“Devi rovesciare questo insuccesso, metterlo
sottosopra, capovolgerlo, farlo diventare un trionfo. Ascolta il tuo demone,
che poi sei tu, tu sei la tua incoercibile Moira. Devi riflettere. Ma
riflettere al cubo[1].
Tempus tacendi. Devi prepararti un discorso colorito ma non superficiale, colto eppure originale, forte ma non arrogante, ricco di pathos senza essere querulo. Chi può darle tanto? Nessuno, a parte te. Anche tu sei un bel tipo, se ce la metti tutta. Dai retta al demone tuo, non contaminarlo con l’impulsività delle bestie. Oggi non è andata benissimo ma la prossima volta vedrai: Cloto non permette alla sorte di stare ferma, anzi: fa girare ogni fato[2].
Proprio tutta però devi mettercela, Gianni. Nemmeno all’inerzia devi lasciarti andare, neanche a cercarne una meno rara, preziosa, impervia.
E’ difficile, sì. Chiama a raccolta tutte le forze, le capacità, le arti angeliche e diaboliche in tuo possesso. Il primo passo nella via che devi seguire sarà quello dell’inventio: di reperire gli argomenti.
Quindi procederai su quella strada metodicamente.
Senza chiederti tiv" ojdw'/ tii" oJdw'/ tiv";[1] Su quella strada sarete solo voi due
Tra noi ci sarà un alto agone di natura fisica e
mentale, una gara davvero olimpica. La vittoria di entrambi sarà l’unione,
fisica e mistica, una gioiosa ierogamia. Questa volta non puoi sbagliare una
sillaba, anzi nemmeno una virgola”.
Ondeggiavo tra il pessimismo, l’esaltazione e l’autocorrezione ironica del superomismo. Sapevo che l’humus del rapporto umano, e sessuale, che auspicavo, era un terreno composto del mio desiderio di lei e della capacità di comunicarglielo, di farglielo condividere attraverso le parole fornitemi dalle esperienze precedenti e dalle letture. Se il mio aspetto non ostacolava. Ma pensavo che poteva bastare. Centrale per tale donna doveva essere la parola colta, pensavo. E non mi sbagliavo.
Il nostro piacere non sarebbe stato solo carnale ma avrebbe compreso l’amore per il logos, inteso come pensiero e come parola.
Una voluptas piena: diffusa nel corpo e nell’anima.
Dovevo provarci di nuovo, più avanti. Senza fretta funesta, fonte di calamità, e pure senza ozio cattivo, quello che lascia passare l’occasione, sempre “calva di dietro” purtroppo.
Il mese di Debrecen passa in fretta; l’intera vita umana è breve, e non è possibile rimetterla in gioco, come si fa con una pedina.
Sapevo che non potevo permettermi di sbagliare né di perdere tempo. Dovevo acciuffare, prendere per il ciuffo nel momento giusto l’occasione offertami dal destino.
Mi vennero in mente dei versi di Mimnermo:
" Ma di breve durata è come un sogno
la giovinezza preziosa; e la tremenda e deforme
vecchiaia subito sul capo è sospesa,
odiosa insieme e spregiata".
Quaranta anni
più tardi, grande mortalis aevi spatium, una grossa porzione della vita
mortale, nel luglio del 2011, sarei tornato a Debrecen, quasi vecchio oramai,
tuttavia in bicicletta, con una pedalata di 1200 chilometri in 8 giorni, e
avrei ricordato come un sogno quella sera e tutto quel mese fatato della mia
giovinezza preziosa. Uno dei più belli della mia vita: quando potei godere in
pieno del favore degli dèi e attraverso il piacere giunsi alla eudaimonia,
all’accordo con il mio demone, cioè alla felicità. Con lei.
Bologna 22 luglio 2021
giovanni ghiselli
p. s. Ora gli anni passati da quell’estate felice sono
50.
Molti tra gli amici di allora e personaggi di questa
storia sono morti. Restano vivi però dentro di me.
Sicché i pochi sopravvissuti sono due volte vivi.
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[1] Chi è per strada, chi è per strada? Chi?
(Euripide, Baccanti, 68.
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