NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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sabato 10 luglio 2021

Redazione definitiva del percorso "HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina”

 
Prima parte della conferenza on line di sabato 10 luglio
HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina”, che si terrà online (via zoom) in data 10 luglio 2021, ore 11.00–13:00
 
Questo è il link
 
https://us02web.zoom.us/j/85487080278?pwd=SDJaa2V3SkN5OExhbElrUWs1d2pvUT09
 
OMERO
Nel secondo canto dell’Iliade,  Odisseo, simile a Zeus per intelligenza ("Dii; mh'tin ajtavlanton", v. 169) riceve da Atena il compito di trattenere la fuga dell'esercito acheo da Troia con blande parole ("ajganoi'" ejpevessin", v. 180). La dea per rivolgersi all'eroe utilizza un epiteto formulare ("polumhvcan j",  v. 173, ricco di risorse) Odisseo viene  caratterizzato come uomo intelligente e capace. Capace di che cosa? Intanto notiamo questa capacità di ristabilire una situazione compromessa; infatti Odisseo riesce a fermare l'esercito in fuga alternando le blande parole con le ingiurie, e facendo cadere lo scettro-bastone sul petto e le spalle dell' ai[scisto" ajnhvr, il deforme Tersite.
Odisseo dunque è un uomo stabilizzante e ristabilizzante. Quindi egli parla all'esercito, non senza essere stato adornato con altri epiteti: di'o", Iliade , II, v. 244, splendido (questo molto generico invero, attribuito in XIV, 3 dell'Odissea  anche al porcaro il quale del resto, ha il comportamento dello schiavo nobile); poi ptolivporqo", Iliade  II, 278, distruttore di rocche, anche questo generico e attribuito pure, a maggior ragione, ad Ares Achille e all’ Oileo; infine viene qualificato con un epitero uno più specificamente odissiaco, eüfronevwn, v. 283, assennato.
A tali aggettivi non bisogna dare troppa importanza poichè spesso sono stereotipati, e la loro presenza è imposta dalla necessità metrica che "nella poesia omerica è fattore determinante anche per la scelta delle espressioni e degli epiteti"[1].
  Invece sono caratterizzanti le parole che Odisseo rivolge all'assemblea dopo averla ricompattata. Egli accusa i soldati di essere come bambini piccoli o come donne vedove (" wJv" te ga;r hj; pai'de" nearoi; ch'raiv te gunai'ke"", Iliade , II, v. 289) mettendo in luce una distinzione tra l' uomo compiuto (l' a[ndra del primo verso dell'Odissea , egli stesso, capace di riflettere, parlare e agire) e l'uomo bambino o l'uomo femmina querula, creature dalla ragione meno sviluppata, come abbiamo si legge anche in Siddharta  di H. Hesse. La maturità riflessiva e intelligente, indipendente dall'istinto del gregge è un aspetto distintivo dell'uomo Ulisse. E' proprio questa sua indipendenza a renderlo ajnhvr,  latinamente vir , capace appunto di virtù la quale, afferma Nietzsche, "è il vero e proprio vetitum entro ogni legislatura di gregge"[2]. Di tale virtù-capacità fa parte quella di opporre resistenza alle contrarietà di cui è piena la vita. Un' esortazione che Ulisse  rivolge più volte a se stesso e ai suoi compagni di avventura a cominciare da questo discorso dell'Iliade  dove esorta i soldati dicendo:"tlh'te, fivloi, kai; meivnat&"(v. 299) sopportate e aspettate.
 
nell'Odissea il protagonista appare a tratti come un patriarca artigiano-contadino, abile in tutti i lavori: per necessità si costruisce una buona zattera (V 234 sgg.), ma si è anche fabbricato da solo il letto nuziale (XXIII 189 sgg.) e una volta dichiara di saper falciare e arare con bravura e senza stancarsi (XVIII 366 sgg.) e se ne vanta"(p. 126).
Per quanto riguarda il letto, Odisseo una volta che è tornato e ha ucciso i proci, si irrita davanti alla diffidenza eccessiva di Penelope e la chiama daimonivh (v. 166) disgraziata, cui  gli dei  fecero un cuore ajtevramnon (167) duro, quindi ordina a Euriclea di preparargli il letto dove può dormire anche da solo.
La moglie lo mette alla prova e ordina alla nutrice di stendere per l’ospite il  letto robusto di Odisseo fuori dalla solida stanza: “ jall j a[ge oiJ J stovreson pukino;n levco~ , Eujruvkleia-  ejkto;~ eu>staqevo~  qalavmou” (XXIII, 176-177).
Odisseo  a questo punto si adira e perde il solito autocontrollo: il suo letto infatti non è spostabile siccome l’ha fatto lui, con le sue mani su un tronco d’olivo grosso come una colonna. Intorno a quello egli costruì la stanza (v. 192).
Così Penelope ha shvmat j e[mpeda (206)  segni sicuri (saldamente fissati al suolo).
 
