Il Tebano in cambio dell’anguilla vorrebbe qualche cosa che da loro non si trova mentre abbonda ad Atene. La proposta pronta di Diceopoli è:"allora portati via un sicofante
dopo averlo imballato come un vaso"(903-904).
Il tebano lo equipara una scimmia piena tanta malvagità (908)
Arriva un sicofante, Nicarco, piccolo ma tutta malignità.
Dichiara subito che vuole denunziare la merce del tebano come robs nemica-faivnw polevmia tau`ta- (911)
Quindi accusa il tebano di introdurre un lucignolo per dare fuoco all’arsenale. E’ la storia delle armi di distruzione di massa attribuiti agli Stati canaglia che non possono nemmeno difendersi.
Basta infilarlo in una blatta poi dargli fuoco e ci penserebbe il vento di tramontana a portarlo fino alle navi che brucerebbero.
Diceopoli non sopporta tali assurdità e chiede aiuto al tebano per tappargli la bocca con dei trucioli, poi imballarlo come un vaso. Le menzogne e le assurdità spacciate per scatenare le guerre andrebbero dovrebbero essere ridotte al silenzio. Ne abbiamo sentite tante. Ridotto a un vaso da esportare potrà essere usato come kath;r kakw`n, una coppa di mali, tripth;r dikw`n, un tino di processi, (937), una lanterna responsabile di denunce, un calice pe mescolarvi gli affari- kuvlix ta; pravgmsat j ejgkuka`sqai (939). Gli affari e gli affaristi non sono mai estranei alla guerra.
Ricordo che Eschilo nell'Agamennone definisce il dio della guera sprezzantemente "il cambiavalute dei corpi" ( oJ crusamoibo;ς d j [Arhς swmavtwn. 437, cambia gli uomini in cadaveri e favorisce i profitti degli affaristi. Eppure quelli che si avviano la guerra dalla quali torneranno trasormati in cenere dentro le urne partono cantando contenti come se andassero a fare l’amore tanto sono suggestionati dalla propaganda. Pensate anche alle manifestazioni di piazza in favore delle due guerre mondiali.
Il tebano si porta via il sicofante imballato, capace di tutto ma nulla di buono
Capace di tutto dunque il sicofante: perciò il tebano se lo porta via.
La polemica contro i sicofanti è presente nell'opera di Aristofane quasi quanto quella contro Euripide, Socrate, Cleone e i demagoghi in genere. Segnalo un paio di esempi.
Negli Uccelli (414), l' alata e allegra utopia costruita per fuggire dalla dura realtà politica sociale e militare, viene fondata la nuova città dei cuculi tra le nuvole (Nefelokokkugiva), da Pistetero ed Evelpide, i due Ateniesi disgustati dei concittadini e guidati dai volatili.
Nella nuova polis arriva, con altri sgraditi ciarlatani, fanfaroni e assassini (tra cui uno spacciatore di oracoli e un parricida, altrettante caricature di esistenze moderne e deformi) anche un sicofante il quale reclama delle ali (1420): gli servono per denunziare, sostenere l'accusa e tornare indietro volando (1455). Naturalmente Pistetero lo caccia non senza averlo prima picchiato perché impari quanto "amara è l'arte di stravolgere la giustizia"(1468).
I sicofanti, come si vede, sono legati ai processi: non potevano dunque non essere almeno menzionati nelle Vespe (del 422) che poi sono gli Eliasti, i giudici del tribunale popolare chiamato Eliea. Costoro erano seimila e secondo Aristofane avevano la mania dei processi con i quali perseguitavano le persone invise a loro e a Cleone che li corteggiava: il demagogo aveva anche alzato l' indennità eliastica da due a tre oboli al giorno. In compenso questi giudici infliggevano pene e multe agli oppositori del regime; ma non avrebbero potuto agire tanto efficacemente (Guido Fassò ha visto una dittatura del proletariato ante litteram esercitata attraverso questo tribunale) se non ci fossero stati i delatori cui bastava muovere l'accusa generica di aspirante tiranno. E chiunque provasse qualsiasi antipatia per chiunque, poteva denunciarlo. In questa commedia che mette in berlina giudici e processi, Aristofane racconta che al mercato
"se uno compra scorfani e non vuole sardine,
subito quello che lì vicino vende sardine dice:
"quest'uomo evidentemente vuole fare provviste (di scorfani) per la tirannide!"(Vespe, 493-495).
