodi. Segue l’e[kfrasi~ del mantello con i Ciclopi che fabbricano le folgori per Giove; quindi i figli di Antiope Anfione e Zeto che costruiscono le mura di Tebe: Zeto con la forza, Anfione con la musica trascinavano massi.
Con la destra il seduttore prese la lancia donata da Atalanta quando lo incontrò sul Menalo (I, 770)
La ragazza voleva seguirlo, ma Giasone non la volle temendo che scatenasse rivalità amorose tra gli Argonauti (I, 773)
L’uomo bellissimo mentre si avvicinava sembrava un astro fulgente che fa gioire la vergine innamorata di un uomo lontano. In città le donne lo guardano, ma lui tiene gli occhi bassi. Non ha ancora individuato il sumfevron , la preda utile.
Il suoi mezzi, le sue mhcanaiv, sono la parola retorica e la bellezza dell’aspetto, l’avvenenza e l’eleganza. Trova la complicità delle donne che lo aiutano prima a Lemno poi nella Colchide, però gli manca la complicità con il resto del reale.
Issipile, la principessa di Lemno, come lo vide arrossì e abbassò gli occhi, poi gli disse che dopo essere state neglette a lungo dai maschi, loro li avevano cacciati in Tracia. Non dice che li avevano massacrati.
Quindi lo invita a restare offrendogli anche il trono di suo padre Toante che ha fatto fuggire di nascosto.
Ma Giasone ringrazia e, come farà Enea con Didone, dice che il destino lo porta altrove, un fato angoscioso.
Giasone è spesso in preda a questo sentimento di inadeguatezza "ajmhcanevwn" (II, 885) anche con sconforto sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva. Nell’epica antica non c’era tanta sfiducia e riluttanza rispetto all’impresa da compiere.
Dopo avere sentito da Eeta a quali prove dovrà sottostare per avere il vello d’oro, Giasone fissava gli occhi per terra e restava muto ajmhcanevwn kakovthti (Argonautiche, III, 424) privo di mezzi davanti alla sua disgrazia
Quindi l’Esonide torna alla nave e racconta ai compagni quali sono le imposizioni del re dei Colchi. A tutti l’impresa sembrò impossibile ajnhvnutoς a[eqloς (, III, 502)-
Erano abbattuti dalla sventura e dall’impotenza-a[th/ ajmhcanivh/ te kathfeve" (504)-
Peleo allora disse che, se non se la sentiva Giasone, ci provava lui: la morte sarà il dolore più cane possibile qavnatoς to; kuvntaton e[ssetai a[lgoς (514). Non può capitare di peggio. Il padre di Achille conserva qualcosa dell’eroismo antico.
Argo, figlio di Calciope, interviene e menziona l’aiuto che può venire da sua madre e sua zia Medea la giovane che, istruita da Ecate nell’arte di tutti i filtri, sa fare portenti (III, 529).
L'impresa in effetti si compirà solo grazie a Medea.
giovanni ghiselli
[1] Morto nel 92 d. C. Il poema in sette libri interi e parte dell’ottavo arriva all’inizio del viaggio di ritorno.
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