Polumhvcano" dunque pieno di risorse, dalle molte mhcanaiv, macchine, strumenti, artifici.
Ulisse è l'eroe polùmetis  (scaltro) come è polùtropos  (versatile) e poluméchanos  nel senso che non manca mai di espedienti, di pòroi , per trarsi d'impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa ...La varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove essa è immersa per esercitare la sua azione. E' questa complicità con il reale che assicura la sua efficacia"[3].
Per quanto concerne il lavoro dei campi, Odisseo replica a Eurimaco, uno dei capi dei proci che gli ha dato dell’accattone e del fannullone che se lo mettesse alla prova nel lavoro dei campi, potrebbe vedere se sa tagliare i solchi diritti (Odissea, XVIII, 375).
 
A proposito del "Tolstoj omerico" si possono vedere alcune parole sulla gioia di lavorare in campagna, in particolare della falciatura compiuta da padrone-contadino Levin:"Levin procedeva fra loro due. Nel pieno della calura non gli sembrava poi molto faticoso falciare. Il sudore che lo inondava gli dava frescura e il sole, che gli scottava la schiena, la testa e il braccio rimboccato sino al gomito, gli dava vigore e tenacia nel lavoro, e sempre più frequenti gli venivano quei momenti di incoscienza quando si poteva non pensare a quel che si faceva e la falce tagliava da sé. Ed erano momenti felici"[4].
giovanni ghiselli
 
 
Seconda parte della conferenza on line di sabato 10 luglio
HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina”, che si terrà online (via zoom) in data 10 luglio 2021, ore 11.00–13:00
Chi vuole il link mi mandi la richiesta per posta elettronica g.ghiselli@tin.it E’ gratuito.
 
 
Apollonio Rodio
Giasone, il capo degli Argonauti,  diversamente da Odisseo è segnato dalla ajmhcaniva.
Nel primo libro Giasone prega Apollo ricordandogli che è lui il dio ejpaivtio~ ajevqlwn (I, 414), causa delle fatiche.  La fiamma del sacrificio splende e l’indovino Idmone ne trae un augurio propizio. L’impresa avrà successo ma costerà infinite prove e fatiche infinite (ajpeirevsioi a[eqloi, I, 441). Idmone sa che dovrà morire ma parte lo stesso. Il banchetto degli altri è lieto, ma Giasone meditava tra sé, era cupo nel volto e non sapeva che fare: era ajmhvcano~ (I, 460).
 
Egli non ha la baldanza né gli entusiasmi dell'eroe, ma vive in un limbo di mediocrità e cautela, tormentato da indecisioni che quasi paralizzano l'azione.
 Lo attanaglia un sentimento di impotenza e frustrazione.
Il termine ajmhcaniva condensa la passività del protagonista. Questa  è una parola chiave delle Argonautiche : molte scene sono dominate da atti mancati, come quella di Eracle sì e no avvistato da Linceo.
Cfr. il Giasone di Valerio Flacco[5]: “sed non sponte feror” (Argonautica, I, 200). 
 
