mercoledì 14 luglio 2021

Fëdor Dostoevskij. Conferenza in piazza Verdi a Bologna,l 21 luglio 2021. 3

 
La libertà come problema

E’ il significato della leggenda del Grande Inquisitore dei Fratelli Karamazov. Ivàn racconta ad Alioscia questo poema che ha composto solo mentalmente. Qui c'è un'idea della libertà molto diversa da quella comune. Vediamola nei sommi capi. L'azione si svolge nel sedicesimo secolo, in Spagna, a Siviglia "nei tempi più terribili dell'Inquisizione, quando per la gloria di Dio si accendevano ogni giorno dei roghi e con grandiosi autodafé ardean gli eretici malvagi". In questa situazione torna Cristo sulla terra. "Egli scende nelle torride strade di una città meridionale in cui il giorno prima il cardinale Grande Inquisitore, in presenza del re, della corte, dei cavalieri, dei prelati, delle affascinanti dame di corte e di tutti gli abitanti di Siviglia, ha fatto bruciare, in un superbo autodafé, circa un centinaio di eretici in una sola volta, ad maiorem dei gloriam". Cristo dunque "passa in mezzo a loro con un dolce sorriso d'infinita misericordia. Il sole dell'amore arde nel Suo cuore, i raggi della Luce, della Saviezza e della Forza splendono nei Suoi occhi e, scendendo sugli uomini, fan tremare i loro cuori di un amore reciproco". Il Redentore quindi opera miracoli. Finché arriva il Grande Inquisitore. "E' un vecchio quasi novantenne, alto e diritto, dal viso asciutto, con gli occhi incavati, ma con una scintilla che vi arde ancora…Dietro a lui, a una certa distanza, camminano i suoi foschi coadiutori e i suoi schiavi, e la "sacra guardia". Quindi "Egli si ferma davanti alla folla e osserva da lontano. Egli ha visto tutto, ha visto che hanno deposto la bara ai Suoi piedi, ha visto che la fanciulla è risuscitata, e il suo viso si è accigliato. Egli aggrotta le sopracciglie folte e canute, e il suo sguardo brilla di un fuoco minaccioso. Tende il dito e ordina alle guardie di arrestarLo". Quindi va a trovarLo in prigione. Lo accusa di essere venuto a disturbare. Gli promette il rogo. Il prigioniero lo osserva con uno sguardo mite e non lo degna nemmeno della Sua indignazione. Il cardinale inquisitore "non fa che ascrivere a merito proprio e dei suoi di aver finalmente soggiogato la libertà e di avere con ciò reso felici tutti gli uomini: "L'uomo fu creato ribelle; come possono i ribelli essere felici?…poiché nulla è mai stato più insopportabile, per l'uomo e per la società umana, della libertà!"  L'inquisitore ricorda al Cristo le tentazioni subite nel deserto dal diavolo, "uno spirito terribile e intelligente". Il redentore era affamato dopo quaranta giorni e quaranta notti di digiuno.  Il diavolo gli disse."Si Filius Dei es, dic, ut lapides isti panes fiant "[1], se sei figlio di Dio, di' che queste pietre divengano pani". E Cristo rispose."Non in pane solo vivet homo, sed in omni verbo, quod procedit de ore Dei " (N. T. Matteo, 4, 4), non di solo pane vivrà l'uomo ma di ogni parola che viene dalla bocca di Dio. Ebbene l'inquisitore rinfaccia al Redentore questa scelta:"Ma Tu non hai voluto togliere all'uomo la libertà e hai respinto la proposta…La Tua risposta fu che l'uomo non vive di solo pane; sai Tu, però, che in nome di questo pane quotidiano si solleverà contro di te lo spirito della terra ed entrerà in lotta con Te e Ti vincerà, e tutti lo seguiranno…Si persuaderanno pure che non potranno mai essere liberi, perché sono deboli, viziosi, miserabili e ribelli. Tu hai promesso loro il pane celeste, ma- lo ripeto ancora- come potrebbe esso tornar gradito quanto il pane terrestre, agli occhi della debole, eternamente viziosa e ignobile razza umana?" Solo pochi