NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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giovedì 8 luglio 2021

"HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina". Quarta parte della conferenza, sabato 10 luglio 2021

HEREDITAS - Macchine del Tempo, Equilibri(smi) ex-Machina
”, che si terrà online (via zoom) in data 10 luglio 2021, ore 11.00–13:00
Invierò il link a chi me lo chiederà
 
Prometeo
 
Il mito di Prometeo è   "uno dei miti antropologici...che rendono ragione della condizione umana-condizione ambigua, piena di contrasti, in cui gli elementi positivi sono inscindibili da quelli negativi e ogni luce ha la sua ombra, giacché la felicità implica l'infelicità, l'abbondanza il duro lavoro, la nascita la morte, l'uomo la donna, e l'intelligenza e il sapere si uniscono, nei mortali, alla stupidità e all'imprevidenza. Questo tipo di discorso mitico sembra obbedire a una logica che si potrebbe definire, in contrasto con la logica dell'identità, come la logica dell'ambiguità, dell'opposizione complementare, dell'oscillazione tra  poli contrastanti"(J. P. Vernant, Tra mito e politica,pp. 30-31).
Nel Prometeo incatenato di Eschilo, Il Titano si vanta di avere dato agli uomini il numero, “la combinazione delle lettere, memoria di tutto” (vv. 460- 461), di avere aggiogato gli animali selvatici, di avere inventato le navi, veicoli dalle ali di lino (v. 462), prefigurando addirittura il volo. Inoltre ha trovato i farmaci, ha scoperto i metalli: il bronzo, il ferro, l’argento e l’oro.
Alcune tra  queste scoperte vengono maledette più volte nel corso della letteratura europea.
Una esecrazione riassuntiva si trova nella Tebaide di Stazio[1]:quando Eteocle e Polinice stanno per ammazzarsi a vicenda, la Pietas esecra le orribili tecniche di Prometeo: “o furor, o homines diraeque Prometheos artes!” (XI, 468).
Ma vediamo nel dettaglio alcune denunce dei falsi beni di Prometeo.
Ripartiamo dal primo dono del Titano all’umanità: il fuoco
 
Leopardi nello Zibaldone  è molto critico verso tale scoperta :"Il fuoco è una di quelle materie, di quegli agenti terribili, come l'elettricità, che la natura sembra avere studiosamente seppellito e appartato, e rimosso dalla vista e da' sensi e dalla vita degli animali, e dalla superficie del globo.."(p. 3645). 
Del resto Prometeo fa storia e “la storia si fa sempre andando controcorrente rispetto alla natura”[2].
Il fuoco non è un bene, o, per lo meno, non è stato impiegato bene : nell’Operetta morale La scommessa di Prometeo[3] gli uomini usano il fuoco per uccidersi e uccidere, e Momo, il vincitore della scommessa, domanda al Titano: “Avresti tu pensato, quando rubavi con tuo grandissimo pericolo il fuoco dal cielo per comunicarlo agli uomini, che questi se ne prevarrebbero, quali per cuocersi l’un l’altro nelle pignatte, quali per abbruciarsi spontaneamente?”. 
Leopardi, con il fuoco, critica anche la navigazione avvalendosi di Orazio:"Orazio (I, Od . 3) considera l'invenzione e l'uso del fuoco come cosa tanto ardita, e come un ardire tanto contro natura, quanto lo è la navigazione, e l'invenzion d'essa; e come origine, principio e cagione di altrettanti mali e morbi ec., di quanto la navigazione; e come altrettanto colpevole della corruzione e snaturamento e indebolimento ec. della specie umana.(Zibaldone , p. 3646).
La navigazione viene esecrata anche da Lucrezio (De rerum natura, V, 1004-1006), da Virgilio nella IV ecloga, da Properzio (I, 7, 13-14), da Ovidio (Metamorfosi, I, 96), e, per citare un moderno, da Tirso de Molina:   nel dramma El burlador de Sevilla (1630) Catalinòn il servo di Don Juan  il padre di tutti i Don Giovanni,  in seguito a un naufragio, si salva dalla morte per acqua e, mentre porta in braccio il padrone semivivo, dice: “Maledetto chi per primo/ha piantato pini in mare/e con un fragile legno/ha sfidato le sue rotte!...Maledetto sia Giasone/ e maledetto anche Tifi!” (I, 11). Giasone e Tifi, con gli altri Argonauti, sono i primi grandi navigatori umani, ma l’inventore divino rimane Prometeo.
Comunque non pochi strali bersagliano i cercatori del vello d’oro che per prima solcarono i mari.
L’esecrazione più estesa del navigare infatti si trova nella Medea di Seneca che racconta i fatti successivi all’impresa degli Argonauti.           
I profanatori del mare sono morti male, come Fetonte che ha cercato di violentare il cielo. Gli Argonauti hanno prima devastato i boschi del Pelio, poi hanno solcato il pelago, per impossessarsi dell'oro, ma : “ exigit poenas mare provocatum” (Medea, v. 616). Fa pagare il fio il mare provocato.
L'exitus dirus, la morte orribile, è l'espiazione della rottura dei sacrosancta foedera mundi, i sacrosanti patti del cosmo, turbato proprio dalla navigazione.
La navigazione ha confuso i popoli che dovevano rimanere separati dal mare.
“Sempre la confusion delle persone/ principio fu del mal della cittade” (Dante, Paradiso, XVI, 67-68 )
Insomma tutta la tecnica, e pure la scienza, separata dalla giustizia e dalle altre virtù, è piuttosto malizia (panourghía) che sapienza (sofía) (cfr. Platone, Menèsseno, 247).
 