Nelle Argonautiche  l'impresa è sentita fin dall'inizio come vuota di senso e fonte di angoscia : gli Argonauti desiderano tornare ancora prima di essere partiti.
Giasone dice a Issipile che su di lui incombono imprese penose ( lugroi; a[eqloi, I, 841) ed egli vuole solo la patria (I, 902).
Prima di recarsi dalle donne di Lemno, il seduttore  si fa bello per la sua aristia erotica piuttosto che eroica: si mette addosso un mantello più splendido del sole nascente, rosso con bordi di porpora con sopra effigiati molti episodi. Segue l’e[kfrasi~ del mantello con i Ciclopi che fabbricano le folgori per Giove; quindi i figli di Antiope Anfione e Zeto che costruiscono le mura di Tebe: Zeto con la forza, Anfione con la musica trascinavano massi.
Con la destra il seduttore prese la lancia donata da Atalanta quando lo incontrò sul Menalo  (I, 770)
 La ragazza voleva seguirlo, ma Giasone non la volle temendo che scatenasse rivalità amorose tra gli Argonauti  (I, 773)
L’uomo bellissimo mentre si avvicinava sembrava un astro fulgente che fa gioire la vergine innamorata di un uomo lontano. In città le donne lo guardano, ma lui tiene gli occhi bassi. Non ha ancora individuato il sumfevron , la preda utile.
Il suoi mezzi, le sue mhcanaiv,  sono la parola retorica e la bellezza dell’aspetto, l’avvenenza e l’eleganza. Trova la complicità delle donne che lo aiutano prima a Lemno poi nella Colchide, però gli manca la complicità con il resto del reale. 
 
Issipile, la principessa di Lemno, come lo vide arrossì e abbassò gli occhi, poi gli disse che dopo essere state neglette a lungo dai maschi, loro li avevano cacciati in Tracia. Non dice che li avevano massacrati.
Quindi lo invita a restare offrendogli anche il trono di suo padre Toante che ha fatto fuggire di nascosto.
Ma Giasone ringrazia e, come farà Enea con Didone, dice che il destino lo porta altrove, un fato angoscioso. 
 
Giasone è spesso in preda a questo sentimento di inadeguatezza "ajmhcanevwn" (II, 885) anche con sconforto sproporzionato rispetto alla situazione oggettiva. Nell’epica antica non c’era tanta sfiducia e riluttanza rispetto all’impresa da compiere. 
 
Dopo avere sentito da Eeta a quali prove dovrà sottostare per avere il vello d’oro, Giasone fissava gli occhi per terra e  restava muto ajmhcanevwn kakovthti (Argonautiche, III, 424) privo di mezzi davanti alla sua disgrazia
 
Quindi l’Esonide torna alla nave e racconta ai compagni quali sono le imposizioni del re dei Colchi. A tutti l’impresa sembrò impossibile ajnhvnutoς a[eqloς (, III, 502)-
 Erano abbattuti dalla sventura e dall’impotenza-a[th/ ajmhcanivh/ te kathfeve" (504)-
Peleo allora disse che, se non se la sentiva Giasone, ci provava lui: la morte sarà il dolore più cane possibile qavnatoς to; kuvntaton e[ssetai a[lgoς (514). Non può capitare di peggio. Il padre di Achille conserva qualcosa dell’eroismo antico.
 
 Argo, figlio di Calciope, interviene e menziona l’aiuto che può venire da sua madre e sua zia Medea la giovane che, istruita da Ecate nell’arte di tutti i filtri, sa fare portenti  (III, 529).
L'impresa in effetti si compirà solo grazie a Medea che, innamorata di Giasone, lo doterà dei mezzi necessari.

giovanni ghiselli
 
 
 
Terza parte della conferenza on line di sabato 10 luglio
HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina”, che si terrà online (via zoom) in data 10 luglio 2021, ore 11.00–13:00
Chi vuole il link mi mandi la richiesta per posta elettronica g.ghiselli@tin.it E’ gratuito.
 