essere forti e grandi sono capaci di intendere e seguire il Cristo. La gran parte dell'umanità non può capirlo. Né Lui può comprendere questa moltitudine. "A noi - continua il Grande Vecchio - invece, sono cari i deboli. Essi sono depravati e ribelli, ma, infine, i più obbedienti sarannno proprio loro. Essi ci ammireranno e ci considereranno come altrettanti dei, per aver consentito, dopo esserci messi alla loro testa, di prendere sulle nostre spalle il carico della libertà, della quale essi hanno avuto paura, e per aver accettato di dominarli; tanto tremendo finirà col sembrar loro l'essere liberi!…Per l'uomo rimasto libero non esiste una preoccupazione più assillante e tormentosa che quella di trovare al più presto qualcuno davanti al quale prosternarsi". Non solo: gli uomini hanno bisogno di un idolo comune, di "comunione nell'adorazione." Per il "bisogno di questa generale genuflessione gli uomini si sono massacrati l'un l'altro a colpi di spada. Creavano gli dèi ed esclamavano, rivolgendosi gli uni agli altri:"Abbandonate i vostri dèi e venite a prosternarvi davanti ai nostri; altrimenti, morte a voi e ai vostri dèi!" E così sarà fino alla fine del mondo anche se tutti gli dèi saranno distrutti, perché allora si inchineranno lo stesso davanti agli idoli. Tu conoscevi, Tu non potevi non conoscere questo fondamentale segreto della natura umana; ma Tu hai respinto l'unica bandiera assoluta che Ti era offerta per obbligare tutti a inchinarsi unicamente davanti a Te - la bandiera del pane umano; l'hai respinta in nome della libertà e del pane celeste…Ti ripeto che per l'uomo non esiste una preoccupazione più tormentosa di quella di trovar qualcuno cui rimettere subito il dono della libertà…Col pane Ti si offriva una bandiera indiscutibile: avresti  dato il pane, e l'uomo Ti si sarebbe sottomesso, giacché non esiste nulla di più indiscutibile del pane…Hai forse dimenticato che la tranquillità, e qualche volta persino la morte, sono più care all'uomo che la libera scelta nella conoscenza del bene e del male?". Cristo ha oppresso l'umanità "con un peso terribile come il libero arbitrio". Viceversa "esistono tre forze, le uniche sulla terra che potrebbero affascinare e catturare per sempre le coscienze di questi impotenti ribelli e dar loro la felicità; queste tre forze sono: il miracolo, il mistero e l'autorità". Cristo invece, quando il diavolo lo tentò di nuovo, non volle gettarsi dal pinnacolo del tempio. E non scese dalla croce poiché non voleva asservire l'uomo con il miracolo. Infatti aspirava a una libera fede, non a una fede basata sui miracoli.
"Tu-continua l'inquisitore- eri assetato di amore libero, e non già delle servili effusioni dello schiavo al cospetto del potente, che l'ha una volta per sempre atterrito. Anche qui, però, giudicasti gli uomini troppo altamente, giacché essi sono certamente degli schiavi, pur essendo stati creati ribelli…Se Tu lo avessi stimato meno, le tue pretese sarebbero diminuite, e questa sarebbe stata una cosa più vicina all'amore, giacché il suo fardello sarebbe stato meno pesante. L'uomo è debole e vile". L'inquisitore afferma che lui stesso e pochi altri come lui hanno capito meglio gli uomini e le esigenze umane togliendo ai più la libertà e accollandosene il terribile peso.
"Essi si persuaderanno da sé che abbiamo ragione, quando si ricorderanno la spaventosa schiavitù e il disordine in cui li aveva gettati la tua libertà…E tutti saranno felici, tutti i milioni di esseri, tranne le centinaia di migliaia che li governano. Perché unicamente noi, noi che conosceremo il segreto, saremo veramente infelici. Ci saranno allora migliaia di bambini felici e centomila infelici e martiri che avranno preso su di sé la maledizione della conoscenza del bene e del male". Quindi il vecchio annuncia a Cristo la sua condanna al rogo "perché sei venuto a disturbarci". Però all'ultimo momento cambia idea.
