sabato 24 luglio 2021

La commedia greca. Introduzione terza parte.

 


 

Chionide avrebbe vinto il primo concorso comico celebrato alle grandi Dionisie (festa di fine marzo, la più importante per il teatro) del 486; di Magnete, il collega Aristofane, nei Cavalieri  (vv. 520 e sgg.) ricorda che da vecchio perse il favore del pubblico poiché"è rimasto lontano dal motteggiare"( o{ti tou' skwvptein ajpeleivfqh, 525) che gli aveva fatto vincere tanti trofei. Erano contemporanei di Epicarmo.

 

La canzonatura  (to; skwvptein) era una componente essenziale e gradita al pubblico .

Autori successivi a questi  furono Cratete e Cratino.

.

Di Cratete Aristotele dice che abbandonò per primo la commedia di invettiva e trattò argomenti generali (Kravthς prw'toς ajfevmenoς th'ς ijambikh'ς ijdevaς Poetica , 1449b).

Riportò la prima vittoria nel 449.

 

 Aristofane nei Cavalieri  ricorda che Cratete "ammanniva pensieri molto arguti dalla bocca delicatissima"(539), e, forse per questo, ebbe a subire ire e maltrattamenti del pubblico.

Tuttavia non cadde sempre ma restò anche in piedi (540).

 

Con Cratìno siamo arrivati alla triade canonica dei massimi autori del dramma attico consacrati da Orazio in un famoso esametro:"Eupolis atque Cratinus Aristophanesque poëtae "(Satire , I, 4, 1).

Il poeta di Venosa prosegue dicendo di questi autori della commedia prisca: “si quis erat dignus descrībi quod malus aut fur-quod moechus foret aut sicarius aut aliōqui-famosus multa cum libertate notabant” (vv- 3-5).

Lucilio li seguì ma scorreva lutulentus, limaccioso “nam fuit hōc vitiosus: in hora saepe ducentos versus dictabat stans pede in uno” (9-10)

Cratìno è il più anziano dei tre. Anche della sua decadenza Aristofane parla nei Cavalieri  ricordando che un tempo fioriva (530), ma oramai[1] si ritrova

 "con una corona secca in testa e morto di sete"( divyh/ d  j ajpolwlwv", v.534), lui che per le antiche vittorie meritava di bere nel Pritaneo. Cratino però era ancora capace di vincere e nell'agone del 423 non solo si difese dalle accuse di Aristofane ma sconfisse le Nuvole  del rivale più giovane con il Fiasco (Putivnh), un'autocanzonatura nella quale la Commedia, moglie legittima del poeta lo accusava di tradirlo con l'Ebbrezza,  di correre dietro ai vinelli giovani, ed egli rispondeva che un bevitore d'acqua non avrebbe potuto creare mai niente di bello.

E' interessante il fatto che Cratino osò prendere di mira Pericle accusandolo di fomentare la guerra in combutta con Aspasia e sfottendolo con il chiamarlo "Zeus dalla testa di cipolla", un epiteto che metteva in caricatura la forma allungata del suo cranio. Interessante è anche il verbo coniato da Cratino: eujripidaristofanivzein, "euripidaristofaneggiare" per significare che i due autori non erano poi tanto diversi quanto voleva fare credere Aristofane,  il quale nelle Rane  renderà omaggio al collega già morto chiamandolo:"Cratino il divoratore del toro"(Taurofavgo" v. 357), per esaltare la sua vocazione dionisiaca con un epiteto che veniva attribuito allo stesso Dioniso.

Euripide e Aristofane hanno in comune la critica ai demagoghi e altri aspetti delle loo opere che vedremo più avanti.

 

Eupoli era coetaneo di Aristofane, nacque dunque intorno alla metà del V secolo, ma morì diversi anni prima del collega (intorno al 410): una leggenda tramandata da Cicerone in una lettera ad Attico- (VI, 1,  18  quis enim non dixit EÜpolin tÕn tÁj

¢rca…aj ab Alcibiade navigante in Siciliam deiectum esse in

mare? redarguit Eratosthenes; adfert enim quas ille post id 

tempus fabulas docuerit )-

narra che secondo parecchie testimonianze Eupoli fu  gettato in mare da Alcibiade in seguito  a un attacco subito dal figlio di Clinia presentato come damerino eccentrico nella commedia gli Adulatori  che criticava i sofisti riuniti nella casa del ricco Callia, la dimora dove è pure ambientato il Protagora di Platone e il Simposio  di Senofonte. Alcibiade non fu l'unico capo di parte democratica a costituire un bersaglio per gli strali di Eupoli che, di tendenza conservatrice al pari di Aristofane e Cratino, se la prese con i più noti demagoghi: con l'Età dell'oro  (del 424) attaccò Cleone divenuto il beniamino del popolo dopo il successo di Sfacteria (425) e dopo avere portato la paga eliastica da due a tre oboli; più tardi, morto il becero caporione ad Anfipoli (nel 422), Eupoli levò le armi della parola contro il nuovo trascinatore della massa, Iperbolo, nel Maricante (del 421), nome di un noto invertito ateniese.

 Con Aristofane dunque Eupoli condivise l'ideologia, ma i due drammaturghi si scambiarono anche accuse di plagio: il primo nelle Nuvole  accusa il rivale di avere saccheggiato i Cavalieri :

"Eupoli per primissimo portò in scena il Maricante travestendo malamente i miei Cavalieri il maligno con l'aggiunta di una vegliarda ubriaca che ballava il trescone"(Nuvole, vv. 553-555). Questa sarebbe stata la madre di Iperbolo.

 Eupoli del resto nei Battezzatori  affermò di avere scritto personalmente una parte dei Cavalieri .

L'ultima commedia di questo autore fu i Demi (del 412) dove c'è il motivo che si ritrova nelle Rane : quello di riportare sulla terra dei morti: in questo caso i grandi politici del passato: Solone, Milziade, Aristide e Pericle che veniva rivalutato rispetto ai Prospaltii  dove era stato attaccato con la sua concubina Aspasia.

 

Il tempo della parresia e della democrazia

 

Come si vede la parrhsiva, libertà di parola e di critica non aveva limiti e i commediografi potevano prendersela con i potenti anche in tempo di guerra. Aristofane la impiegherà a lungo contro Cleone

 

La parresìa degli scrittori è una delle cause più vere anche se meno chiarite a parole del fiorire contemporaneo di tanta letteratura dai contenuti non solo estetici ed etici ma anche politici. Con la fine della democrazia ebbe termine anche la parresìa e la grande letteratura politica e popolare

 

Parrhsiva può essere scelta come parola chiave e considerata a partire dallo Ione[2] di Euripide dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese questo privilegio, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[3] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).

 Analogo concetto si trova nelle Fenicie[4] quando  Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.

Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.

"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande (Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[5].

Su questa parola chiave gioca Victor Hugo quando riporta queste parole “ingenuamente sublimi” scritte da padre Du Breul nel sedicesimo secolo: “Sono parigino di nascita e parrisiano di lingua, giacché parrhysia in greco significa librtà di parola della quale feci uso anche verso i monsignori cardinali”[6].

 

giovanni ghiselli 24 luglio



[1] Siamo nel 424.

[2] Del 411 a. C.

[3] Forma poetica equivalente a kevkthtai.

[4]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.

[5] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21 n. 2.

[6] Notre-Dame de Paris, p. 38.

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