 
LA TRAGEDIA  Il deus ex machina
 
Nell’esodo dell’ Oreste di Euripide si apprende che Elena non è stata uccisa ma assunta in cielo. Lo annuncia Apollo che, apparso quale ex machina,  svela a  Oreste e Menelao gli arcana  del governo divino:"Io la salvai e la strappai dalla tua spada, dopo averne ricevuto l'ordine dal padre Zeus (1632-1633) . Infatti, come figlia del dio bisogna che viva eternamente; in compagnia di Castore e Polluce starà nelle volute dell’etere, salvezza per i marinai.
Quindi rivolto a Menelao, gli ordina:
“Tu prenditi un'altra sposa e tienila in casa poiché gli dèi con la bellezza di costei indussero a scontrarsi Elleni e Frigi e causarono molte morti, per togliere alla terra l'oltraggio della ridondante massa dei mortali"(Oreste , vv. 1638-1642).
Così conosciamo la causa della guerra[6], e vediamo che gli uomini muoiono per i piani degli dèi.
L'attore recitava davanti alla scena, ma in certi casi appariva sul suo culmine o, impersonando un dio, su un un tetto mobile (qeologei'on), o anche sospeso in aria da una specie di gru (mhcanhv), e in tal caso era il deus ex machina.
“Tra le convenzioni del teatro greci rientra anche l’uso di macchine.
Il più celebre di questi strumenti è senza dubbio la macchina del volo (mhcanhv o anche gevrano~= “gru”): un congegno fissato al suolo su un basamento al margine dell’orchestra , dotato di un lungo braccio mobile azionato per mezzo di funi e carrucole, alla cui estremità doveva essere agganciata una bardatura che serviva ad imbragare l’attore destinato ad essere sollevato in alto. Della mhcanhv si fa uso nel Prometeo[7] , ove Oceano compare in groppa ad un fantastico essere alato.
Della mechané Euripide si avvalse spesso per l’apparizione improvvisa e miracolosa di una divinità che interviene dall’alto a risolvere un conflitto drammatico altrimenti inestricabile. Una soluzione certamente sorprendente e di facile presa spettacolare, come dimostra il fatto che l’espressione qeo;~ ajpo; th`~ mhcanh`~ (=deus ex machina)  divenne proverbiale: la prima attestazione è in Platone (Crat. 425d; Clitoph. 407a), e con ironia il comico Antifane[8] osserva che ai poeti tragici, quando essi non sanno più come sviluppare l’azione, basta alzare la gru così come si alza un dito, ed ecco che ogni loro problema è risolto (fr. 189 K.-A)”[9].   
 
Aggiunta alla conferenza di domani.
 
Per non rimanere sul generico di una citazione precedente.
Non mi piace che “si porti alta la testa, si resti sul generico” (cfr. B. Brecht, Canzone di Polly Peachum). Diffidate di chi parla nominando autori e titoli  senza citarne le parole. Costoro conoscono solo i manuali. Dopo avere citato i testi si deve passare alla sinossi, alla visione generale, mai al generico che è un brutto segno di impreparazione e noncuranza di chi ascolta considerato ignorante.
 
Platone sulle macchine da scena
 Socrate nel Cratilo dice che i poeti tragici quando sono in qualche imbarazzo ricorrono alle macchine e tirano su gli dèi, così noi non abbiamo niente di meglio che risalire  per la verità  dei primi nomi (Cratilo, 425d)

 ésper oƒ tragJdopoioˆ ™peid£n ti
¢porîsin ™pˆ t¦j mhcan¦j katafeÚgousi qeoÝj a‡rontej
,
oÙ g¦r œcomen toÚtou bšltion e„j
 Óti ™panenšgkwmen perˆ ¢lhqe…aj tîn prètwn Ñnom£twn

 Nel Clitofonte il sofista e politico terameniano dice a Socrate:  ti lo ha sentito parlare molto bene quando-come un dio su una macchina da scena-w{sper ejpi;  mhcanh`" tragikh`" u{mnei"  levgwn (407a) declamavi inni dicendo di  biasimare gli uomini che hanno come massimo interesse la ricchezza.
 
Nel Filottete[10] il rientro dell'eroe ferito nell'armata dei Greci che l'avevano abbandonato a Lemno nella solitudine, e sono rappresentati dal subdolo Odisseo il quale con l'inganno vuole sottrargli le armi necessarie alla presa di Troia, avviene in seguito all'apparizione di Eracle che, disceso dal cielo quale deus ex machina , promette al protagonista la guarigione e il primo posto nell'esercito acheo (vv.1420 e sgg.).
 
Nell'Ifigenia fra i Tauri  di Euripide, la dèa Atena, ex machina, sempre protettiva nei confronti di Oreste, lo salva dal re dei Tauri Toante, e ricorda:"L'ho già salvato nell'Areopago valutando i voti uguali e resterà quest'usanza  che venga assolto chiunque prenda voti pari"( kai; novmism j e[stai tovde,-nika`n ijshvrei~ o{sti~ a]n yhvfou~ lavbh/), vv.1469-1472)[11].
 
