lunedì 22 febbraio 2021

Debrecen 1966. XXVII ultimo capitolo. Il ritorno. La liberazione dal terrore dell’identità frantumata

la Mini Minor
Il beneficio più grande di queste prima esperienza nell’università estiva di Debrecen fu che, tornato a Pesaro poi a Bologna, mi sentii meno insicuro e infelice di quando ero partito in cerca di liberazione.

Il viaggio di ritorno lo feci con Fulvio e Luigi nella Seicento; veramente questa arrivò soltanto a Lova di Campagna Luppia, e di lì dovemmo proseguire in corriera fino alla stazione di Bologna, quindi prendemmo strade diverse per tornare alle case materne, ciascuno alla sua. L’automobile  decrepita, dopo averci preannunciato la popria morte ansimando sfinita sulle rampe del Tarvisio, superato a fatica il passo, aveva fatto altri duecento chilometri aiutata dalla strada più pervia, poi verso sera era spirata, lì, al confine tra la laguna veneta e la grande pianura padana, dove vedemmo tramontare un sole esausto, offuscato dai moscerini e dalle brume dell’estate morente anche lei.

Non potevamo chiedere aiuto perché il “maledetto e abominoso ordigno”[1] ossia il cellulare che avrebbe invaso il pianeta adulterando i rapporti umani ancora non esisteva, sicchè passammo la notte in una locanda campagnola scambiandoci impressioni e riflessioni sul mese passato insieme aiutandoci a vicenda e volendoci bene. Se ci fosse stato il telefonino e posto uno di noi tre, letterati ipotecnologici lo avesse avuto[2], avremmo perduto un simposio e uno scambio proficuo di pensieri non volgari né banali, anzi ricchi di pathos e di logos. Contento di ciò, saltai la cena. Mi ero già avviato sulla strada della resurrezione.  

La fine della vecchia automobile ebbe una conseguenza positiva siccome il male viene per giovare quando il destino prende il verso giusto, quello che favorisce la vita.

Poco tempo dopo infatti la zia Rina mi regalò la Mini Minor da cui trassi altra libertà e nuovo coraggio. Fare il povero poi divenne una posa anche non priva di qualche eleganza, ma la persona mia non si presentava più trascurata e addirittura rattoppata. In casa avevano capito che non favorivano i miei studi e la mia carriera, lesinandomi tutto, anzi mi gettavano nell’inerzia dello sconforto. Ora non trarrei coraggio da un’automobile, anzi ne ho una che lascio sempre in garage, e giro sempre in bicicletta, ma nella mia debolezza di allora, uscito dalle ristrettezze  nelle quali mi avevano tenuto, ebbi un aiuto anche da quell’automobile che in quel tempo era di moda.   

Salutati gli amici che non avrei più perduto e, terminato il viaggio sapendo più cose, mi ritrovai a Pesaro già piuttosto cambiato, e non in peggio: non ero più certo che la mia vita sarebbe trascorsa tutta tra le umiliazioni, lo squallore e il dolore come era caduta di degradazione in degradazione dopo il liceo: fino all’età del ferro arrugginito quando aveva trionfato la brutalità calpestandomi il cuore e il cervello, l’anima insomma.

A Debrecen avevo incontrato ragazzi buoni che mi chiamavano per nome, non con epiteti carichi di ludibrio, mi parlavano senza insultarmi e mi ascoltavano con attenzione; poi avevo trovato giovani donne che mi avevano sorriso e si erano lasciate avvicinare da me in vari modi, tutti positivi e accrescitivi per me; avevo conosciuto persone che avevano riso e scherzato con me, non di me, e mi ero convinto che quel rispetto era giusto siccome io non ero stupido, ignorante e cattivo: lo erano piuttosto quanti mi avevano maltrattato dopo il liceo per risentimento del mio essere stato egregio nel Terenzio Mamiani di Pesaro e per  la soddisfazione di vedermi smarrito, disorientato, abbattuto. Avevo del resto capito che quel rancore era stato scatenato non solo dal mio essere bravo ma anche dal narcisismo egoista con cui mi ero presentato per anni. Dovevo dunque tornare a primeggiare non per vantarmene, bensì per fare del bene: il mio bene e quello degli altri, insomma volevo diventare benefico con l’aiuto di amici e ancor più di una donna del mio stampo, della mia levatura, della mia razza spirituale. Ma questa dovevo incontrarla. Un grande aiuto mi verrà dal movimento studentesco dei due anni seguenti. Sarà l'argomento dei prossimi capitoli.


giovanni ghiselli     

 



[1] Ariosto,  Orlando Fuioso, IX, 91, 1

[2] Fulvio e Luigi resistettero a lungo, io non l’ho mai avuto.

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