Ma torniamo agli Acarnesi . Uscito il tebano che, da vero beota, si porta via il sicofante, entra un servo di Lamaco, lo stratego guerrafondaio il quale ha dato l'ordine di comprare tordi e anguille da Diceopoli.
Il nostro eroe però non si lascia intimidire dalla prosopopèa guerresca dell'uomo e tiene tutto per sé il frutto della pace separata (960 e sgg.). Il coro intanto si convince delle buone ragioni del protagonista e giura:
"io non accoglierò mai in casa Polemo"(977) che poi è la personificazione del conflitto, visto come "un uomo ubriaco"(981) il quale "ha operato tutti i mali e sconvolgeva, e rovinava"(983) e, pur invitato a fare la pace,
"bruciava ancora di più con il fuoco i pali delle viti
e rovesciava a forza il nostro vino fuori dalle vigne"(986-987).
La guerra dunque è odiata dai contadini poiché distrugge alberi, raccolti e impoverisce la vita di quanti lavorano la terra e vivono dei suoi prodotti. In pratica di tutti.
Virgilio nella prima Georgica (511) squalifica "Mars come impius ", empio Marte, e Orazio in Carmina, II,14, 13, come cruentus , insanguinato.
Maledetta la guerra da Diceopoli, dal coro e da noi, arriva la Pace, salutata come "compagna di Cipride la bella e delle Grazie"( Aristofane, Acarnesi, 989). Mostra il suo bel volto kalo;n to; provswpon ( 990) tenuto nascosto per troppo tempo.
Attualizzazione. Il rimedio dal bel volto. Aristofane, sofocle e i sindaci pistoleri.
Se i pistoleri come quello di Voghera guardassero in faccia un uomo prima di sparargli, forse esiterebbero a farlo, e magari non lo farebbero punto
Il volto bello è visto come antitesi e rimedio della guerra anche dal coro dell’Edipo re di Sofocle (inter poetas non surrexit maior)
"E la città muore senza tenere più conto di questi/e progenie prive di compianto giacciono/ a terra portatrici di morte senza compassione/e intanto le spose e anche le madri canute/di qua e di là, presso la sponda dell'altare/gemono supplici/per le pene luttuose/ e il peana lampeggia/ e la voce lamentosa del flauto concorde,/per cui, o aurea figlia di Zeus,/ manda un aiuto dal bel volto- eujw`pa pevmyon ajlkavn- (179-189).
Il Coro vede aleggiare intorno alla bella donna amore e lavoro, i beni negati dalla guerra. Intanto Diceopoli comincia a preparare un banchetto a base di lepri e tordi (Acarnesi, 1005-1006). Poi entra un povero contadino vestito a lutto (in bianco, v. 1024) poiché ha perduto i buoi. Vorrebbe che Diceopoli gli ungesse con una goccia di pace gli occhi rovinati dal pianto, ma il nostro eroe bada solo a dare ordini per il banchetto:
"tu sulla salsiccia (cordhv) versa del miele (mevli)
e friggi le seppie (shpivaς)...voi arrostite le anguille (ojpta`te tajgcevleia 1040-1043) con un compiacimento che fa pensare a carenze alimentari patite dai Greci, sia per la guerra, sia perché l'aridità del suolo li costringeva a lottare per trarne l'estremo, non abbondante, prodotto.
Tutti invidiano Diceopoli e vorrebbero la sua pace: uno sposo gli manda della carne del banchetto nuziale per avere in cambio una "coppa di pace: per non andare in guerra ma restare in casa a fare l'amore"(i{na mh; strateuvoitj ajlla; kinoivh mevnwn-1052-1053).
Diceopoli rilutta, ma arriva anche una messaggera con la richiesta della sposa:
" che il pene del marito rimanga a casa"( o{pwς a}n oijkourh'/ to; pevoς tou' numfivou, 1060). Questa preghiera fa breccia nel cuore del protagonista:
"perché una donna non merita di soffrire per la guerra"(1062). Cfr. la commedia Lisistrata
Abbiamo qui una variante della figura femminile rispetto a quella facies barbarica e feroce che Eschilo ha attribuito a Clitennestra o Euripide a Medea, le due "leonesse" omicide.
Questa sposina di Aristofane, se vorrà tenere il marito con sé, di notte dovrà spalmargli il liquido della pace sul pene ( nuvktwr ajlefeivtw to; pevo" tou` numfivou-1066), un organo che infatti le veterofemministe degli anni Settanta chiamavano "guerrafondaio".
Pesaro 31 luglio 2021 ore 10, 40
giovanni ghiselli
p. s.
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