Nietzsche: "Al posto della consolazione metafisica è subentrato il deus ex machina (…) L a serenità alessandrina è la serenità dell’uomo teoretico: essa mostra i medesimi segni caratteristici che ho or ora dedotti dallo spirito antidionisiaco –il combattere la sapienza e l’arte dionisiache; il cercar di dissolvere il mito; il porre al posto di una consolazione metafisica una consonanza terrena, anzi un proprio deus ex machina, ossia il dio delle macchine e dei crogiuoli, vale a dire le forze degli spiriti della natura riconosciute e impiegate al servizio dell’egoismo superiore, il credere a una correzione del mondo per mezzo del sapere, a una vita guidata dalla scienza" (La nascita della tragedia , capitolo 17).
Giovanni ghiselli
 
Quarta parte della conferenza on line di sabato 10 luglio
HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina”, che si terrà online (via zoom) in data 10 luglio 2021, ore 11.00–13:00
Invierò il link a chi me lo chiederà
 
Prometeo
 
Il mito di Prometeo è   "uno dei miti antropologici...che rendono ragione della condizione umana-condizione ambigua, piena di contrasti, in cui gli elementi positivi sono inscindibili da quelli negativi e ogni luce ha la sua ombra, giacché la felicità implica l'infelicità, l'abbondanza il duro lavoro, la nascita la morte, l'uomo la donna, e l'intelligenza e il sapere si uniscono, nei mortali, alla stupidità e all'imprevidenza. Questo tipo di discorso mitico sembra obbedire a una logica che si potrebbe definire, in contrasto con la logica dell'identità, come la logica dell'ambiguità, dell'opposizione complementare, dell'oscillazione tra  poli contrastanti"(J. P. Vernant, Tra mito e politica,pp. 30-31).
Prometeo insomma è signum cui contradicetur ut revelentur ex multis cordibus cogitationes (N. T., Luca. 2, 34, 35). Come Cristo, come Socrate e come chi scrive
Nel Prometeo incatenato di Eschilo, Il Titano si vanta di avere dato agli uomini il numero, “la combinazione delle lettere, memoria di tutto” (vv. 460- 461), di avere aggiogato gli animali selvatici, di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462), prefigurando addirittura il volo. Inoltre ha trovato i farmaci, ha scoperto i metalli: il bronzo, il ferro, l’argento e l’oro.
Alcune tra  queste scoperte vengono maledette più volte nel corso della letteratura europea.
Una esecrazione riassuntiva si trova nella Tebaide di Stazio[12]:quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas esecra le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Ma vediamo nel dettaglio alcune denunce dei falsi beni di Prometeo.
Ripartiamo dal primo dono del Titano all’umanità: il fuoco
 
Leopardi nello Zibaldone  è molto critico verso tale scoperta :"Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo.."(p. 3645). 
Del resto Prometeo fa storia e “la storia si fa sempre andando controcorrente rispetto alla natura”[13].
Il fuoco non è un bene, o, per lo meno, non è stato impiegato bene : nell’Operetta morale La scommessa di Prometeo[14] gli uomini usano il fuoco per uccidersi e uccidere, e Momo, il vincitore della scommessa, domanda al Titano: “Avresti tu pensato, quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cielo per comunicarlo agli uomini, che questi se ne prevarrebbero, quali per cuocersi l’un l’altro nelle pignatte, quali per abbruciarsi spontaneamente?”[15]. 
Leopardi, con il fuoco, critica anche la navigazione avvalendosi di Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec., di quanto la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana.(Zibaldone , p. 3646).
La navigazione viene esecrata anche da Lucrezio (De rerum natura, V, 1004-1006), da Virgilio nella IV ecloga, da Properzio (I, 7, 13-14), da Ovidio (Metamorfosi, I, 96), e, per citare un moderno, da Tirso de Molina:   nel dramma El burlador de Sevilla (1630) Catalinòn il servo di Don Juan  il padre di tutti i Don Giovanni,  in seguito a un naufragio, si salva dalla morte per acqua e, mentre porta in braccio il padrone semivivo, dice: “Maledetto chi per primo/ha piantato pini in mare/e con un fragile legno/ha sfidato le sue rotte!...Maledetto sia Giasone/ e maledetto anche Tifi!” (I, 11). Giasone e Tifi, con gli altri Argonauti, sono i primi  navigatori umani, ma l’inventore divino rimane Prometeo.
Comunque non pochi strali bersagliano i cercatori del vello d’oro che per prima solcarono i mari.
L’esecrazione più estesa del navigare infatti si trova nella Medea di Seneca che racconta i fatti successivi all’impresa degli Argonauti.           
I profanatori del mare sono morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago, per impossessarsi dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616). Fa pagare il fio il mare provocato, canta il terzo coro dei marinai corinzi.
L'exitus dirus, la morte orribile, è l'espiazione della rottura dei sacrosancta foedera mundi (335, II coro) i sacrosanti patti del cosmo, turbato proprio dalla navigazione.
La navigazione ha confuso i popoli che dovevano rimanere separati dal mare.
“Sempre la confusion delle persone/ principio fu del mal della cittade” (Dante, Paradiso, XVI, 67-68 )
Insomma tutta la tecnica, e pure la scienza, separata dalla giustizia e dalla coscienza dell’idea del Bene è piuttosto malizia (panourghía) che sapienza (sofía) (cfr. Platone, Menèsseno, 247).
 
