venerdì 26 febbraio 2021

Le estati tra 1967 e il 1971. Capitolo XIV. Lo scontro con il preside ostile

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I primi tempi l’iniqua ostilità del preside Umberto Zanini mi tolse parte del mio ottimismo relativo alla scuola come istituzione, ma non il mio entusiasmo educativo.

Talora la sera, dopo avere ripassato la lezione per il giono seguente, mentre spengevo la fioca lucerna della terrazza che rispondeva alla parte oientale della pianura veneta, ripetevo le parole sentite nel film Fuoco fatuo che il regista Louis Malle ha tratto dal romanzo di Pierre Drieu La Rochelle.

 “Domani mi uccido”, mormoravo.

Per scherzo, certo. Mi veniva in mente quando lo facevo nel collegio di Debrecen, ad alta voce, e Claudio ribatteva: “perché non ti uccidi subito, borsa!”.

 Nel Motel di Cittadella aggiungevo un antidoto tratto da Virgilio: “O passus graviora, dabit deus his quoque finem[1]. Né tralasciavo di aggiungere: “ maestumque timorem- mitte; forsan et haec olim meminisse iuvabit (…) “dura et te rebus serva secundis”[2]

L’ultima pillola contro lo sconforto di tanta solitudine  in sì verde età me la forniva Ovidio:  Perfer et obdura: dolor hic tibi proderit olim/saepe tulit lassis sucus amarus opem[3].

La buona letteratura degli ottimi autori ha sempre avuto un effetto anche terapeutico su di me. Poi il sentimento della natura. E, importantissime, le donne. Queste le sponde della salvezza dal naufragio.

 

Andai dunque alla posta per il telegramma da inviare. Scrissi “Carmignano sul Brenta”. L’impiegata mi corresse: “di Brenta; sul Brenta è Piazzola”. Sbagliavo anche il nome. Forse aveva ragione il preside che non mi voleva: nemmeno io volevo restare: a[konte" entrambi.

Gielo avrei fatto presente usando questa parola che ricordavo dal Prometeo incatenato. Volevo contrappore alla sua prepotenza il mio maggior potere culturale.

 Conunque non sarei rimasto tanto a lungo con lui. Dovevo tornare a Bologna, nel mio ambiente.

 Zanini venne a ispezionarmi più volte. Entrava in classe senza bussare e rimaneva qualche decina di minuti a fissarmi, ad ascoltarmi, senza togliersi il cappello. Infine riconobbe che ero preparato “anca massa - aggiungeva - per questi putei”.

Tuttavia alla fine dell’anno mi diede la qualifica di Valente invece di Ottimo, togliendomi in questo modo due punti. Volli vedere la motivazione. Era di fatto un giudizio politico: aveva scritto: “ assume atteggiamenti che non si confanno alla dignità della scuola”.

Di fatto nei pomeriggi di maggio, il maggio odoroso e sereno del 1970, feci alcune gite ciclistiche a Marostica con gli allievi della mia terza media: andavamo nel prato verde smeraldo del castello alto  dove si ripassava il programma da portare all’esame di giugno.

Andavamo e tornavamo in bicicletta. Per strada talora cantavamo Bella ciao o canzoni di Fabrizio de Andrè.  Con noi veniva il collega di matematica, l’amico Peppino Graziani, un uomo buono e intellligente.

Questi gli atteggiamenti disdicevoli decondo colui.

Una mattina di giugno il preside mi convocò nel suo ufficio rallegrato di luce in questo mese, come tutto il nostro emisfero.

Ma lui con gravità tetra e riprovazione disse: “Professore, il paese mormora contro di lei e contro di me che non intervengo”

“Che cosa ha da mormorare ?”, domandai    

“Mormora, mormora. Voci. Una parola qua una là. Lei, Graziani, le vostre gite a Marostega con le ragazze in bicicletta. Professore la gente qui non è cieca, non è sorda, non è stupida. Noi ne abbiamo piene le tasche della sua politica e della sua sicologia”.

 “La scienza dei fichi” pensai.

“Immagino che lei ha votato Psiup”, continuò.

“Sì è il partito più a sinistra nel parlamento della Repubblica italiana”.

“Carmignano non è la Russia, non è nemmeno la rossa, dissoluta Bologna.

 Ci torni, Qui noi siamo religiosi e morali. Torni da dove viene, appena possibile. Comunque lasci stare queste passeggiate ciclistiche ambigue”

“Ma che ambigue!-replicai- Io e il professor Graziani teniamo alcune lezioni supplementari all’aperto alle ragazze e ai ragazzi. Io amo la bicicletta da almeno venti anni, quando ne avevo cinque. Che cosa hanno da mormorare i furfanti bigotti di questa Vandea? Sono rumores infernali. E lei in sostanza che cosa vuole impormi contro la libertà di insegnamento?”

Quindi, per spiazzarlo citai una frase della Buona Novella: “oJ ojfqalmov" sou ponhro;" ejsti, o{ti ajgaqo;" eijmi;[4]”. Così in grco gli diedi del tu. Quello non capì e bofonchiò: “Cossa vu to”.

Poi disse: “Professore, lei è perseguibile da me 24 ore su 24.

Et persequimini de civitate in civitatem[5], pensai

“La smetta di andare a Marostega con gli alunni, i suoi e quelli di altre terze che si aggregano, se non vuole che le mandi una censura scritta, una nota di biasimo che può rovinarle la carriera scolastica”

Dat veniam corvis, vexat censura columbas[6] replicai non senza un sorriso di canzonatura.

 

“Cossa vu to” borbottò.

 

giovanni ghiselli



[1] Cfr. Eneide, 1, 199.

[2] Cfr. Eneide, 1, 202 sgg.

[3] Amores, III, 11, 7-8.

[4] N. T., Matteo, 20, 20. Il tuo occhio  è cattivo perché sono buono?

[5] N. T., Matteo, 23, 34 E perseguiterete di città in città.

[6] Giovenale, II, 63. La censura perdona i corvi e tormenta le colombe.

1 commento:

Ifigenia CLVIII. Preghiera al dio Sole. Saluti alla signora e alla signorinella magiare.

  Pregai il sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura. “Aiutami Sole, a trovare dentro questo lungo travagli...