venerdì 23 luglio 2021

La commedia greca. Introduzione. Prima parte.

 


 

La Commedia greca viene tradizionalmente divisa in tre parti : la Commedia antica che va dalle origini agli inizi del IV secolo,

 la Commedia di mezzo, fino al 325 circa,

 e la Commedia nuova che arriva fino alla metà del III secolo in lingua greca, poi prosegue in  latino nei drammi di Plauto e Terenzio.

 

La Poetica  di Aristotele afferma che la tragedia vuole  rappresentare personaggi migliori di quelli reali (beltivou") mentre la commedia è imitazione di uomini peggiori di noi

( ceivrou" tw'n nu'n1448a), ossia  volgari e tali che non suscitano tanto lo sdegno quanto il riso provocato dalla visione del ridicolo "Il ridicolo" infatti spiega il filosofo "è qualche cosa di sbagliato" ( ajmavrthma ti,1449a).

 L'errore a dire il vero viene menzionato anche per i personaggi tragici volti in disgrazia non per vizio o malvagità bensì per un errore  ajlla; di j ahmartivan tinav,  1453a); la differenza è che nei loro confronti deve nascere pietà e terrore, mentre la commedia non produce dolore né danno.

La commedia è mivmhsi" faulotevrwn imitazione di personaggi  che valgono meno per il ridicolo (to; geloi'on)  che è parte del brutto. Il ridicolo è  un errore e una bruttezza  indolore  e non deleterio (aJmavrthmav ti kai; ai\sco" ajnwvdunon kai; ouj fqartikovn), proprio come la maschera comica è qualche cosa di brutto e stravolto ma senza dolore (1449a).

 

 E' l'assenza di pietà dunque che contraddistingue la commedia dalla tragedia.

 

Hegel nella sua Estetica  sostiene che "sono propri del comico l'infinito buon umore in genere e la sconfinata certezza di essere ben al di sopra della propria contraddizione (...) ossia la beatitudine e l'essere a proprio agio della soggettività che, certa di se stessa, può sopportare la dissoluzione dei suoi fini e delle sue realizzazioni"(p.1591).  

Il comico è il soggettivo che non soffre delle sue contraddizioni. Può essere uno scopo meschino perseguito con serietà e non raggiunto senza sofferenza. Oppure individui frivoli che si pavoneggiano mentre tendono a fini seri, come le Ecclesiazuse.

Nel crollo di tutti i valori rimane solo la difesa dell’identità soggettiva  (cfr il Medea superest di Seneca e I am Antony yet di Shakespeare.

 

 

I personaggio delle commedie di Aristofane non suscitano pietà. Hegel fa  l'esempio delle Ecclesiazuse le donne in assemblea che"vogliono deliberare e fondare una nuova costituzione" ma "conservano tutti i loro capricci e passioni di donne"(Estetica, p. 1592).  C’è una contraddizione che impedisce il raggiungimento del fine.

Tuttavia “Aristofane non si fa gioco di ciò che veramente etico c’è nella vita del popolo ateniese, né dell’autentica filosofia, della vera fede religiosa, dell’arte genuina; ma quel che egli ci pone dinanzi nella sua stoltezza che da se stessa si distrugge sono le aberrazioni della democrazia , da cui sono spariti l’antica fede e gli antichi costumi, è la sofisticheria, il tono lamentevole e pietoso della tragedia, le chiacchiere volubili, la litigiosità ecc, questa nuda contropartita di una vera realtà statale, religiosa, atistica”  . La soggettività in ogni caso rimane “resta però come principio superiore la soggettività in sé salda che nella sua libertà si eleva al di sopra  di tutto ed è in se stessa sicura e beata. La soggettività comica è divenuta padrona di ciò che appare nella realtà” (Hegel, Estetica, p. 1593,

 

  Nella commedia nuova di Menandro entra la compassione  ed essa,  esclusa dal comico, verrà inclusa nell'umorismo del noto saggio di Pirandello L’umorismo del 1908.

 

L’umorismo è il sentimento del contrario

:"Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere (...) Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s' inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario, mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui  la differenza tra il comico e l'umoristico".

 

Gli altri 2 esempi: Marmeladov di Delitto e castigo e Sant’Ambrogio di Giusti.

 

Il secondo esempio è questo tratto da Dostoevskij: “Signore, signore! oh! Signore, forse, come gli altri, voi stimate ridicolo tutto questo; forse vi annojo raccontandovi questi stupidi e miserabili particolari della mia vita domestica; ma per me non è ridicolo, perché io sento tutto ciò…”-Così grida Marmeladoff nell’osteria, in Delitto e Castigo[1] del Dostoevskij, a Raskolnikoff tra le risate degli avventori ubriachi. E questo grido è appunto la protesta dolorosa ed esasperata d’un personaggio umoristico contro chi, di fronte a lui, si ferma a un primo avvertimento superficiale e non riesce a vederne altro che la comicità”[2].

