sabato 20 febbraio 2021

Debrecen 1966. XXIII parte. Il costume da bagno

anni 70, sempre a Debrecen
Il ragazzo si vergogna della propria deformità meritata con due anni di vita malvissuta


Quindi tornai in collegio e nella stanza, ansimando, pieno di sensi di colpa e di inferiorità.  Salivo le scale a suon di singhiozzi e di rutti ripugnanti esalati dallo stomaco guasto, pieno di cibo, disgusto, rimorso e paura di tutto

Dovevo cambiarmi e indossare il costume prima che giungessero gli altri tre, e questo non per pudicizia, poiché trovata la mia ottima forma in progresso di tempo, e di me stesso, mi sarei spogliato ogni volta fieramente e trionfalmente davanti alle mie amanti, mentre quel giorno remoto non volevo mostrare l’obbrobrio della pancia superfetata, l’orrore dell’epa croia1 , e anche perché all’epoca temevo di avere piccolo il pene.

Tale in effetti appariva o addirittura spariva sotto la pancia del ragazzo deforme che ero diventato ingozzandomi continuamente.

 I primi giorni andavo addirittura a fare la doccia in costume; poi, vedendo altri ragazzi nudi, in alcuni casi mi ricredetti sulle dimensioni del mio apparato, in altri mi rassegnai. La vergogna della pancia tesa, dura e prominente invece l’avrei abolita più tardi nell’unico modo possibile: eliminandola con lo sport anche agonistico e con un nutrimento essenziale.

Quantum mutatus ab illo![1].  Allora Fulvio mi avrebbe fatto, di mente e di cuore, tutti i complimenti che meritavo. Eravamo arrivati al ‘68, anno di salvazione mia e di molti altri, soprattutto di tante donne liberate da secoli di repressione e sottomissione sessuale. Qualche anno più tardi una dottoressa, un medico donna, mia amante, assai esperta, mi avrebbe fatto caldi elogi per tutta la mia consistenza corporea.

giovanni ghiselli


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1 Cfr. Virgilio Eneide, II, 274. Detto a proposito dell’immagine onirica di Ettore quale appare a Enea durante la notte dell’eccidio di Troia, mutato in peggio però.

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