Quindi il male del ferro. Erodoto afferma senza giri di parole che è stato creato per il male dell’uomo (Storie, I, 68, 4).
Ovidio nel I libro delle Metamorfosi maledice tanto il ferro, strumento di guerra, quanto l’oro, cui mirano le brame di chi scatena le guerre.
Effondiuntur opes, inritamenta malorum; / iamque nocens ferrum ferroque nocentius aurum/ prodierat: prodit bellum, quod pugnat utroque,/sanguineaque manu crepitantia concutit arma” (Metamorfosi, I, 140-143), si estraggono dalla terra le ricchezze, stimolo dei mali; e già il ferro funesto[4] e, più funesto del ferro, l'oro era venuto alla luce : venne alla luce la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro, e con mano sanguinaria scuote ordigni  che scoppiano.
 
La scrittura viene denunciata come male da Platone nel mito di Theuth, una specie di Prometeo egiziano, cui il re dell’Egitto denuncia la negatività dell’invenzione dicendo: “  Questa infatti produrrà dimenticanza nelle anime di coloro che l'hanno imparata, per incuria della memoria, poiché per fiducia nella scrittura, ricordano dall'esterno, da segni estranei, non dall'interno, essi da se stessi: dunque non hai trovato un farmaco della memoria ma del ricordo"( ou[koun mnhvmh~, alla; uJpomnhvsew~, favrmakon hu|re~, Fedro, 275a).
Lo ricorda Quintiliano: “invenio apud Platonem obstare memoriae usum litterarum, videlicet quoniam illa, quae scriptis reposuimus, velut custodire desinimus et ipsa securitate dimittimus” (Institutio oratoria, XI, 2, 9), leggo in Platone che ostacola la memoria l’uso dei caratteri scritti, evidentemente perché quello che abbiamo messo da parte negli scritti smettiamo di custodirlo, per così dire, e per questa stessa tranquillità lo lasciamo perdere. 
 
  Cesare raccontando dei drùidi,  i quali  tra i Galli attendono al culto, mette in rilievo che essi sono tenuti in conto e onorati tanto che molti cercano di entrare nella loro scuola o ci vengono mandati dai genitori. La disciplina cui sono sottoposti per arrivare a quei privilegi però è durissima e impone un grande sviluppo della memoria attraverso il disuso della parola scritta: “Magnum ibi numerum versuum ediscere dicuntur” (De bello gallico, VI, 14), si dice che imparino a memoria un gran numero di versi. “Itaque annos nonnulli XX in disciplina permanent”, così alcuni rimango a scuola per venti anni. “Neque fas esse existimant ea litteris mandare, cum in reliquis fere rebus, publicis privatisque rationibus, Graecis utantur litteris”, non considerano attività permessa affidare quelle dottrine alla scrittura, mentre in quasi tutte le altre pratiche, quelle amministrative, conti pubblici e privati, fanno uso dell'alfabeto greco. Quindi Cesare ne spiega le ragioni che sono più o meno quelle di Thamus:"id mihi duabus de causis instituisse videatur, quod neque in vulgum disciplinam efferri velint, neque eos qui discunt, litteris confisos minus memoriae studere; quod fere plerisque accidit, ut praesidio litterarum diligentiam in perdiscendo ac memoriam remittant" (VI, 14), credo che abbiano disposto questo per due ragioni: non vogliono che la loro scienza venga divulgata né che i discepoli fidandosi della scrittura diano meno importanza alla memoria; poiché di solito ai più succede che con l'aiuto della scrittura abbandonano l'impegno di imparare bene e perdono la memoria.
 