Quindi il male del ferro. Erodoto afferma senza giri di parole che è stato creato per il male dell’uomo (Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140-143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[16] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni  che scoppiano.
 
Aggiunta al percorso di domani  10 luglio 2021
 
Altre macchine micidiali
 
Il ferro e il fuoco congiunti aumentano il numero dei morti attraverso: “il maledetto abominoso ordigno” dell’archibugio (Ariosto, Orlando furioso, IX, 91, 1).
Quindi:
“Come trovasti, o scelerata e brutta
Invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l’arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l’ardire
per te può in campo al paragon venire”  (XI, 26)
 
nel 1922 Svevo prefigura un ordigno ben più terribile:"Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni torneremo in salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un pò più ammalato[17], ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere massimo. Ci sarà un'esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie"[18]. 
 
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Qeuvq, una specie di Prometeo egiziano, cui il re di tutto quanto l’Egitto Qamou`" denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “  Questa infatti produrrà dimenticanza-lhvqhn- nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno-e[xwqen-, da segni estranei, non dall'interno-e[ndoqen-, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).
 Quintiliano menziona questo passo : “invenio apud Platonem obstare memoriae usum litterarum, videlicet quoniam illa, quae scriptis reposuimus, velut custodire desinimus et ipsa securitate dimittimus” (Institutio oratoria, XI, 2, 9), leggo in Platone che ostacola la memoria l’uso dei caratteri scritti, evidentemente perché quello che abbiamo messo da parte negli scritti smettiamo di custodirlo, per così dire, e per questa stessa tranquillità lo lasciamo perdere. 
 
  Cesare raccontando dei Drùidi,  i quali  tra i Galli attendono al culto, mette in rilievo che essi sono tenuti in conto e onorati tanto che molti cercano di entrare nella loro scuola o ci vengono mandati dai genitori. La disciplina cui sono sottoposti per arrivare a quei privilegi però è durissima e impone un grande sviluppo della memoria attraverso il disuso della parola scritta: “Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur” (De bello gallico, VI, 14), si dice che imparino a memoria un gran numero di versi. “Itaque annos nonnulli XX in disciplina permanent”, così alcuni rimangono a scuola per venti anni. “Neque fas esse existimant ea litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus, Graecis utantur litteris”, non considerano attività permessa affidare quelle dottrine sapienziali alla scrittura, mentre in quasi tutte le altre pratiche, quelle amministrative, conti pubblici e privati, fanno uso dell'alfabeto greco. Quindi Cesare ne spiega le ragioni che sono più o meno quelle di Qamou`":"id mihi duabus de causis instituisse videatur, quod neque in vulgum disciplinam efferri velint, neque eos qui discunt, litteris confisos minus memoriae studere; quod fere plerisque accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant" (VI, 14), credo che abbiano disposto questo per due ragioni: non vogliono che la loro scienza venga divulgata né che i discepoli fidandosi della scrittura diano meno importanza alla memoria; poiché di solito ai più succede che con l'aiuto della scrittura abbandonano l'impegno di imparare bene e perdono la memoria.
 
