L’diota di Dostoevskij. La bellezza
Myskin ha visto il ritratto di Nastsasja, Elizavieta Epančin vuole vederlo. Il principe va a chiederlo a Ganja.
Questo glielo diede e aggiunse pure un biglietto per Aglaja. Il principe si fermò per osservare il ritratto.
“Esso univa in sé un orgoglio inconcepibile, un’espressione di disprezzo, quasi di odio, a una semplicità d’anima e un’ingenuità straordinarie. Questi contrasti suscitavano compassione
“quella bellezza abbagliante era quasi insopportabile su quel viso pallido e gli occhi ardenti”.
Myskin baciò il ritratto. Entrando incrociò Aglaja e le diede il biglietto di Ganja.
Elizavieta domandò a Myskin se apprezzasse una bellezza come quella di Nastasja
“Sì, c’è tanta sofferenza in codesto viso” disse quasi involontariamente,
Elizvieta replicò: “può darsi che voi divaghiate” e gettò il ritratto sulla tavola. Lo prese Adelaida e disse: “che forza!”
Dove? Di che forza parli? Domandò la madre in tono brusco.
La ragazza rispose con ardore:“Una bellezza simile è una forza. Con una simile bellezza si può rovesciare il mondo” 101
Ganja aveva scritto nel biglietto per Aglaja che le chiedeva una sola parola per “salvarsi” dalla donna contaminata. “Ditemi soltanto tronca tutto e troncherò oggi stesso”.
Mandatemi questa parola di compassione. Non chiedo altro perché non ne sono degno.
Aglaja fece scrivere al principe: “io non entro in negoziazioni” .
La bellezza è una forza che può essere sconvolgente e incutere paura
Il fr.2D è la parte dell'ode conservata dall'Anonimo trattato di estetica Sul sublime. del I secolo d. C. E' forse la poesia più nota di Saffo poiché è stata tradotta da Catullo nel carme 51. Cominciamo con il darne una traduzione nostra:
" Quello mi sembra pari agli dei
essere l'uomo che davanti a te
sta seduto e da vicino ti ascolta
dolcemente parlare
e sorridere amabilmente, cosa che a me certo 5
sconvolge il cuore nel petto: 6
appena infatti ti guardo per un momento, allora non
è permesso più che io dica niente
ma la lingua mi rimane spezzata
ka;m glw'ssa m j e[age[1]
un fuoco sottile subito corre sotto la pelle
e con gli occhi non vedo nulla e mi
rombano le orecchie
e un sudore freddo mi cola addosso, e un tremore
mi prende tutta, e sono più verde
dell'erba, poco lontana dall'essere morta
appaio a me stessa
ma bisogna sopportare tutto poiché...". strofe saffiche
Leopardi, quando tratta di bellezza nello Zibaldone (pp. 3443-3444), cita, in greco, i vv. 5-6 del frammento di Saffo , dopo avere riportato questi della Canzone XIV[2] di Petrarca ( Rime , CXXVI, 53-55):
"Quante volte diss'io
allor pien di spavento/
"Costei per fermo nacque in paradiso!".
Quindi fa seguire un commento relativo a entrambi gli autori:" E' proprio dell'impressione che fa la bellezza...su quelli d'altro sesso che la veggono o l'ascoltano o l'avvicinano, lo spaventare, e questo si è quasi il principale e il più sensibile effetto ch'ella produce a prima giunta, o quello che più si distingue e si nota e risalta."
Leopardi del resto riconosce il fatto che la bellezza è associata alla bontà
dalla kalokajgaqiva greca: Quello dei Greci era : “un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello” (Leopardi, Operette morali, Detti memorabili di Filippo Ottonieri ).
Per questo la bruttezza di Socrate gli era di non piccolo pregiudizio in un popolo che per giunta “era deditissimo a motteggiare”.
Sicché Socrate “impedito di aver parte, per dir cosi, nella vita (…) si pose per ozio a ragionare sottilmente (…) nel che gli venne usata una certa ironia, un’ironia che “non fu sdegnosa e acerba, ma riposata e dolce”. Socrate parlava con le persone giovani e belle “piu volentieri che cogli altri” poiché da questi avrebbe voluto essere amato. L’Ottonieri concludeva che “ l’origine di quasi tutta la filosofia greca, dalla quale nacque la moderna, fu il naso rincagnato, e il viso da satiro, di un uomo eccellente d’ingegno e ardentissimo di cuore”. Dunque Socrate, come Ulisse. “non formosus erat, et tamen …
Nello Zibaldone il Recanatese presenta una riflessione sul modo dei greci “intendentissimi del bello” di considerare la bellezza, quella degli occhi in particolare.
“Le Dee e specialmente Giunone, è chiamata spesso da Omero bow'pi" (bowvpido") cioè ch' ha occhi di bue . La grandezza degli occhi del bue, alla quale Omero ha riguardo, è certo sproporzionata al viso dell'uomo. Nondimeno i greci intendentissimi del bello, non temevano di usare questa esagerazione in lode delle bellezze donnesche, e di attribuire e appropriar questo titolo, come titolo di bellezza, indipendentemente anche dal resto, e come contenente una bellezza in sé, contuttoché contenga una sproporzione. E in fatti non solo è bellezza per tutti gli uomini e per tutte le donne (che non sieno, come sono molti, di gusto barbaro) la grandezza degli occhi, ma anche un certo eccesso di questa grandezza... Dalle quali cose deducete
1°.Quanto sia vero che gli occhi sono la principal parte della sembianza umana, e tanto più belli quanto più notabili, e quindi quanto più vivi. E che in essi veramente si dipinge la vita e l'anima dell'uomo (e degli animali); e però quanto più son grandi, tanto maggiore apparisce realmente l'anima e la vitalità e la vita interna dell'animale. (Né quest'apparenza è vana). Per la qual cosa accade che la grandezza loro è piacevole ancorché sproporzionata, indicando e dimostrando maggior quantità e misura di vita"(Zibaldone 2546-2548).
Alla bellezza dunque si associa l’amore prima della paura.
giovanni ghiselli
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