L’aggiogamento degli animali vantato da Prometeo, talora viene  considerato una violenza fatta alla natura: Tibullo, p. e., ricorda che l’età dell’oro non conosceva le navi, né il commercio, né l’imbrigliamento dei cavalli, né l’assoggettamento del toro (I, 3, 37-46).
 
 
Nel Protagora di Platone, il sofista racconta che Prometeo donò all’umanità il fuoco e ogni sapienza tecnica, ma non diede loro la sapienza politica. Allora i mortali commettevano ingiustizie reciproche (hjdivkoun ajllhvlou" ) in quanto non possedevano l'arte politica (a{te oujk e[conte" th;n politikh;n tevcnhn, 322b). Senza questa, che deve essere fondata sul rispetto e sulla giustizia, gli umani si disperdevano e perivano: quindi Zeus, temendo l'annientamento della nostra specie mandò Ermes a portare tra gli uomini rispetto e giustizia perché costituissero gli ordini delle città: " JErmh'n pevmpei a[gonta eij" ajnqrwvpou" aijdw' te kai; divkhn, i{n ei\en povlewn kovsmoi" (322c). Ch non le avesse accettate, doveva essere ucciso come malattia della città (322d).
 
 
Nel Politico Platone fa dire allo straniero di Elea che l’arte politica regia è la cura dell’intera comunità umana (ejpimevleia dev ge ajnqrwpivnh~ sumpavsh~ koinwniva~, 276b).
Guidare gli uomini come fanno i pastori con gli animali, dobbiamo invece chiamarla qreptikh;n  tevcnhn, tecnica dell’allevamento, non basilikh;n kai; politikhvn tevcnhn (276c), non arte regia e arte politica. Infatti il re e l’uomo politico è quello che si prende cura (ejpimevleian)  di uomini bipedi che liberamente l’accettano (eJkousivwn dipovdwn, 276d).
 
Socrate nel Gorgia di Platone afferma che Pericle e prima di lui Temistocle e Cimone , non hanno reso grande la città, come si dice, in quanto essa è piuttosto essa è gonfia e purulenta (oijdei` kai; u{poulo~ ejstin, 518e) poiché l’ hanno riempito di porti, di arsenali, di mura,  di contributi e di altre sciocchezze del genere senza preoccuparsi in effetti della temperanza e della giustizia" (a[neu ga;r swfrosuvnh~ kai; dikaiosuvnh~, 519a).
Quando il bubbone esploderà, gli Ateniesi se la prenderanno con gli ultimi politici, come l’amico Alcibiade o lo stesso Callicle, i quali non sono responsabili dei mali, ma semmai corresponsabili (519b).
 
Socrate nel Gorgia dice pure che Pericle ha reso gli Ateniesi pigri (ajrgouv~),  vili (deilouv~)  ciarlieri (lavlou~), amanti del denaro (filarguvrou~), avendo introdotto la misqoforiva (515e). Si tratta di una modesta retribuzione delle cariche introdotta verso il 457: due oboli al giorno (la paga di un operaio) per gli eliasti (hJliastikovn), e 5 oboli per i buleuti (misqov~). 
 
Pasolini negli Scritti corsari   riprende la sostanza di questo luogo platonico quando denuncia lo "sviluppo" quale "fatto pragmatico ed economico" senza "progresso" come "nozione ideale" (p. 220).
  
Concludo le testimonianze accusatorie con un testo del 1818:  il Frankestein ovvero il Prometeo moderno di Mary Shelley.
L’autrice accusa i disastri provocati dalla scienza, anticipando una denuncia che si ripeterà durante il decadentismo . Lo studioso ginevrino si illude al pari di Prometeo:"Una nuova specie mi avrebbe benedetto come sua origine e creatore"(p.56), ma deve additare la sua opera ardita come modello negativo:"Imparate da me-se non dai miei consigli, dal mio esempio-quanto pericoloso sia l'acquisto della scienza, quanto più felice sia chi crede mondo la sua città, di chi aspira ad elevarsi più di quanto la sua natura consenta"(p.55).
giovanni ghiselli
 


[1] 45 c.-96 d. C.
[2] J. Ortega y Gasset, Meditazioni sulla felicità, p. 132
[3] Del 1824. 
[4] Euripide nelle Fenicie attribuisce alla strage un cuore di ferro:"sidarovfrwn… fovno" " (vv. 672-673).

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