 L’aggiogamento degli animali vantato da Prometeo, talora viene  considerato una violenza fatta alla natura: Tibullo, p. e., ricorda che l’età dell’oro non conosceva le navi, né il commercio, né l’imbrigliamento dei cavalli, né l’assoggettamento del toro (I, 3, 37-46).
 
 Nel Protagora di Platone, il sofista racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Ch non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).
  
Nel Politico Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è la cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b).
Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n  tevcnhn, tecnica dell’allevamento, non basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica. Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura (ejpimevleian)  di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d).
 
Socrate nel Gorgia di Platone afferma che Pericle e prima di lui Temistocle e Cimone , non hanno reso grande la città, come si dice, in quanto essa è piuttosto essa è gonfia e purulenta (oijdei` kai; u{poulo~ ejstin, 518e) poiché l’ hanno riempito di porti, di arsenali, di mura,  di contributi e di altre sciocchezze del genere senza preoccuparsi in effetti della temperanza e della giustizia" (a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a).
Quando il bubbone esploderà, gli Ateniesi se la prenderanno con gli ultimi politici, come l’amico Alcibiade o lo stesso Callicle, i quali non sono responsabili dei mali, ma semmai corresponsabili (519b).
 
Socrate nel Gorgia dice pure che Pericle ha reso gli Ateniesi pigri (ajrgouv~),  vili (deilouv~)  ciarlieri (lavlou~), amanti del denaro (filarguvrou~), avendo introdotto la misqoforiva (515e). Si tratta di una modesta retribuzione delle cariche introdotta verso il 457: due oboli al giorno (la paga di un operaio) per gli eliasti (hJliastikovn), e 5 oboli per i buleuti (misqov~). Cleone nel 425 portò  a tre oboli la paga dei giudici popolari dell’Eliea (cfr. Aristofane, i Cavalieri, 51). 
  
Pasolini negli Scritti corsari   riprende la sostanza di questo luogo platonico quando denuncia lo "sviluppo" quale "fatto pragmatico ed economico" senza "progresso" come "nozione ideale" (p. 220).
 
 Concludo le testimonianze accusatorie con un testo del 1818:  il Frankestein ovvero il Prometeo moderno di Mary Shelley.
L’autrice accusa i disastri provocati dalla scienza, anticipando una denuncia che si ripeterà durante il decadentismo . Lo studioso ginevrino si illude al pari di Prometeo:"Una nuova specie mi avrebbe benedetto come sua origine e creatore"(p.56), ma deve additare la sua opera ardita come modello negativo:"Imparate da me-se non dai miei consigli, dal mio esempio-quanto pericoloso sia l'acquisto della scienza, quanto più felice sia chi crede mondo la sua città, di chi aspira ad elevarsi più di quanto la sua natura consenta"(p.55).
 
Quinta e ultima parte della conferenza di sabato 10 luglio
 
Non mancano del resto espressioni di simpatia indirizzate al Titano ribelle.
Vediamone alcune
Nel dialogo Prometeo o il Caucaso  di Luciano[19]. il Titano si difende davanti a Ermes. Dice che il suo furto fa parte degli scherzi che rallegrano i simposi i quali altrimenti sono gravati da ubriachezza, sazietà, silenzio. Lo sdegno di Zeus mostra molta piccineria e volgarità di sentimenti. Prometeo  rivendica il merito di avere plasmato gli uomini che abbelliscono la terra e onorano gli dèi. Delle donne, parimenti fatte da Prometeo, gli dèi si innamorano e per incontrarle scendono sulla terra trasformati in tori, cigni, satiri. Il fuoco poi è usato per i sacrifici agli dèi.
 
Il Goethe stürmeriano  rappresenta Prometeo che dice: "Io non conosco al mondo/nulla di più meschino di voi, o dèi/…Io renderti onore? E perché?/Hai mai lenito i dolori/di me ch'ero afflitto?/
Hai mai calmato le lacrime/di me ch'ero in angoscia?/…Io sto qui e creo uomini/a mia immagine e somiglianza,/una stirpe simile a me,/fatta per soffrire e per piangere,/per godere e gioire/e non curarsi di te,/come me!"[20].
  