"Egli ha visto che il Prigioniero ha seguito il suo discorso fissandolo negli occhi con una espressione mite e penetrante, e con l'evidente determinazione di non rispondere. Il vecchio avrebbe voluto che l'Altro gli dicesse qualche cosa, sia pure qualche cosa di amaro e terribile. Ma Egli si avvicina ad un tratto al vecchio, e, continuando a tacere, lo bacia dolcemente sulle esangui sue labbra di novantenne. In ciò consiste tutta la sua risposta. Il vecchio sussulta. Un fremito contrae gli angoli della sua bocca; egli si avvicina alla porta, l'apre e Gli dice:"Va' e non tornar più…non tornare mai più!". E Lo lascia uscire "per le buie vie della città"[2].
Ho riferito questa splendida storia perché anche noi insegnanti abbiamo il dubbio che i giovani, molti tra i giovani, non vogliano davvero la libertà. Bisogna comunque sapergliela dosare.
Un’idea analoga si trova nel romanzo 1984 di Orwell. Winston, scoperto quale oppositore del Grande Fratello e del partito, viene torturato da O’Brien, un membro del partito interno, e, durante una pausa, si aspetta che l’aguzzino gli dica queste parole nell’intento di convertirlo dopo averlo sottomesso con il dolore: “He knew in advance what O’Brien would say. That the Party did not seek power for its own ends, but only for the good of majority. That it sought power because men in the mass were fraily cowardly creatures who could not endure liberty or face the truth, and must be ruled over and systematically deceived by others who were stronger than themselves. That the choice for mankind lay between freedom and happiness and that, for the great bulk of mankind, happiness was better. That the Party was the eternal guardian of the weak, a dedicated sect doing evil that good might come, sacrifing its own happiness to that of others[3], egli sapeva già quello che O’ Brien avrebbe detto. Che il Partito non cercava il potere per i propri fini, ma solo per il bene della maggioranza. Che esso cercava il potere perché gli uomini in massa sono deboli e vili creature che non potrebbero sopportare la libertà o affrontare la verità, e devono essere governate e sistematicamente ingannate da altri che siano più forti di loro. Che la scelta per l’umanità si pone tra libertà e felicità e che, per la grande massa dell’umanità la felicità è migliore. Che il Partito era l’eterno tutore dei deboli, una setta dedicata a fare il male che possa diventare bene, sacrificando la propria felicità a quella degli altri.   
Ma O’ Brien smentisce la previsione di Winston: “We are not interested in the good of others; we are interested solely in power…only power, pure power….We know that no one ever seizes power with the intention of relinquishing it. Power is not a means, it is an end…We are the priests of power [4], noi non siamo interessati al bene degli altri; noi siamo interessati soltanto al potere…solo il potere, puro potere…noi sappiamo che nessuno mai afferra il potere con l’intenzione di lasciarlo. Il Potere non è un mezzo, è un fine…noi siamo i sacerdoti del potere.
Il potere  secondo l’Antigone di B. Brecht è una specie di droga che asseta di sé:"Perché chi beve il potere/Beve acqua salsa, non può smettere, e seguita/Per forza a bere".
 
 
 
giovanni ghiselli


[1] Matteo, 4, 3.
[2] F: Dostoevskij. I fratelli Karamazov, pp. 320 e sgg.
[3] G. Orwell, 1984, p. 275. 
[4] Op. cit., p. 276.

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