 

Il terzo esempio deriva da S. Ambrogio di Giusti: “Un poeta, il Giusti, entra un giorno nella chiesa di S. Ambrogio a Milano, e vi trova un pieno di soldati (…) Il suo primo sentimento è d’odio: quei soldatacci ispidi e duri son lì a ricordargli la patria schiava. Ma ecco levarsi nel tempio il suono dell’organo: poi quel cantico tedesco lento lento,

D’un suono grave, flebile, solenne[3]

Che è preghiera e pure lamento. Ebbene, questo suono determina a un tratto una disposizione insolita nel poeta, avvezzo a usare il flagello della satira politica e civile: determina in lui la disposizione propriamente umoristica: cioè lo dispone a quella particolare riflessione che, spassionandosi dal primo sentimento, dell’odio suscitato dalla vista di quei soldati, genera appunto il sentimento del contrario. Il poeta ha sentito nell’inno

La dolcezza amara/Dei canti uditi da fanciullo: il core/Che da voce domestica gl’impara,/Ce li ripete i giorni del dolore./Un pensier mesto della madre cara,/Un desiderio di pace e d’amore,/Uno sgomento di lontano esilio[4].

E riflette che quei soldati, strappati ai loro tetti da un re pauroso,

A dura vita, a dura disciplina,/Muti, derisi, solitari stanno, /Strumenti ciechi d’occhiuta rapina,/che lor non tocca e che forse non sanno[5]

Ed ecco il contrario dell’odio di prima:

Povera gente! Lontana da’ suoi,/In un paese qui che le vuol male[6].

Il poeta è costretto a fuggire dalla chiesa perché

Qui, se non fuggo, abbraccio un caporale, /Colla su’ brava mazza di nocciolo/Duro e piantato lì come un piolo”[7]. 

 

Secondo Pirandello Aristofane non è umorista mentre lo è Socrate  

“In Aristofane non abbiamo veramente il contrasto, ma soltanto l’opposizione. Egli non è mai tenuto tra il sì e il no[8]  egli non vede che le ragioni sue, ed è per il no testardamente, contro ogni novità, cioè contro la retorica, che crea demagoghi, contro la musica nuova, che, cangiando i modi antichi e consacrati, rimuove le basi dell’educazione, e dello Stato, contro la tragedia di Euripide che snerva i caratteri e corrompe i costumi, contro la filosofia di Socrate, che non può produrre che spiriti indocili e atei, ecc.

(…) la burla è satira iperbolica, spietata. Aristofane ha uno scopo morale, e il suo non è mai dunque il mondo della fantasia pura (…) Nessuno studio della verisimiglianza: egli non se ne cura perché si riferisce di continuo a cose e persone vere (…) e non crea una realtà fantastica come, ad esempio, lo Swift.  Umorista non è Aristofane ma Socrate (…) Socrate ha il sentimento del contrario ; Aristofane ha un sentimento solo, unilaterale” (p. 44).

 

 

 

Cfr. la terapia del rovesciamento, il mettersi nei panni degli altri e il suggerimento di Leopardi: “gli scolari partiranno dalla scuola dell’uomo il più dotto, senz’aver nulla partecipato alla sua dottrina, eccetto il caso (raro) ch’egli abbia quella forza d’immaginazione, e quel giudizio che lo fa astrarre interamente dal suo proprio stato, per mettersi ne’ piedi de’ suoi discepoli, il che si chiama comunicativa. Ed è generalmente riconosciuto che la principal dote di un buon maestro e la più utile,non è l’eccellenza in quella dottrina, ma l’eccellenza nel saperla comunicare”[9].

 

 

Bologna 23 luglio 2021 ore 19, 13

giovanni ghiselli



[1] Parte I, cap. II.

[2] Luigi Pirandello, L’umorismo, p. 174

[3] Giuseppe Giusti (1809-1850) S. Ambrogio, v. 60

[4] S. Ambrogio, vv. 65-71.

[5] S. Ambrogio, vv. 81-84.

[6] S. Ambrogio, vv. 89-90.

[7] Luigi Pirandello, L’umorismo (1908), p. 175.  Dedicato alla buon’anima di Mattia Pascal, bibliotecario

[8] Caratteristica dell’umorismo cfr. parte II cap. quarto.

[9] Zibaldone, 1376.

Nessun commento:

Posta un commento

Ifigenia CLII. Una lettera supplichevole e una canzoncina irrisoria

  Martedì 7 agosto andai a lezione, poi a correre, quindi in piscina a leggere, nuotare, abbronzarmi, e mi recai anche a comprare un d...