Settembrini, il letterato illuminista di La Montagna Incantata [21] di Thomas Mann,  esalta la figura di Prometeo come l'archetipo dell'umanista:"Che cos'era però in fondo l'umanesimo? Nient'altro che amore verso gli uomini, quindi: politica e ribellione contro tutto ciò che macchiava e offendeva l'idea dell'uomo. Gli si era rimproverato un eccessivo rispetto della forma, ma anche la bella forma era da lui[22] curata per amore della dignità umana, in splendido contrasto col medioevo che non solo era caduto nell'abisso della inimicizia verso gli uomini e nella superstizione, ma nella più vergognosa trascuratezza di forma.
Fin dal principio egli aveva parteggiato e combattuto per la causa dell'umanità, per i suoi interessi terreni, proclamando sacra la libertà di pensiero, la gioia della vita, e pretendendo che il cielo fosse lasciato agli uccelli. Prometeo! Quello era stato il primo umanista, identico a quel Satana cui Carducci aveva dedicato un inno" ( Angoscia crescente, p.231)  
Più avanti (Mutamenti, p. 526)  Settembrini santifica anche l’ u{bri~ di Prometeo in quanto amica dell'umanità e favorevole alla ragione:"Ma l'"Hybris" della ragione contro le oscure potenze è altissima umanità, e se chiama su di sé la vendetta di dèi invidiosi...questa è sempre una rovina onorata. Anche l'azione di Prometeo era "Hybris" e il suo tormento sulla roccia scita noi lo consideriamo il martirio più santo. Ma come siamo invece di fronte all'altra "Hybris", a quella contraria alla ragione, all'"Hybris" della inimicizia contro la schiatta umana?".
Per questo umanista dunque le u{brei" sono due, una buona una cattiva, come le e{rides per esiodo
 
giovanni ghiselli
 
 
 


[1]Cantarella-Scarpat, op. cit., p. 151.
[2]Scelta di frammenti postumi 1887-1888 , p. 324.
[3]M. Detienne-J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.
[4]Tolstoj, Anna Karenina , pp. 257-258.
[5] Morto nel 92 d. C. Il poema in sette libri interi e parte dell’ottavo arriva all’inizio del viaggio di ritorno.
[6] Analoga eziologia della guerra di Troia si trova nell’Elena (vv. 36-41) e nell’Elettra di Euripide. Per giunta in queste tragedie Elena non è andata a Troia ma solo un’immagine di lei. La figlia di Zeus è stata portata in Egitto.
[7] Il Prometeo incatenato (molto probabilmente) di Eschilo: ne parleremo estesamente più avanti .Ndr.
[8] Autore della cosiddetta “commedia di mezzo”  che presentava spesso parodie mitologiche, utilizzando spesso episodi di tragedia di Euripide, come testimoniano alcuni titoli di Antifane: Medea, Baccanti, Elena. Ndr.
[9] Di Marco, Op. cit., p. 62.
[10] Del 409 a. C. 
[11] Siccome l'Artemide taurica esigeva sacrifici umani e i figli di Agamennone, con Pilade, ne portano il simulacro in Grecia per ordine di Apollo, Bachofen ne inferisce che Oreste "con il furto della statua della dea porta a termine il suo compito. Da un lato uccide Clitennestra, dall'altro sottomette Artemide alla legge superiore e mite di Apollo". E conclude :"Non intendo discutere la storicità di questi singoli avvenimenti: quel che è certo è che, nel ricordo degli uomini, si è conservata l'idea che l'epoca del dominio femminile ha provocato sulla terra il verificarsi degli eventi più sanguinosi"(op. cit., p. 92).
[12] 45 c.-96 d. C.
[13] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 132
[14] Del 1824.
[15] Cfr. il Momus protagonista eponimo del romanzo satirico in latino di Leon Battista Alberti. Libro primo
Momo era dotato di forte spirito di contaddizione –ingenio praepostero rovesciato rispetto a quello comune e così non era  simpatico a nessuno.
[16] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwnfovno" " (vv. 672-673).
[17] Cfr. nosw`n (Aiace, 635).
[18] La coscienza di Zeno.
[19] 125-185 d. C
[20] Vv. 13-14, 38-42, 52-58 dell'Inno  Prometeo  del 1774 (l'anno del Werther) trad. it. di G. Baioni
[21] Del 1924.
[22] Dall’umanesimo, come si capisce meglio nella traduzione di Renata Colorni (La montagna magica, Mondatori, 2010).

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