venerdì 30 luglio 2021

Aristofane Acarnesi parte decima

 


Le due “porcelline” di Megara

 

 

Finita la prima parabasi, seguono scene episodiche (719-1149).

Diceopoli segna i confini del suo mercato personale – o{roi me;n ajgora`" eijsin oi{de th`" ejmh`" 719- dove possono commerciare- ajgoravzein-  "Peloponnesii, Megaresi e Beoti"(721-722), mentre non devono mettervi piede i guerrafondai come Lamaco né i sicofanti, cioé i delatori, le spie del regime.

 

Questi confini anticipano in modo meno stretto il giardino e il lavqe biwvsa" di Epicuro.

 

Arriva un Megarese  seguito da due ragazzine,

" povere figlie di padre disgraziato"(731).

Il babbo fa una domanda:

"volete essere vendute o soffrire dolorosamente la fame?

 h] peinh'n kakw'ς ;

"vendute, vendute!" pepra'sqai pepra'sqai -pf m p da pipravskw- gridano le fanciulle (734-735).

 

Segue una delle scene più tragiche del teatro greco. Il padre  fa sapere alle figlie che le trasformerà in porcelline.

Dice loro: “mettetevi questi zoccoli di porci perché possiate sembrare figlie di una troia onesta- o{pw" de; doxei`t j ei\men –infinito dorico-ejx ajgaqa`" ujov" 741. Un buffo ossimoro tragico.

Altrimenti dovrete tornare a casa a soffrire la mala fame.

 

Nella storia e nella letteratura mancano casi di cannibalismo come rimedio estremo per evitare questa sofferenza

L'ultimo frammento del Satyricon ne ricorda tre esempi forse per persuadere Gorgia, l'heredipeta  riluttante a trangugiare la carne del cadavere del vecchio Eumolpo:"quod si exemplis quoque vis probari consilium, Saguntini obsessi ab Hannibale humanas edere carnes nec hereditatem expectabant. Petelini idem fecerunt in ultima fame, nec quicquam aliud in hac epulatione captabant nisi tantum ut esurirent. cum esset Numantia a Scipione capta, inventae sunt matres quae liberorum suorum tenerent semesa in sinu corpora" (141, 9-11), che se tu vuoi che il mio progetto sia avvalorato da esempi,  i Saguntini assediati da Annibale mangiavano carne umana e nemmeno si aspettavano un'eredità. Lo stesso fecero i Petelini ridotti alla fame estrema, e in questo banchetto non andavano a caccia di altro che di non morire di fame. Quando Numanzia fu presa da Scipione , si trovarono madri che tenevano in seno corpi mezzi rosicchiati dei propri figlioli.

"Quell'esempio tripartito è il degno finale epico di un libro, che al di sotto di vicende oscene, triviali, mirabolanti, o aridamente finanziarie, fa udire il trascorrere imperterrito e solenne della storia"[1]. La storia come mattatoio di carne umana.

 

Il rimedio delle figlie vendute dunque non è estremo: c’è stato di peggio.

 

Sicché dopo gli zoccoletti da porcelline il babbo ordina  alle fanciulle di mettersi sulla faccia anche un paio di grugnetti ta; rugciva-743- quindi le fa entrare  nel  sacco che ha lì pronto  eij" to;n savkkon (745) dove devono grugnire e fare coì tirando fuori la voce dei porcellini misterici-fwna;n coirivwn musthrikw`n (747), quelli che venivano sacrificati a Demetra nei misteri eleusini.

 

 Poi va da  Diceopoli e gli domanda : “h\ lh`" privasqai coiriva ;”(749)  vuoi comprare porcelline?

Diceopoli domanda se al Megarese se porti sale  (a{la" ) o agli (skovroda)

“Agli non è possibile perché gli ateniesi invadendo la nostra terra ha sradicato tutto con un piolo” è la risposta.

Dunque il Megarese può portare solo porcelline misteriche (764), di quelle cioé che si sacrificavano ai misteri di Demetra. La scena, pesante, siccome risente della comicità grossolana della farsa megarese, gioca sul doppio senso della parola coi'ro" che, come il latino porcus  indica tanto il maiale quanto l'organo sessuale femminile.

La guerra tra gli altri “effetti collaterali” ha spesso, quasi sempre, anche questo dello stupro, della compra vendita, della postituzione delle donne.

Il Megarese dunque mostra le ragazzine e ne dà una in mano a Diceopoli elogiando la merce da vendere: ajlla; ma;n kalaiv.- a[nteinon, aij lh/": wJ" pacei`a kai, kalav- (766-767), sono proprio belle. Sollevala, se vuoi: come è soda e bella. Le parole hanno una patina dorica.

L’Ateniese obietta che è di razza umana- all’j e[stin ajnqrwvpou ge (774). Una obiezione da fare sempre a chi cerca di trattare donne e uomini come cose da mercaneggiare e da usare quali strumenti,

Una fanciulla minacciata dal padre prova anche a fare il verso del porco (coì coì , 780) e Diceopoli commenta:

"ora sembra davvero una maialina, coi'roς oJ

ma una volta cresciuta sarà una fica kuvsqoς oJ lat. cunnus"(781-782). Pevoς tov è il latino penis.

 

Entro cinque anni sarà come la madre fa il padre venditore.

 

A proposito di “legittima difesa”

 

Al babbo megarese che vuole vendere le sue figliole  come porcelline e ne porge una bella grassa in mano a Diceopoli, il protagonista degli Acarnesi di Aristofane  obietta che la maialina non è sacrificabile –oujci; quvsimov" ejstin,  perché non ha la coda- kevrkon oujk e[cei (785).

Bisognerebbe sempre usare questo tipo di obiezioni sacastiche a quanti cercano di giustificare un assassinio. Quando per coonestare l’ omicidio di un uomo in fuga si invoca la “legittima difesa”  si dovrebbe obiettare: l’hai ammazzato come si può fare con un cane arrabbiato, o una iena, eppure questo morto kevrkon oujk e[cei, non ha la coda.

 

giovanni ghiselli

 

Il padre ribatte che non ha la coda perché è piccola, ma le crescerà, quindi porge l’altra a Diceopoli ma questo nota oj kuvsqo" , la fica come nell’altra.

Il Megarese promette che diverrà grassa e piena di setole dunque una porca in piena regola da sacrificare ad Afrodite.

Diceopoli obietta che non è alla dea dell’amore che si sacrifica una porcella

Il Megarese replica che invece alla sola Afrodite va sacrificata perché la carne delle porcelle ta`n coivrwn to; krh`" diventa soavissima –a{diston- una volta infilata nello spiedo "(ajna; to;n ojdelovn 795-796), -

 

Cfr. L'uomo senza qualità  di Musil: "Egli vedeva la figura di lei sotto le vesti come un gran pesce bianco che è vicino alla superficie dell'acqua. Gli sarebbe piaciuto fiocinarlo virilmente e vederlo dibattersi, e v'era in quel desiderio tanta ripulsione quanta attrazione"(p. 849).

 

giovanni ghiselli

 

 



[1] Luca Canali, op. cit., p. 61.

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